giovedì 31 luglio 2014

Popoli, Stati, Ideologie

Vorrei dire la mia sul conflitto israelo-palestinese. E' un argomento spinoso che preferirei non affrontare, ma quello che sta accadendo mi turba profondamente, mi spinge a riflettere e, in un certo senso, mi obbliga a prendere una posizione. Spero di non suscitare reazioni scomposte e che le mie valutazioni siano invece utili

Due popoli


I filo-palestinesi e i filo-israeliani si sfidano sui social networks come fossero due avverse tifoserie. L'argomento dei primi è la violenza efferata di cui sono vittime i palestinesi; quello dei secondi il diritto all'autodifesa degli israeliani. Trovo questo approccio sbagliato e fuorviante.

Il problema è la terra, che alcuni decenni fa apparteneva ad un popolo, i palestinesi, e oggi è degli israeliani. E' accaduto che un popolo sui generis, gli "ebrei", si sia insediato nella terra che un tempo era dei palestinesi, spingendoli ai margini.

Credo sia inutile negare l'esistenza del popolo che chiamiamo "ebreo": la sua esistenza è un dato di fatto. Si può eccepire se siano gli effettivi eredi biologici degli antichi abitanti di Palestina, si può sostenere che in realtà si tratta in gran parte dei discendenti di tribù un tempo stanziate nel Caucaso che abbracciarono, per motivi politici, la religione ebraica; si può dire ciò che si vuole, ma non negare l'esistenza reale di una comunità che si autodefinisce "gli ebrei".

Ovviamente è innegabile che esista un popolo palestinese. Si può sostenere che prima dell'arrivo degli "ebrei" questo popolo non aveva reale coscienza di sé, che erano solo delle tribù nomadi, si può dire ciò che si vuole, ma non negare l'esistenza reale di una comunità che si autodefinisce "i palestinesi".

L'aspirazione a uno Stato


I popoli, tutti i popoli, aspirano ad avere uno Stato. Che si tratti di una monarchia, di un sultanato, di una repubblica, quello che volete voi, è un fatto certificato dalla storia che ogni popolo, cioè ogni comunità che percepisce se stessa come distinta e autonoma da altre comunità, desidera costituirsi come Stato. Poiché uno Stato ha bisogno, prima di tutto, di una terra, ma purtroppo di questa non sempre ce n'è quanta ne serve per soddisfare tutte le aspirazioni dei popoli a farsi "Stato", da ciò nascono molti conflitti. Uno di questi è quello israelo-palestinese.

Quando un popolo occupa un territorio, precedentemente abitato da un altro popolo, cosa che nei millenni è accaduta innumerevoli volte, possono derivarne conseguenze molto diverse. La più comune, per fortuna, è sempre stata quella di una reciproca assimilazione, eventualmente dopo un iniziale periodo di conflitti di varia intensità e durata. Questa assimilazione può essere paritaria (in tal caso si parla di fusione) quando i due popoli sono di eguale forza, o essere più o meno asimmetrica quando una delle comunità prevale sull'altra.

In altri casi, anche questi numerosi, invece che di assimilazione si può parlare di integrazione. Popoli diversi coabitano sullo stesso territorio mantenendo le rispettive tradizioni e abitudini, ma dotandosi di apparati amministrativi e/o statuali comuni. Quando, pur in presenza di strutture amministrative e statuali comuni, le differenze rimangono molto marcate, si parla di Stati multietnici.

Nei casi in cui né l'assimilazione né l'integrazione sono possibili, resta una sola alternativa: 1 - due popoli e due Stati, oppure 2 - lo Stato di uno dei due popoli riduce l'altro a colonia o territorio occupato. Questa è la situazione che si è creata tra palestinesi e israeliani.

Il ruolo dell'ideologia


Per i "travaglioti" questi signori sono antisemiti
La ragione di fondo di questo esito è, a mio parere, l'ideologia sionista. Gli "ebrei" che sono emigrati in Palestina, in effetti, non erano soltanto tribù di uomini e donne in cerca di un luogo dove piantare le loro tende, coltivare la terra, crescere i loro figli, mantenendo rapporti più o meno buoni con gli abitanti del luogo. Questo è ciò che credettero i palestinesi del XIX° secolo all'apparire dei primi coloni, ai quali cedettero volentieri ampi appezzamenti di terra, pensando di fare buoni affari e di ritrovarsi con dei pacifici vicini; con i quali si sarebbero, col tempo, assimilati o integrati. Mai errore fu più catastrofico e denso di conseguenze! In realtà essi avevano aperto le porte all'invasione di un popolo che, per quanto sui generis, era di fatto un'entità ideologica, tenuta insieme non da tradizioni valori e consuetudini comuni, giacché i coloni provenivano da tutto il mondo, bensì da un'ideologia: il sionismo. Un'ideologia che voleva conquistare un territorio per costruirvi uno Stato fondato sull'ideologia sionista

Si potrebbe obiettare che i coloni avevano un insieme di valori comuni, costituito dalla religione ebraica, ma ciò è irrilevante rispetto alla forza dell'ideologia sionista. Senza il sionismo, infatti, si sarebbero sviluppati al più conflitti di natura religiosa i quali tendono, quando non sono alimentati e/o strumentalizzati da forze esterne, a rimanere latenti e a bassa intensità.

Un'analogia


Il territorio fra i 47°16'15" N e 55°03'33" N di latitudine e i 5°52'01" E e i 15°02'37" E di longitudine è oggi chiamato Germania. Questo territorio è abitato da un popolo che chiamiamo "i tedeschi". Dalla metà del XIX° secolo i tedeschi hanno uno Stato unitario. Nel corso degli anni '30 del XX° secolo lo Stato tedesco è stato "occupato" da un partito ideologico, il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP). Dunque in Germania, per venticinque anni, c'è stato un popolo (i tedeschi) che aveva uno Stato (lo Stato tedesco) occupato da un partito ideologico (i nazisti). 

Gli alleati hanno combattuto contro il popolo tedesco in armi al fine di sconfiggere lo Stato tedesco "occupato" dai nazisti. Ottenuto ciò, non hanno distrutto il popolo tedesco (anzi, lo hanno aiutato), hanno ricostruito lo Stato tedesco (anzi, bontà loro, ne hanno fatto due...), ma hanno distrutto il nazismo! Ripeto: gli alleati hanno distrutto il nazismo!

Conclusione


Torniamo in Palestina. C'è un popolo (gli "ebrei"); c'è uno Stato (lo Stato di Israele); c'è un partito ideologico che, da decenni, "occupa" lo Stato israeliano. 

Io dico:
  1. il popolo "ebreo" ha diritto di esistere in quanto esiste. Nessuno può pensare di distruggere il popolo "ebreo". Chi afferma una tesi simile è un criminale di guerra e come tale va trattato.
  2. Lo Stato d'Israele ha diritto di esistere perché è lo Stato di un popolo che esiste; Lo Stato di Israele ha diritto di esistere e di difendersi (ma non di attaccare). Lo Stato di Israele ha gli stessi identici diritti di ogni altro Stato.
  3. L'ideologia sionista, che oggi occupa lo Stato di Israele, può essere combattuta anche fino al punto di estirparla dalla faccia della terra. Nessuno, che si dichiari anti-sionista, può essere accusato, con ciò, di essere contro gli "ebrei", o di volere la distruzione dello Stato di Israele. Chi sostiene tesi del genere è un ignorante e come tale va trattato.
Se io fossi un palestinese, ogni mattino mi alzerei con un pensiero fisso: abbattere il sionismo. Se io fossi un israeliano, ogni mattino mi alzerei con un pensiero fisso: liberare Israele dal sionismo. Ma io non sono né un palestinese né un israeliano, sono un italiano. E mi alzo ogni mattina con un pensiero fisso: abbattere il liberismo! E' questo un crimine? Ho forse detto che voglio distruggere il popolo americano o distruggere gli Stati Uniti d'America? No! Io ho detto che voglio distruggere il liberismo! Ovviamente è altrettanto lecito desiderare la distruzione del comunismo, che infatti è stato distrutto, ma i russi e la Russia ci sono ancora.

L'unica battaglia cruenta, e all'ultimo sangue, che sia permessa, è la battaglia delle idee.

mercoledì 30 luglio 2014

Salve, posso mandarti alcuni punti che non capisco?

"Salve posso mandarti alcuni punti che non capisco?". Inizia così un messaggio di Marco Orso, da poco iscritto all'ARS. Ecco il testo completo:

«1) I tassi reali positivi sul debito fanno danni. Il capitale anziché investire in economia specula sui contribuenti e ciò non solo porta il debito/pil ad esplodere ma soffoca l'economia reale con tasse improduttive e con creazione di disoccupazione e morte del diritto al lavoro (esercito di riserva di disoccupati). Io sono per tassi reali = circa a 0.
2) Uscendo dalla moneta unica c'è un modo di evitare che i tassi reali siano positivi?
So anche che se usciamo di soppiatto (non certo col referendum) e svalutiamo del 20% , impediamo che ci sia la fuga pre-svalutazione. 
3) Dopo la svalutazione del 20% però è previsto che qualcuno andrà di nuovo a ritirare TdS (Titoli di Stato) prima della scadenza cosa che comporterà altra stampa e altra svalutazione ed i capitali lo sanno... c'è quindi il pericolo ci sia un'altra fuga di capitali... quella per cui tutti credono che gli altri possessori di TdS vendano TdS e allora vendono a loro volta temendo la altra stampa/svalutazione (tipo concorso di bellezza di keynes). Per impedire che la gente riconsegni prima della scadenza ci sono 2 modi: o alzare i tassi, ma allora crei tassi reali positivi cosa che non mi piace per niente... o la stampa come visto sopra.
4) Se però usassimo solo il meccanismo della stampa ciò potrebbe portare a iperinflazione.
5) Quindi da un lato c'è il rischio inflazione e dall'altro quello di tenerci stretti i capitali promettendo loro tassi reali colossali... c'è il modo per evitare ambedue uscendo dalla moneta unica? Quale? Cerco la risposta da mesi. Saluti.»

Caro Marco, comincio facendoti io una domanda: perché pensi che sia un esperto di economia? Sai, questa è una cosa che mi sorprende: un sacco di gente mi interpella trattandomi come se lo fossi. In realtà di economia so quello che dovrebbe sapere una persona di media cultura almeno un po' interessata all'argomento, ma credo che tanto basti, al tempo d'oggi, per essere considerato, per l'appunto, un "esperto". Diciamo allora che, nel paese dei ciechi, l'orbo è Re? E diGiamolo!

Allora: in questo paese di ciechi io sono solo orbo, ma anche tu non sei del tutto cieco! Infatti i problemi che hai elencato sono assolutamente centrati, anche se non esaustivi della problematica. Prima di discuterne, però, consentimi una premessa morale.

Premessa morale


Immagina di aver costituito una società con il tuo miglior amico. Per alcuni anni va tutto bene, ma poi arriva una crisi e le cose prendono una piega amara. Noti con sconcerto, però, che mentre tu tiri la cinghia il "socio" se la passa addirittura meglio. Insospettito svolgi qualche indagine e scopri che:

  1. il "socio" si è intestato gran parte degli utili
  2. ad essere esposto con banche, fornitori e fisco sei praticamente solo tu
  3. il "socio" tromba tua moglie, con la cui complicità ti ha fatto firmare le carte che ti inguaiano
A questo punto che fai? Li affronti, chiedendo che le cose siano messe a posto, con la minaccia di denunciare il "socio" e tua moglie facendo scoppiare un gran casino, con il che tutti vi ritrovereste nei guai fino al collo, oppure te ne stai buono buono e accetti di essere "cornuto e mazziato"? Fine della premessa morale. 

Come si esce dall'euro


Il modo in cui si uscirà dall'euro dipenderà da molti fattori, alcuni dei quali del tutto fuori da ogni possibile controllo. In linea di massima possiamo affermare che molti dei costi dipenderanno dal grado di coesione nazionale che si manifesterà in quel momento. Un po' come un esercito che debba rompere un accerchiamento: può farlo in modo coordinato sotto la guida degli ufficiali, oppure può essere un fuggi fuggi generale, nel quale ognuno bada a salvare la sua pellaccia. 

Uno dei problemi da affrontare sarà quello del rifinanziamento del debito pubblico. Bada bene: uno dei problemi, perché ce ne sono altri ben più gravi! C'è il debito privato che, originatosi da famiglie e imprese, finisce in capo alle banche; ci sono contratti internazionali di fornitura di materie prime, semilavorati e risorse energetiche; ci sono impegni geopolitici; c'è da considerare il fatto che una quota del debito pubblico è in mano estera...

Insomma un'uscita unilaterale e non concordata, peggio ancora mal gestita dal punto di vista degli interessi nazionali, rischia di essere un vero disastro. Inoltre molte delle scelte che dovrebbero essere fatte, pur valide dal punto di vista della tutela degli interessi generali della nazione, sarebbero molto penalizzanti per alcuni. Pensa solo, per esempio, alla necessità di nazionalizzare il sistema bancario! Non credi che i gruppi privati che oggi detengono, in Italia, il potere di emettere moneta bancaria attraverso il credito potrebbero risentirsi? Utilizzando ancora la metafora dell'esercito accerchiato, cosa risponderesti, tu, ad un ufficiale che ti chiedesse di sacrificarti, insieme alla tua compagnia, per mettere in salvo il grosso dell'esercito? Daresti patriotticamente il tuo contributo, o diserteresti passando al nemico?

Il problema dei tassi reali


Mi chiedi se ci sia la possibilità, uscendo dall'euro, di evitare che i tassi reali siano positivi. La risposta è sì, esiste questa possibilità. Ma essa implica che sia lo Stato il monopolista dell'emissione monetaria, unitamente al fatto che vengano rapidamente ripristinati vincoli ai movimenti di capitali. E qui arriviamo al vero problema. Gli squilibri prodotti da 15 anni di moneta unica sono così enormi che non è pensabile, per uno Stato, uscirne rimanendo tuttavia nell'Unione Europea con lo status di paese in deroga (senza contare che questa possibilità, per chi ha già adottato l'euro, è preclusa dai trattati). Ciò significa che, se si esce dall'euro si deve necessariamente uscire anche dal trattato di Maastricht.

Devi sapere, infatti, che il Trattato di Roma del 1957 stabiliva che i movimenti di capitali nel territorio della Comunità erano consentiti solo nella “misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune. Vale a dire, erano possibili movimenti di capitale solo come corrispettivi dei movimenti di merci e servizi. Fu a partire dal 1986, con la direttiva  566/1986, e successivamente con la direttiva 361/1988, che si avviò la realizzazione di "un grande mercato interno dotato della sua piena dimensione finanziaria". Nel 1992 il Trattato di Maastricht, abrogando gli artt. da 67 a 73 del Trattato di Roma del 1957, "codificava la nuova formulazione della normativa, per la quale la liberalizzazione dei movimenti di capitali non è più ancorata al finanziamento del mercato comune, ma è un principio assoluto, che si applica nei rapporti tra gli Stati membri e tra questi e i paesi terzi".

Dunque, si può uscire unilateralmente dall'euro, mettendosi al riparo da una tragedia finanziaria, solo e soltanto uscendo contestualmente dall'Unione Europea! Non ci sono santi! Se qualcuno ti dirà che si può uscire per un periodo dall'Unione Europea, per poi rientrare più tardi, sappi che ti sta mentendo. 

Ciò detto, ti chiarisco che in regime di repressione finanziaria e in condizioni di sovranità monetaria il fatto che i tassi reali di interesse siano positivi, nulli o addirittura negativi è un problema di natura esclusivamente politica. Attiene, cioè, al tipo di redistribuzione che lo Stato intende attuare: se dall'alto verso il basso o dal basso verso l'alto. Va da sé che negli anni ottanta, quindi ancor prima delle modifiche imposte dal Trattato di Maastricht, la scelta politica fu quella di una redistribuzione dal basso verso l'alto. Ciò è mirabilmente spiegato in questo interessantissimo contributo del 2011 di Aldo Barba.

Quando non puoi spostare i tuoi capitali all'estero non hai altra scelta (a parte quella di tenerli sotto il materasso) che investirli in attività produttive (mercato azionario o obbligazionario nazionale - quindi a rischio) o prestarli allo Stato, anche a un tasso di interesse reale nullo o negativo. Anche se tutti, e dico tutti, i risparmiatori decidessero di non investire i loro risparmi né di prestarli allo Stato, ciò non comporterebbe alcun problema. Quei capitali, di fatto, diverrebbero inesistenti, e lo Stato potrebbe stampare moneta (il famoso click del mouse) senza il rischio di innescare una spirale inflazionistica. Quando poi i capitali tornassero sul mercato, lo Stato potrebbe ritirare la liquidità precedentemente immessa.

Per fare quanto sommariamente descritto (cioè per fare politica monetaria) serve necessariamente la sovranità monetaria. Il dispiegamento effettivo di una politica monetaria implica l'imposizione di controlli alla circolazione dei capitali. La sovranità fiscale consente l'attuazione di una politica fiscale autonoma, che è il necessario complemento della politica monetaria. Il controllo effettivo delle frontiere completa il quadro. 

Il problema è politico


Spero di essere stato sufficientemente chiaro nell'esporti il percorso di sganciamento, anche unilaterale, dall'euro: esso implica necessariamente l'uscita dall'Unione Europea. Il problema è la volontà politica di percorrerlo. Una volontà che deve sorgere dal corpo della nazione, e dunque ha bisogno di essere sorretto da nuove forze politiche che siano capaci di raccogliere e coordinare gli interessi sparsi oggi danneggiati, e anzi umiliati, dalla scelta europeista. Certo, è sempre possibile, in linea di principio, immaginare "un'altra Europa", o "cambiare verso all'Europa", ma questi sono solo slogan. Nessuno di noi sarebbe nemico di un'Europa dei popoli, intesa come soggetto statale che nasca da un processo costituente dal basso, democratica e paritaria, ma questa "Europa dei popoli" non è l'Unione Europea. Anzi, perché nasca un'Europa dei Popoli, ammesso che ciò sia possibile e desiderato dai popoli europei, la condizione necessaria è lo smantellamento dell'Unione Europea. Ciò può accadere in modo concordato, ovvero per decisione degli stessi gruppi nazionali di interesse che hanno edificato l'Unione Europea, oppure in modo traumatico, in seguito al recesso unilaterale di uno o più paesi. In quest'ultimo caso, a mio parere il più probabile, il costo per le classi sociali danneggiate dall'Unione Europea sarà inversamente proporzionale alla loro capacità di dotarsi di una rappresentanza politica. Nessuno dei partiti che ci hanno "portato in Europa" può credibilmente operare un tale ribaltamento dei fini, dunque è necessario che nascano nuovi partiti.

Questa può apparire una pia illusione, ma consentimi di argomentare al fine di dimostrarti il contrario. L'Unione Europea (non solo l'euro) è un progetto mal congegnato che genera inevitabilmente vincitori e vinti, perfino all'interno degli stessi gruppi di interessi nazionali che l'hanno voluta. L'ostilità e l'avversione verso di essa stanno crescendo in tutti i paesi e in tutti gli strati sociali "perdenti", dei quali fanno parte, te lo ricordo per l'ennesima volta, anche parti delle élites nazionali. Ciò è particolarmente evidente in Francia e in Italia, sebbene nel nostro paese la situazione sia resa più difficile dal grande successo del M5S, che ha cristallizzato il dissenso orientandolo verso i noti falsi obiettivi (casta-cricca-corruzione). 

Ma la situazione è destinata ad evolvere, sia pure ancora con qualche lentezza. Per accelerare il processo è necessaria l'azione politica esplicita di associazioni e movimenti che facciano da apripista. Questo è esattamente quello che sta accadendo, poiché tali associazioni e movimenti sono già nati ed operanti. Il riferimento comune è, come sai, la nostra Costituzione del 1948. Tutti insieme questi movimenti hanno una forza di qualche migliaio di militanti, un numero che può sembrare molto piccolo ma che è destinato a crescere velocemente. Ebbene, la domanda è: quanti militanti effettivi, reali, veri, hanno i partiti oggi al potere? Tutti insieme, raggiungono il numero di duecentomila? Non credo. In termini di militanti veri, dunque, i movimenti contro l'Unione Europea rappresentano una forza di almeno un punto percentuale, destinato però a crescere. E' da qui che si deve partire, ben sapendo (la Storia ce lo insegna) che tutto ha inizio, sempre, dall'azione delle avanguardie, dalla forza della verità, dalla passione con cui questa viene servita.

Conclusione morale...


Il punto, in definitiva, non è quanto ci costa uscire, ma se sia moralmente dignitoso non farlo, accettando di vivere da "cornuti e mazziati". Nessuno che capisca di essere "cornuto e mazziato" può accettare questa condizione, per cui lo scopo della nostra azione politica è, in questo momento, quello di far crescere questa consapevolezza. Il principale ostacolo è rappresentato da tutti coloro che raccontano la balla secondo cui la colpa è nostra, e non del "socio" che ci ha fregato e ci tromba la moglie (o il marito). 

...e politica


In questo paese, come in gran parte dell'Unione Europea, il numero dei "cornuti e mazziati" consapevoli crescerà, e ad essi dovremo presentare un'offerta politica. Queste persone non staranno troppo a domandarsi se e di quanto cresceranno i tassi di interesse reali, anche perché probabilmente saranno già rovinati, ma è sempre utile dar loro una risposta. Spero, in tal senso, di esserti stato utile. Infine, è altrettanto vitale che, al più presto, si verifichi una saldatura di tutti i movimenti contrari all'Unione Europea, per rompere l'accerchiamento attraverso un'azione politica coordinata e decisa, onde evitare il fuggi fuggi generale in cui ognuno pensa solo a salvare la propria pellaccia. Uniti si vince!

lunedì 28 luglio 2014

Il profumo (un post per intenditori)

Link correlato: Il profumo di Patrick Süskind

«Ciò che aveva sempre agognato, e cioè che gli uomini lo amassero, nel momento del suo successo gli era intollerabile, perché lui stesso non li amava, li odiava. E d'un tratto seppe che non avrebbe mai tratto soddisfazione dell'amore, bensì sempre e soltanto dall'odio, dall'odiare e dall'essere odiato.» - da "Il profumo", di Patrick Süskind (1985)

Il gran finale:


«G, tuttavia, non riesce a provare piacere di fronte all'amore che è riuscito a scatenare nelle persone, perché egli dal canto suo prova per gli uomini solo odio e ripugnanza. Giunto alla conclusione di non provare più alcun interesse per la vita, ritorna a Parigi, nello stesso luogo dove era nato, dove, di fronte a un gruppo di malviventi, si versa addosso tutto quanto il profumo. Sotto l'effetto del profumo, consumati dal desiderio, i malviventi fanno a pezzi G e lo divorano.»


Criptico? Incomprensibile? Non siete degli intenditori, è evidente! Ma io, che sono bbuono (il più bbuono tra i bloggers), vi darò un indizio...

venerdì 25 luglio 2014

Debito pubblico 4 dummies

Una domanda che continuo a pormi è: come spiegare cos'è il debito pubblico a un piddino? Questi ti stanno a sentire, magari condividono l'idea che il liberismo è capitalismo rapace, ma sotto sotto restano dell'idea che un debito debba essere onorato. E quindi che noi italiani, che abbiamo un alto debito pubblico, siamo "colpevoli". Una passeggiata sugli scogli mi ha suggerito un approccio. Magari funge! Anni di insegnamento negli IPSIA hanno limitato la mia crescita intellettuale, ma l'abilità didattica ne è risultata affinata, facendo di me un princeps subdivulgatorum. Procedemus!

Caro piddinuzzo, hai fatto caso che, in condizioni normali, aumentano sia i prezzi che la quantità di beni e servizi prodotti e scambiati? Ne possiamo dedurre, piddinuzzo bello, che anche la quantità totale di soldini aumenta? Direi di sì.

Ora ti domando: chi li stampa questi bei soldini nuovi? Attento, non prendermi per un signoraggista. Però, signoraggismo o no, una risposta deve esserci: i soldini nuovi ci sono, ergo qualcuno li "crea".

Ebbene, i soldini nuovi li crea la Banca Centrale (BC). La domanda successiva è: la BC decide lei quanti soldini nuovi creare, o esegue gli ordini di qualcuno? Mi sai rispondere piddinuzzo bello? La BC è indipendente, dici? Risposta esatta! Vedo che sei informato.

Dimmi, bel piddino, ti sembra una cosa normale? Quando vai al centro commerciale (o a "piddane" se sei uno sporcaccione) lo decidi tu il prezzo? Riassumendo: la quantità di soldini deve aumentare (non ti spiego perché, ti basti l'osservazione empirica che aumenta), ed è la BC indipendente che decide di quanto.

Ora stai attento: stiamo parlando di creazione di soldini, non di squilibri dell'€uro. Non voglio confonderti con troppi concetti. Parliamo solo di soldini nuovi. Pertanto possiamo considerare uno Stato generico, nel quale però la BC non sia indipendente, ma al contrario stampi soldini nuovi obbedendo alle direttive della politica. Così non ci sono scuse: il governo lo eleggono i cittadini, e dunque sono loro che decidono.

Lo Stato ha bisogno di soldini, e allora che fa? Tu dici: tassa i cittadini. Bravo, tassa i cittadini, ma deve anche stampare, continuamente, soldini nuovi. Ora ti chiedo: perché lo Stato, invece di tassare i cittadini, non utilizza i soldini nuovi che deve per forza stampare, invece di tassare i cittadini? Perché non bastano? Giusto, non bastano. Tassando i cittadini lo Stato li obbliga, seppure in modo indiretto, a finanziare i bisogni collettivi. Tu lavori per 1600 ore l'anno, ma una parte del frutto di queste ore di lavoro ti viene preso dallo Stato per costruire strade, ospedali, etc.

Diciamo allora che le tasse sono una forma di "colletta obbligatoria". Diciamo anche che, proprio per il fatto che vige questa "colletta obbligatoria", lo Stato ti costringe a lavorare. Va bene, ma i soldini nuovi a chi vanno? E guarda che, con il passare del tempo, si tratta d una bella cifretta!

Certo, lo Stato potrebbe prenderseli tutti lui, che poi è quello che dicono i memmettari, ma questo modo di agire avrebbe, sul lungo periodo, delle conseguenze che molti trovano inaccettabili, anche quando lo Stato spendesse proficuamente e con oculatezza i soldini nuovi. L'effetto, detto in soldoni, sarebbe che, per effetto dei soldini nuovi incamerati direttamente dallo Stato, si creerebbe una situazione eccessivamente egualitaria, con una continua riduzione del settore privato e un'espansione crescente di quello pubblico. Insomma, il comunismo!

Ma allora, che si fa? L'idea geniale consiste nel farsi prestare i soldini nuovi dai privati, dandogli in cambio un interesse molto basso, ma tale da non implicare una perdita di valore dei soldi che prestano allo Stato. In altre parole, il tasso di interesse dei titoli di stato deve essere allineato, più o meno, all'inflazione. In tal modo i privati hanno uno strumento per "trasferire al futuro" i propri risparmi, e lo Stato può stampare un po' meno soldini nuovi, evitando così di arrivare al comunismo.

Ma, per far ciò, deve essere lo Stato a decidere il tasso di interesse! Che succede, invece, se il tasso di interesse lo decidono i privati che offrono prestiti allo Stato? Oppure, in altre parole, che succederebbe se il prezzo delle prestazioni delle "piddane" lo decidessi tu? Le poverette farebbero la fame! Esattamente quello che sta succedendo anche a te, caro piddinuzzo! Anzi, piddanella sfruttata bella...

Mi fermo qui, e ti invito ad approfondire. Vai sul sito dell'Associazione Riconquistare la Sovranità (ARS) e leggi attentamente i nostri documenti programmatici. In particolare questo.

giovedì 24 luglio 2014

Goofy ha rotto il cacio

Link correlato: Zingy 4: la vera anomalia (il tradimento)

Un'osservazione: Bagnai è bravo e questo non si discute. Dice anche molte cose condivisibili (e altre meno). Però... che gli hanno fatto i "marxisti dell'Illinois"? Li chiama addirittura "traditori", sottolinea che gli "fanno più schifo perché hanno un cattivo odore e perché dovrebbero stare dalla nostra parte" e scrive:

«(ah, perdonatemi se vi ho imbonito con quelle che i marxisti dell'Illinois, gli altri traditori - quelli che a me fanno più schifo, per inciso, perché hanno un cattivo odore e perché dovrebbero stare dalla nostra parte - chiamano "fumisterie econometriche". Sapete com'è, l'economia son numeri, alla fine, e senza conoscere le tabelline se ne cava poco, non si riesce a vedere dov'è la fregatura, e quindi nemmeno quale sia, e perché sia tale. Credo che invece la maggior parte di voi apprezzi un approccio quantitativo, se non altro perché conferisce alle analisi quella precisione chirurgica essenziale per stabilire in modo attendibile nessi di causa ed effetto...)».

'Sto tipo cita l'autocorrelazione dei residui e pensa che, per il fatto che lui conosce le cose di cui si occupa, e gli altri ovviamente no, questi siano degli imbecilli o dei traditori. Qualcuno dovrebbe ricordare a questo palloncino gonfiato che ci sono più cose tra cielo e terra che nei suoi modellini del cacio.
Tengo a precisare che io non sono un marxista dell'Illinois, ma la boria del palloncino mi ha scassato la minchia. Uno che si permette di chiamare "traditori" i compagni (nonché amici) di Sollevazione - Movimento Popolare di Liberazione merita risposte a muso duro. Si aprano le danze.

martedì 22 luglio 2014

La doppia coppia

Link correlati:
Se ciò che è reale è razionale, allora le riforme di Matteo Renzi devono avere uno scopo. Il quale non può che essere il rafforzamento dell'esecutivo a discapito del Parlamento. Infatti se si opera, per di più di gran fretta, nel senso di un rafforzamento dell'esecutivo nel mezzo della più grave crisi dalla fine della seconda guerra mondiale, ciò non può che significare una sola cosa: che si prevede la necessità, a breve, di prendere decisioni gravi e straordinarie.

Il compito di Renzi è dunque quello di predisporre il quadro costituzionale e politico all'interno del quale sarà possibile far passare tali gravi decisioni. Queste ultime vengono già ora (anzi da tempo) dibattute in ambiti ristretti e lontani dalla grancassa mediatica. Ciò non significa che il dibattito sia "segreto", dal momento che di tale segretezza non v'è alcun bisogno, stante il grado di intontimento di un'opinione pubblica rintronata da decenni di ridicole trasmissioni di approfondimento politico. Per non parlare di certi "editorialisti", che non dovrebbero scrivere nemmeno su un giornalino di quartiere...

Solo una minoranza degli italiani segue il dibattito, e solo una parte di questa è in grado di coglierne le implicazioni. La polemica tra la doppia coppia Alesina&Giavazzi (A&G) e Frattiani&Savona (F&S) ben rappresenta le due opzioni discusse all'interno del mainstream economico finanziario. Da un lato ci sono coloro (A&G) che chiedono di proseguire sulla strada del rigore di bilancio, fatta di avanzi primari da mantenere per decenni, tagli ulteriori alla spesa pubblica e dismissioni massicce di assets pubblici. Sul versante opposto, F&S prospettano l'inevitabilità di un intervento sullo stock di debito pubblico, da effettuarsi attraverso un allungamento delle scadenze tali da ridurne il rendimento reale (differenza tra rendimento nominale e inflazione). Il confronto è riconducibile alla contrapposizione tra quanti chiedono di proseguire sulla rotta di un'Europa ultraliberista (A&G), e coloro i quali, pur restando nei limiti di un'impostazione liberale, hanno preso atto della contraddizione insita nei comportamenti non cooperativi dei paesi in surplus, Germania in testa.

I due link correlati rimandano all'ultimo scambio di colpi della doppia coppia. L'articolo di A&G ha il merito di svelare l'aspetto che maggiormente preoccupa i salotti buoni del capitalismo italiano, che non è quello di una transitoria sfiducia dei mercati finanziari a seguito di un parziale default sui titoli di stato, quanto la sua inevitabile conseguenza: la nazionalizzazione del sistema bancario. Una prospettiva, questa, enormemente temuta, giacché non vi sarebbe alcuna certezza sui tempi di una sua successiva riprivatizzazione. La terapia proposta da A&G, tuttavia, non sembra corroborata da alcuna argomentazione razionale, limitandosi a chiedere l'ennesima spallata sull'Isonzo, e si conclude con una frase che è, al contempo, una confessione e una conferma dell'assunto iniziale di questo post: "Insomma, siamo ad un bivio. I compromessi gradualisti non bastano più. Per farcela da soli ci vuole un po' di coraggio. Ma i partiti tradizionali sono disposti a farlo?". Cos'altro è mai questa, non è l'invocazione di un governo dittatoriale?

Le argomentazioni della coppia F&S sono più razionali e concretamente ancorate alla realtà dei fatti. Serve la crescita, certo, ma questa è possibile solo liberando risorse, e dunque riducendo gli interessi sul debito attraverso una sua parziale ristrutturazione. Operazione praticabile grazie all'avanzo strutturale del bilancio dello Stato italiano che ci metterebbe al riparo dall'iniziale, e presumibilmente rabbiosa, reazione dei mercati privati internazionali. Nell'articolo della coppia F&S c'è qualcos'altro, oltre all'ovvia e implicita conseguenza di nazionalizzare, almeno temporaneamente, il sistema bancario, ed è la convinzione dell'inevitabile implosione della zona euro, che potrebbe addirittura avvenire prima che l'Italia sia costretta, dalla testa dura dei fatti, ad abbandonarla.

domenica 20 luglio 2014

Riflessioni personali di mezza estate

Poiché questo è un blog, e non un sito di informazione, mi sento libero di scriverci quello che mi pare, anche le mie personali riflessioni. Magari sarò banale, dirò cose risapute, tirerò conclusioni ovvie, ma che importa? A volte si scrive più per se stessi che per gli altri.

E' sera. Dalla finestra giunge l'eco di una festa di paese, una di quelle occasioni in cui si incontrano tutti alle quali normalmente non manco di partecipare. Oggi no. Oggi non ho voglia di uscire per incontrare tante persone che hanno un'idea di come vanno le cose ormai totalmente diversa dalla mia; non ho voglia di fare la fatica di ascoltarli, di cercare di fargli intendere un briciolo di quello che oggi penso della situazione. Resto a casa e scrivo. Per me.

La domanda che mi pongo, dalla quale voglio partire per sviluppare questa riflessione, è: perché quasi tutta la nostra classe politica vuole ad ogni costo salvare l'€uro e l'Unione Europea? Quali interessi è costretta a tutelare la classe politica che sta dando vita alle larghe intese, così larghe da valere la salvezza di Berlusconi? Perché non possiamo uscire dall'€uro e denunziare i trattati?

Io penso che ciò accada perché il grande capitale italiano è sotto ricatto. Penso, cioè, che se appena l'Italia tentasse di fare un passo verso l'uscita alcune grandi banche salterebbero in aria, e con esse i patrimoni di quello che, ai tempi di Cuccia, si chiamava il salotto buono della finanza italiana. Penso, in definitiva, che la classe politica italiana non abbia alcuna reale autonomia rispetto ai suddetti grandi interessi patrimoniali, e ciò principalmente perché sono scomparsi i partiti di massa.

Se questo è vero, allora l'unica strada percorribile è quella di farli rinascere. Impresa non facile, poiché gli attuali maggiordomi del salotto buono si stanno impegnando in sommo grado al fine di renderla ancor più aspra e difficoltosa. La riforma costituzionale che prevede un senato non elettivo, con poteri non ancora chiari ma, temo, tali da garantire una seconda linea di difesa nella malaugurata ipotesi di uno sconvolgimento degli equilibri elettorali; addirittura la possibilità che alla camera dei deputati rimangano le liste bloccate; le soglie di sbarramento che potrebbero aggirarsi intorno all'8%; magari l'imposizione per legge di scegliere una quota delle candidature attraverso primarie aperte, limitando così l'autonomia decisionale di nuovi partiti di opposizione, ebbene tutto ciò ha, per me, il sapore di una manovra preventiva in vista della possibilità che la crisi produca un'eruzione dal basso capace di aprire la porta alla rinascita dei partiti di massa. Tutto ma non questo, è quello che io leggo nelle "riforme" di Matteo Renzi!

Se leggiamo in questa prospettiva il dibattito sulle liste bloccate, ricordando altresì l'ipotesi ventilata da Matteo Renzi di imporre le primarie per legge, appare chiaro qual è il dilemma davanti al quale si trovano i maggiordomi delle larghe intese. Le liste bloccate garantiscono sì la scelta puntuale degli eletti in parlamento, ma hanno la controindicazione di permettere ai nuovi partiti di opposizione di scegliere, come propri candidati, i militanti più appassionati e, per ciò, meno gestibili una volta eletti. Di converso, imporre la scelta di una quota delle candidature attraverso le primarie aperte, pur indebolendo il controllo delle élites sui partiti esistenti potrebbe avere effetti devastanti per i nuovi partiti di opposizione.

Il grande terrore dei maggiordomi politici, schierati a difesa degli interessi patrimoniali privati che hanno ucciso la democrazia, è la rinascita dei partiti di massa; vale a dire partiti nei quali la selezione delle candidature proceda dal basso attraverso la partecipazione di migliaia e migliaia di militanti che, uniti da vincoli etici e comunitari, ne animano le sezioni. Ed è anche il terrore dei loro padroni.

Nel frattempo le grandi speranze che aveva suscitato il M5S si stanno spegnendo miseramente. Non solo il M5S si sta confermando come portatore di una visione anti statalista (e questa non è una novità), ma sempre più appare chiaro come il potere reale della sua base, nel determinarne la linea, sia del tutto marginale.

In questa notte della democrazia, mentre venti di guerra spirano sempre più intensamente nell'Europa "pacificata" dall'€uro, l'unica speranza contro la barbarie, inevitabile conseguenza della difesa ad oltranza degli interessi dei grandi capitali privati, è il ritorno del maggior numero possibile di uomini e donne alla militanza politica.

Ci libereremo!


sabato 19 luglio 2014

Due ricorrenze (anzi tre)

Tutto ebbe inizio il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell'Impero austro-ungarico al Regno di Serbia in seguito all'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo-Este, avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo.

Tutto ebbe inizio con uno scontro aeronavale tra un cacciatorpediniere statunitense ed alcune torpediniere nord vietnamite, avvenuto nel Golfo del Tonchino il 2 agosto 1964, unito ad un attacco presunto che sarebbe avvenuto il 4 agosto 1964.

Tutto ebbe inizio il 2 agosto del 1990 quando il ra‘īs (presidente) iracheno Saddam Hussein invase il vicino Stato del Kuwait.

Link correlati:


Tutto ebbe inizio. Ogni cosa ha un inizio. Ma la fine non si sa qual è.










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venerdì 18 luglio 2014

Salutami Topazia

Ho ricevuto una lettera di Leda indirizzata a Piddu, con la preghiera di pubblicarla sul mio blog. Lo faccio, precisando tuttavia che non mi ritengo responsabile delle gravi affermazioni ivi contenute.

Post correlato: Topazia
Altro post correlato: Guerra del Vietnam I Tunnel dei Vietcong
Piddu

«Caro Piddu, adorato ragazzaccio mio,
apprendo dal blog del tuo amico ciociaro, quell'anziano professore con velleità rivoluzionarie da piccolo borghese provinciale, che ti sei fidanzato con Topazia. Un po' sono gelosa, devo ammetterlo, anche se tu penserai che non ti merito e che non ho diritto di recriminare. Sono sulla spiaggia di Gaza e sto lucidando il mio Kalashnikov. Tra un paio d'ore entrerò in azione, dobbiamo attaccare una colonna dell'esercito sionista che sta cercando di penetrare fino all'ingresso di uno dei nostri tunnel.

Mi è venuta la voglia di scriverti mentre guardavo le nuvole. Sai, la nostra mente ha una spiccata capacità nel trovare regolarità nel caos, per cui basta un nulla per riconoscere, nel loro casuale rincorrersi, qualcosa che ci sembra una forma nota. Un vuoto in una massa biancastra ci ricorda un occhio, da lì un addensamento più scuro ci appare come un naso, ed ecco che, d'improvviso, si palesa un volto. A questo non è difficile, con un po' di fortuna, associare un corpo con delle zampe o delle ali, o qualsiasi altra caratteristica. Curioso che, almeno io, veda nelle nuvole quasi sempre forme viventi, e praticamente mai oggetti inanimati. Non so spiegarmelo. Ma prima o poi riuscirò a vedere in qualche cirro anche l'ombra di un Kalashnikov, che per me non è più un oggetto senza vita, ma anzi il mio migliore amico.

Ti chiederai perché ti stia scrivendo dopo tanto tempo che non mi sono fatta viva. O forse no, forse sei tanto preso da quella puttanella di Topazia che mi hai dimenticata del tutto. Non importa, nulla ha più importanza al punto in cui sono giunta. Il fatto è che, mentre ero assorta a guardare le nuvole qui sulla spiaggia di Gaza udendo in lontananza, ma sempre più vicino, il rumore dei combattimenti, ad un certo punto ho scorto in una nuvolaglia qualcosa che mi ha ricordato il tuo naso. Osservando meglio mi è apparso il tuo buffo copricapo, poi la figura. Eri tu! Giuro che eri veramente tu! Sono rimasta a guardarti mentre pian piano il vento ti trasformava, dapprima allungandoti un po', poi alterando leggermente il tuo buffo naso. Eppure, a dispetto di ciò, eri sempre tu, nitidamente e indubitabilmente tu. Mi sono sentita chiamare. Era il capo brigata che mi chiedeva dove fossero i detonatori delle mine anticarro che dobbiamo piazzare sulla via che porta all'ingresso del tunnel. Erano davanti ai suoi piedi, il solito maschio che non riesce a trovare mai niente. In questo non è diverso da te, che non bastava dirti in quale cassetto fossero le scatolette di tonno, ma ti serviva anche la mappetta. Sceme noi che vi diamo retta!

Quando me ne sono liberata ho rialzato gli occhi al cielo, ma tu eri cambiato. Il tuo naso era stato riempito, il tuo buffo copricapo si era sfilacciato, il tuo corpo si era allungato, e l'adorabile pancino sul quale tante volte mi sono addormentata non c'era più. Eppure c'eri ancora. In qualche modo la mia mente riusciva ancora a scorgerti, ma non è durato a lungo. Pian piano ti ho visto dissolverti, finché d'improvviso, dove prima c'eri tu, si è materializzata un'altra figura, una specie di cane allungato con delle buffe zampette da papero.

Ecco, ho pensato, noi siamo come le nuvole nel cielo. La nostra vita scorre, per qualche breve istante esistiamo, la nostra forma si impone, è un segno visibile, una presenza importante (almeno per chi sa vederci), ma siamo destinati a scomparire, sebbene la materia di cui siamo fatti sia sempre lì, nel cielo. Semplicemente, altre forme prendono il nostro posto. Ma allora, adorato Piddu, perché rinunciamo ad abbandonarci alle nostre passioni? Per paura che queste siano distruttive? Ma come possono, degli esseri destinati alla distruzione, aver timore di ciò? Ha senso avere paura, e per ciò rinunciare a vivere al sommo grado di intensità la nostra breve ed effimera esistenza?

Ora ti saluto, è giunta l'ora. Dobbiamo attaccare una colonna di tank sionisti con delle mine anticarro e i nostri Kalashnikov. Questa potrebbe essere la mia ultima lettera, ma non ti crucciare. Pensa piuttosto, pusillanime, che se sopravviverò questa sera farò all'amore con qualcuno dei miei fratelli di lotta. Eri un buon amante piccolo borghese, ma vuoi mettere farlo con chi, lottando per la libertà, vive ogni giorno come fosse l'ultimo? Salutami Topazia.»

venerdì 11 luglio 2014

A mani nude


giovedì 10 luglio 2014

La forza sia con te

Ho appena visto questa intervista ad Alberto Bagnai su TGcom24.

Sono al mare e la connessione va e viene. Sarò telegrafico.

Prima però vedetevi l'intervista. Sennò dekestamoaparlà?

Fatto? Bene.

Premesso che ho passato la serata a discutere con un piddino, anzi un PDocchio...

La domanda è: caro Bagnai, se non hai dietro le spalle una forza politica che voglia cambiare le cose, come penZi che le cose possano cambiare? L'uomo che ha fatto tanto (ma non ha fatto tutto - n.d.r.) ha una risposta a questa domanda? O si accontenterà di aver avuto ragione?

"La ragione è dei fessi", mi ha insegnato mio padre! Che non era orgoglioso di me...

lunedì 7 luglio 2014

Se il nemico marcia alla nostra testa

A pugno chiuso
Sono già stati depositati, presso la Corte di Cassazione, i quattro quesiti referendari per l’abrogazione di parte della legge 243/2012, attuativa del cosiddetto «pareggio di bilancio». La raccolta firme proseguirà per tutta l'estate per concludersi alla fine di settembre.

E' forse presto per esprimere un giudizio su questa iniziativa, ma gli elementi per nutrire seri dubbi non mancano. Cominciamo dal comitato promotore (qui l'elenco). Nessuno di essi è un sovranista; nessuno di essi pone in discussione la permanenza del nostro paese nell'euro; nessuno di essi, infine, è per il recesso dai trattati europei.

I quesiti non riguardano direttamente né il Fiscal Compact, che è un trattato internazionale e, come tale, non sottoponibile a referendum, né la modifica dell'art. 81 della Costituzione che impegna l'Italia, unico paese nell'Unione Europea, al pareggio di bilancio. Approvata il 18 aprile 2012 con voto unanime di PD, PDL e Terzo Polo, ottenne la maggioranza dei 2/3 così da non poter essere abrogata per via referendaria.

Per queste ragioni i promotori non hanno potuto far altro che predisporre quattro quesiti relativi alla legge attuativa del pareggio di bilancio, votata dalla maggioranza che sosteneva il morente governo Monti il  24 dicembre 2012, con clausole ulteriormente vincolanti. Si voterà dunque per far sì che il parlamento, in caso di vittoria del fronte referendario, sia costretto a tornare su quest'ultima legge per aggiustarla coerentemente con l'esito del pronunciamento popolare. Nella migliore delle ipotesi questa circostanza potrebbe fornire al governo italiano, tra qualche mese, uno strumento di pressione per mendicare una qualche forma aggiuntiva di flessibilità nel rispetto dei vincoli europei.

Ciò nonostante è molto probabile che l'iniziativa referendaria venga ugualmente percepita come una "battaglia contro il Fiscal Compact". E' altresì assolutamente certo che, nell'immaginario popolare, i promotori assurgeranno al rango di "oppositori dell'austerità", così ponendo una seria ipoteca sulla possibilità di appropriarsi del ben più prezioso ruolo di "paladini della battaglia contro i tedeschi cattivi".

Ciò consentirà alla grancassa mediatica di presentare agli italiani una pattuglia di "eroici oppositori" dei diktat europei, tuttavia rassicuranti e ben accetti dall'elettorato più cauto (sebbene insofferente delle attuali politiche di austerità). In definitiva, questa iniziativa rischia di favorire l'opera di infiltrazione tesa a scongiurare anche solo la nascita di un movimento sovranista. Che i promotori siano o no coscienti di questo fondamentale risvolto, esso è oggettivamente e facilmente rilevabile.

Inoltre, quand'anche l'applicazione del pareggio di bilancio per legge costituzionale venisse sventata grazie a una vittoria referendaria, questo potrebbe essere ugualmente perseguito da un governo delle intese extra-large. E se anche, per ragioni imperscrutabili da un sano intelletto, si scegliesse di por fine unilateralmente all'austerità, le conseguenze economiche (come ci insegna Alberto Bagnai) sarebbero disastrose.

Fin qui le prime obiezioni. L'aspetto interessante dell'iniziativa risiede nel fatto di mettere definitivamente a tema il processo di implosione dell'Unione Europea, tenuto ai margini del discorso fino a poco prima delle ultime elezioni europee. Peccato che il campo di battaglia non sia quello più favorevole ai sovranisti! Si parlerà, infatti, di "soluzioni" tutte interne al paradigma europeo, che potrebbe così diventare un orizzonte di senso invalicabile per la maggior parte dell'elettorato.

Quest'ultimo è il rischio maggiore, contro il quale è necessario mobilitare l'intelligenza e la passione dei sovranisti. Non sarà un compito facile, stretti come una nave tra gli scogli di Scilla e Cariddi. I sovranisti non sono entusiasti di questo referendum, così come non possono esserne ostili.

sabato 5 luglio 2014

NAWRU & NAIRU (seconda parte)

Post correlato: NAWRU & NAIRU (prima parte)

Posto che "Ugo deve alzarsi dal letto" (cioè la lotta di classe deve tornare ad essere il cuore della storia) è il caso di esaminare lo scenario politico attuale.

Matteo Renzi ha alzato la voce. Non durante il suo discorso all'€uroparlamento, ma la sera stessa ospite di Bruno Vespa (al minuto 14'56''). Ecco il momento clou della serata:

A Vespa che ricordava che le banche italiane non hanno avuto bisogno degli enormi salvataggi pubblici, come è invece accaduto per quelle tedesche, francesi e olandesi, Renzi ha detto: "Non ci prendiamo in giro, i soldi che sono andati nel fondo salva stati, cioè per salvare la Grecia e gli altri, poi sono andati anche, nei fatti... a far che? Ad aiutare quegli istituti di credito che avevano investito in titoli..." Vespa: "tedeschi e francesi" Renzi: "questo lo dice lei".

Nel sentire ciò sono rimasto di stucco. Ma come, Renzino da Rignano comincia a dire la verità? Fossi più giovane, confesso che ci cascherei, ma i capelli bianchi (e i quartini a Castro dei Volsci...) mi inducono a pensare che le cose non stiano così.

La strategia di Renzino da Rignano


La domanda che tutti si pongono è quale sia la strategia di Renzi. Personalmente penso che l'atteggiamento duro di Renzi sia funzionale ad aumentare la sua popolarità, al fine di indire nuove elezioni subito dopo l'approvazione della legge elettorale, vincerle a mani basse e poi, ma solo poi, procedere con i feroci tagli che l'Europa ci chiede. L'ipotesi non è solo un'opinione fondata sulle mie personali impressioni, ma poggia su un ragionamento che tenterò di esporre nel modo più chiaro possibile.

L'Unione Europea è tante cose: un grande progetto geopolitico, prima di tutto, ma anche un'idea di società improntata al dispotismo illuminato, un'idea sulla quale le élite finanziarie e industriali hanno puntato per disegnare un assetto sociale a loro immagine e somiglianza. Un progetto, dunque, di natura intrinsecamente autoritaria, ma che non aveva come scopo ultimo quello di infliggere, intenzionalmente, sofferenze nella popolazione europea, salvo farlo quando le sue disfunzionalità sono venute alla luce. A questo progetto le élites nazionali hanno dato piena adesione, con l'eccezione dell'Inghilterra, sempre con un piede fuori. Rinunciare a tutto ciò non è una scelta facile.

Si aggiunga il fatto che le élites nazionali, non solo l'Inghilterra, mai hanno veramente cooperato, ma al contrario non hanno mai cessato di competere, le une con le altre, in ogni campo, dalla politica estera all'economia. L'idea di uno smantellamento concordato, fosse pure del solo €uro, si prospetta dunque come altamente problematica. D'altra parte proseguire sulla strada dell'austerità, l'unica possibile in assenza di una volontà di cooperazione, implica il fatto che tutti i paesi dell'€urozona devono adeguarsi al modello tedesco, e dunque ai diktat della Bundesbank.

Questo significa che ogni paese deve contenere l'inflazione interna adeguandosi alle scelte del paese più forte, la Germania. Una prospettiva che, se da un lato non dispiace alle élites finanziarie e industriali dei paesi ad inflazione più alta, rischia però di innescare tensioni sociali politicamente insostenibili. Che questo sia ben presente nella mente degli eurocrati lo dimostrano gli stessi documenti ufficiali, ad esempio il Quarterly Report on the Euro Area del primo trimestre 2014 nel quale, a pagina 26, si legge: "Estimates point to a recent rise in the NAWRU, suggesting that post-crisis unemployment increases are to some extent persistent" (Le stime indicano un recente aumento del NAWRU, suggerendo che i livelli di disoccupazione post-crisi  saranno per un certo periodo persistenti). [Si ringrazia per la segnalazione il commentatore di Goofynomics Luca Cellai]

Eccolo lì il problema! Il livello di disoccupazione che garantisce la convergenza dei tassi di inflazione sul livello adatto al paese più forte, la Germania, non è un dato transitorio legato alla crisi, ma strutturale (to some extent)!

Ora l'Italia non ha banche particolarmente esposte e il suo debito pubblico, sebbene alto, in gran parte è in mano a investitori domestici; potrebbe uscire dall'euro svalutandolo nella misura in cui la nuova lira svaluterà; ha infine interesse a un tasso di inflazione più alto per (eventualmente) ripagarlo. Eppure tira fuori quasi sessanta miliardi per salvare le banche tedesche e francesi! Perché?

Forse perché l'€uro è lo strumento per il mantenimento di equilibri macroeconomici che impongono un tasso di disoccupazione di equilibrio (NAWRU) tale da garantire la disciplina dei salariati? Cioè proprio quell'obiettivo che, da sempre, sta nel cuore della nostra borghesia nazionale?

Se, al fine di mantenere l'equilibrio macroeconomico della zona €uro, il NAWRU deve restare alto to some extent, è del tutto evidente che la partita si gioca sulla capacità delle élites nazionali di mantenere il controllo politico nei rispettivi paesi, anche in una situazione di gravi e prolungate sofferenze sociali. Servono, per far ciò, non solo gli 80 €uro per vincere le elezioni europee, ma anche e soprattutto una straordinaria dose di cinismo e capacità di ingannare gli elettori, perfino attraverso l'abile uso di argomenti che non stonerebbero sulla bocca di un feroce euroscettico.

Ebbene, penso che Matteo Renzi sia esattamente questo: il più cinico e abile mentitore politico che sia mai apparso sulla scena pubblica italiana,  davanti al quale lo stesso Berlusconi è un dilettante. Impadronitosi del PD, accordatosi con Berlusconi e potendo contare sui gatekeepers del M5S, Renzino da Rignano non ha che da continuare sulla strada intrapresa: portare all'incasso la nuova legge elettorale, accreditarsi come paladino di un'Italia che (apparentemente) sfida la Germania, andare al voto e fare strike. Non lasciamoci dunque ingannare dalle critiche che, da qualche giorno, piovono sulla testa del rignanese, perfino dalle colonne di Repubblica per bocca del sempre giovane Barbapapà. Né illudiamoci sulla possibilità che il fronte degli eurofili possa incrinarsi! Probabilmente a Barbapapà non hanno nemmeno spiegato la strategia, perché potrebbe scappargli di rivelarla. E' troppo giovane per queste cose...

Le cose stanno così: per garantire un tasso di inflazione interna allineato a quello della Germania, che viaggia su livelli perfino più bassi di quanto stabilito nel trattato di Maastricht, occorre che la disoccupazione resti alta, to some extent. Nel frattempo serve un pupo che strilli in televisione e non dica nulla nelle sedi ufficiali. €uRenzino da Rignano è l'uomo giusto al posto giusto nel momento giusto.

Se questa analisi è corretta, nei prossimi mesi assisteremo a una gigantesca operazione di mascheramento, con Renzi nelle vesti demagogiche di critico delle politiche di austerità, mentre i piani di revisione costituzionale e una nuova legge elettorale andranno in porto. Nel frattempo, avanti con le privatizzazioni e ulteriore deflazione salariale.

venerdì 4 luglio 2014

NAWRU & NAIRU (prima parte)

Post correlato: NAWRU & NAIRU (seconda parte)


Preludio


Fino a non molti decenni fa, nei piccoli centri dell'Italia prevalentemente contadina del dopoguerra, la figura del maestro elementare costituiva un punto di riferimento culturale. Figli anch'essi di famiglie contadine, spesso avevano studiato in qualche convitto di preti o suore. Non erano di grande e profonda cultura, sebbene tali apparissero agli occhi dei compaesani, ma in qualche caso eccezionale lo erano. Il loro compito era quello di trasmettere i concetti e le nozioni elementari.

Similmente ad essi, io non sono una persona con una grande e profonda cultura in economia politica, eppure mi è toccato in sorte lo stesso compito dei miei genitori, e di buona parte della generazione familiare che mi ha preceduto. Sono, infatti, un sub-divulgatore, e il mio compito è quello di spiegare ai miei concittadini (i figli dei compaesani di mamma e papà) i concetti e le nozioni elementari necessari e indispensabili per orientarsi politicamente nel mondo di oggi.

Tra i miei discepoli preferiti c'è Fil (il nuovo piddino preferito) il quale, qualche giorno fa, mi ha segnalato questa intervista a Tito Boeri. Leggendola sono rimasto colpito da questa affermazione: "Fondamentalmente con un quadro di crescita di questo tipo ci sono i margini per chiedere alla Commissione di interpretare in modo diverso il pareggio strutturale, che è calcolato sulla base di una disoccupazione di equilibrio attorno al 12%. Su questo dato credo che si possa aprire una trattativa".

Boeri cita il concetto di "disoccupazione di equilibrio", che l'Unione Europea ha fissato al rialzo, per l'Italia, ad un valore vicino al 12%. Ma cos'è questa "disoccupazione di equilibrio"?

Due gemelli


NAWRU (Not Accelerating Wage Rate of Unemployment) e NAIRU (Not Accelerating Inflation Rate of Unemployment) sono due concetti elementari di economia politica che indicano il tasso di disoccupazione che non conduce a una variazione della velocità con cui crescono, rispettivamente, salari e prezzi. Poiché la dinamica salariale e la dinamica dei prezzi (inflazione) sono strettamente correlate, i due indicatori sostanzialmente si equivalgono. Dunque, quel che si può dire dell'uno vale in sostanza per l'altro, almeno al livello elementare e semplificato sul quale riesco ad esprimermi. Nel seguito parlerò del NAWRU, che a mio avviso è più intuitivamente comprensibile.

Dunque esiste un tasso di disoccupazione, detto di equilibrio, che non produce un'accelerazione della dinamica salariale. Attenzione: accelerazione, non semplice variazione! Per come funziona il sistema di mercato, una variazione in aumento dei salari, e quindi un'inflazione, è comunque indispensabile. La situazione inversa, in cui i salari tendono a diminuire, si chiama deflazione, ed è potenzialmente distruttiva per l'economia. Così come, di converso, lo è una situazione in cui l'inflazione cresce troppo rapidamente, sfociando in iperinflazione.

Per i discepoli digiuni di storia, è bene ricordare che la Germania ha sofferto, nel primo dopoguerra del secolo scorso, sia a causa dell'iperinflazione che della deflazione, e che fu quest'ultima a portare Hitler al potere. E' bene anche sottolineare che la pesante deflazione che colpì la Germania nel 1930 non fu una specie di rimbalzo dalla precedente iperinflazione del 1923, cui si era posto rimedio da alcuni anni, ma della crisi del 1929.

Leheman Brothers e la crisi dei subprime vi ricordano qualcosa?

Quando il livello di disoccupazione è quello di equilibrio i salari aumentano, ma con velocità costante. Di conseguenza l'inflazione (cioè l'aumento medio dei prezzi) si mantiene costante. Tutto ciò al netto di altri fenomeni, ad esempio un aumento molto forte delle materie prime o un'invasione di capitali esteri. Insomma, stiamo parlando di uno scenario ordinario, per così dire di lungo periodo.

Cosa succede quando la disoccupazione scende al di sotto del livello di equilibrio? I lavoratori, trovando maggiori opportunità di impiego, diventano meno disciplinati e pretendono migliori condizioni salariali. Secondo gli economisti liberisti (cosiddetti neoclassici) i datori di lavoro reagirebbero alzando i prezzi, al fine di preservare i loro margini di profitto, con ciò inducendo i lavoratori a chiedere ulteriori aumenti salariali... per difendersi dai quali e mantenere i margini di profitto i datori di lavoro alzerebbero ancora i prezzi... e così via, in una spirale aumento dei prezzi-rivendicazioni salariali che diverrebbe presto esplosiva.

Secondo i neoclassici lo strumento principale per tenere sotto controllo l'inflazione consiste dunque nel non scendere al di sotto di un determinato livello di disoccupazione, tale da "disciplinare" in modo naturale le pretese dei lavoratori. 

La domanda che sorge spontanea, però, è: chi disciplina i datori di lavoro? Non esiste forse il pericolo opposto, cioè che dal rischio iperinflazione si scivoli in quello, altrettanto tremendo, di deflazione? La risposta è abbastanza semplice: è la deflazione che disciplina i datori di lavoro!

Pensateci bene, cari discepoli del maestro di campagna! La disoccupazione, che disciplina i lavoratori, comprime i redditi e dunque la loro capacità di spesa, ma quando si eccede anche i datori di lavoro devono diminuire i prezzi finendo così con il chiudere, producendo altra disoccupazione... che disciplina ancora di più i lavoratori, che spendono meno... e i prezzi scendono... e scendono... e la disoccupazione aumenta...

Tutto ciò sta succedendo in Europa, in particolare nei paesi periferici, in misura maggiore o minore. 

Il "maestro di campagna" dice: non è colpa dell€uro!


La ragione per cui tutto ciò sta accadendo non è l'€uro! Sorpresi? Sconcertati cari discepoli? Il maestro di campagna, feroce avversario dell'€uro, vi dice che la colpa non è dell'€uro? State calmi, adesso vi spiego.

L'€uro è un progetto politico, figlio della rottura di un equilibrio politico, a sua volta conseguenza della malattia di... Ugo... ehm, volevo dire malattia della lotta di classe. Quando la lotta di classe entra in crisi, nel 1989, con la vittoria totale del mercato, finisce anche il tiro alla fune e tra il Capitale e il Lavoro, che aveva fatto sì che il NAWRU (con il fratello gemello NAIRU) non finisse fuori range. A quel punto, non essendoci più il tiro alla fune, la parte vincitrice cedette ad un'umanissima tentazione, quella di poter disegnare il sistema economico e sociale in completa autonomia, senza il prezioso e dialettico contributo correttore della parte avversa. Per far ciò, gli economisti neoclassici si sono ispirati... a Isaac Newton.

«Data la relazione tra le quantità fluenti, trovare la relazione tra le loro flussioni».


In realtà sono stato ingiusto, non è Newton l'ispiratore dei neoclassici. Vediamo, è stata colpa di Lagrange e della sua lagrangiana

Ma che c'entra Lagrange con l'economia politica? Lui si occupava (tra l'altro) della dinamica dei corpi rigidi! Vero è che "i risultati della meccanica lagrangiana prescindono dal fatto che la lagrangiana sia data dalla differenza dell'energia cinetica e dell'energia potenziale, e valgono per lagrangiane generiche L funzione delle coordinate q, delle loro derivate rispetto al tempo ed eventualmente del tempo". 

Un risultato molto interessante, che alcuni imbecilli ben pagati hanno pensato bene di applicare allo studio dell'economia politica, evidentemente ispirandosi (per parafrasi) alla "Theorie analytique des probabilités" di Laplace: 

«Noi dobbiamo considerare lo stato presente dell’economia come l’evoluzione del suo stato passato, e come la causa di quello che accadrà. Un’intelligenza che, ad un certo istante, potesse conoscere tutte le forze che animano il mercato, e la posizione relativa di tutto ciò che lo compone, e che fosse anche così vasta da riuscire a sottoporre questi dati all’Analisi, potrebbe condensare in una sola formula i movimenti dei capitali più grandi del mercato e quelli dell'impresa più leggiera; nulla per lei sarebbe incerto, ed ai suoi occhi sarebbero presenti sia l’avvenire che il passato».

E' così accaduto che l'economia politica, sottratta al vaglio sistematico della lotta di classe, sia finita nelle mani di una classe di tecnocrati i quali, armati dei risultati di sofisticati modelli matematici che pretendono di spiegare i comportamenti degli uomini riducendoli (e umiliandoli) al rango di "agenti economici che agiscono in base a criteri ottimizzanti", hanno concepito un sistema economico e sociale follemente disfunzionale, basato sulla triade "assenza dello Stato-libertà di movimento di capitali, merci, servizi e persone-moneta unica".

Il "maestro di campagna" dice: è colpa di Ugo!


Cari discepoli, è del tutto evidente che il principio di minima azione non è applicabile alle faccende umane. E anche se lo fosse (ma così non è, in ogni caso), dovete anche considerare che le eventuali soluzioni proposte dai sacerdoti dell'economia lagrangiana (alias i neoclassici) possono non essere uniche, o essere valide solo in un intorno molto piccolo delle condizioni iniziali, o addirittura non esistere. Come pure, ed è questa la circostanza concreta, che ci vengano spacciate per soluzioni delle traiettorie che essi sanno bene che ci condurranno al caos e al disastro. Questo perché, se è vero che gli uomini non sono agenti economici che agiscono in base a criteri ottimizzanti, è purtroppo vero che il Capitale, lui sì, agisce in base a un ben noto, e unico, criterio ottimizzante, che suona più o meno così: meglio un uovo oggi che una gallina domani.

Non v'è dunque che una cosa da fare: Ugo deve alzarsi dal letto! La lotta di classe deve riprendere il posto che le spetta nel mondo, perché se una speranza esiste di poterlo salvare essa risiede nel fatto che tutti noi torniamo a comprendere che solo organizzando politicamente gli interessi, apparentemente singolari, dei cosiddetti "agenti economici ottimizzanti", potremo uscire dalla selva oscura in cui ci troviamo.

Ora, perdonatemi vi prego, consentitemi di fare un po' di propaganda. Il vostro "maestro di campagna" ha scelto di entrare in un'associazione politica denominata "Associazione Riconquistare la Sovranità - ARS". Non vi chiedo di fare la stessa cosa, ma vi chiedo, anzi vi ingiungo, di tornare ad occuparvi di politica. Se non vi piace l'ARS scegliete altre strade, ma tornate a fare politica attiva, cioè a fare politica militante dal basso. Non v'è alternativa all'eterno gioco del tiro con la fune.

nota: la seconda parte di questo articolo sarà pubblicata appena possibile. Essa avrà per tema (sempre che nel frattempo non si scateni sa Dio cosa) l'azione politica di Renzino da Rignano. Voi direte: "ma che c'entra il Renzino da Rignano con questi discorsoni?". Beh ragazzi, la Provvidenza, talvolta, può scegliere come strumento di salvezza il più umile degli ambiziosi...

mercoledì 2 luglio 2014

Pinocchio

Ci vuole cervello, e tanto coraggio!

«Pinocchio, però, non riesce a raggiungere il padre: infatti, subito fuori dalla casa della Fata, incontra ancora una volta il Gatto e la Volpe che lo convincono nuovamente a sotterrare i quattro zecchini nel Campo dei miracoli. Pinocchio sotterra le monete d'oro e, come suggerito dal Gatto e la Volpe, va nella città vicina per far passare venti minuti ma quando ritorna non vede alcun albero carico di monete. Un vecchio pappagallo gli racconta che durante la sua assenza il Gatto e la Volpe sono tornati e hanno rubato le monete sotterrate. Pinocchio, disperato, si rivolge a un giudice, un vecchio gorilla, per denunciare il furto ma questi, paradossalmente, lo condanna in prigione. Quattro mesi dopo, l'Imperatore del paese, per festeggiare una grande vittoria militare, concede un'amnistia a tutti i condannati. Pinocchio, essendo innocente, rischia di rimanere in galera ma riesce a cavarsela dichiarandosi un malandrino».

L'inizio della fine è arrivato quando, alle elementari, si è smesso di studiare Pinocchio.

Claudio Martino
Non me ne voglia l'amico Claudio, il quale (giustamente) si lamenta del fatto che gli italiani non conoscono la Divina Commedia. Ha ragione Claudio, ma Pinocchio viene prima. Pinocchio è importante perché chiarisce ai giovani virgulti due fatti della vita fondamentali e intimamente connessi: i malfattori esistono, ma la colpa dei nostri guai non è dei malfattori (che fanno il loro mestiere) bensì di Pinocchio, che è un pollo e uno smidollato.

Por fine ai nostri guai significa decidere, qui ed ora, di smetterla di essere dei polli e raddrizzare la schiena.

Quando faremo ciò, tutto sarà più logico e razionale: dovremo lavorare duro per vivere dignitosamente, questo è bene chiarirlo fin da subito! Non illudiamoci, con la sovranità monetaria, o con la flessibilità del cambio, o con la reintroduzione di vincoli alla circolazione dei capitali, o con la mmt, o con quella cosa che ve cieca... di poter moltiplicare i soldi nel campo dei miracoli!

Ci sarà da lavorare, serviranno coraggio e intelligenza, senso del limite e spirito di sacrificio. Solo per ottenere ciò che, alla fine dei giochi, è il vero desiderio dei popoli: che i figli vivano meglio e non debbano patire ciò che abbiamo patito noi.

L'euro finirà, L'Unione Europea sarà distrutta, ma la lotta continuerà.

martedì 1 luglio 2014

Le banche a SRISK

Il termine SRISK (Systemic Risk) indica un parametro macrofinanziario che misura il rischio sistemico legato all'insolvenza di una banca o istituzione finanziaria. Esso misura l'entità dell'aumento di capitale necessario a una banca o a un'istituzione finanziaria per affrontare una nuova crisi conservando condizioni di ordinaria operatività.

Il parametro viene stimato sulla base dei valori del mercato azionario e dei dati di bilancio, e tiene conto delle dimensioni della banca, della leva finanziaria e della rischiosità delle attività (cioè dei prestiti e degli investimenti effettuati). Ad esempio: se la Banca di Cappalonia ha una capitalizzazione di mercato di 95 miliardi di euro, e le sue passività contabili sono 1.900 miliardi euro (il che implica una leva finanziaria di 21 = 1900/95), se abbiamo un'altra crisi finanziaria che, ad esempio, provoca un calo del 40% del mercato azionario nell'arco di sei mesi, il parametro SRISK fornisce l'entità dell'aumento di capitale necessario a mantenere la banca in condizioni di normale operatività.

Prima di continuare è necessario specificare il significato di alcuni termini (vedi glossario):

MES (Marginal Expected Shortfall) - Il MES misura la perdita attesa di patrimonio quando il mercato scende al di sotto di una determinata soglia in un determinato orizzonte temporale, tipicamente il giorno nel quale si verifica la caduta di borsa maggiore. Quanto più è alto il valore del MES, tanto maggiore è l'esposizione di una banca ad una caduta dei prezzi azionari.

LRMES (Long Run Marginal Expected Shortfall) - LRMES è un'estensione del MES, allorché questo viene valutato non sul giorno peggiore della crisi bensì su un arco temporale di sei mesi.

BETA: è un parametro simile al MES ma più accurato in quanto tiene conto di fattori aggiuntivi, ad esempio il fatto che i mercati finanziari sono aperti in funzione del fuso orario. Più è alto il BETA, peggiore è la situazione.

Lvg (leverage): leva finanziaria, ovvero rapporto tra attività (investimenti) e capitale di un'istituzione finanziaria.

Ciò fatto, andiamo qui.

Fatto? Potete divertirvi a modificare i parametri della simulazione. Vi segnalo che le colonne della tabella sono ordinabili sia in senso crescente che decrescente. Sulla destra trovate le opzioni per il grafico (plot options) e per la tabella (display options). Tenete presente il titolo del grafico (che trovate sotto di esso).

Vi suggerisco di selezionare come regione l'Europa e come paese (country) l'Italia. Per il grafico, a vostro piacere: SRISK, MES, BETA, Leverage. La colonna «SRISK%» indica il peso del parametro in percentuale del totale. La colonna «SRISK $ m» indica il valore monetario del parametro, in milioni di dollari.

Conservate il link a questo post, e prendete l'abitudine di guardare i grafici ogni volta che sentirete parlare di banche. Cioè spesso, nei prossimi mesi.