martedì 10 giugno 2014

Rottamopolis



L'alibi della corruzione


L'alibi della corruzione è l'efficace, e già collaudato nel 1992, strumento con il quale nascondere agli elettori gli errori di governo. Inoltre, esso consente di aprire una fase di rottamazione del ceto politico esistente, in vista della costruzione di nuovi e più stabili equilibri. Ne abbiamo visto gli effetti già subito dopo l'investitura di Von Renzyek a segretario del PD, e ancor più dopo l'esito delle europee. Queste, sebbene la vittoria del PD sia meno ampia di quanto appaia, hanno però consegnato il partito nelle sue mani. 

Accade così che le indagini giudiziarie svolgano un duplice compito: distrarre gli elettori dai veri problemi del paese per impedirgli di scorgere gli errori di politica economica accumulatisi in un ventennio, e consegnare nelle mani del nuovo ipnotizzatore di masse uno strumento utile a ridurre all'obbedienza eventuali dissensi interni. Improvvisamente, nel PD, sono diventati tutti "flessibili", anche l'eroica fassina che, ancora un anno fa, osava dire la verità.

Il M5S, a prescindere dalla sua vera natura e dagli intenti dei suoi attivisti, appare sempre più funzionale a questa strategia. Con buona pace di quanti (tra questi gli amici del Movimento Popolare di Liberazione) si ostinano nell'illusione che così non sia. 

Rinfrescare la memoria


Rinfrescare la memoria non guasta. L'ing. Mario Chiesa fu arrestato il 17 febbraio 1992, colto in flagrante con una mazzetta di 7 mln di lire (3500 euro) su un appalto di 140 mln di lire: il 5% dell'importo. Lo scandalo che ne seguì contribuì a nascondere un dato ben più importante: le crescenti difficoltà della lira a rimanere nella banda stretta del Sistema Monetario Europeo (SME), nel quale eravamo trionfalmente entrati l'8 gennaio 1990 (poco più di due anni prima). La permanenza della lira nella banda stretta era considerata essenziale in ragione della ratifica del trattato di Maastricht, avvenuta il 7 febbraio 1992, dunque appena 10 giorni prima dell'arresto di Mario Chiesa.

La ratio del crescendo di attenzione di cui furono oggetto le indagini del pool mani pulite può essere individuata nel combinato disposto di tre fattori. Da un lato la convinzione, allora come oggi, che forzando il paese a diventare più "virtuoso", questo potesse aumentare i suoi margini di efficienza e produttività; dall'altro alzare un polverone onde porre in ombra scelte politiche fondamentali che si stavano rivelando sbagliate, e svantaggiose soprattutto per il mondo del lavoro oltre che per l'economia italiana nel suo complesso. Infine, rottamare la classe politica che, nel bene e nel male, aveva governato l'Italia nel solco dei princìpi economici sanciti nel titolo III della Costituzione del 1948.

In effetti a partire dal 1986 si era verificata un'inversione di tendenza nel regime di circolazione dei capitali italiano ed europeo. Quell'anno la Commissione europea presentò al Consiglio dell’UE un programma per la liberalizzazione dei movimenti di capitali nella Comunità. Questa prevedeva due fasi. La prima fissava l’obiettivo della liberalizzazione incondizionata ed effettiva in tutta la Comunità delle operazioni sui capitali, prevedendo la completa integrazione dei mercati nazionali di titoli finanziari. In questa prospettiva la Comunità emanò la direttiva 566/1986. Due anni dopo, con la direttiva direttiva 61/1988, il processo poteva dirsi concluso. Il parlamento italiano avrebbe recepito entrambe le direttive nel 1990. Il passo successivo, l'ingresso della lira nella banda stretta di oscillazione dello SME, aveva rappresentato il coronamento di un percorso che la crisi del settembre 1992, i cui primi segnali erano avvertibili già ad inizio anno, avrebbe bruscamente interrotto.

La legislazione europea sulla liberalizzazione dei movimenti di capitali è stata successivamente recepita nel "Trattato di Maastricht" e infine raccolta nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE), altrimenti noto come "Trattato di Lisbona", ed anzi in questo resa più incisiva nella forma di esplicito divieto di imporre restrizioni di sorta.

Art. 63 TFUE: 
  • Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.
  • Nell'ambito delle disposizioni previste dal presente capo sono vietate tutte le restrizioni sui pagamenti tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.
L'art. 63 del TFUE rappresenta una netta inversione di tendenza rispetto a quanto sancito nel Trattato di Roma del 1956. In questo, infatti, si distinguevano i movimenti di capitali per fini speculativi (movimento di capitale: operazioni finanziarie che si traducono in un investimento o allocazione di risorse senza alcun collegamento con una prestazione o scambio di beni e servizi) da quelli legati al pagamento di merci e servizi (pagamento: controprestazioni in denaro degli scambi di beni o servizi).

La libera circolazione dei capitali impone, come ovvia conseguenza, un controllo sui cambi delle monete, al fine di evitare flussi eccessivi in funzione delle fluttuazioni reciproche. Da ciò l'esigenza, per l'Italia, di entrare nella banda stretta di oscillazione. Non un successo, dunque, come propagandato dalla stampa mainstream, ma la conseguenza obbligata di scelte di politica economica che non furono chiarite agli elettori.

Un articolo di Repubblica del 16 dicembre 1989, dunque appena tre settimane prima che la lira adottasse la banda stretta, è emblematico del grado di instabilità monetaria di cui soffriva il nuovo sistema basato sulla libera circolazione dei capitali: «CARLI E CIAMPI SULLA LIRA 'PRESTO LA BANDA STRETTA'».

E' interessante notare come le difficoltà descritte nell'articolo citato fossero solo un assaggio di quello che sarebbe accaduto di lì a un anno, allorché la Bundesbank, dopo la riunificazione con la DDR, alzò il suo tasso di sconto con l'obiettivo di limitare le spinte inflazionistiche interne in seguito al cambio con il marco dell'est effettuato 1 a 1 (invece che 1 a 4 come era la quotazione di mercato).

I veri costi della politica


I veri costi della politica sono le decisioni sbagliate. La decisione più sbagliata che sia stata presa in Europa e in Italia negli ultimi trenta anni (meglio: quella più contraria agli interessi generali) è stata la completa liberalizzazione dei movimenti di capitali, di cui lo SME prima, e l'euro dopo, altro non sono che un banale e conseguenziale lemma. Il che non significa, sia ciò chiaro ai diversamente sagaci, che l'euro sia un problema secondario, quasi un epifenomeno del quale non valga la pena occuparsi perché "altri sono i problemi". L'euro, cioè la stabilità dei cambi, è indispensabile quando i capitali sono liberi di muoversi; viceversa, in regime di controllo dei movimenti di capitali, sarebbe uno strumento insensato. Eliminare l'euro, dunque, significa rendere impraticabile il regime di libera circolazione dei capitali, cioè Maastricht.

Ciò significa che le forze politiche che si mostrano incerte nella battaglia contro l'euro sono ambigue sul tema della libera circolazione dei capitali. Il M5S è una di queste forze!

L'unico argomento, apparentemente sensato, per sfuggire all'evidente contraddizione in cui si trovano quelle forze politiche di sinistra che vogliono l'euro ma si dichiarano avversarie dello strapotere del capitale, è quello di invocare i mitici Stati Uniti d'Europa. SEL, Rifondazione Comunista, Tsipras, i compagnucci del fu Manifesto(.info) costituiscono questa imbarazzante congrega. La loro ragione sociale è quella di alleati di complemento del PD di Von Renzyek, nel tentativo di ingannare gli elettori sulle reali cause del disastro di un intero continente.

Se il compito del PD di Von Renzyek è quello di continuare ad ingannare gli elettori, è ovvio che l'unico strumento disponibile è quello dell'autoflagellazione. E' necessario convincere gli italiani che la colpa non è delle scelte politiche sbagliate, ma della corruzione del sistema, proponendosi al contempo come il rottamatore della cosiddetta casta. Ciò assicura il necessario consenso, rafforzato per di più dal terrore, mediaticamente diffuso, sulle conseguenze di un'inversione di rotta. Questa viene presentata nella versione semplificata dell'uscita dall'euro, e mai in quella, ben più coerente, di un ripensamento radicale del regime di libera circolazione dei capitali in vigore dalla fine degli anni ottanta. Inoltre, la minaccia della "rottamazione" funziona come ottimo deterrente nei confronti di quanti, in quel partito, osassero mai opporsi alla linea.

Siamo così giunti alla replica, per certi versi farsesca, della mazzetta da 3500 euro di Mario Chiesa: lo scandalo del Mose. Un'opera da 5500 mln di euro sulla quale sarebbe stata accertata una mazzetta di 21 mln, pari allo 0,38% dell'importo d'opera, da spartire presumibilmente tra i 35 indagati su un periodo temporale di diversi anni! Un episodio certamente da stigmatizzare, le cui dimensioni devono però essere valutate nella giusta prospettiva.

Il piacere dell'autoflagellazione


Per quale ragione l'opinione pubblica è così propensa ad accettare la spiegazione della corruzione piuttosto che interrogarsi sull'esistenza di ragioni più profonde? E soprattutto: perché questa spiegazione continua a raccogliere consensi anche davanti a fatti e dati oggettivi inoppugnabili quanto solari ed autoevidenti? Come fanno gli italiani a credere che un aumento così repentino della disoccupazione, soprattutto giovanile, della caduta del PIL e della produzione industriale, delle tasse, dell'incertezza generale, per di più su scala europea, sia l'improvvisa conseguenza delle tensioni accumulatesi nel tempo per colpa della corruzione? Penso che ricondurre tutto alla disinformazione sia un errore, c'è sicuramente dell'altro.

E' una domanda sulla quale sto riflettendo da tempo, ma con insuccesso e crescente frustrazione. E' una domanda alla quale è importante dare una risposta, se non vogliamo rassegnarci alla sconfitta nonostante la mole di validi argomenti che tutti noi possiamo opporre alla falsa narrazione mainstream.


3 commenti:

  1. Anch'io me lo domando da tempo e mi sono dato un
    insieme di risposte forse troppo semplici ma che comunque voglio condividere con te .
    1) Andare contro corrente è faticosissimo , Perché ?
    Perché chi va contro corrente deve argomentare con efficacia la propria posizione mentre chi va "a corrente" non deve giustificarle, perché l'onere della prova spetta a sempre a chi contesta e non a chi gestisce una posizione consolidata.
    Perché chi va "contro" è spesso da solo e oggi nessuno vuole essere solo anche perché ogni uomo sa nel profondo atavico della sua coscienza che chi si ritrova solo è sempre il candidato ideale a svolgere il ruolo del capro espiatorio.
    Ma anche perché alcuni valori non sono più premianti , l'atteggiamento speculativo non è ben visto è sinonimo di innaturalezza, oggi ciò che vale è ciò che non necessita riflessione , come dicono le pubblicità : "se una cosa funziona non devi pensarci" , dal che deriva la conclusione che "se ci pensi non funziona", o addirittura "se pensi non funzioni".
    Oggi se pensi sei un po' un gobbo di Notredam .

    2 ) Se quanto sopra è vero cosa bisogna fare ?
    Ovviamente la prima cosa da fare è creare dei gruppi in cui i poveri gobbi non si sentano soli e anzi si sentano rincuorati e incoraggiati alla riflessione "contro".
    In questo senso reputo encomiabile il lavoro che state facendo a Frosinone e credo che tu abbia qualità "caproniche" molto più ampie di quanto credi, ma questo è un altro discorso...

    3) e l'ARS ?
    L'ARS è una bella iniziativa che però non mi sembra stia decollando, sta crescendo secondo me troppo lentamente rispetto a quanto ci si potrebbe aspettare. Se dopo tre anni non si superano i 300 iscritti qualcosa non va. Che cosa ?
    Sarebbe troppo comodo e autoconsolatorio rispondere con le considerazioni di cui sopra , io credo che il problema sia un eccessiva smania di controllo dall'alto, mi sembra di vedere una sorta di paranoia della deviazione, la paura che si prendano strade sbagliate e questo sta comportando un'eccessiva rigidità dell'associazione.
    Mi sembra che paradossalmente un movimento che vuole un ripristino della democrazia ne abbia anche un po' timore, si preferisce consolidarsi su basi solidissime piuttosto che allargarsi velocemente, fino a teorizzare apertamente che non sia ancora il momento dell'attivismo politico.
    Fatto sta che dalle mie parti in sei mesi le uniche cose che sono state fatte lo sono state in occasione della presenza di D'Andrea.

    Gradirei molto le tue valutazioni.
    Ciao .

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  2. Risposta ad Adriano Ottaviani (parte I)

    Caro Adriano, passo direttamente a rispondere alla seconda osservazione. Questa è la curva logistica. Come vedi, inizialmente cresce in modo lento, per poi accelerare e, infine, tendere a un limite. Ti cito questa curva perché essa descrive una dinamica di crescita che è inscritta nella strategia che ci siamo dati. Noi stiamo applicando un metodo che prevede la costruzione di una rete di militanti la cui adesione all'ARS non si basa sulla pubblicità, bensì sulla trasmissione, diretta o al più mediata dalla rete, di una visione politica.

    Il numero di militanti cresce, e crescerà in futuro, in modo proporzionale al numero già esistente. Dunque, la velocità di crescita aumenterà con il tempo, nella misura in cui il numero di militanti crescerà.

    Questa strategia è opposta a quella usata nella pubblicità di un prodotto. Se capisci bene questo fatto, smetterai di preoccuparti. Noi oggi siamo trecento, ma ricorda che siamo partiti, due anni fa, in poco più di dieci. Tutti, sottolineo tutti, coloro che sono entrati hanno prima avuto scambi di opinione e confronto con i già soci.

    Oltre la metà dei soci sono persone attive, nel senso che promuovono iniziative sul territorio, parlano con i loro amici e conoscenti, organizzano incontri e convegni. Di questi ultimi ne abbiamo organizzati circa un centinaio, molti dei quali documentati in video.

    Il vantaggio di questo approccio consiste nel fatto che il tessuto di cui è fatta l'ARS non è di vile natura, ma al contrario resistente e pregiato. Si può, legittimamente, non essere d'accordo con le nostre posizioni, ma la qualità media dei nostri militanti è altissima, e questo sarà di grande aiuto il giorno in cui, essendo ulteriormente cresciuti, saremo investiti dal fuoco delle polemiche politiche. Tra un anno saremo almeno il doppio (ricorda: siamo partiti in quindici). Tu dirai: ma cosa sono seicento persone al confronto con i milioni di elettori? Ebbene, noi saremo un gruppo che potrà mettere sul tavolo di un auspicato fronte sovranista non meno di duecento candidati di qualità. Questo tra un anno. Tra due anni saremo ancora più numerosi.

    Cosa possono fare gli altri, quelli che puntano tutto sulla disponibilità di "più potenti megafoni"? Una sola cosa: essere al servizio dei padroni dei megafoni.

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  3. Risposta ad Adriano Ottaviani (parte II)

    Quanto alla "smania di controllo dall'alto", ebbene questa affermazione è per metà vera e per metà sbagliata. C'è una "smania di controllo", ma non è "dall'alto". Questa "smania di controllo" è orizzontale, ed è indispensabile oltre che legittima e naturale. Forse che Lenin avrebbe permesso che le finalità del suo gruppo venissero deviate per "democraticità"? Forse che i primi cristiani avrebbero permesso che il messaggio di Cristo venisse alterato per "democraticità"? C'è gente che si riempie la bocca con questa parola, ma non ne conosce il significato. La democrazia, caro Adriano, è regina il giorno delle elezioni, non prima, cioè quando i partiti preparano la loro offerta politica.

    Il modo in cui noi preserviamo la natura e la finalità della nostra associazione consiste nel cooptare, con la necessaria calma e prudenza, nuove persone nel direttivo e nell'associazione. Quando ci accorgiamo di esserci sbagliati, cioè quando ci rendiamo conto che è entrato un "pagano" (tanto per capirci) noi tutti facciamo muro. A quel punto il "pagano" deve fare la sua scelta: o è un sovranista, oppure... naviga verso altri lidi.

    Può accadere (è accaduto) che qualche "pagano" non la prenda bene, e allora comincia a dire che siamo antidemocratici, oppure che siamo plagiati, ma di ciò non dobbiamo curarci.

    Vedi, io sono uscito alcuni anni fa dal grillismo, ma per quasi un anno ho taciuto. Solo dopo molto tempo ho cominciato a criticarli, perché nessuno potesse dire che lo facevo perché ero mosso da sentimenti di rivalsa. Lo stesso è accaduto quando mi sono distaccato da un noto economista diversamente educato, tant'è vero che, per molti mesi, dovetti subire l'accusa di essere un pavido perché non rispondevo alle sue pubbliche denigrazioni.

    Noi dell'ARS siamo fatti così, e cerchiamo persone altrettanto calme e determinate. Insomma: testa bassa e pedalare.

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