giovedì 1 gennaio 2015

L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro

L'incontro tra alcune forze sovraniste e l'on. Luca Frusone del m5s, organizzato dalle Brigate Sovraniste per la Costituzione (qui tutti i video), è stato molto interessante e, a tratti, intenso. Sebbene il termine "intenso" non sia, forse, il modo più preciso di descrivere la bagarre scatenatasi verso la fine di una fase del dibattito, in cui si è discusso di occupazione, salario di cittadinanza e reddito minimo garantito.

I video di riferimento sono il IX e seguenti, fino al XIII (i più topici sono proprio il IX e il XIII).

I fatti stilizzati


Prendendo la parola ho chiesto all'on. Frusone chiarimenti sulla base valoriale del m5s. Frusone (giustamente) non capisce dove voglio andare a parare, ragion per cui al minuto 3'38'' lo interrompo citandogli il primo capoverso del primo articolo della Costituzione italiana ("L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro."). Ne nasce una discussione nella quale interviene anche un giovane amico, Fabrizio e, successivamente, Moreno Pasquinelli. In sintesi (come lo stesso Fabrizio sottolinea), io sostengo la tesi secondo cui il primo articolo della Costituzione deve essere inteso come un principio di politica economica (Keynesianism is Statism!). Questa lettura non veniva condivisa da Frusone e Pasquinelli, entrambi i quali si lanciavano (video dal X al XII) in una discussione sugli aspetti positivi e l'opportunità di forme di sussidio al reddito, nonché su altre questioni.

Dopo una mezz'oretta l'amico Fabrizio, che nel frattempo era uscito a discutere con alcuni dei presenti, rientrando in stato di evidente agitazione interveniva nel dibattito chiedendo a Pasquinelli chiarimenti sul significato dell'espressione "uscita da sinistra". Ne seguiva una fase concitata, causata anche dalla mia brusca richiesta all'amico Fabrizio di non eccedere nella pretesa di accentrare il dibattito su temi da lui stesso proposti e che gli stanno più a cuore. Una modo di fare, questo, che purtroppo caratterizza troppo spesso il suo modo di confrontarsi in pubblico, che io conosco bene; e che in questa circostanza, forse sbagliando, ho inteso reprimere con decisione.

Purtroppo Fabrizio, quando si scalda, tende veramente ad esagerare e, anche in questa circostanza, non si è smentito. Tutti noi che lo conosciamo alla fine lo perdoniamo, proprio perché sappiamo distinguere le sue vere opinioni, e soprattutto i suoi sentimenti, dalle bordate polemiche che gli fuoriescono dalle viscere quando si arrabbia.

In questo post voglio esaminare il punto di vista di Fabrizio (e mio) nella polemica che ci ha visto opposti a Frusone e Pasquinelli, al netto dei suoi eccessi verbali (tipo le grida "voi comunisti" et similia), alle quali non intendo dare, per amicizia e per le ragioni già esposte, un peso eccessivo.

Il primo articolo della Costituzione italiana è un principio di politica economica


Una delle obiezioni di Pasquinelli è stata che "non tutti sono in condizioni di lavorare", unitamente al richiamo al noto slogan “Ognuno secondo le sue capacità, a ognuno secondo i suoi bisogni”. Non so se sia stato proprio questo il passaggio che ha fatto saltare la mosca al naso di Fabrizio, ma rende bene la natura della contrapposizione ingeneratasi. Né gli argomenti addotti da Frusone sono stati, a mio avviso, più soddisfacenti per me e Fabrizio, sebbene fossero di natura diversa, meno ispirata sul piano morale. 

Ora è ovvio che chi non è in condizioni di lavorare debba ricevere un sussidio dalla collettività, cioè dallo Stato, per cui il punto non è questo. Il punto è un altro, ed ha a che fare con l'obiettivo istituzionale che è possibile assumere, da parte di chi oggi fa politica, come orizzonte del possibile; e non come orizzonte utopico, legittimamente coltivabile da chiunque ma che non è opportuno utilizzare nell'ambito di un confronto basato (si spera) sulla concretezza. Pasquinelli ha tutto il diritto di sognare l'ultima fase della società comunista, tuttavia, da buon politico, dovrebbe sapere che i sogni aiutano a vivere ma la vita non è un sogno.

Questo significa che se, nella fase attuale, egli vuole costruire alleanze, non può proporre uno slogan adatto tutt'al più per l'ultima fase della società comunista; così come non può sottovalutare il fatto che le proposte di reddito di cittadinanza e reddito minimo garantito evocano le soluzioni immaginate da Von Hayek nella sua visione estrema di un sistema sociale nel quale le pulsioni alla rivolta vengono sopite attraverso l'elemosina. Ciò in quanto uno Stato che si limiti a trasferire reddito ai cittadini più poveri attraverso un prelievo fiscale dalle risorse dei cittadini più ricchi non adempirebbe alla sua funzione democratica! Sarebbe, né più e né meno, uno Stato elemosiniere. 

Per queste ragioni ho sostenuto che al reddito, a ogni forma di reddito  in capo a un cittadino in età e condizioni lavorative, deve corrispondere un lavoro (fa eccezione il caso degli inabili al lavoro, i quali dovrebbero ricevere ben più che sussidi). Ma, obietta Frusone, un certo studio di una tal società prevede che, nei prossimi decenni, il 40% delle attuali mansioni lavorative sarà scomparso. E allora, caro Frusone, cosa vuoi dedurre da ciò? Intanto potrei segnalarti che buona parte dell'attuale disoccupazione cesserebbe immediatamente se si tornasse ai carichi di lavoro di qualche decennio fa. Io, per esempio, con uno stipendio che in termini reali è lo stesso di quando iniziai a lavorare, oggi lavoro il 40% in più. Ma non voglio fare discorsi un tanto al chilo, per cui lasciamo stare.

La verità è che l'affermazione "il lavoro sta scomparendo" sottende una visione della società nella quale il lavoro ha valore solo ed esclusivamente in quanto produce un profitto privato. Cioè a dire che Caio lavora se e solo se c'è un Tizio che, dandogli lavoro, ne estrae un profitto. E ovviamente in una tale società c'è posto, oltre che per un numero decrescente di addetti a una produzione sempre più meccanizzata, solo per gli inservienti dei padroni, mentre la gran parte deve essere tenuta tranquilla e ai margini da benevole elargizioni e divertimenti di massa. Al contrario, il primo articolo della Costituzione afferma che il lavoro ha valore in quanto tutti, dicasi tutti, hanno il diritto, se lo desiderano, di partecipare alla vita economica, in quanto soggetti attivi e protagonisti della produzione e dello scambio, e che lo Stato deve promuovere le condizioni affinché ciò si realizzi.

Il che implica, qualora non fosse chiaro, che anche la scelta di cosa produrre, e come produrlo, deve essere sottratto, nella misura in cui ciò è necessario, all'esclusiva determinazione delle forze di mercato. L'entità dell'intervento statale può essere minore o maggiore, in funzione degli equilibri che storicamente si determinano tra gli interessi privatistici e quelli collettivi, ma il principio non deve mai, giammai, altrimenti detto arci-ultra-giammai, essere dimenticato! L'alternativa essendo tra le vuote chiacchiere sull'ultima fase della società comunista o i deliri alla Von Hayek.

Io credo che l'amico Fabrizio (che ho sentito telefonicamente dopo l'incontro) si sia adirato, eccedendo poi verbalmente, perché si è ritrovato, lui giovane laureato che ha perso il lavoro e non ne trova uno nuovo che non sia ultra precarizzato, proprio perché ha colto, nel dibattito tra Frusone e Pasquinelli, i termini di questa improduttiva e inconsistente alternativa, ammantata dall'una e dall'altra parte di visioni fumose. 

L'Italia è piena di giovani come Fabrizio, che hanno bisogno prima di tutto di proposte chiare sul piano della concretezza, essendo il ricorrere alle utopie il modo peggiore di combattere l'attuale distopia sociale. A mio parere la Costituzione italiana del 1948, proprio perché non è perfetta e dunque non è un'utopia, è una valida guida per orientarci nelle attuali temperie. 

Dedicato a Moreno Pasquinelli


Caro Moreno, tu mi sei simpatico in una misura che trascende la condivisione delle idee. Mi sei simpatico perché la passione che metti nelle cose che fai ti rende, ai miei occhi, simile a un mistico. Vuoi fare la rivoluzione, e sogni che questa possa avvenire nella forma di una sollevazione che tu intendi, coregime se sbalio, come presa di coscienza di gran parte dei ceti sociali dei propri reali interessi, in conseguenza del fallimento dell'attuale assetto capitalistico. Non so se hai ragione o meno, non importa. Il fatto, però, è che una cosa sono le visioni, che non raramente (la storia insegna) possono avverarsi; altro è condurre trattative con le altre forze politiche. Chi ha capacità visionarie, infatti, corre il rischio di essere troppo ottimista concentrandosi sugli aspetti positivi delle controparti, immaginando che questi finiranno, nello svolgersi degli eventi, con il prevalere. Questo, a mio parere, è esattamente l'errore che fai con il m5s.

Detto in altre parole, se io fossi un capo di governo sceglierei per te un ruolo da ministro del lavoro, ma non ti nominerei ministro degli esteri. Così come, e ne hai avuto contezza in più occasioni, il ruolo di "moderatore" non è il più adatto per il mio carattere: io dovrei fare il ministro della propaganda. [Addendum: ma non vorrei mai farlo]

Questo non significa che non si debba dialogare con singoli attivisti del m5s, ma solo nella prospettiva di una riduzione del consenso per questo partito che si verificherà non appena le questioni veramente importanti saranno sul tappeto, e in molti comprenderanno la sua natura intrinsecamente euroliberista. A quel punto, avendo dialogato con essi, sarà possibile per noi sovranisti attrarre nella nostra orbita una parte degli attivisti e del consenso elettorale. Tuttavia mi sembra che tu, al fine di perseguire questa strategia, talvolta tenda a sottostimare la gravità di alcune loro posizioni. Ebbene, al netto della condivisione dell'idea che lo Stato (se preferisci: la collettività) debba svolgere funzioni di sussidio al reddito per gli inabili, trovo che tu stia esagerando in ottimismo. Naturalmente tu potrai obiettare che su molte questioni importantissime le posizioni del m5s sono condivisibili (dalle battaglie referendarie contro il nucleare e per l'acqua pubblica alle più recenti prese di posizione per l'uscita dall'euro), ma io, che sono ciociaro e quindi diffidente come un contadino, non sono convinto.

Sai, spesso mi sono sbagliato sulle persone (spero non sia il tuo caso) ma sulle questioni politiche sono molto più pessimista. Vedremo chi ha ragione.

26 commenti:

  1. Ho ascoltato il dibattito tra Frusone, Fabrizio e Pasquinelli, in relazione alla questione del reddito di cittadinanza e (purtroppo) ho notato l'esistenza di una contraddizione. Frusone dice che la proposta del M5S non è contro il lavoro ma vuole anzi incentivare la produzione, ponendo come vincolo il fatto che il reddito garantito (che non è più di cittadinanza quindi, ma allora si vuole il reddito di cittadinanza o no? Se sì, perchè non si propone chiaramente?) varrebbe finchè non si rifiuta per tre volte una proposta di lavoro, dopodichè il beneficio decade. Ma ciò va a cozzare col ragionamento relativo alla fine di posti di lavoro, se si perderanno nel futuro posti di lavoro perchè vincolare il beneficio di avere codesto reddito alle proposte lavorative ricevute? A me francamente mi sembra un nonsense.

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    1. Giusta osservazione. Che suggerisce l'idea che il dibattito sul reddito di cittadinanza e/o garantito non è ben compreso, in tutte le sue implicazioni, dagli attivisti del m5s.

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  2. Sussidi, Monete complementari, pure la flat tax ( esageriamo, eh ) possono andare bene in regime transitorio ( bello il post di Fiorenzo di qualche giorno fa ). Servono a stampellare un sistema devastato ed in via, si spera, di ristrutturazione. Quindi in linea di massima possono essere applicati. Ma rimangono soluzioni transitorie, traghettatrici. Non devono distogliere dall'obiettivo primario che è quello dell'art.1. Una volta stabilizzato il sistema vanno tolte. A me pare che la logica "non c'è più lavoro per tutti" sia fuorviante. La verità è che "non c'è più profitto per pochi", ma a dirlo fa paura a molti...

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  3. Ci sono due livelli in questa discussione, ed anche due diverse angolature dal quale osservare la questione. Che dobbiamo tenere distinti.
    IL PRIMO
    è la società che vorremmo e come essa debba distribuire oneri ed onori, in una parola la fatica e la pena che deriva dal dover lavorare per soddisfare i bisogni umano-sociali in una situazione segnata da penuria (i beni non cadono dal cielo come la manna). In questo senso mi sono permesso di ricordare il principio marxiano che dovrebbe sorreggere una società socialista: "Da ognuno secondo le sue capacità, ad ognuno secondo i suoi bisogni". Un principio giusto o sbagliato? Sacrosanto direi, a meno di non voler mandare in miniera (come avvenuto col capitalismo agli albori, cosa che non accadeva nelle epoche precedenti) bambini, donne incinte, vecchi e mutilati.
    Ma lasciamo da parte le mie "visioni" e mettiamo i piedi per terra.
    Il capitalismo (esistono una mole inconfutabile di dati in proposito) cozza in linea di principio con la piena occupazione. Chi dimentica questo fatto è meglio che non parli di Keynes, poiché mostrerebbe di non aver capito ciò che lui aveva ben capito del modo capitalistico di produzione — che cioè ha bisogno di un permanente esercito industriale di riserva per tenere calmierati i salari, dal cui livello dipende essenzialmente quello dei profitti.
    Keynes, nelle fasi in cui il capitale preferisce tesaurizzare cessando di investire ed offrire lavoro, proponeva diverse misure, tra le quali quella che lo Stato doveva usare la spesa pubblica per elevare la domanda aggregata, di qui i piani per lavori di pubblica utilità ed altro. Siamo d'accordo? Sì, siamo d'accordo —a patto di non scambiare Keyenes per uno statalista, poiché non lo era affatto, infatti per lui lo Stato doveva svolgere una funzione di supplente momentaneo in attesa che il ciclo CAPITALISTICO fosse tornato in condizioni espansive. Doverosa precisazione dedicata a chi maldestramente vuole far passare Keynes per uno statalista.
    Detto questo, tuttavia, non abbiamo risolto nulla. Un conto è la realtà, un conto le nostre visioni, che quelle keynesiane oggi non sono meno distanti dalla realtà di quelle marxiste.

    IL SECONDO

    Non c'è un solo governo keynesiano in tutto il pianeta. Siamo fino al collo in un sistema neoliberista, pur con tutte le sue varianti nazionali. Siamo cioè in una situazione in cui la disoccupazione e l'inoccupazione sono strutturali, connaturate al regime capitalistico realmente esistente. Chi immagina il capitalismo dal volto umano, non meno dei socialisti, deve rispondere alla domanda: hanno o no diritto i disoccupati e gli inoccupati ad un reddito dignitoso?
    La mia risposta è sì, senz'altro!
    Non sono per questo l'avvocato difensore di M5S, ovvero paladino della proposta (fumosa) di "reddito di cittadinanza".
    Sono sì paladino di un principio, quello per cui la società è tenuta ad assicurare un livello di vita decente a tutti i suoi cittadini, quindi anzitutto a chi non è abile al lavoro ed in seconda battuta a coloro ai quali il diritto al lavoro è negato dal capitale, privato o pubblico che sia.
    Il diritto ad un reddito ai senza lavoro è stato da sempre un obbiettivo del movimento di lotta dei lavoratori, delle città e delle campagne. Ed è stato quindi assunto dai paesi capitalistici occidentali come principio cardinale del welfare state.
    Dio santo! ma come si fa a dire che questo principio contraddice la Costituzione???
    E' esattamente il contrario.
    Io sarò probabilmente un visionario, ma non commetto l'errore di respingere un'idea solo perché essa è avanzata da un movimento politico che non m'aggrada.

    Moreno Pasquinelli



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    4. "Sono sì paladino di un principio, quello per cui la società è tenuta ad assicurare un livello di vita decente a tutti i suoi cittadini,"

      Caro MPL (Moreno Pasquinelli liberato) i principi non c'entrano una beneamata. La scelta è secca :dare una elemosina ai sudditi i per farli appena sopravvivere senza troppi rischi per la élite (vonH e quisling vari) o dare un reddito ai cittadini attraverso un lavoro che non riescono a trovare da soli data la situazione?

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    5. @Andrea: hai postato quattro volte (sicuramente per errore) lo stesso commento. Ho provveduto ad eliminarne tre copie, lasciando la più recente.

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    6. Grazie Fiorenzo, ero in rotta coi mailer.
      Abbi pazienza.

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  4. Caro Moreno, quello che è in discussione non è il principio per cui ogni cittadino ha diritto etc. etc., ma il come. Io respingo senz'altro l'idea che si possa dare un reddito e non un lavoro. Respingo cioè l'idea che il lavoro sia un bene scarso. A condizione che per "lavoro" non si intenda solo quello che viene offerto dal capitale privato (perché scorge un'occasione di profitto), ma anche e soprattutto quello organizzato dallo Stato, cioè il lavoro pubblico.

    La domanda "da dove lo Stato prenderebbe le risorse" trova questa immediata risposta: dal valore prodotto dal lavoro pubblico e, in subordine, dall'iniziativa privata. Lo Stato può farlo attraverso la tassazione e l'emissione di moneta, da utilizzare entrambi come strumenti per modulare la redistribuzione. In questo scenario, che è quello che si stava delineando pur con mille contraddizioni alla fine degli anni settanta, diventano cruciali le politiche sul lato dell'offerta pubblica. Ovvero lo Stato deve fare investimenti in istruzione e in infrastrutture, le quali migliorano la produttività assicurando quindi la produzione di valore. Un valore che sarebbe in quota significativa di natura sociale, quindi tendente al reale benessere dei cittadini. In sintesi: lo Stato deve funzionare bene.

    Come vedi, quello che ho in mente è una cosa completamente diversa dal reddito di cittadinanza. Contesto, insomma, l'idea che lo Stato non possa pretendere la corresponsione di lavoro in cambio di un salario erogato, con l'argomentazione che il lavoro sia una merce scarsa, e sempre più scarsa in futuro.

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  5. Art. 4 Cost.

    "La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il DIRITTO al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

    Ogni cittadino ha il DOVERE di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società."

    Art. 38 Cost. .

    << Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale.

    I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria>> .

    Secondo la nostra Legge fondamentale, dunque, quello al lavoro è un DIRITTO-DOVERE del cittadino. Per il M5S (o meglio, per Beppe Grillo) il lavoro è una condizione da superare, perchè rende le persone schiave e alienate (è esattamente questo che Grillo urlava nei suoi spettacoli, prima, e nei comizi, dopo).

    Il reddito di cittadinanza propugnato dal M5S fonda la propria motivazione politico-filosofica nella suddetta idea di affrancamento dal lavoro e non nella considerazione di Frusone secondo cui "il lavoro è sempre più scarso".

    Già in questo il M5S è in intimo dissidio con la Costituzione repubblicana; questa considera il lavoro (sia esso autonomo o subordinato) come un autentico CAPOSALDO VALORIALE del modello sociale, politico ed economico di Stato da essa delineato, tant'è che l'art. 4 della Carta costituzionale arriva addirittura a qualificare il lavoro (in senso ampio) come un dovere del cittadino oltre che un suo diritto: è solo attraverso il lavoro di TUTTI i componenti della collettività che quest'ultima può perpetuarsi e progredire in modo democratico e secondo un modello eticamente e socialmente equo e pluralista (nell'ancien regime l'aristocrazia si alimentava parassitariamente sfruttando il lavoro della plebe e dei servi della gleba)

    Naturalmente, la stessa Costituzione, come si è visto, non manca di rivolgere la propria attenzione a chi non può farcela; non si può esigere l'adempimento di un dovere da chi non è in grado di adempierlo per ragioni obiettive (inabilità al lavoro e mancanza di mezzi di sostentamento; infortunio; malattia; invalidità; vecchiaia; disoccupazione involontaria).

    Anche in questo il reddito di cittadinanza si prospetta profondamente distonico rispetto alla visione costituzionale. Mentre l'obbligo di assicurare le misure di sostegno previste dall'art. 38 Cost. ha carattere per così dire residuale ed è pienamente compatibile sia con il dovere primario dello Stato (sancito dall'art. 4 Cost.) di assicurare le condizioni di piena occupazione a quanti possono lavorare sia con il dovere di costoro di lavorare, il reddito di cittadinanza, dovendo lo Stato elargirlo al cittadino anche se volontariamente privo di occupazione lavorativa, confligge con il suddetto art. 4 Cost.

    Concludendo, il reddito di cittadinanza - che i militanti del M5S se ne rendano conto o meno - poggia sul presupposto tacito ma evidente che la progressiva sostituzione del modello di Stato e di società disegnati dalla Costituzione con quello ordoliberista costituisca un dato di fatto storicamente ineluttabile e irreversibile (se non addirittura ben accetto). Il sovranista, al contrario, opera per ridare vigore sostanziale alla Costituzione.



    .

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    1. Ma il secondo comma dell'art. 4 parla di attivitá o funzione, non di lavoro. Tutti (anche gli inabili al "lavoro" hanno il dovere di "partecipare") alla costruzione della societá non di "lavorare". Una casalinga o un pensionato o un bambino possono e debbono partecipare, non lavorare.

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  6. Ci sarebbe anche un'altra questioncella. Pagando il lavoro di scavare buche o magari di ricoprirle si ottengono DUE risultati :uno reale diretto (le buche dove c'era il piano o viceversa) e uno indiretto (valorizzazione del lavoro di qualcun altro attraverso l'acquisto di beni). Il denaro corrisposto come reddito hayekkiano solo uno. È carta e tale resta.

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  7. Il lavoro però è anche una merce, e come tale obbedisce alla legge della domanda e dell'offerta, quindi se si vuole valorizzare il lavoro, bisogna renderlo più scarso e quindi più richiesto. Lo si può fare in due modi: o si aumenta la domanda di lavoro da parte delle imprese (politiche Keynesiane) o si riduce l'offerta di lavoro da parte dei lavoratori (reddito di cittadinanza).
    Mi pare che le due strade possano essere percorse contemporaneamente, sopratutto se si punta alla dignità del lavoro, piuttosto che al semplice lavoro.
    Anche perché è vero che il lavoro è partecipazione alla costruzione economica dello Stato ma tale partecipazione scompare e si trasforma in ricatto se il lavoro cessa di essere dignitoso.

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    1. Per la Costituzione il lavoro è un diritto, non una merce. Poiché la vita delle collettività è stabilita dalle norme (nelle cui pieghe, e solo in quelle pieghe, può far capolino l'interesse individuale) il problema qui è esattamente quello di ribadire con forza che il lavoro è un diritto. E dunque (ri)conformare, attraverso la lotta politica, le norme a questo principio.

      Con i grilli si può scendere a patto sul reddito di cittadinanza se e solo se accettano di considerarlo come un fatto transitorio (e non strutturale - come da altri commentatori è chiarito). Un primo passo può essere quello di cambiargli nome. Per me "tessera annonaria" potrebbe andar bene... l'importante è che sia chiaro che si tratta di una pezza transitoria, non di una soluzione.

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    2. Dipende cosa intendiamo per lavoro. Il lavoro in senso economico é per definizione una merce, deve cioé avere un valore di scambio, di mercato. Non credo che la costituzione neghi l'esistenza del mercato del lavoro, anche se esistono lavori non oggetto di scambio economico (senza prezzo) che hanno notevole valore. La costituzione garantisce a tutti il diritto (dovere) a partecipare della costruzione sociale, non l'accesso a tutti al mercato del lavoro.

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  8. Perfetto. Difatti tutte le obiezioni fatte nei video hanno risposta se si fa una lettura attenta della Costituzione. La tesi della "fine del lavoro" (che guardacaso è tanto cara ai liberisti tipo prodi) è un assurdità, ma anche se la si volesse accettare, la costituzione è talmente progredita che anche un contributo non prettamente manuale ma di tipo addirittura spirituale sarebbe considerato come un "lavoro".

    Si accusa (giustamente) la Lega di volere uscire "a destra" per via della flat tax, ma l'uscita del m5s, con tagli alla spesa, tagli ai finanziamenti pubblici e reddito di cittadinanza, sarebbe ancora più a destra.

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  9. Se i grillini non sono interlocutori affidabili perchè non si rendono conto della reale portata delle questioni in campo, mi chiedo come sia possibile continunare ad investire su chi si ostina a porre la pregiuziale dell'uscita "da sinistra".

    Se la casa sta crollando, chiunque si trovi all'interno ha una sola scelta possibile da compiere: restare dentro ed essere sepolto dalle macerie oppure uscirne al più presto.

    NON ESISTE UNA USCITA "DA SINISTRA" O "DA DESTRA" , ma, semmai, un modo di sinistra o di destra di ricostruire sulle macerie della casa crollata.




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  10. La sinistra si è ridotta a forza che rappresenta l'1% dell'elettorato (non sembra l'abbiano compreso) quindi si uscirà a destra essendo tutti i maggiori partiti liberisti (compreso m5s). Ma come ci ha ricordato Giacchè non è detto che un'unione monetaria sia per forza destinata a finire.

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  11. Scusate, senza polemica e in riferimento alla reazione del sig Fabrizio nei video, ma perché dovremmo credere ancora ai cosiddetti compagni?

    Deluso 69 ;)

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    1. Per la semplice ragione che qua la figura de mmerda l'hanno fatta tutti, non solo "i cosiddetti compagni".

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    2. Ma certo, nessuno escluso, ma io i compagni li ho votati.
      E li ho votati convinto da quello che dicevano; e i discorsi assomigliavano tanto a quelli di Frusone e di Pasquinelli.

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    3. Ma davvero?

      E allora tutti quelli che si sono allontanati dalla sinistra negli ultimi anni si sono sbagliati? Il fatto che il mondo della sinistra eretica (parlo di Pasquinelli&Co, non di Frusone) non sia riuscita a trovare riscontro nell'opinione pubblica né a creare una proposta politica NON significa siano complici di quelli che nel sistema euro ci hanno sguazzato! Al massimo si può dire che sono degli incapaci, NON che siano uguali a tutta la marmaglia che nell'eurosistema ci ha inzuppato il biscottino, da FI a PRC, dalla Lega al PD.

      Una domandina: tu li frequentavi i cenacoli della sinistra eretica 10 anni fa? Penso di no (nemmeno io, per altro). Però io riconosco a queste persone il merito di aver tenuto duro, in solitudine. Molti, e tra questi anche tu mi sembra, li accomunano a tutto il resto della marmaglia. Questo è un crimine contro la verità, che non riesco a tollerare. Ci vuole rispetto per i resistenti, anche se decidi di non sostenerli. Però il rispetto è un atto dovuto, e questo rispetto passa anche per il riconoscimento di ciò che essi hanno fatto quando tutti noi dormivamo.

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    4. Parole sacrosante, il famoso "voto utile" alibi sotto il quale c'hanno sguazzato i più beceri politicanti a cui gli elettori hanno dato corda dove lo mettiamo?

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    5. Scusate, mio intento non era accomunare Pasquinelli a chicchessia attentando alla verita, ma, visto che si fa un appello a sinistra, mi chiedevo, se ne vale ancora la pena. Legittimo spero.
      Visto che me lo chiedi, non frequento cenacoli, sono nato e vivo a Torino, in Barriera di Milano, sono figlio di operai, da ragazzino con la squadra di pallone andavamo a giocare contro i gesuiti cantando bandiera rossa, non sono mai stato un militante, ma la politica per un motivo o per l'altro l'ho sempre frequentata.
      Ne ho sentite di cose, fatte poche lo ammetto, ma sentite tante.
      Poi?
      A 45 anni e senza un lavoro stabile, ti girano le palle te lo assicuro.

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