mercoledì 26 febbraio 2014

Il mito del "cuneo fiscale"

Ho letto un interessante post di Andrea Ricci sul FQ, dal titolo "Caso Electrolux: il vero cuneo è quello dell’euro". Andrea Ricci è un economista che ha partecipato, il 12 gennaio scorso, al convegno di Chianciano "Oltre l'euro". Qui il video del suo intervento (che condivido solo per la parte in cui chiede l'uscita immediata dall'euro):


Nell'articolo Andrea Ricci riprende il caso Elettrolux, e dimostra come la ragione di convenienza per l'azienda a delocalizzare in Polonia sia solo in minima, e marginale parte, da imputare al cuneo fiscale.

Andrea Ricci presenta questa tabella:

Tabella 1: Salari e produttività del lavoro in Italia e in Polonia
Dati annuali 2012
1
2
3
4
5
6
Salario lordo €
Produttività €
Salario netto €
Salario lordo
 $ PPPs
Salario netto
 $ PPPs
Produttività
$ PPPs
Italia
28.593
100
63.720
100
14.983
100
33.849
100
17.771
100
72.002
100
Polonia
10.116
35.4
42.215
66.3
6.646
44.4
21.110
62.4
13.869
78
48.062
66.7
Fonte: nostre elaborazioni su dati OECD, Eurostat e Banca d’Italia.
La tabella presenta un confronto tra la Polonia e l'Italia, riportando alcuni indicatori. Ci sono sei colonne: le prime tre sono per il salario lordo, la produttività, il salario netto; le ultime tre gli stessi indicatori ma a Parità di Potere di d'acquisto in dollari. Inoltre, per ogni colonna, fatto uguale a 100 il valore riferito all'Italia, viene riportato l'analogo valore per la Polonia.
Ci sono un paio di definizioni da chiarire. Per produttività si intende il valore aggiunto per occupato. Il "valore aggiunto", a sua volta, si ottiene "sottraendo al valore dei beni e servizi prodotti il valore dei beni e servizi necessari per produrli".
Consideriamo ora il rapporto R tra salario e produttività per l'Italia e la Polonia. E' ovvio che, per un'impresa, un paese è tanto più conveniente quanto più esso è basso. Per l'Italia abbiamo:
Ri=Si/Pi= 28.593/63.720=0,448
Per la Polonia:
Rp=Sp/Pp= 10.116/42.215=0,239
Se ne deduce che, essendo Ri/Rp=1,86, a parità di valore aggiunto il costo del salario in Italia è dell'86% maggiore. Oppure, come dice Ricci, che a parità di salario in Polonia si produce un valore aggiunto maggiore dell'86%. Contemporaneamente, con lo stesso salario che l'impresa dovrebbe spendere per un solo lavoratore italiano, potrebbe assumere 2,82 lavoratori polacchi (basta fare il rapporto tra i salari lordi italiani e polacchi). 
Notiamo ora che, nei ragionamenti che fa Ricci, è più agevole usare i valori indice, normalizzati a 100 per l'Italia, e i corrispondenti valori per la Polonia. Gli economisti li chiamano numeri indice. Usandoli, infatti, abbiamo:
Ri=Si/Pi=100/100=1
Rp=Sp/Pp=35,4/66,3=0,534
E quindi, come già calcolato con i valori nominali, Ri/Rp=1/0,534=1,86. 

Chiarito il significato dei numeri indice usiamoli per domandarci: quanto dovrebbe essere il salario polacco per avere un rapporto salario/produttività pari a 1, cioè uguale a quello italiano? Ovviamente dovrebbe essere un numero indice uguale al numero indice che rappresenta la produttività polacca, cioè 66,3. Ora, se in Italia si applicasse lo stesso regime di tassazione sul lavoro che c'è in Polonia, a parità di salario netto il salario lordo diminuirebbe; dunque il numero indice che rappresenta il salario lordo polacco rispetto a quello italiano salirebbe, e raggiungerebbe (lo dice Ricci) il valore di 40,8; un valore tuttavia ancora molto inferiore a 66,3, che è quello che serve per rendere l'Italia conveniente come la Polonia dal punto di vista di un'impresa! Ergo, intervenire sul cuneo fiscale non risolve il problema della maggior competitività per un'impresa operante in Italia a delocalizzare in Polonia!

In realtà, però, ragionare sui valori nominali di salari e produttività non è corretto dal punto di vista economico. Occorre invece prendere in considerazione i valori indice a parità di potere di acquisto. Cos'è questa roba dei valori indice a parità di potere d'acquisto? In parole semplici: se un polacco guadagna la metà di un italiano, ma il costo della vita in Polonia è la metà che in Italia, allora l'italiano e il polacco hanno lo stesso potere di acquisto.

Confrontiamo allora i salari lordi e le produttività a parità di potere d'acquisto, e ripetiamo il calcolo. Otteniamo:


Ri=Si/Pi=100/100=1

Rp=Sp/Pp=62,4/66,7=0,935

E quindi Ri/Rp=1,069

Pertanto, a parità di valore d'acquisto, il costo del salario in Italia a parità di valore aggiunto è del 6,09% maggiore che in Polonia. Una bella differenza rispetto all'86% ottenuto ragionando sui valori nominali. 

Può una simile non grande differenza indurre un'azienda ad affrontare i costi di delocalizzazione? La risposta è sì, se l'obiettivo di una riduzione dei salari lordi italiani è a portata di mano, per la crescente disoccupazione e per la debolezza dei sindacati!

Ipotizziamo che, sotto la minaccia del ricatto, i sindacati italiani accettino una riduzione del salario lordo, a parità di potere di acquisto, del 30%. Così facendo i numeri indice cambierebbero e, fatto sempre 100 il valore del salario lordo a parità di potere di acquisto per l'Italia, per la Polonia esso varrebbe 89. Ripetendo i calcoli, si ottiene: Rp=89/66,7=1,33 e quindi:

Ri/Rp=1/1,33=0,75

L'Italia sarebbe del 25% più competitiva della Polonia, o se preferite la Polonia del 33% più cara dell'Italia per un'impresa!

Ma anche accettando questa logica, dunque contrattando una riduzione del salario lordo del 30% (perseguibile sia attraverso riduzioni nominali, sia attraverso licenziamenti, giacché per un'azienda quel che conta è il monte salari totale), chi ci assicura che i sindacati polacchi non siano disposti ad accettare, anche loro, riduzioni di salario e licenziamenti (leggi: aumenti dei carichi di lavoro) in risposta alla nostra "svalutazione interna"? Sì, certo, i polacchi partono da livelli retributivi più bassi, dunque dovrebbero "cedere" prima, in questa corsa al ribasso! Ma se così fosse, allora finiremmo con l'essere noi a perdere, in un'analoga corsa al ribasso, con i sistemi paese nei quali le retribuzioni partono da livelli più alti! 

La verità è che la globalizzazione, ovvero quel sistema di norme e trattati internazionali che l'hanno prodotta (giacché questo processo non può essere totalmente imputato alle ineluttabili conseguenze del progresso tecnologico, e anzi si potrebbe sostenere il contrario), finisce con il mettere i lavoratori in competizione gli uni con gli altri!

E l'euro? L'euro gioca la sua parte in questo meccanismo infernale. Infatti la flessibilità del cambio (oltre alla possibilità di non essere strozzati dai vincoli sul deficit imposti dall'UE) gioca un ruolo chiave nel determinare la competitività di prezzo tra paesi. Si chiama "svalutazione esterna", ed è un meccanismo che scarica i costi della perdita di competitività prevalentemente sul capitale nazionale, oltre a costituire un freno naturale all'indebitamento estero. E' del tutto evidente che, una volta sterilizzato il meccanismo della "svalutazione esterna" attraverso l'imposizione di una moneta unica, e con la completa libertà di movimento di capitali, merci, servizi e persone, al capitale basta stare alla finestra per decidere dove e quando localizzare le produzioni, mentre sono i lavoratori che devono scannarsi a vicenda, in una spietata corsa verso il basso di salari e diritti, per conquistarsi i "favori" del mercato.

l'euro e l'Unione Europea sono il mondo ideale per il capitale, anche quello cosiddetto nazionale, che può così disinteressarsi del problema di rimanere competitivo assumendosi la responsabilità di ben governare e preservare la produttività del sistema paese, dal momento che a questo ci pensano i lavoratori, accettando condizioni di vita e di lavoro sempre peggiori. 

Ma se tutto si gioca sui salari e sui diritti dei cittadini lavoratori, in un campo di gioco che somiglia sempre più ad un anfiteatro, nel quale in basso ci sono i lavoratori-gladiatori e in alto, sugli spalti, la grande nobiltà finanziaria, allora a cosa serve la politica? A nulla, è evidente. Anzi, essa è potenzialmente una fonte di pericolo, poiché potrebbero sorgere nuovi partiti che mettono in discussione il perfetto meccanismo schiavista, costruito in tanti anni con abilità e dedizione! Ma la soluzione al problema è a portata di mano: leggi elettorali maggioritarie, meglio bipolari, soglie di sbarramento da incubo, premi di maggioranza stratosferici e, dulcis in fundo, stravolgimento della Costituzione democratica.


Questa è la globalizzazione "compagni", di cui l'Unione Europea è la punta più avanzata. L'euro è solo una rotellina, importante ma non decisiva, di un più grande diabolico meccanismo che ci raccontano essere irreversibile. Ma di irreversibile ci saranno solo le teste che rotoleranno nei canestri, il giorno che la Petite Louise ricomincerà a fare il suo lavoro.

2 commenti:

  1. Tutto chiaro e da condividere nella sostanza, solo una piccola richiesta di chiarimento "tecnico":
    a meno che non mi sfugga qualcosa di lampante, non capisco il perché di:
    "ragionare sui valori nominali di salari e produttività non è corretto dal punto di vista economico. Occorre invece prendere in considerazione i valori indice a parità di potere di acquisto".
    A me viene da ragionare così: posto che l'azienda ha libertà di movimento di capitali, che le importa se il costo della vita in Polonia è (numeri inventati, tanto per fissare le idee) il 50% di quello in Italia, e quindi dal "punto di vista dell'operaio polacco" guadagnare la metà in termini nominali equivale a guadagnare lo stesso salario dell'operaio italiano? dal "punto di vista dell'azienda", N euro dovrebbero essere sempre N euro da destinare ai salari, che cosa cambia tra darli a un italiano o a un polacco (ho appunto ipotizzato la perfetta mobilità dei capitali)?
    Cosa mi sfugge?
    Tra l'altro, usando i valori nominali anziché quelli a PPA, il taglio dei salari richiesto in Italia per arrivare a un Ri/Rp=0.75 ovviamente vien fuori notevolmente maggiore (del 60% anziché del 30% se non erro) e la "convenienza alla delocalizzazione infischiandosene di qualunque possibile realistica riduzione del cuneo fiscale" diventa ancora più evidente...

    Lorenzo (assiduo eco/ego-lettore e tubo-spettatore)

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  2. Si usa la PPA per eliminare gli effetti distorsivi legati al tasso di cambio monetario. L'azienda può sì spostare i capitali dove vuole, ma per pagare gli operai polacchi deve convertire la sua liquidità in zloty, e per pagare quelli italiani deve convertire in euro. Tra l'altro questa è un'altra ragione che rende più appetibile localizzare gli impianti in Polonia piuttosto che in Italia, ma l'ho messa in ombra sia perché ne ha parlato meglio di me Ricci nell'articolo linkato (e ci mancherebbe!), sia perché volevo mettere in risalto il fatto che, cambio a parte, il problema più grosso mi sembra essere la mobilità dei capitali. Cioè il mercato unico e, prossimamente, il TTIP.

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