domenica 30 novembre 2014

I vestiti nuovi dell'imperatore

Se la Germania non alza i salari l'euro è finito. Ma il governo tedesco, cioè il board della Bundesbank, non ha alcuna intenzione di farlo. L'unico modo per salvare l'euro se la Germania (cioè il board della Bundesbank) non alza i salari dei suoi lavoratori, è che i paesi meno produttivi abbassino quelli dei loro. Che è quello che Renzi sta tentando di fare con il job's act. Ma l'abbattimento dei salari nei paesi meno produttivi genera deflazione, aumento della disoccupazione e, di conseguenza, reazioni sociali e politiche incontrollabili.

Con ciò dovrebbe essere chiaro che il contenimento delle retribuzioni, cioè l'aumento delle disparità sociali, è un meccanismo cablato a livello hardware nella moneta unica. Ormai lo hanno capito in molti. Ma non tutti, perché la cappa mediatica di disinformazione che controlla i pensieri e le emozioni dei cittadini di tutti gli Stati europei ha lavorato e continua a lavorare a pieno regime. Ma il re è nudo, e si vede.

Un giorno gli storici dell'economia politica ci spiegheranno perché gli idioti di Dusserldof preferiscono la fine dell'euro alla possibilità di mantenerlo in vita attraverso qualche concessione salariale. Magari hanno un piano geniale, ma io non sono in grado di darne conto. Tutto quello che possiamo fare è prendere atto che nell'epoca di Internet, dei telefonini, della Ciiiina, del mantra "oggi è diverso", la politica e l'economia continuano ad obbedire alle due vecchie leggi di sempre: la lotta di classe e la lotta (delle élites) degli Stati per l'egemonia. Insomma, siamo ancora e sempre nell'ottocento.

Ovviamente in questa duplice lotta perdono le classi sociali incapaci di darsi un'organizzazione che ne difenda gli interessi, e gli Stati le cui classi dirigenti sono più inette. In Italia non ci siamo fatti mancare nulla. Invece di credere alla favola secondo la quale se i poveri diventano meno poveri se ne avvantaggiano anche i ricchi (Karl Marx e John Maynard Keynes), milioni di italiani hanno preferito credere alla favola simmetrica secondo cui se i ricchi diventano più ricchi ci guadagnano anche i poveri (Von hayek e Milton Friedman). Che siano due favole è ovvio, ma che almeno ognuno scelga quella che gli conviene di più. O no? No, in Italia no.

Ora, posto che la sinistra italiana, termine ambiguo con il quale viene indicato il PD, è stata la principale sostenitrice del progetto eurista, qual è stato il politico italiano che più di ogni altro è riuscito a convincere gli italiani che "se i ricchi diventano più ricchi ci guadagnano anche i poveri"? Lo vogliamo dire? E diGiamolo! Silvio Berlusconi!

Ecco, per oggi non voglio scrivere altro. Troppe cose stanno accadendo, e rischierei di fare qualche affermazione prematura. Quel che è certo è che è un tempo di grandi cambiamenti. Ma io ce l'avevo detto ai miei amici piddini preferiti, Benny e Filippo! Al primo avevo consigliato, da tempo, di uscire dal PD; al secondo, che è giovane e quindi ha ancora un futuro in politica, di non appiattirsi troppo sulla figura di Renzi. Non mi hanno ascoltato.

sabato 29 novembre 2014

«Mi porta a Palazzo Grazioli?»


L'importante è saperlo. Tutto il resto è politica (altro che razionalità dei mercati).


L'Itaglia può farcela. Gli itagliani chissà.

Notarella: un post-azzo (crasi per "post del cazzo") come questo, lo riconosco, è pura propaganda, che non ha nulla a che vedere con il corretto confronto di idee. Tuttavia non si può continuare a fare i chierichetti con chi gioca sporco, e allora serve scendere sullo stesso terreno. L'amichetto del giaguaro crede di essere più furbo di tutti? La vederemo.

Horror vacui

La crisi del M5S è inarrestabile. Chi mi frequenta sa che lo avevo previsto, sebbene non in questa misura né con tanta rapidità. Pensavo che si sarebbe ridotto ad uno zoccolo duro, non che si sarebbe annichilito. E invece: complici la malattia di Casaleggio, l'insipienza di Grillo, una demenziale selezione dei vertici e, last but not least, un posizionamento sui temi politici del momento - dall'euro alla questione della sovranità nazionale - che definire ondivago e confuso è poco, il M5S si è semplicemente suicidato. Riposi in pace.

Chi se ne spartirà l'eredità? In politica il vuoto viene riempito in fretta, soprattutto se incombono emergenze che valgono la tutela di enormi interessi. Ci siamo dimenticati dei debiti target2 parcheggiati presso la BCE? Ora, che la razionalità economica non sia la sola misura del mondo e della $toria lo hanno capito anche dalle parti di Pescara, ma quando alla tutela di enormi interessi commerciali e finanziari si aggiunge la salvaguardia di un processo politico pluridecennale come la costruzione europea, viene spontaneo supporre che le contromisure non possano essere solo quelle della tecnica monetaria, per altro nemmeno dispiegate del tutto per la contrarietà degli idioti di Dusseldorf.

La parola, dunque, passa alla Politica. Il problema è costituito dal fatto che gli euristi hanno bisogno di tempo, perché la sospirata ripresa non arriva (né può arrivare, come noi happy few ben sappiamo). Ma per comprare tempo serve una vittoria elettorale, in Italia, prima del temuto terremoto oltr'alpe per mano di Marine Le Pen. Ecco dunque che i voti in libera uscita dal M5S sono un boccone pregiato, sia che vadano ad ingrossare il partito dell'astensionismo, sia che finiscano con l'essere catturati dal PD renziano o da altri.

Il punto è allora il seguente: tolti i voti che andranno all'astensionismo, e i pochi che resteranno al M5S, chi riuscirà a beneficiare del riflusso del movimento dei grilli? Per rispondere a questa domanda servirebbe un'analisi seria della composizione sociale, culturale e politica dell'elettorato grillino, che probabilmente nemmeno esiste, ma credo di non sbagliare se affermo che lo sfaldamento del M5S apre una possibilità al successo, sia pur limitato, di un'offerta politica nuova di natura sovranista. Questa "finestra di opportunità" non durerà a lungo: una volta che i voti del M5S si saranno ricollocati, sarà molto difficile riconquistarli alla causa del sovranismo.

Servirebbe dunque uno scatto di opportunismo politico, ma la mia sensazione è che in troppi si stiano cullando nella contemplazione della propria "particulare teoria"; sia questa di natura economica (MMT) o una teoria dell'azione (ARS), o altro.... ... ... ...

Ecco, l'ho fatto! Ho criticato l'ARS, pubblicamente! Posso farlo? Certo che posso farlo, perché sono tornato ad essere un battitore libero.

« Or ti piaccia gradir la sua venuta:
libertà va cercando, ch'è sì cara,
come sa chi per lei tessera rifiuta. »

venerdì 28 novembre 2014

Nonostante i solleciti del capogruppo e dello staff ad attenersi alle regole, come potete verificare, il cittadino deputato Artini continua a non utilizzare il portale online per le rendicontazioni e quindi a non restituire i rimborsi spese.

Nonostante i solleciti del capogruppo e dello staff ad attenersi alle regole, come potete verificare, il cittadino deputato Artini continua a non utilizzare il portale online per le rendicontazioni e quindi a non restituire i rimborsi spese.
Nonostante i solleciti del capogruppo e dello staff ad attenersi alle regole, come potete verificare, il cittadino deputato Artini continua a non utilizzare il portale online per le rendicontazioni e quindi a non restituire i rimborsi spese. 
Nonostante i solleciti del capogruppo e dello staff ad attenersi alle regole, come potete verificare, il cittadino deputato Artini continua a non utilizzare il portale online per le rendicontazioni e quindi a non restituire i rimborsi spese. 
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Nonostante i solleciti del capogruppo e dello staff ad attenersi alle regole, come potete verificare, il cittadino deputato Artini continua a non utilizzare il portale online per le rendicontazioni e quindi a non restituire i rimborsi spese. 
Nonostante i solleciti del capogruppo e dello staff ad attenersi alle regole, come potete verificare, il cittadino deputato Artini continua a non utilizzare il portale online per le rendicontazioni e quindi a non restituire i rimborsi spese. 
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Nonostante i solleciti del capogruppo e dello staff ad attenersi alle regole, come potete verificare, il cittadino deputato Artini continua a non utilizzare il portale online per le rendicontazioni e quindi a non restituire i rimborsi spese. 
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mercoledì 26 novembre 2014

CLN 2.0 - Appunti per l'incontro del 6 dicembre 2014

Quelle che seguono sono alcune mie personali considerazioni in vista dell'incontro nazionale dei movimenti no-euro promosso dal coordinamento della sinistra contro l'euro. Desidero precisare che parlo a titolo personale, essendomi dimesso qualche giorno fa dal direttivo di ARS ed essendo anche uscito da questa associazione. Nulla di grave, sia ciò ben chiaro, poiché continuo a ritenere quella dell'ARS un'ottima piattaforma, forse la migliore in circolazione, ma in questo momento preferisco muovermi nella più assoluta libertà, principalmente come blogger e come umile operaio delle Brigate Sovraniste per la Costituzione, delle quali sono al momento il "Grande Vecchio" detentore del potere inutile.

L'incontro del 6 dicembre vuole essere un primo momento di confronto tra tutti i movimenti no-euro che aderiranno. Tra i movimenti no-euro vi sono, ovviamente, anche i movimenti espressamente sovranisti, i più importanti dei quali, per numero di militanti e/o autorevolezza, sono la stessa Sinistra no-euro, l'ARS, Riscossa Italiana e i CIPS.

Per come lo intendo personalmente, il sovranismo è un campo politico che pone al primo punto della propria scala di valori i principi della democrazia rappresentativa, dello statalismo inteso come obbligo per lo Stato di operare come agente attivo e redistributore della ricchezza, nonché le libertà individuali e civili riconosciute dalla Costituzione italiana del 1948. Per i sovranisti la triade "Popolo-Stato-moneta pubblica" rappresenta l'elemento invariante di qualsiasi tecnica implementativa, e dunque noi sovranisti preferiamo enunciare gli obiettivi della nostra visione politica piuttosto che concentrarci sulle tecniche per raggiungerli, pur riconoscendo l'ovvio dato di fatto che nessuna "tecnica" è neutrale, e dunque esse devono essere valutate in funzione della loro efficacia in vista del raggiungimento degli obiettivi politici che ci poniamo.

Il liberismo, degenerazione del pensiero liberale, è il nemico politico dei sovranisti. Il pensiero liberale, a sua volta, è un avversario politico che porta sulle sue spalle la responsabilità storica di essere degenerato in liberismo. Analoghe ma non identiche considerazioni i sovranisti svolgono in merito alle degenerazioni della tradizione socialista.

Per quanto detto, il sovranismo può essere definito come la sintesi del meglio della tradizione socialista e liberale, la quale può realizzarsi solo attraverso l'esistenza di uno Stato democratico che agisca attivamente in senso redistributivo e sia garante delle libertà politiche e civili di tutti i cittadini e della loro uguaglianza davanti alla legge.

Essere semplicemente contro l'euro, pertanto, non è condizione sufficiente per potersi definire sovranisti, pur essendo evidentemente una condizione necessaria. Ciò nonostante potrebbero sussistere, in questa fase, le condizioni per un'alleanza di scopo (che qualcuno ama chiamare CLN 2.0) tra forze solamente anti-euro, dunque liberali ma non liberiste, e i sovranisti. Credo che la possibilità di una tale alleanza dipenda soprattutto, per non dire esclusivamente, dalla capacità di tenuta del fronte euroliberista.

A questo proposito mi piace proporre un esempio paradossale ma chiarificatore, sotto forma di una domanda: chi è stato il principale artefice della nascita del CLN nel 1943?

Ebbene, la mia tesi è che il principale artefice della nascita del CLN sia stato il feldmaresciallo Kesserling! Senza l'efficace difesa che Kesserling seppe approntare contro le forze anglo-americane comandate dal generale Clark, coadiuvato dalla squadra navale agli ordini del generale Alexander, i tedeschi sarebbero stati travolti e l'Italia in gran parte liberata in poche settimane. Apparentemente una gran bella cosa, ma se le cose fossero andate così non ci sarebbe stata la resistenza, il ruolo del CLN sarebbe stato del tutto marginale (se pure fosse riuscito a sopravvivere come entità politica), e il contributo dei patrioti italiani inesistente. Fu proprio l'accanita resistenza dei nazifascisti ad aprire gli spazi, politici prima che militari, nei quali seppero inserirsi i capi della resistenza. Se ciò non fosse accaduto, e i tedeschi fossero stati travolti con facilità, noi non avremmo avuto la nostra Costituzione. La quale non fu una concessione degli angloamericani, bensì la conquista, pagata a caro prezzo, di quella parte del paese che prese parte attiva alla lotta contro il nazifascismo.

Ebbene, oggi la situazione è simile. Per quanto paradossale ciò possa apparire, una rapida disgregazione dell'euro favorirebbe quelle forze politiche che, pur avendone riconosciuto più o meno onestamente (ma alcune in modo strumentale) l'insostenibilità, non hanno alcun interesse a che la gran parte del popolo italiano sia coinvolto in questa nuova guerra di liberazione. In tal caso l'ipotesi della formazione di un CLN 2.0, del quale dovrebbero far parte non solo i sovranisti ma tutti i movimenti no-euro (purché non fascisti), perderebbe di significato. La prospettiva di una rapida e vicina fine della moneta unica favorirebbe infatti un riposizionamento delle attuali forze politiche sistemiche, anche attraverso disgustosi trasformismi. Ai sovranisti non resterebbe altra scelta se non quella di tentare di costituire in fretta e furia un fronte sovranista che potrebbe partecipare con scarse possibilità alle prossime, in questo caso vicine, elezioni politiche.

Lo scenario alternativo è quello in cui gli euroliberisti riescano, come i nazifascisti nel 1943, a evitare il tracollo. E poiché il terreno di scontro non è militare ma economico, ciò implica che vi sia, nei prossimi mesi, se non una ripresa almeno una tenuta dell'economia italiana. Ma questo non dipende in alcun modo da noi, né per la parte maggiore da Draghi; dipende invece dalla stessa Germania che potrebbe attuare, nei prossimi mesi, una manovra espansiva mirata a rilanciare le sue importazioni principalmente dall'Italia e dalla Francia. Che tale scenario sia realistico, però, mi sembra un'ipotesi piuttosto improbabile. Non c'è oggi, in Germania, un feldmaresciallo Kesserling!

Pertanto sono propenso a considerare valide le visioni che prospettano una prossima uscita dell'Italia dall'eurozona. Tra quanti reputano questa prospettiva probabile c'è Sapir, un cui articolo in questi giorni è stato rilanciato da diversi blog.

Stando così le cose la prospettiva di un CLN 2.0 si allontanerebbe, mentre diventerebbe di assoluta urgenza cominciare a ragionare sull'ipotesi di un fronte sovranista che si ponga l'obiettivo minimo di raggiungere il quorum alle prossime elezioni. Se questo obiettivo dovesse essere mancato, la vittoria dei gattopardi sarebbe totale.

Mai visti tanti comunisti tutti insieme (parte 2)





Premessa necessaria


Era il 24/25 gennaio 2009, ed io ero a Chianciano per assistere, nella sala convegni dell'albergo Boston, al secondo incontro nazionale di un nascente movimento1 che si riconosceva nelle analisi delineate in un documento redatto da Marino Badiale e Massimo Bontempelli.

Quello stesso giorno gli scissionisti di rito vendoliano si riunivano al Palamontepaschi per sancire il divorzio dalla maggioranza di Rifondazione Comunista, guidata da Paolo Ferrero,

Ero al termine della mia parabola grillina, giunta al culmine un anno prima. La crisi, innescata dal fallimento di Lehman-brothers, se stava inducendo molti di noi ad incamminarsi lungo un percorso di rielaborazione critica e radicale, allo stesso tempo spingeva altri su posizioni moderate. In quei giorni, nella mia ingenuità, nutrivo la speranza che il partito della rifondazione comunista, liberatosi degli scissionisti di rito vendoliano, potesse avviarsi a diventare il nucleo di un'aggregazione di opposizione radicale. Come pure speravo che qualcosa di buono potesse venir fuori dalla presenza di una pattuglia di attivisti grillini, tra i quali alcuni che conoscevo e frequentavo da anni, in particolare Leonello Zaquini e Franco Dell'Alba.

Il tempo ha dato ragione a quanti, già allora, interpretavano la crisi innescata dal fallimento di Lehman-Brothers come un fatto epocale. Non era ancora chiaro il ruolo che, nell'incubazione e nel drammatico prolungarsi della crisi, aveva e avrebbe giocato l'Unione Europea, ma già allora Moreno Pasquinelli e Leonardo Mazzei ne coglievano le dimensioni e la drammaticità. In particolare, Moreno Pasquinelli parlava esplicitamente di una crisi di dimensioni tali da trasformare il ceto medio in una forza sovversiva, con l'enorme rischio di uno sbocco reazionario e sciovinista.


Roma, 22 novembre 2014: La sinistra e la trappola dell'euro


Un po' d'acqua è passata sotto i ponti. I protagonisti del convegno del 2009 hanno avuto ragione e il successo dell'iniziativa sta lì a dimostrarlo. D'altra parte è inevitabile che, in politica, qualcuno abbia ragione e molti altri torto, sebbene da ciò non consegua che chi ha avuto ragione l'abbia anche vinta. 

Il tema principale dell'incontro di Roma doveva essere il tentativo di "stanare" Paolo Ferrero, ancora arroccato in difesa del suo teorema del dentifricio2, come pure cercare di capire quali potranno essere le prossime mosse nel PD, ragione per la quale era molto atteso l'intervento di Stefano Fassina, purtroppo assente per cause di forza maggiore. Ebbene, mentre la prospettiva di una spaccatura del PD resta indeterminata, nonostante gli esiti del voto regionale, non vi sono più molti dubbi sul fatto che Paolo Ferrero, con la parte di RC che lo sostiene, non intende rinunciare al teorema del dentifricio. Il dettaglio rivelatore è nella puntualizzazione, operata da Ferrero, sulla natura  "sovranista" dell'aggregazione di sinistra auspicata da Leonardo Mazzei. Per Ferrero tale aggregazione dovrebbe essere "antiliberista", al che Mazzei gli ha risposto che il fatto che questa sarebbe "antiliberista" è scontato, e che non serve neppure dirlo.


1 - nota: il sito è stato hackerato, per cui compaiono scritte pubblicitarie che saranno rimosse al più presto
2 - "Io penso tutto il male possibile di quest'Europa fatta sui trattati di Maastricht e quant'altro. Il punto che abbiamo oggi è che oggi il dentifricio è fuori del tubetto, non è più dentro. Noi non stiamo più nella discussione se dobbiamo far uscire il dentifricio oppure no, il dentifricio è fuori, siamo nell'euro!" [Paolo Ferrero - video 19'08''] 

Cazzaremos (tanto... venceremos)

martedì 25 novembre 2014

Coordinamento lista civica sovranista umbra - riunione 01 del 2014 11 23

di Simone "ArticoloUno" Boemio

Deruta (PG), 23 Novembre 2014

Si è tenuta oggi la prima riunione di quello si spera divenga, il primo esperimento di unione elettorale tra le forze sovraniste che poi funga da laboratorio per auspicabili iniziative a livello nazionale e politico oltre che per altre esperienze locali.

Quello che si sta tracciando, si prefigura come un percorso difficile e tortuoso, dove particolarismi e settarismi rappresenteranno un ostacolo da superare in nome del bene comune per arrivare alla nascita di una lista civica regionale sovranista.

Le difficoltà che dovremo superare, assieme ai miei amici del coordinamento - Daniela Di Marco e Alessandro Trinca, saranno sicuramente amplificate dalla prossima legge elettorale in via di definizione.

Sebbene quindi, questa, appaia impresa difficile da portare a compimento, i segnali ricevuti dal pubblico in sala sono stati incoraggianti. La partecipazione è stata ordinata fino alla fine e molti sono stati gli interventi, tutti appassionati anche se non sempre contenuti nel perimetro ben delineato nel documento di convocazione.


Durante la discussione sono emersi temi di carattere generale riguardanti, ad esempio, la questione nazionale della sovranità popolare e democratica in chiave costituzionale e temi di più stretta attinenza locale come la questione la trasformazione della E45 in autostrada e la soluzione delle vertenze aperte del polo industriale ternano.

La certezza di buon fine non c'è ancora, ma le premesse per continuare ci sono tutte. Quindi, avanti così fino alla prossima riunione tra tutti gli interessati che, presumibilmente, sarà fissata per Domenica 7 Dicembre presso i locali della copisteria l'amanuense di Perugia.

Simone “ArticoloUno” Boemio

domenica 23 novembre 2014

Mai visti tanti comunisti tutti insieme (parte 1)


«L'internazionalismo del lavoro implica, automaticamente, un rapporto dialettico e critico con i processi di internazionalizzazione del capitale. Questo è il punto!» (Emiliano Brancaccio)


Nota


Non so quanti lo sappiano, ma EGO ho deciso di sdoppiarmi. Una parte di me resterà su questo blog, un'altra è già migrata sui lidi delle Brigate Sovraniste per la Costituzione. Le Brigate Sovraniste (BS per gli amici...:-) si limiteranno a "montare il palco" nelle occasioni in cui le diverse anime del sovranismo italiano si incontreranno (e anche quando non si incontreranno, poiché il nostro compito è proprio quello di farle incontrare), mentre su questo blog IO propriamente IO continuerò a sparare le mie solite cazzate1. Così non ci sarà il rischio che la mia parte ingegniera possa interferire con quella politica, e viceversa. Se qualcuno vorrà insinuare che sono lievemente schiZofrenico non sarà querelato.

1 - a breve su, sull'eGodellarete, scriverà un altro grande EGOLATRA...

Cappello


Alla faccia di chi non gli vuole bene, i "comunisti" sopravvissuti all'atomica del 1989 si stanno risollevando dalla profonda prostrazione in cui erano sprofondati. Parlo, ovviamente, dei "comunisti veraci", non di quelli d'allevamento... 

Dopo i "vetero comunisti" sta forse arrivando l'ora dei "comunisti veraci"? Salvini è avvertito. Che non gli passi per la testa di attaccarsi alla facile battuta "comunisti veraci/voraci", perché quelli che si sono dati appuntamento il 22 novembre 2014 all'hotel Universo a Roma sono comunisti die hard (duri a morire): #matteostaiinansia...

I gattopardi


Tra i numerosi interventi noi delle BS  (cioè, nella fattispecie specifica, il mio IO schizofrenico) abbiamo deciso di dare la precedenza a quello di Emiliano Brancaccio che ha esposto, in modo appassionato e con rara efficacia, alcune questioni fondamentali con cui è necessario confrontarsi:

  • In primo luogo la distinzione tra iniziative politiche di natura retorica utili per favorire l'emergere delle contraddizioni (dal disobbedire ai trattati ai certificati di credito fiscale passando per il referendum sul fiscal compact) e la necessaria definizione di una visione generale che caratterizzi una posizione di sinistra. 
  • In secondo luogo, ovviamente, la necessità di denunciare il ricorrente tentativo di eludere l'esistenza oggettiva di una polarità che attraversa tutta la storia dell'umanità; operazione che viene condotta prendendo a pretesto il logorio cui sono sottoposte le parole che, oggi, sono usate per rappresentarla: destra e sinistra.

Ma chi è che tenta, ricorrentemente, di eludere il dato oggettivo di una polarità che pure emerge con chiarezza in tutta la storia dell'umanità? Chi è che non ha interesse a porre la questione sul piano dell'eterno conflitto tra la coloro che, per merito o per caso, conducono la loro esistenza nel privilegio (sia pure relativo) e coloro che la conducono in condizioni di subalternità? Chi sono coloro che alla parola "fraternité" preferiscono la parola "liberté"? E come mai, infine, coloro che apprezzano maggiormente la parola "liberté" sono oggi gli stessi che tentano di porre in ombra quell'altra parola, "egalité", la cui traduzione sostanziale non è "legalità", come credono (o fingono di credere) i fustigatori della Casta, bensì "Stato sovrano"? 

La tesi di Brancaccio è lapidaria: sono i gattopardi moderni.

Gattobannai

giovedì 13 novembre 2014

Tempo di LITOTI nel PD

Esempio di litoteDue ragazzi. Passa una ragazza e uno dei due dice all'altro: "la vedi quella? Ha preso un sacco di cazzoni...!". L'amico lo guarda e dice: "quella è mia sorella!". Il primo, imbarazzato: "sì, ma fini fini..."


Video del ciociaro (con Piddu)


martedì 11 novembre 2014

Non tutte le analogie riescono col buco

Una delle analogie più false, ma ciò nonostante diffusa dai mezzi di informazione, è quella secondo cui lo "Stato è come una famiglia". Questa analogia è totalmente falsa, sempre comunque e a prescindere (come direbbe Totò), ma non è facile farlo capire alle anime semplici e candide.

Si tratta, infatti, di un'analogia rassicurante, e non deve sorprendere il fatto che essa abbia tanta presa tra i più umili (intellettualmente parlando, ovviamente). Quello che mi sconcerta, però, è il fatto che tale analogia sia considerata valida anche in ambienti, se si vuole, "più raffinati", per capirci quei giri di intellettualoidi di provincia (ma anche di città) dove l'enunciato "il tutto è più della somma delle parti" è considerato un'acquisizione pacifica. Ma come? Il tutto è più della somma delle parti.... e poi ce la menate con la storia che il tutto (cioè lo Stato) è in relazione analogica con una delle sue parti (la famiglia)?

Vorrei invitare gli "analogici", per i quali il tutto è più della somma delle parti, e però credono che il tutto (lo Stato) sia come una grande famiglia (cioè una somma di famiglie), a seguirmi lungo un ragionamento rigoroso e pur tuttavia non difficile. Parliamo di economia, sebbene quanto dirò può ben applicarsi a molti altri ambiti della vita sociale.

Domando agli analogici: cos'è il risparmio per una famiglia? La risposta è semplice: il risparmio è costituito dalle risorse monetarie non utilizzate per consumi e investimenti. Dunque si risparmia quando non ci si diverte e quando non si investe, né per manutenzioni né per progettare nuove attività imprenditoriali per il futuro.

Ora domando agli analogici: cos'è il risparmio di uno Stato? E' mai possibile che, per uno Stato, il risparmio possa essere definito come "risorse monetarie non utilizzate", quando è lo Stato stesso che queste risorse le fabbrica a costo zero? Che vo' ddi'? Che ci sono il 42% dei giovani che non lavorano, cioè sono "risorse inutilizzate", perché lo Stato non può dargli un lavoro creando a costo zero le risorse monetarie che servono a pagargli gli stipendi? 

Lo Stato italiano sta risparmiando così? Lo capite quanto è fallace questa sciocca analogia dello Stato come una grande famiglia, cioè una somma di famiglie?

Il fatto è che è vero, assolutamente vero, che "il tutto è più della somma delle parti". Peccato che gli intellettualoidi di provincia, che questa cosa lo sanno... poi non riescano ad applicarla al più importante dei casi concreti. Forse gliela si deve ricordare:

Il tutto è più della somma delle parti... e dunque lo Stato è più della somma delle famiglie!


Il che implica che, mentre per una famiglia risparmiare significa spendere meno di quello che guadagna, per uno Stato risparmiare significa spendere più di quello che incassa con le tasse! E dunque essere in deficit!

Vi siete persi, lo so. Vi capisco; anch'io, quand'ero piddino, restavo stordito davanti a questa affermazione. Per capire bisogna fare un piccolo passo avanti. Bisogna cioè capire che uno Stato può emettere la moneta che le famiglie usano, mentre le famiglie usano la moneta che gli viene imposta dallo Stato. Già questa imponente (ripeto: IMPONENTE) asimmetria dovrebbe far riflettere, e far capire che l'idea che uno Stato possa essere considerato come una sommatoria di famiglie è semplicemente ridicola. Da questa asimmetria discende che, mentre per una singola famiglia arricchirsi significa risparmiare anno dopo anno, e dunque avere un bilancio strutturalmente in surplus, per uno Stato arricchirsi significa avere, anno dopo anno, tutte le risorse reali impegnate nel produrre ricchezza. Ma, per far ciò, il bilancio dello Stato deve essere in deficit!

Ma allora hanno ragione quelli che "basta austerità"?


Dico: ma vogliamo scherzare? Quando io scrivo Stato (notate la maiuscola e il grassetto) intendo un vero Stato, mica le entità amministrative previste dal trattato di Maastricht! Ovvio che uno Stato europeo potrebbe fare quello che ho appena detto, cioè spendere in deficit. Ma non possono farlo quelle entità amministrative che sono ormai gli ex Stati nazionali. Il minimo sindacale è una spesa a deficit di uno Stato europeo (che non c'è), con una Banca Centrale che risponda alla politica, cioè a un parlamento eletto per capita (una testa un voto). Quello che abbiamo, invece, è una BCE dove si vota per quote azionarie.

Io sto cercando di farlo capire ai piddini della mia città, Frosinone, talvolta anche a muso duro. Ma ho poche, pochissime speranze di avere successo. Vuol dire che, se non gli entra in testa, gli entrerà da qualche altra parte. Chissà, a qualcuno potrebbe andar bene così.

Invito i piddini di Frosinone ad ascoltare l'avv. Marco Mori. Magari lui riesce a farglielo entrare in testa. Per quanto mi riguarda... m'arendo (nun c'ariveno).

Piddini di provincia a testa bassa contro il muro dell'euro

Sen. Lucrezia Ricchiuti - PD
Esco dal mio studio e chi ti incontro? Domenico Belli (SEL) che sta andando alla saletta della CIA (Confederazione Italiana Agricoltori... non Central Intelligence Agency). Gli faccio «dove vai?» «mah, c'è una riunione...» «vengo anch'io». E così sono andato.

Ambient: piddini di rito civatiano. Gente di provincia, brave persone, certo non aquile politiche. Ci sono anche alcuni sellini, qualche ambientalista e un paio di incazzati più di me con i quali mi metto subito a confabulare.

Sembra che parlerà tal senatrice Lucrezia Ricchiuti. Sono senza attrezzatura, per cui tiro fuori il mio cellulare Mediacom (ottimo acquisto di un prodotto italiano) e lo piazzo in modalità ripresa video. Poi mi metto ad ascoltare.


Non vorrei intervenire. Perché dare addosso ai civatiani? In fondo sono bravi ragazzi, animati da buoni sentimenti... certo non sono aquile (questa l'ho già detta); per loro il problema sono gli F35, mica la BCE indipendente! Anche perché dubito che la maggior parte di loro intenda il senso della locuzione "Banca centrale indipendente".

Solo che a star zitto proprio non ci riesco. La Ricchiuti ne spara a raffica, una più demenziale dell'altra: potete godervela nel filmato. Io ho preso un pezzo di carta e me ne sono segnate alcune, una piccola parte delle fesserie propinate alla platea di anime belle (ma anche furbine) del piddinume e sellinume locale. Che è sempre meglio del berluskume locale, questo sia detto senza ombra di dubbio! Il problema è che non ci siamo! Ragazzi, proprio non ci siamo.

E non è che dovete solo mettervi a studiare, questo è il minimo sindacale! Il problema, il vero grosso problema, è che voi, cari amici piddinucci e sellinucci di questa provincia, dovete  fare una cosa preliminare e assolutamente necessaria: accettare di essere onesti con voi stessi. Anche a costo di dover ammettere di non averci capito una mazza di tutto! Praticamente di tutto, dalle famose e mitiche strisce blu fino all'indipendenza della Banca Centrale, passando per lo SME, l'euro e Maastricht.

E fare, di conseguenza, un grosso atto di umiltà.

Lo stesso che ha fatto il vostro umile reporter che, riconoscendo di essere stato egli stesso piddino, e addirittura di aver votato Prodi fino al 2008, ha potuto guardare la realtà incomprensibile che gli si parava dinanzi con occhi nuovi e senza inutili pregiudizi. E oggi si permette di percularvi, sapendo benissimo che i fatti gli daranno ragione (e drammaticamente torto a voi).

Alla fine non ho resistito e ho preso la parola. Purtroppo non sono riuscito a registrare il mio intervento, ma voglio riportarvi una delle cose che ho detto. Ho infatti promesso alla senatrice Ricchiuto, che ha sostenuto (nella marea di stupidaggini che ha detto) che la Germania è una potenza industriale perché ha fatto grossi investimenti in conto capitale negli ultimi quindici anni, di inviarle dati certificati che dimostrano esattamente il contrario.

Ecco il grafico che dimostra la mia affermazione, inserito in un post del maledetto Illo (del quale, mannaggia, nun se po' fa' a meno).


Appello al popolo (piddino)


Piddiniiii, piddiniiiiiiiiiiiiii, c'è qualcuno quiiiiii? Me lo fate il cazzo di piacere di leggere il post del maledetto Illo, e cominciare a preoccuparvi per il vostro culo prima che ve lo sfondino senza pietà? 

Dovreste avere dei figli, immagino. Se non per voi, lo sforzo di attivare il vostro derelitto neurone lo fate almeno per loro?

p.s. per l'amico Benny: ti dispiace spedire questo post alla tua compagna civatiana, la senatrice Lucrezia Ricchiuti? Con l'invito, anche per lei, di mettersi a studiare onestamente la realtà, invece di continuare a sparare cazzate del tipo "la crisi è la conseguenza della corruzione".

Guarda, Benny, che lo ha detto: sta nel filmato.

lunedì 10 novembre 2014

Quando Eltsin bombardò il parlamento russo



Appendice: 

Ombre danzanti sulle macerie
CHE RESTA DELL’89
Dov’è la festa
Luciana Castellina – da il manifesto di sabato 8 novembre 2014 – pag. 1 e 15
L’89 non fu solo gioiosa rivoluzione libertaria, ma un passaggio assai più ambiguo, gravido di conseguenze di portata mondiale, che ha spianato la strada al capitalismo più selvaggio
Un pezzetto di quel muro caduto 25 anni fa ce l’ho ancora sulla mia scrivania: un frammento di intonaco colorato che strappai con le mie mani quando accorsi anche io a Berlino mentre ancora, a frotte, quelli dell’est esondavano verso l’agognato Occidente. Furono giornate gioiose attorno a quel simbolo di una guerra – quella fredda – che era scoppiata meno di due anni dopo la fine di quella calda.
Per oltre quarant’anni quella frontiera, e già molto prima che fosse eretto il muro, l’avevo attraversata solo illegalmente: negli anni ’50 perché il mio governo non mi dava un passaporto valido per i paesi oltre la cortina di ferro (dovevamo rimanere chiusi nell’area della Nato) e perciò per parlarsi con tedeschi della DDR, ungheresi o bulgari si prendeva il metro a Berlino e dall’altra parte ti fornivano una sorta di passaporto posticcio. Poi, dopo la costruzione del muro, quando noi potevamo legalmente andare ad est e invece quelli di Berlino est non potevano più venire a ovest, ridiventammo clandestini: per potere incontrare, senza incappare nella sorveglianza della Stasi, i nostri compagni pacifisti del blocco sovietico, dissidenti rispetto ai loro regimi, ma convinti che a una evoluzione democratica non sarebbero serviti i missili perché solo il disarmo e il dialogo avrebbero potuto facilitarla.
Per questo, gioia in quell’autunno dell’89 e anche un po’ di orgoglio per il merito che per questo esito aveva avuto anche il nostro movimento pacifista, l’End “per un’Europa senza missili dall’Atlantico agli Urali”. Avevamo prodotto una deterrenza politica, contribuendo ad isolare chi, per abbattere il muro, avrebbe voluto scegliere la più sbrigativa via delle bombe.
E però l’89 non fu solo gioiosa rivoluzione libertaria. Fu un passaggio assai più ambiguo, gravido di conseguenze, non tutte meravigliose. Oggi è anche più chiaro, e così l’avverto dolorosamente nella memoria che evoca in me. Peraltro quel 9 novembre di 25 anni fa per me, credo per tanti, non è dissociabile dalle date che seguirono di pochi giorni: il 12 novembre, quando Achille Occhetto, alla Bolognina, disse che il Pci andava sciolto; il 14, quando ce lo comunicò ufficialmente alla traumatica riunione della direzione del partito di cui, dopo che il Pdup era confluito nel Pci, ero entrata a far parte. Così imponendoci – a tutti – la vergogna di passare per chi sarebbe stato comunista perché si identificava con l’Unione sovietica e le orribili democrazie popolari che essa aveva creato.
Non c’era bisogno della caduta del muro per convincersi che quello non era più da tempo il modello dell’altro mondo possibile che volevamo, non solo per noi che avevamo dato vita al Manifesto, ovviamente, ma nemmeno più per la stragrande maggioranza degli iscritti al Pci e dei suoi elettori. Ma non si trattava soltanto della sinistra italiana, il mutamento che segnò l’89 ha avuto portata assai più vasta: è in quell’anno che si può datare la vittoria a livello mondiale di questa globalizzazione che tuttora viviamo, accelerata dalla conquista al dominio assoluto del mercato di quel pezzo di mondo che pur non essendo riuscito a fare il socialismo gli era tuttavia rimasto estraneo.
Ci fu, certo, liberazione da regimi diventati oppressivi, ma solo in piccola parte perché non aveva vinto un largo moto animato da un positivo disegno di cambiamento: c’era stata, piuttosto, la brutale riconquista da parte di un Occidente che proprio in quegli anni, con Reagan, Thatcher, Kohl, aveva avviato una drammatica svolta reazionaria.
Al dissolversi del vecchio sistema si fece strada, arrogante e pervasivo, il capitalismo più selvaggio, sradicando valori e aggregazioni nella società civile, lasciando sul terreno solo ripiegamento individuale, egoismi, corruzione, violenza. Il coraggioso tentativo di Gorbaciov non era riuscito, il suo partito, e la società in cui aveva regnato, erano ormai decotte e rimasero passive. E così il paese anziché democratizzarsi divenne preda di un furto storico colossale, ci fu un vero collasso che privò i cittadini dei vantaggi del brutto socialismo che avevano vissuto senza che potessero godere di quelli di cui il capitalismo avrebbe dovuto essere portatore. (A proposito di democrazia: chissà perché nessuno, mai, ricorda che solo tre anni dopo Boris Eltsin, che aveva liquidato Gorbaciov, arrivò a bombardare il suo stesso Parlamento colpevole di non approvare le sue proposte?). Come scrisse Eric Hobsbawm nel ventesimo anniversario del crollo, “il socialismo era fallito, ma il capitalismo si avviava alla bancarotta”.
Avrebbe potuto andare diversamente?
La storia, si sa, non si fa con i se, ma riflettere sul passato si può e si deve ( e purtroppo non lo si è fatto che in minima parte). E allora è lecito dire che c’erano altri possibili scenari e che se la storia ha preso un’altra strada non è perché il “destino è cinico e baro”, ma perché a quell’appuntamento di Berlino si è giunti quando si era già consumata una storica sconfitta della sinistra a livello mondiale. L’89 è una data che ci ricorda anche questo.
Le responsabilità sono molteplici. Perché se è vero che il campo sovietico non era più riformabile e che una rottura era dunque indispensabile, altro sarebbe stato se i partiti comunisti , in Italia e altrove, avessero avanzato una critica aperta e complessiva di quell’esperienza già vent’anni prima, invece di limitarsi – come avvenne nel ’68 in occasione dell’invasione di Praga – a parlare solo di errori. In quegli anni i rapporti di forza stavano infatti positivamente cambiando in tutti i continenti ed era ancora ipotizzabile una uscita da sinistra dall’esperienza sovietica, non la capitolazione al vecchio che invece c’è stata. E così nell’89, anziché avviare finalmente una vera riflessione critica, si scelse l’abiura, che avallò l’idea che era il socialismo che proprio non si poteva fare.
Gorbaciov restò così senza interlocutori per portare avanti il tentativo di dar almeno vita, una volta spezzata la cortina di ferro, a una diversa Europa. Un’ipotesi che aveva perseguito con tenacia, offrendo più volte lui stesso alla Germania la riunificazione in cambio della neutralizzazione e denuclearizzazione del paese. Fu l’Occidente a rifiutare. Mancò all’appello, quando unilateralmente il presidente sovietico diede via libera all’abbattimento della cortina di ferro, il più grande partito comunista d’occidente, quello italiano, frettolosamente approdato all’atlantismo e impegnato ad accantonare, quasi con irrisione, il tentativo di una “terza via” fondata su uno scioglimento dei due blocchi avanzata da Berlinguer alla vigilia della sua morte improvvisa. E mancò la socialdemocrazia, che aveva in quell’ultimo decennio marginalizzato gli uomini che pure si erano con lungimiranza battuti per una diversa opzione: Brandt, Palme, Foot, Kreiski. È così che l’89 ci ha consegnato un’altra sconfitta, quella dell’Europa. Che perse l’occasione di costruirsi finalmente un ruolo e una soggettività autonome, quella “Casa comune europea” che Gorbaciov aveva sostenuto e indicato, e che trovò solo un simpatizzante – ma debolissimo – in Jaques Delors, allora presidente della Commissione europea. Nell’89 l’Unione Europea avrebbe finalmente potuto coronare l’ambizione di liberarsi dalla sudditanza americana che l’esistenza dell’altro blocco militare aveva facilitato, e invece si ritrasse quasi spaventata. Avviandosi negli anni successivi lungo la disastrosa strada indicata dalla Nato: ricondurre al vassallaggio le ex democrazie popolari per poter estendere i propri confini militari fino a ridosso della Russia.
Non andò molto meglio neppure in Germania. Anche qui ci fu certo la grande gioia della riunificazione del paese che aveva vissuto la dolorosissima ferita della divisione, ma anche qui, più che di un nuovo inizio, si trattò di una annessione condotta secondo le regole di un brutale vincitore. A 25 anni di distanza la disuguaglianza fra cittadini tedeschi dell’ovest e dell’est è più profonda di quella fra nord e sud d’Italia, perché la “Treuhand” incaricata di privatizzare quanto era pubblico nell’economia della RDT preferì azzerare le imprese per lasciar il campo libero alla conquista di quelle della RFT. Cinque anni fa nel commemorare il crollo del muro il settimanale Spiegel rese noti i risultati di un sondaggio: il 57% degli abitanti della ex Germania dell’est – che dio solo sa quanto era brutta – ne avevano nostalgia. Oggi probabilmente quella che viene chiamata “Ostalgie” è cresciuta. (Fra i miei ricordi c’è anche una cena con Willi Brandt non molto tempo prima della sua scomparsa: tornava da un giro ad est in occasione della prima campagna elettorale del paese riunificato ed era desolato per come la riunificazione era stata condotta. La Spd non aveva del resto nascosto, sin dall’inizio, la sua contrarietà a come era stato avviato il processo).
Per tutte queste ragioni non condivido la spensierata (agiografica) festosità che accompagna, anche a sinistra, la celebrazione del crollo del Muro. Soprattutto perché – e questa è forse la cosa più grave – l’89 è anche il tempo in cui per milioni di persone prende fine la speranza – e persino la voglia – di cambiare il mondo, quasi che il socialismo sovietico fosse stato il solo modello praticabile. E via via è finita per passare anche l’idea che tutto il secolo impegnato a costruirlo anche da noi era stata vana perdita di tempo. Un colpo durissimo inferto alla coscienza e alla memoria collettiva, alla soggettività di donne e uomini che per questo avevano lottato. E nessuno sforzo per riflettere criticamente su cosa era accaduto per trarre forza in vista di un più adeguato nuovo progetto. Non è un caso che anche i posteriori tentativi di dar vita a nuovi partiti di sinistra abbiano prodotto formazioni tanto impasticciate: perché incapaci di fare davvero i conti con la storia. E perciò qualche ristagno ideologico o la resa a un pensiero unico che indica il capitalismo come solo orizzonte della storia.
Nel dire queste parole amare rischio come sempre di fare la nonna noiosa che continua a rimuginare sul passato senza guardare al presente. So bene che ci sono oggi nuovi movimenti animati da generazioni nate ben dopo la famosa storia del Muro che si propongono a loro modo di inventarsi un mondo diverso. Ma non mi rassegno a subire senza reagire il disinteresse che avverto in tanti di loro per il nostro passato, non perché vorrei ci assolvessero dai nostri errori, ma perché non sono convinta si possa andar lontano se non si ha rispetto storico per quanto di eroico e coraggioso, e non solo di tragico, c’è stato nei grandi tentativi, pur sconfitti, del ‘900; se non si avverte quanto misera sia l’enfasi posta oggi su un’idea di libertà – quella ufficialmente celebrata in questo venticinquennale del Muro – così meschina da apparire arretrata persino rispetto alla rivoluzione francese dove almeno era stato aggiunto uguaglianza e fraternità, ormai considerati obiettivi puerili e controproducenti: il mercato, infatti, non li può sopportare.
Non ho molta credibilità nel proporre la creazione di partiti, l’ho fatto troppe volte nella mia vita e non con straordinario successo. E tuttavia ora ne vorrei davvero fare uno: il partito dei nonni. Non perché insegnino ai giovani cosa devono fare, per carità, ma perché vorrei che almeno due generazioni uscissero dal mutismo in cui hanno finito per rinchiudersi, intimiditi da rottamatori di destra e di sinistra. Vorrei che riprendessero la parola, riacquistassero soggettività: per dire che sulla storia di prima del crollo del muro vale la pena di riflettere, perché si tratta di una storia piena di ombre, ma anche di esperienze straordinarie ( a cominciare dalla rivoluzione d’ottobre di cui giustamente Berlinguer disse che aveva perso la sua spinta propulsiva, non che era meglio non farla). Buttare tutto nel cestino significa incenerire ogni velleità di cambiamento, di futuro.
Per finire: da quando è caduto il muro di Berlino ne sono stati eretti altri mille, materiali (Messico/ Usa; Israele/Palestina, Pakistan/ India …..ultimo Ucraina/Russia) e non (vedi la disuguaglianza globale e i muri europei “a mare” nel Mediterraneo e di terra a Melilla, contro i migranti). Non proprio una festa.

sabato 8 novembre 2014

Contorsionismi

Non ho voglia di leggermi lo "Studio post-elettorale EE 2014". Mi basta la tavola che riporta i risultati del sondaggio sull'UE relativi a una singola domanda: "In generale, Lei penZa che per il (NOSTRO PAESE) far parte dell'Unione Europea sia...?"

In blu la media delle risposte in tutta l'UE, in giallo le risposte degli italiani.

Un commento? Ma è facile! Noi italiani abbiamo capito come stanno realmente le cose, e prima degli altri!

Guardate che non siamo diventati la quinta economia del mondo (dopo una guerra disastrosa) "a botta de culo"! Guardate che non è un caso se le cose più importanti nella storia dell'occidente degli ultimi 25 secoli siano accadute in gran parte in Italia! Lo dico sempre: l'Italia è la Juve (o il Real Madrid, se preferite) nel campionato della civiltà occidentale.

Un giochino per farvelo capire: immaginate di partire dal 500 a.c., e di dover decidere in quale luogo dell'occidente sia stato vinto il campionato secolare della civiltà. Ovvero, secolo dopo secolo, quale luogo sia stato il centro della storia dell'occidente (inteso come Europa + America).

Secondo me è andata così (voi pensateci e fatemi sapere):


A.C.

500, 400 Grecia
300, 200, 100, anno zero Italia

D.C.

100, 200, 300, 400, 500 Italia
600 Turchia (occidente? mah...)
700 Spagna
800 Francia
900, 1000 Germania
1100, 1200, 1300, 1400, 1500 Italia
1600 Spagna
1700 Francia
1800 Inghilterra
1900 Stati Uniti

Ora ditemi: un posto dove il torneo secolare della civiltà è stato vinto per 14 volte su 25, secondo voi è un luogo secondario?

E allora, se è ovvio ed evidente che questo paese non è propriamente un luogo periferico e marginale della storia dell'occidente, com'è che oggi dobbiamo prendere ordini dagli olandesi? Vedete gli olandesi, voi, nella classifica qui sopra? Io no, non li vedo proprio. Ci stanno i tedeschi (2 volte), i francesi (1 volta), gli spagnoli (2 volte), perfino i turchi (1 volta), ma gli olandesi no; e neppure i lettoni, o i polacchi, o i lituani.

Però.... olandesi, e lettoni, e lituani, e polacchi... ci dicono che:


Noi facciamo schifo!

Facciamo talmente schifo da non avere fiducia nell'UE! (PenZa te)!!!!!!!!!!!!!!!!

Ma è proprio perché non hanno fiducia nell'UE che coloro che hanno avuto in sorte di nascere in questo luogo magico e incantato che è l'Italia (dove sono stati vinti più della metà dei campionati secolari della civiltà) hanno capito, prima degli altri, che l'UE è una fregatura!

Questo sondaggio, che ci vede in testa nella classifica degli euroscettici, dimostra una volta di più che in questo luogo magico e incantato chiamato Italia ci abitano persone intelligenti. Che hanno "capito" la truffa, e cominciano ad essere lievemente incazzate.

Ma anche i potenti che incombono su questo luogo meraviglioso e incantato (dove sono stati vinti più della metà dei campionati secolari della civiltà) non sono da meno, perché per ingannare e sottomettere un popolo civile e intelligente bisogna pur avere qualche talento! La partita, come sempre, conosce fasi alterne, perché questo, amici miei, è l'ombelico del mondo.

Godiamoci lo spettacolo degli ultimi contorsionismi di coloro che, immaginando di sottomettere l'Italia, hanno sognato di  dominare il mondo.