giovedì 2 luglio 2015

Perché Syriza deve cadere?

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L'eurozona, per come è stata concepita, per funzionare ha assolutamente bisogno di flessibilità dei salari e mobilità dei lavoratori. Entrambe queste precondizioni fanno ricadere in gran parte sulle spalle dei lavoratori sia i costi degli aggiustamenti in caso di crisi congiunturali, sia quelli, ben più pesanti, che emergono in caso di crisi sistemiche.

Inoltre è necessario che la velocità con cui i salari si adeguano verso il basso, e i lavoratori decidono di spostarsi dalle aree in crisi verso quelle a maggiore domanda di lavoro, sia ben maggiore di quanto accade oggi. Questo "spiacevole" dettaglio fa sì che gli architetti dell'euro siano oggi costretti a scendere in campo. In Italia lo hanno già fatto con Monti, tra i balli e le orchestrine che suonavano "Bella ciao". La pubblicazione della relazione "Completare L’Unione economica e monetaria dell’Europa" per mano delle massime autorità europee (Jean-Claude Juncker, Donald Tusk, Jeroen Dijsselbloem, Mario Draghi, Martin Schulz) è la prova che questo è il principale nodo da risolvere.

Syriza deve cadere perché è un partito di sinistra che, sebbene complice del progetto eurista, non può non opporsi a una troppo rapida caduta dei salari, come pure non può accettare i provvedimenti necessari a "convincere" un grande numero di greci a lasciare il loro paese per andare a lavorare in Germania per paghe da fame.

Dunque Syriza deve cadere!


Che cada perché - non cedendo - trascina il paese alla guerra civile, oppure perché cedendo spiana la strada all'Alba Dorata, ciò che conta è che non vi sia più traccia, nell'eurozona, dell'idea stessa di sinistra. Con tutto ciò che questo comporta: stato sociale, sanità, pensioni, dipendenti pubblici. Ma soprattutto è necessario eliminare ogni rigidità verso il basso dei salari!

Essi sanno che altre crisi arriveranno; Essi sanno che l'architettura monetaria dell'euro prevede che, quando un'area va in crisi, i salari debbano scendere rapidamente per ripristinarne la competitività. Se ciò non accade con la sufficiente velocità (Essi sostengono), allora la crisi può auto-alimentarsi e propagarsi. Dunque Syriza deve cadere, e Podemos non deve vincere le elezioni in Spagna!

Ha ragione Varoufakis quando scrive che la vera natura dello scontro non è economica, ma politica. La Grecia non può restituire il debito nei termini prescritti dagli accordi in essere, quindi non è questo il vero oggetto della trattativa in corso. Ciò che viene chiesto alla Grecia è di avviare una trasformazione profonda della sua struttura sociale ed economica che prevede, tra l'altro, la disintegrazione della famiglia come comunità economica di base capace di assicurare un estremo baluardo difensivo a chi è in difficoltà. Se si capisce questo, allora è più chiaro perché, tra le proposte di riforma del sistema pensionistico avanzate dalla Troika, vi sia anche quella di tagliare le pensioni quasi della metà e di utilizzare i fondi risparmiati per garantire un reddito minimo a chi è senza lavoro.

Scrive Emmanuel Schizas (blogger e analista finanziario) in un articolo ripreso da Alberto Annichiarico sul sole24ore:

«È evidente che questo sistema necessita di una riforma radicale, di quelle che richiederebbero anni. A mio parere, le pensioni devono essere tagliate fino a livelli che gli enti previdenziali siano in grado di sostenere senza ulteriori trasferimenti (in altre parole, devono quasi essere dimezzate). Le funzioni di politica sociale che svolgono dovrebbero essere trasferite al loro ambito naturale, il bilancio dello Stato, sotto forma di un meccanismo di reddito minimo garantito tarato sull’effettiva disponibilità economica del ricevente. La Grecia aveva sperimentato un meccanismo di questo tipo, su insistenza della Troika, nel 2014. Il Fmi lo aveva proposto nel marzo del 2012 e Syriza, che oggi è al Governo, nel giugno di quello stesso anno aveva appoggiato la proposta sostenendo che si trattava di un problema urgentissimo, salvo poi liquidare con disprezzo il meccanismo sperimentale introdotto nel 2014 definendolo «briciole di carità pubblica», salvo dopo ancora reintrodurre nella sua retorica un riferimento nominale a un «reddito di base», nel febbraio di quest’anno.»

Dunque il FMI, e con esso la Troika, insistono da tempo per l'introduzione di un meccanismo di reddito minimo, da finanziare attraverso un prelievo sulle pensioni! Lo stesso che si sta cercando di far passare in Italia, sia pure tra ciance da bar del tipo "lo facciamo coi soldi stanziati per l'acquisto degli F35" che tanto piacciono ai miei amici piddini, in primis Benny.

Apparentemente si tratta di una scelta giusta, moralmente condivisibile: perché i giovani, che in futuro avranno pensioni bassissime, devono lavorare per pagare pensioni ben più alte ai vecchi? In realtà è una trappola micidiale, nella quale stanno cadendo molte persone per bene ma decisamente ingenue. Costoro dovrebbero chiedersi: perché il FMI e la Troika, ma anche il giornale della confindustria, insomma tutti i poteri forti euristi che non battono ciglio davanti alle sofferenze dei greci e appoggiano ogni operazione imperialistica imposta dagli USA, hanno tanto a cuore la giustizia redistributiva?

La risposta è nella necessità assoluta di rompere ogni rigidità dei salari verso il basso, come pure di aumentare in modo sensibile la mobilità dei lavoratori. Quale miglior punto di attacco di un sistema pensionistico come quello greco (o italiano) che, proprio grazie al (residuo) reddito pensionistico  degli anziani, fa sì che una parte dei compiti dello stato sociale sia gestito in prima persona dalle famiglie? Secondo voi, Essi sono mossi da un impeto di giustizia, oppure da una motivazione macroeconomica?

Che la flessibilità dei salari e la mobilità del lavoro siano una condizione necessaria al funzionamento dell'eurozona lo diceva anche Alberto Bagnai in un paper del 1997 dal titolo "CONSEGUENZE DELL'ADOZIONE DELL'EURO PER I LAVORATORI MIGRANTI".

note: 1) cito il lavoro di Bagnai senza alcun intento polemico; 2) nel paper per "lavoratori migranti" si intendono quelli europei, poiché il fenomeno dell'immigrazione extra-UE non era ancora rilevante.

Nelle conclusioni del paper Bagnai scriveva (grassetto aggiunto):

«Si sente spesso affermare che gli effetti dell'EMU saranno almeno nel breve periodo principalmente di natura politica anziché economica (si veda ad esempio Pandolfi, 1997). I dati e le analisi riassunte nelle pagine precedenti confermano la validità di questa asserzione, almeno per quanto riguarda le condizioni del mercato del lavoro europeo e quindi dei lavoratori migranti in Europa. Sul piano strettamente economico, abbiamo visto come i vantaggi derivanti dall'adozione della moneta unica (riduzione dei costi di transazione e maggiore crescita determinata dalla riduzione dei tassi di interesse) abbiano una rilevanza relativamente scarsa in termini quantitativi, soprattutto nel breve periodo. Dalle analisi riportate risulta inoltre che la soluzione del problema della disoccupazione europea va cercata non tanto in politiche di espansione della domanda (le quali, tra l'altro, rischiano oltre certi limiti di confliggere con l'obiettivo di stabilità dei prezzi che costituisce uno dei cardini della costituzione economica dettata dal trattato di Maastricht), quanto in politiche di incremento della flessibilità del mercato del lavoro. L'adozione dell'Euro non potrà incidere se non in modo al più marginale sulle caratteristiche istituzionali del mercato del lavoro. Maggiore successo potranno avere politiche di riforma e di armonizzazione delle legislazioni comunitarie in materia di istruzione, lavoro e previdenza sociale, volte a favorire effettivamente la mobilità del fattore lavoro e la flessibilità del suo impiego. Allo stato attuale, è corretto affermare che l'unico contributo dell'EMU alla soluzione del problema della disoccupazione è stato quello di distogliere, speriamo temporaneamente, l'attenzione dei contribuenti e dei politici europei dal disegno delle riforme necessarie per risolverlo. Un altro effetto positivo dell'adozione dell'euro sarà quindi quello di liberare le energie intellettuali attualmente occupate a dibattere dei meriti e dei demeriti della moneta unica»

Ecco perché non si può essere "generosi" con la Grecia come lo si è stati con la Germania! Ovvero: il debito greco potrà sì essere ristrutturato, ma solo a valle delle imponenti modifiche istituzionali e sociali che sono necessarie, oggi in Grecia, domani in tutta l'eurozona, per il funzionamento della moneta unica. La battaglia sul referendum greco è allora di fondamentale importanza: una vittoria del fronte del "NO" avrà, come conseguenza, l'uscita della Grecia, che sarà abbandonata a sé stessa e usata come monito per chi osasse imitarla. Una vittoria del "SI" significherebbe una sconfitta pesantissima per tutta la sinistra europea che, sebbene complice, non immaginava che il premio della sua fedeltà sarebbe stato il suo scalpo.

Comunque vada a finire, da lunedì comincerà la Resa dei Conti a Sinistra (RdC\S). Ne riparleremo in un prossimo articolo, nel quale ci concentreremo sugli aspetti "locali" (nel senso di "ciociari") di questa improcrastinabile resa dei conti a sinistra.
 

2 commenti:

  1. Sulla resa dei conti in Grecia , della serie , quando il gioco si fa duro , si fa sporco , ti
    segnalo un articolo su EKATHIMERINI.com : BUSINESS- Referendum 2015 :islanders
    witness the first shortages :carne e medicine cominciano a scarseggiare : fuga dei turisti
    dalle isole greche .colpa del controllo dei capitali imposto dal governo .
    o : SEV warms country could become the next Argentina !

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  2. tanto s'è già capito come andrà a finire sto cazzo di referendum...

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