domenica 9 novembre 2014

Prendiamo il buono che c'è (1)

5 commenti:

  1. Ciao Fiorenzo, scusa se mi rivolgo a te ma avrei bisogno di alcune delucidazioni sulla Produttività.
    Spero che da ingegnere saprai rispondere ad un perito meccanico. :-)
    Questa, la produttività di una nazione si misura in PIL/ore lavorate.
    Presumo che per un'azienda la produttività sia Fatturato/ore lavorate,vero o falso?
    Presumo che sia vero e proseguo nel mio ragionamento e prendo spunto dalla mia vita lavorativa.
    Ora ipotizziamo che un'azienda che produce macchine tessili o macchine per il legno, abbia un fatturato di 100 milioni di euro all'anno e le ore lavorate siano 200.000.
    Produttività= 100.000.000/200.000= 50.
    L'azienda è così strutturata: Ufficio tecnico, ufficio, amministrativo-contabile, ufficio commerciale. L'apparato produttivo è così composto: Reparto Carpenteria, reparto Verniciatura, reparto Macchine Utensili, reparto Aggiustaggio, e reparto di Montaggio.
    Ora la domanda è questa: se l'azienda in oggetto esternalizza il reparto Carpenteria e il reparto Macchine utensili, facendo fare il lavoro ad aziende che producono per conto terzi, il fatturato dell'azienda rimane lo stesso 100 milioni, ma le ore lavorate all'interno dell'azienda scendono di moltissimo, ipotizziamo da 200.000 a 50.000 e se fosse così la produttività dell'azienda salirebbe da 50 a 200.
    Forse allora si spiegherebbe perchè le aziende grandi hanno una produttività di gran lunga superiore alle aziende piccole. Io non conosco i modelli econometrici, ma dalla mia esperienza di lavoro manuale nelle officine, sai quella che ti fai i calli nelle mani, ho visto piccole aziende meccaniche ( il miracolo del nordest) ubicate in ex stalle, sai dove d'inverno muori dal freddo e all'estate muori dal caldo, che avevano investimenti in macchinari da far paura e dentro lavoravi come un mulo da soma, e se mangiavi il panino lo facevi con le mani unte da grasso, perchè non avevi il tempo di lavartele. I lavoratori se potevano, a parità di stipendio, andavano nelle aziende medio grande, perchè lì lavoravano meno, questa è la mia esperienza REALE. Insomma io che ho lavorato sia in piccole aziende che in medie aziende, sia da lavoratore che da titolare di piccola impresa, ho avuto la percezione che la produttività fosse di gran lunga superiore nelle piccole aziende rispetto a quelle più grandi.
    A questo punto ti chiederai il motivo per cui ti ho esternato tutto questo. Ieri in Streaming da Pescara ho sentito un valente Accademico, con i titoli lunghi che ha lavorato per 10 anni in Banca d'Italia, sostenere che una delle cause della bassa produttività del paese è da imputare al nanismo delle nostre imprese. Dai suoi modelli econometrici risulta che le piccole imprese hanno una bassissima produttività rispetto a quelle grandi. Dalla mia esperienza sul campo di battaglia mi risulta il contrario, però il noto economista invitava anche il pubblico a diffidare delle proprie intuizioni, tradotto diffida della tua esperianza reale che è più distorsiva di un modello econometrico, perchè quella forse è la realtà vera.
    Ora se le mie domande avranno una risposta positiva forse sarebbe il caso di aprire una discussione su questi accademici. L'altra nota di colore è che erano molto preoccupati per il debito pubblico in mano estera, che in caso di uscita dell'Italia dall'euro dovrà essere rimborsato in euro e non con la nuova valuta. Qui stendiamo un velo pietoso, peccato che non si siano mai posti il problema contrario. Quando gli investitori esteri hanno comprato i titoli di Sato Italiani in lire, non se li sono poi ritrovati rivalutati di un buon 20% quando è stato fissato il cambio per entrare nell'Euro? Non hanno avuto questi investitori esteri un indebito guadagno? Ma hai mai sentito un accademico porre questo problema? No il problema e se glieli devi restituire con la moneta che si è svalutata. Antiitaliani per antonomasia.
    Grazie in anticipo per l'eventuale risposta.

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  2. Sì, la poduttività può essere espressa come rapporto tra ciò che si produce (ouput) e la quantità di uno o più fattori necessari a produrlo. Tra questi fattori vi è il lavoro.

    Ora se un'azienda esternalizza una parte del processo produttivo da un lato riduce la quantità di lavoro che le serve per produrre il suo output, MA aumenta la quantità di qualche altro input. Ad esempio, se l'azienda esternalizza il reparto carpenteria, ciò significa che quello che prima produceva in proprio ora dovrà comprarlo.

    La scelta se esternalizzare o meno passa dunque per valutazioni di costo (quanto costa esternalizzare rispetto a produrre in proprio), come pure di potere aziendale. Mi spiego con una domanda retorica: è più facile controllare un'azienda con 500 dipendenti che ti fanno un fatturato di 500 mln, o un'azienda con 50 dipendenti che ti fanno lo stesso fatturato perché si limitano ad assemblare ciò che viene prodotto all'esterno?

    Esternalizzare conviene perché, in genere, riduci i costi delocalizzando le lavorazioni più semplici, e anche perché una volta che hai da gestire direttamente un numero inferiore di lavoratori puoi chiudere senza che si scateni un terremoto sociale, e poi vai a riaprire dove ti conviene di più. Cioè dove il lavoro è più servile e meno pagato. Tutto ciò è facilitato se operi in regime di libera circolazione.

    Veniamo alla questione del nanismo. Immagino che tu stia parlando di Boldrin. Ebbene, è certamente vero che un'impresa grande è in genere più produttiva di un'impresa piccola, ma forse il confronto dovrebbe essere spostato tra grande impresa e distretto industriale. Ora cos'è un distretto industriale? E' una realtà produttiva diffusa su un territorio, che spesso si sviluppa spontaneamente per effetto delle opportunità presenti e dell'indole delle popolazioni locali, la cui produttività complessiva è spesso maggiore di una grande impresa. Il problema, casomai, è che per le grandi imprese con grandi capitali (in prevalenza del nord Europa) i distretti industriali (in prevalenza italiani) sono pericolosi concorrenti, da eliminare. Sai una cosa? Ci sono riusciti!

    Concludo con la tua osservazione sul debito estero: c'hai ragione. Ma forse quelli che ti appaiono come anti-italiani, in realtà sono solo i commercialisti di quelli che hanno investito i loro soldi in attività finanziarie. Ah certo, hanno la livrea da prof universitari, ma sono i commercialisti dei ricchi.

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  3. Credo che l'autoproclamato accademico sia Francesco Lippi, non Boldrin(k).

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  4. Grazie della correzione. Sto cominciando a guardare in differita qualche pezzo dei filmati, ma ho fatto in tempo a gustarmi in diretta una battuta bellissima di Illo. A Boldrin che gliela menava con la storia che chi vuole uscire dall'euro sarebbe un nostalgico del "piccolo mondo antico", Illo ha risposto prontamente "Mi hanno dato del cazzaro, ma mai del fogazzaro". Sul piano comunicativo la partita è finita lì. Su quello dei contenuti non avrebbe nemmeno dovuto cominciare: a Illo piace vincere facile.

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  5. Premetto che mi ritengo meno qualificato di Mauro Gosmin in fatto di economia. Inoltre, risiedendo a 10 mila km di distanza, faccio finta di osservare l’Italia come il Micromega di Voltaire guardava il mondo da Venere.
    Certo, la produttività aumenta privatizzando ed esternalizzando. Infatti, qui nella patria del turbo-capitalismo c’è pressione continua e battente a privatizzare tutto.
    Il cittadino medio si chiede, “...Ma il servizio prima pubblico ed ora privatizzato, qualcuno dovrà pur pagarlo... E se a pagare il servizio privatizzato e’ lo stato e se lo stato paga con le mie tasse dov’è il vantaggio?”
    Come ben sappiamo il vantaggio è che il “privato” può fare essenzialmente quello che vuole, al di fuori delle regole (in pratica), anche se (in teoria), le regole ci sono. Adottando all’ingrosso il new-speak di Orwell, la mancanza di regole va sotto il nome di “flessibilità”.
    In pratica ne nasce uno squilibrio di compensazione, per cui chi lavora produce di piu’ perchè e’ pagato di meno – e i profitti servono, a parte i guadagni stratosferici di pochi, a “lobbizzare” congresso e senato per “privatizzare” ancora di piu’.
    Qui, parlando dal ventre della biblica balena, la privatizzazione e’ l’11mo comandamento. Per esempio, privatizzando le prigioni, ne è nata una fiorente e altrettanto orwelliana “industria della custodia”. Da cui ne segue che piu’ gente in galera, meglio è. Un clochard che vive sotto il ponte frutta niente, ma in galera produce un profitto di almeno $45,000 annui all’industria della custodia.
    Il 75% dello spionaggio della NSA è condotto da aziende private (vedi il caso Snowden). I mercenari (in orwelliano “contractors”), costituiscono una notevole frazione dell’armamentario yankee. Quindi piu’ guerre ci sono meglio è.
    Stesso per l’educazione con l’erculea spinta dei lobbies a privatizzare. Con il risultato di centinaia di “scuole” private che promettono carriere impossibili. L’ingenuo studentello ottiene prestito dal governo, che va direttamente nelle tasche delle scuole private. E alla fine lo studente si trova senza lavoro, senza carriera e con un debito da ripagare al governo senza perdoni e senza remore.
    Per non parlare della sanità, che ci sarebbe da scrivere un romanzo manzoniano.
    I casi si contano a migliaia. Ma nel caso delle banche, quando i crimini raggiungono il livello di miliardi o trilioni di dollari, sorpassano la soglia (ufficiosa, ma è come fosse ufficiale) oltre la quale il criminale diventa immune dai tentacoli della giustizia.
    Il disoccupato ed emarginato giovane di colore, ruba (non comprovato) un cigarillo e viene inseguito e freddato dalla polizia (vedi Ferguson) e lasciato per quattro ore sull’asfalto. Ma il direttore della banca (JP Morgan, per citare un esempio) che ha truffato per centinaia di miliardi i pension funds di migliaia di lavoratori, si vede aumentato lo stipendio del 75%.
    O tempora....o (comunque volete chiamarli).
    Sempre a proposito di aumento di “produttività”, chi e’ interessato può leggersi il seguente articolo pseudonimizzato,
    http://www.rischiocalcolato.it/2012/02/harry-and-david-anche-le-pere-si-fanno-fallire.html
    Mentre chi vuole seguire qualche altro episodio socio-storico della “home of the brave, land of the free” può visitare il seguente sito
    www.yourdailyshakespeare.com
    che viene aggiornato con ragionevole regolarità.

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