martedì 2 dicembre 2014

Quelli che "il problema non è l'euro"

Questo è un post inutile perché a quelli che dicono "il problema non è l'euro" ha già risposto il Governatore della BCE Mario Draghi, qualche giorno fa, quando ha ricordato che "in seno all'Ue dobbiamo stare attenti a non lasciare che i salari e i prezzi deviino".

Questa affermazione, che oggi mi dice tante cose, appena qualche anno fa sarebbe stata per me incomprensibile. Come penso lo sia, tuttora, per tantissime ottime e brave persone vittime della propaganda eurista. Spesso queste ottime e brave persone vengono da un lungo impegno a sinistra, e magari rivendicano con orgoglio il fatto di essere stati contrari al trattato di Maastricht. E' il caso, ad esempio, del mio caro amico Maurizio Federico (MF nel seguito), che oggi è uno stimato storico e giornalista della città di Frosinone ma, in passato, è stato assessore regionale all'agricoltura per il PRC nonché membro del Comitato Centrale di quel partito. Ecco, questo post è pensato soprattutto per le persone come Maurizio e lo scriverò come se volessi spiegare a lui, che pure conosce tante cose che io non so, il funzionamento della moneta unica.

Il processo di liberalizzazione dei mercati dei capitali, avviato con l'atto unico del 1986, giunse a compimento nel marzo del 1990 con l'accoglimento da parte italiana delle direttive del Consiglio Europeo. Dal sito www.europarl.europa.eu (grassetto aggiunto):

«Fra tutte le libertà sancite dai trattati, la libera circolazione dei capitali, oltre a essere quella di più recente introduzione, è anche la più ampia in virtù della sua peculiare dimensione extra UE. Inizialmente i trattati non prevedevano la piena liberalizzazione dei movimenti di capitali; gli Stati membri dovevano eliminare le restrizioni limitandosi a quanto necessario ai fini del funzionamento del mercato comune. Tuttavia, in un mutato contesto economico e politico a livello europeo e mondiale, nel 1998 il Consiglio europeo ha confermato la progressiva realizzazione dell'Unione economica e monetaria (UEM). Un simile obiettivo presupponeva un maggior coordinamento delle politiche economiche e monetarie nazionali. Con la prima fase dell'UEM si è quindi raggiunta la piena liberalizzazione delle operazioni su capitali, inizialmente istituita mediante una direttiva del Consiglio e in seguito sancita dal trattato di Maastricht, il quale ha vietato tutte le restrizioni ai movimenti di capitali e sui pagamenti, sia tra gli Stati membri che tra questi ultimi e i paesi terzi. Il principio aveva efficacia diretta e quindi non ha richiesto ulteriori interventi normativi né su scala UE né a livello di Stati membri.»

Dunque tra la fine degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 del secolo scorso si decise di modificare in profondità la natura del mercato comune così come esso era stato disegnato dagli accordi di Roma del 1957 ("Inizialmente i trattati non prevedevano la piena liberalizzazione dei movimenti di capitali"). Il trattato di Maastricht del 1992 non fece altro che sancire quanto già deciso a livello comunitario, senza ulteriori passaggi normativi a livello nazionale ("Il principio aveva efficacia diretta e quindi non ha richiesto ulteriori interventi normativi né su scala UE né a livello di Stati membri").

Rifondazione Comunista, come ama spesso ricordare MF, votò contro l'approvazione del trattato di Maastricht. Da ciò egli deduce che RC ha fatto la sua parte e che il problema, dunque, è tutto e solo nel trattato di Maastricht, mentre la moneta unica altro non sarebbe che un corollario di secondaria importanza. Un errore che non è del solo MF, ma che è stato riconosciuto anche da Vladimiro Giacchè (22 novembre 2014 - La sinistra e la trappola dell'euro) nel suo intervento, del quale riporto il frammento iniziale:


L'ottimo Giacchè ha alla sua destra Leonardo Mazzei (Sinistra contro l'euro), al quale riconosce di aver ben compreso, prima di lui, la natura dell'euro, e alla sua sinistra Paolo Ferrero. Quest'ultimo, al pari di MF e di tanti altri compagni, continua a sottostimare il ruolo disfunzionale della moneta unica nella crisi che sta impoverendo tutti i lavoratori europei (compresi i tedeschi) e a ritenere che il problema sia tutto e solo nei trattati europei.

E' sempre Giacchè, nel suo intervento, che centra il cuore del problema dell'euro. Ecco il frammento:


Vladimiro Giacchè esprime lo stesso concetto ribadito da Mario Draghi ("in seno all'Ue dobbiamo stare attenti a non lasciare che i salari e i prezzi deviino"), ma lo fa da un'angolatura diversa, quella del livello di disoccupazione compatibile: "In Italia oggi la disoccupazione normale (di equilibrio n.d.r.)", quella che... è il 10,8%, in Spagna è il 20%, ogni Stato... se questi due Stati provano a tirare la disoccupazione al di sotto di questa soglia sforano automaticamente i criteri; voi capite che siamo in un regno surreale, una gabbia di matti da cui da cui prima si esce meglio è!".

Ma perché non si può far scendere la disoccupazione? Perché se la disoccupazione scende i salari cominciano ad aumentare, quindi salgono i prezzi e riparte l'inflazione. Lo ha detto Mario Draghi: "in seno all'Ue dobbiamo stare attenti a non lasciare che i salari e i prezzi deviino".

Ora, quando in un'unione monetaria priva di una fiscalità comune e con libera circolazione dei capitali i diversi paesi che la compongono hanno inflazioni diverse, accade che i paesi a inflazione più alta diventano importatori netti di merci e quelli a inflazione più bassa esportatori netti. A lungo andare ciò crea squilibri nella bilancia commerciale, che a un certo punto i capitali privati smettono di finanziare. Si arriva così alla crisi, che in Europa ha avuto inizio nel 2008. L'unica soluzione per uscirne, mantenendo in vigore sia la moneta unica che la libera circolazione dei capitali, è quella di deprimere le importazioni dei paesi debitori tenendo sotto controllo, o addirittura riducendo, i salari. In Italia il livello di disoccupazione necessario a non far aumentare l'inflazione oltre il limite che farebbe riemergere gli squilibri è del 10,8%.

A ciò si aggiunga che il livello di inflazione necessario per essere in equilibrio con un paese come la Germania (che ha un tasso di inflazione del 1,2%, inferiore perfino al 2% stabilito dai trattati) è così basso da correre il rischio di innescare una spirale deflazionistica.

Quelli sinteticamente esposti sono i dati, per così dire, tecnici. Con i quali MF, e tanti come lui, probabilmente non è a suo agio. Proviamo allora a vedere le cose sotto una diversa angolatura. E' vero che il trattato di Maastricht è del 1992, ma in effetti la libera circolazione dei capitali è in vigore, in tutta Europa, dalla metà degli anni '80 del secolo scorso (in Italia dal marzo 1990). Ebbene, seppure in vigore, la libera circolazione dei capitali, che comunque non ha certo avvantaggiato i lavoratori, in 18 anni (dal 1990 al 2008) non ha generato una crisi catastrofica. Questa, invece, si è palesata nel 2008, ad appena 9 anni dall'introduzione della moneta unica (e 7 anni dopo che questa era arrivata nelle tasche degli italiani).

Una crisi, è bene ricordarlo, favorita e accelerata dalla politica salariale del governo tedesco, che ha costantemente diminuito i salari reali dei suoi lavoratori.

Davanti a questi clamorosi dati di fatto, come si fa a sostenere che il problema sono solo i trattati, e non anche la moneta unica?

Certo, in linea di principio la posizione di MF (e di Paolo Ferrero) per cui vanno denunciati i trattati non è sbagliata. Per altro da ciò deriverebbe, per conseguenza euclidea, anche la fine dell'euro!

Certo, se si uscisse dall'euro non è detto che i trattati che sanciscono la libera circolazione verrebbero automaticamente denunciati. La differenza tra un'uscita da destra e un'uscita da sinistra sta tutta qui. E tuttavia la fine dell'euro aprirebbe una prospettiva in tal senso, oltre ad eliminare un meccanismo monetario che si è dimostrato ben più catastrofico della sola libera circolazione. Al contrario restare nell'euro, continuando ad invocare una riforma dei trattati, in primis l'adozione di una fiscalità comune grazie alla quale i deficit dei paesi meno produttivi sarebbero compensati dai surplus di quelli più competitivi, è una strategia che, dopo sette anni di crisi, non è più minimamente credibile.

Nel frattempo, coerentemente con la richiesta di Mario Draghi ("in seno all'Ue dobbiamo stare attenti a non lasciare che i salari e i prezzi deviino") il bomba procede spedito verso la riforma del mercato del lavoro. Il cui esito, è bene precisarlo, sarà una diminuzione dei salari reali, sia dei neo assunti (da subito) che di tutti gli altri lavoratori, pensionati compresi. Il tutto mentre, attraverso le peggiori diavolerie fiscali e finanziarie, si farà di tutto per riportare l'inflazione media nell'eurozona almeno al 2%. Viene da pensare che, forse, la temuta uscita da destra dall'euro sia il male minore rispetto al restare in un'unione monetaria così di destra!

L'uscita dall'euro deve diventare una battaglia di sinistra


Una premessa:  non me la voglio menare con la dicotomia destra/sinistra. Quando dico che deve diventare una battaglia di sinistra mi riferisco al fatto che deve essere fatta propria da tutti gli italiani che si sentono, a torto o a ragione, di sinistra, anche quando ciò significa che sono dei piddini. Ciò è necessario per evitare che essa diventi il cavallo di battaglia solo di una parte degli italiani, quelli che votano a destra o, peggio mi sento, per la Lega di Salvini. Insomma, l'uscita dall'euro deve diventare una battaglia di tutti.

Se una battaglia è di tutti allora non è né di destra né di sinistra: è di tutti e basta. E poiché l'euro non è tutto (ci sono anche i trattati), ecco che se tutti volessero uscire dall'euro la dicotomia destra/sinistra si sposterebbe su un altro livello, meno demenziale di questo. E' questo il senso dell'appello a far diventare l'uscita dall'euro una battaglia di sinistra, visto che a destra ciò sta già accadendo senza però che si faccia alcun cenno ai trattati che sanciscono la libera circolazione dei capitali. Il rischio, enorme, è quello di restare troppo a lungo nella trappola dell'euro mentre milioni di italiani si impoveriscono nella sua inutile difesa, con il risultato che quando questo salterà, perché salterà, la cosiddetta sinistra non avrà più alcuna voce in capitolo per condurre la battaglia principale, quella di ricusazione dei trattati europei.

In tutto questo marasma, nel quale è difficile orientarsi, resta da prendere atto di un dato di fondamentale importanza: esiste una piccola frazione della sinistra, Sinistra contro l'euro, che prima di tutti ha individuato nell'euro, oltre che nei trattati, un nemico da combattere. Il pubblico ed esplicito riconoscimento di Vladimiro Giacchè dovrebbe indurre molti a riflettere.

E si rifletta anche sul fatto che tutta, ma proprio tutta la battaglia contro l'euro e l'UE, ha avuto inizio in questo paese a partire da un convegno organizzato a Chianciano il 22/23 ottobre 2011 dal titolo "Fuori dall'euro fuori dal debito!" [chiedo scusa per la pubblicità inserita nel vecchio sito da un haker e che non riesco a togliere - n.d.r.]. A quel convegno c'erano, tra gli altri, Leonardo Mazzei e Moreno Pasquinelli (Sinistra contro l'euro), Stefano D'Andrea (ARS), Alberto Bagnai (Goofynomics), Sergio Cesaratto, Ernesto Screpanti, Marino Badiale (Il Main-Stream), Piero Pagliani, Marco Rizzo, Fernando Rossi.

E naturalmente il vostro umile reporter.

2 commenti:

  1. Secondo me, quando MF & co.dicono che il problema dell'€ è marginale rispetto a quello dei trattati, intendono dire che se l'europa fosse quella che loro immaginano (una A.V.O.), l'€ non sarebbe ciò che è in base all'odierno assetto politico e ordinamentale dell'U.E.

    In altri termini, poichè la sinistra di derivazione marxista ha una istintuale idiosincrasia "a prescindere" verso tutto ciò che è "nazionale" (come lo è necessariamente il sovranismo), i suoi esponenti e militanti (anche se non lo dicono nei convegni sovranisti) avvertono una pavloviana repulsione per tutto ciò che implica la dimensione nazionale, in primis (ed emblematicamente) per la prospettiva che si ritorni ad una moneta domestica.

    Credo che al di là di questo non vi sia molto di più alla base dell' atteggiamento di sottovalutazione dell'importanza della moneta unica rispetto a quella dei trattati.



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    1. secondo me Demetrio ha colto un aspetto da non sottovalutare, la politica è in buona parte fatta di emotività, irrazionalità, attaccamento a bandiere e slogan (e sappiamo quanta retorica da mulino bianco è stata fatta sull'euro per trascinare i topolini europei verso l'abisso). Probabilmente è per questo che il sovranismo attacca meglio a destra. Forse bisogna modificare qualcosa nel linguaggio, sbattere in faccia la parola sovranismo a un attivista di PRC in effetti non è il modo migliore di approcciarlo.

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