sabato 29 agosto 2015

Non mandatemi al potere!

Giuseppe Turani
Vi prego, non fatelo! Se io andassi al potere farei cose terribili. Per esempio, prenderei questo Giuseppe Turani, editorialista economico della Repubblica, che scrive una cosa così [link: La lezione spagnola]:

«La lezione che sembra venire fuori dalla Spagna è terribile: l’austerità funziona, e come se funziona, solo se è applicata con la massima severità. Cose nemmeno immaginabili da noi, dove la Corte Costituzionale impone di risarcire i pensionati che avevano avuto un blocco o i dipendenti pubblici che avevano subito la stessa sorte, con la motivazione che sono stati colpiti “diritti acquisiti”.»

e sapete cosa gli farei? Lo manderei a raccogliere pomodori a due euro l'ora. Oppure no, troppo poco: lo manderei a insegnare nella mia scuola!

Questo grandi$$$$$$$$$$$$$$$$$imi$$$$$$$$$$$$$imo giornalista, che nel 1990 scriveva questo pezzo da Pulitzer, si permette di affermare:

«La Spagna non ha aspettato gli ordini della troika. Appena arrivato al governo Rajoy ha tagliato gli stipendi pubblici di oltre il 10 per cento e ha subito varato altre severe misure di austerità. E’ partito con una disoccupazione da paura (più del 25 per cento), ma anche questa sta scendendo. In sostanza, la Spagna di oggi (come ieri l’Irlanda) è la dimostrazione concreta che di austerità non si muore. Anzi.»

InZomma, un taglio del 10% degli stipendi pubblici, notoriamente brutti sporchi e cattivi, e... la disoccupazione che sta scendendo! Maddeché?

E non è finita! L'editorialista sopraffino di Repubblica, altrimenti nota come "La voce di Piddinia", conclude così:

«Se qui non si accettano riforme “pesanti”, è ormai evidente che si continuerà a strisciare sul fondo, fra lo 0 e l’1 per cento di crescita. E la disoccupazione resterà stabilmente sopra il 10-12 per cento.»

Ora io non so come sta Turani, ma so per certo come stanno quelli che lo leggono e gli danno ragione: stanno male, sono malati, hanno bisogno d'aiuto. Il morbo? Facciamo così, lascio la parola al Pedante, che meglio di me ve lo può spiegare. Leggete con attenzione: nel post che vi linko c'è tutto, ma veramente tutto.

TERAPIE TAPIOCO: LE APOLOGIE DEL FALLIMENTO

Se un socialdemocratico passa per rivoluzionario...

Sul messaggero di oggi 29 agosto 2015 compare un articolo di tal Giuliano da Empoli (che vi invito a leggere con attenzione e a meditarlo) dedicato al leader labourista inglese Jeremy Corbyn, descritto come un rivoluzionario che vuole riportare indietro le lancette della storia.

Scrive Da Empoli: "Dietro il garbo proverbiale di questo gentiluomo attempato si nasconde un programma che farebbe impallidire Tsipras e Landini. Uscita della Gran Bretagna dalla Nato, aumento delle tasse, ri-nazionalizzazione dei trasporti e dell’energia elettrica: in tempi normali, i cavalli di battaglia di Corbyn lo avrebbero automaticamente messo fuori gioco. Ma così grande è la confusione sotto il cielo del Regno Unito (o meglio, della sua metà di sinistra) che Corbyn è oggi in pole position."

Ora io ricordo bene i tempi della mia giovinezza, quando l'energia elettrica, i trasporti, ma anche le telecomunicazioni e tanti altri settori strategici, non solo erano in mano pubblica, ma l'idea stessa che potessero essere dati ai privati era semplicemente oltre l'orizzonte del proponibile. Eppure, che io ricordi, non c'era in Italia un regime comunista!

Molta acqua è passata sotto i ponti, il nemico di classe ha sfondato le linee difensive del popolo con una doppia manovra, costituita da una serie di attacchi frontali - da tangentopoli al "fate presto" - e una lunga manovra di infiltramento dei partiti di sinistra che, per il tradimento di svergognati personaggi i cui nomi ometto per prudenza, si sono prestati, al pari di quelli di destra, a servire gli interessi privatistici del grande capitale. La misura è colma.

A questo punto è necessario reagire. La prima cosa da fare è delimitare il confine tracciando una linea rossa, ben chiara e visibile, che separi il nostro campo da quello dello spietato nemico di classe, nonché riapprendere l'uso di termini, espressioni e toni che non lascino dubbio alcuno sul fatto che questa è una guerra di classe, e come tale deve essere combattuta. Nessuna concessione al nemico, nessun compromesso con gli indecisi: o con il popolo o contro il popolo, o Costituzione o riforme istituzionali, Sovranità popolare o liberismo! Gli indecisi siano trattati come nemici!

Dobbiamo essere radicali: nel linguaggio, nell'azione politica, con l'esempio. Cacciamo dalle nostre case coloro che ammiccano al nemico, tronchiamo le amicizie anche di lunga data, disprezziamoli pubblicamente e nel privato, non perdiamo occasione per attaccarli. Soprattutto non cadiamo nelle trappole che ci verranno sicuramente tese, non fidiamoci di nessuno e, prima di aprire i nostri cuori accogliendo nuovi compagni di lotta, informiamoci bene. Ricominciamo a incontrarci in occasioni non pubbliche, senza telecamere e telefonini, organizzando convegni di studio e scuole di formazione politica, come pure per dirimere gli eventuali contrasti interni. Se ESSI si incontrano in riunioni a porte chiuse, convocate da organizzazioni impenetrabili, ebbene facciamo lo stesso. Studiamo il nemico, apprendiamo le loro tecniche, facciamole nostre e miglioriamole, inventiamone altre ancora più efficaci.

Dobbiamo essere radicali, ma evitare per adesso lo scontro frontale. Non è ancora il momento di attaccare, ma quello di rianimare la coscienza di classe, la quale giace a terra esangue calpestata dall'ignobile nemico di classe che dobbiamo reimparare a odiare. Perché la guerra - siamo in una guerra che ci è stata dichiarata a nostra insaputa - è il tempo dell'odio. Dunque odiare chi già ci odia è giusto e santo.

Gli artisti, coloro che insegnano, quelli che operano nel sociale, si attivino per dare vita a una guerriglia culturale che ribalti il falso senso comune delle cose e delle parole instillato nella mente del popolo in decenni di bombardamento mediatico e di pubblicazioni oscene al servizio degli interessi privatistici. Evitiamo di guardare la televisione, leggiamo i giornali con spirito antagonista nella certezza che tutto ciò che vi è scritto è vergognosamente falso, o capziosamente distorto. Quando non capiamo qualcosa chiediamo ai nostri compagni, riapriamo i vecchi libri, discutiamone insieme. Soprattutto, riscopriamo il senso morale dell'esistenza, il valore della parola data, l'amicizia, la lealtà e l'onestà. Disprezziamo i furbi, i doppiogiochisti, i falsi e i vigliacchi. Resistiamo, e resistendo facciamo nascere milioni di nuclei di cultura politica popolare, che ci daranno la forza nel momento della riscossa.

Infine, dobbiamo sapere che tutto ciò durerà decenni, che saranno necessari grandi sacrifici e che dobbiamo cominciare ieri.

sabato 22 agosto 2015

[PopulPost] L'impossibile quadratura del cerchio

Ovvero l'incompatibilità fra la libertà di circolazione dei capitali, l'autonomia della politica monetaria e la stabilità dei tassi di cambio.

Se l'Italia uscisse dall'euro potrebbe svalutare e recuperare competitività. Questo è quanto è entrato nella testa di un certo numero di persone, ed è corretto, ma non è tutta la storia. Tra l'altro ci sono anche quelli che sostengono che, in caso di uscita, la nuova lira potrebbe addirittura rivalutarsi: sono los memmetaros, per i quali l'applicazione della medicina miracolosa C&P (Click&Pay) darebbe un tale slancio alla nostra ripresa che... eccetera eccetera.

Naturalmente io non sono un economista, dunque non dovrei parlare di queste cose. Francamente me ne infischio.

L'uscita dall'euro comporterebbe, svalutazioni a parte, il recupero di una preziosa leva di controllo: la politica monetaria. Questa consiste sostanzialmente di due strumenti:

  1. la possibilità di stabilire il prime rate, il tasso privilegiato di interesse che le banche praticano nei prestiti ai loro clienti più solidi e per depositi di una certa entità. Questo parametro viene determinato dalla Banca Centrale che, a sua volta, presta alle banche private. 
  2. la possibilità per lo Stato di spendere a deficit. Cioè, in definitiva, di emettere moneta con la certezza che questa venga spesa.

Quando il prime rate viene alzato il costo del denaro cresce, con la conseguenza di raffreddare l'economia. Quando scende... non è detto che l'economia riparta: forse sì, forse no. In questo secondo caso l'esito dipende dalle scelte degli investitori i quali possono anche decidere, in base alle loro valutazioni, che un tasso di interesse più basso non basta a indurli a correre rischi imprenditoriali. Pertanto la politica monetaria viene spesso descritta come una corda, tirando la quale (alzando il prime rate) si può "strozzare" la crescita economica, mentre spingendola non succede niente, a meno che gli investitori non si diano una mossa.

Diversamente dalla determinazione del prime rate, la spesa a deficit dello Stato non soffre della seconda limitazione (pur conservando la capacità di raffreddare l'economia, quando questa si surriscalda, riducendo il deficit) perché la moneta "emessa" dallo Stato viene spesa con certezza.

Ora immaginiamo di uscire dall'euro, dunque di riappropriarci della leva monetaria, e domandiamoci: possiamo avere anche un cambio della nuova lira stabile mantenendo la libertà di circolazione dei capitali? La risposta è no! Proviamo a capire perché, non è difficile. I casi sono due: o l'economia è in un ciclo espansivo, oppure è in una fase recessiva. Tertium non datur perché l'economia altro non è che la contabilizzazione delle attività umane nella sfera della vita economica, e la vita non è una linea piatta.

Se siamo in una fase espansiva, ciò vuol dire che c'è molta richiesta di lavoro per cui i salari tendono a crescere e, con essi, i prezzi, cioè l'inflazione. Se i prezzi aumentano troppo rapidamente le merci esportate diventano troppo costose, dunque si deve intervenire. Per non dire del fatto che, con i soldi in tasca, la gente compra di più aumentando le importazioni e la bilancia commerciale va in passivo. La conseguenza sarebbe una svalutazione della nuova lira, meno domandata all'estero perché esportiamo poco e molto offerta perché spendiamo troppo. E' chiaro che, a un certo punto, si deve fare qualcosa, perché l'inflazione ci mette poco a trasformarsi da benefico incentivo per gli investitori a non tenere i soldi a riposo, in un meccanismo infernale che si autoalimenta. In queste condizioni, se voi aveste un gruzzoletto in nuove lire, non sareste tentati dall'idea di cambiarli in nuovi marchi per preservarne il valore? Certo che sì, anche perché, in regime di libera circolazione dei capitali potete farlo legalmente.

Una soluzione è un intervento della BC che, alzando il prime rate, raffreddi l'economia. Le aziende chiudono, i lavoratori si disciplinano un po', si spende di meno per cui la bilancia commerciale si raddrizza e i capitali smettono di fuggire, anzi magari affluiscono dall'estero. Certo, il prezzo da pagare è la disoccupazione, ma dovete scegliere: volete il cambio stabile (cioè poca inflazione, non deprezzamento della nuova lira) o la libera circolazione dei capitali? Gesù o Barabba?

Lo stesso risultato, cioè "raffreddare" l'economia, può essere perseguito anche riducendo la spesa dello Stato, cioè diminuendo il deficit, ma ci sono alcuni problemi. Primo, i governi rispondono agli elettori, i quali non sono contenti di guadagnare di meno; secondo, non è facile tagliare il deficit perché la spesa statale ha una notevole inerzia. Sindacati a parte, la spesa statale, per essere davvero efficace, deve essere orientata verso investimenti infrastrutturali di lunga durata che non possono essere frenati per gestire una fase congiunturale, e inoltre presenta il non trascurabile effetto secondario di sottrarre interi grandi mercati all'iniziativa privata (istruzione, trasporti, energia, telecomunicazioni...). Non è un caso che "La Repubblica", il giornale di piddinia, da decenni scriva contro gli sprechi dello Stato...

Guardate che la situazione opposta non è simmetrica. Immaginate che si sia in una fase recessiva del ciclo. La BC può rispondere abbassando il prime rate, così da invogliare gli investitori a lanciarsi, ma ci sono due problemi: per quanto detto prima, non è detto che questi rispondano con il dovuto entusiasmo, e inoltre i capitali esteri, vedendo che i tassi di interesse scendono, se ne vanno via nel tempo di un click. In sintesi:

L’autonomia della politica monetaria e la stabilità dei tassi di cambio necessitano di limitazioni alla libertà di movimento dei capitali.

Questa, cioè un regime che limitava la libertà di circolazione dei capitali, era la situazione prima del nostro ingresso nello SME. L'Italia poteva condurre una sua autonoma politica monetaria e mantenere sufficientemente stabile il cambio (si era nell'era dei cambi fissi) proprio perché Barabba, scusate i capitali, erano vincolati. Se non ci credete leggetevi questo:

REPRIMERE LA RENDITA FINANZIARIA E INSTAURARE UN SISTEMA FINANZIARIO NAZIONALE (ARS)

Con l'ingresso nello SME si adottò una linea di politica economica che preservava il controllo della leva monetaria (determinazione del prime rate) essendo ancora in regime di parziale, seppur progressivamente allentato, vincolo alla libera circolazione dei capitali. Permaneva però la possibilità per lo Stato di fare deficit, cioè emettere moneta in surroga al sistema bancario privato. Il risultato, come sappiamo, fu una successione di svalutazioni del cambio, culminate in quella del 1992 quando dovemmo uscire dallo SME svalutando del 28% nel giro di pochi mesi. Altro effetto collaterale: l'esplosione del debito pubblico, che passò dal 59% del 1981 al 123% nel 1993. In sintesi:

La libertà di movimento dei capitali e l’autonomia della politica monetaria implicano la rinuncia alla stabilità dei tassi di cambio.

Siccome ci era andata bene (applausi di gente intorno a me, applausi tu sola non ci sei...) la "nuova" classe dirigente, dopo essersi sbarazzata dei politici della prima Repubblica, pensò bene di tentare la terza combinazione: vuoi vedere che, se rinunciamo all'autonomia della politica monetaria (cioè diamo alla BCE il compito di farlo per noi) e soprattutto togliamo allo Stato il potere di fare spesa a deficit, possiamo tenerci anche la libertà di movimento dei capitali e il cambio fisso che più fisso non si può, cioè l'euro?



Come potete vedere siamo stati addirittura più bravi della Germania. Peccato che l'euro abbia avuto due effetti opposti, seppur traslati in scala temporale:
  1. nella prima fase ha surriscaldato l'economia
  2. alla prima congiuntura, l'ha portata nella più grande recessione del secolo
Questo perché:

La libertà di movimento dei capitali e la stabilità dei tassi di cambio necessitano di restrizioni alla politica monetaria.

Il che implica che, se siete disoccupati, vi attaccate perché la politica espansiva della BCE non ha effetto (vi ricordo che la leva monetaria è una corda: non si può spingere), e lo Stato (che per altro non esiste, altro che Stati Uniti d'Europa!) non solo non può spendere a deficit (pareggio di bilancio in Costituzione), ma addirittura, con il fiscal compact, è chiamato nei prossimi due decenni a mantenere avanzi primari da record.

Brevi considerazioni finali


Io non sono un economista.

EcceZZZiunalmente per questo post, ma solo per questo post, sono ammessi i commenti degli anonimi (anche Yanez può farlo), con l'unico vincolo (rigorosamente interno) che chi offende (non me, ma gli altri commentatori) non sarà pubblicato.

Infine...

ce lo vogliamo mettere in testa che il problema è politico, solo politico, esclusivamente politico? Lo vogliamo capire che non ci sono ricette economiche miracolose per uscire dal disastro dell'euro e dell'Unione Europea, ma serve un radicale cambiamento degli equilibri politici, il che implica la necessità di riorganizzare dal basso, e partendo praticamente da zero, la rappresentanza politica delle classi sociali che hanno subito, senza ribellarsi, l'avvento dell'era della libera circolazione dei capitali?

L'unica combinazione che conviene, alle suddette classi sociali, è questa: autonomia della leva monetaria, stabilità del cambio, e dunque limitazioni alla libertà di circolazione dei capitali.

Insomma: il liberismo è contrario agli interessi dei lavoratori. La politica opposta al liberismo è il sovranismo (ovviamente non quello farlocco di Salvini).

Se sbalio mi corigerete. Tanto io non sono un economista...

Il conflitto è endogeno, la lotta di classe esiste e l'interclassismo è una boiata pazzesca.

venerdì 21 agosto 2015

I "bravi compagni" della sinistra cosiddetta radicale

Nella quiete della mia camera, dopo una giornata di fuoco passata a trattare con i fornitori presso i quali mi reco per l'acquisto di quanto necessario per portare a termine la ristrutturazione della mia casetta di campagna (sono tra i pochi che stanno investendo).

E' un pianto generale. Ed è anche un buon momento per acquistare perché la carenza di domanda fa sì che i prezzi, per l'acquirente oculato, siano buoni. Parlo con molti di loro, e il refrain è sempre lo stesso: le tasse che si mangiano l'utile, il fatto che la gente non abbia soldi per comprare e, a seguire, quella che per loro sarebbe la cura: tagliare la spesa pubblica e combattere la corruzione. Più la prima che la seconda, in verità, forse perché di impicci ne fanno anche loro, per sopravvivere, e lo sanno, ah se lo sanno! Il finale di queste discussioni è quasi una costante: la colpa è della sinistra (quale sinistra?) e dei sindacati. Perché dei sindacati? Incredibile ma vero: perché non hanno difeso i lavoratori! Uno di loro si è mostrato preoccupato dall'idea di una possibile patrimoniale e ho dovuto dirgli che questa c'è già, e si chiama IMU sui fabbricati strumentali. Gli ho anche spiegato che sì, quella è una patrimoniale, ma del genere "diluito", mentre ciò di cui si vocifera è la patrimoniale secca, un colpo e via. Un lampo di inquietudine nei suoi occhi.

Ecco, questa è la situazione, e noi sappiamo quali ne sono le cause vere e profonde, tali da costituire un formidabile insieme di argomenti da utilizzare per mettere sotto accusa, facilmente e senza alcuna pietà, l'ideologia liberista in salsa eurista. Eppure ciò non accade, ragion per cui le analisi, gli approfondimenti, le diagnosi elaborate da un piccolo numero di militanti che qui definirò "sovranisti" - pur cosciente dei limiti di questa come di ogni definizione - non riescono ad uscire dalla cerchia ristretta di coloro che, in questi anni, hanno dedicato non poche energie a questo scopo. Certo, non disponiamo di "potenti megafoni", ma non può essere questa la sola spiegazione, c'è dell'altro. Anche perché, se già oggi disponessimo di tali "potenti megafoni", la cosa sarebbe ben sospetta e, giustamente, ci si dovrebbe interrogare sul perché. Pur nella diversità dei contesti, credo che le delusioni provocate dalle esperienze del grillismo, di Syriza e, a breve, di Podemos, siano ben comprensibili alla luce di questo evidente dato di fatto: tutti questi movimenti hanno goduto, nel momento della loro rapida ascesa, dell'appoggio del sistema dei media, messosi al loro servizio nel descriverli come forze di opposizione antisistemica nei momenti più aspri della crisi.

Io credo solo nei movimenti dal basso, quelli veri, che si fanno strada a spintoni e, quando necessario, anche a pugni, selezionando la loro classe dirigente nel fuoco della lotta. Il problema, dunque, è perché, a dispetto della gravissima crisi, nonché dei segnali ormai evidenti dell'impossibilità di risolverla in tempi ragionevoli continuando nell'applicare le ricette dell'euroliberismo, i movimenti dal basso stentino ad acquistare forza. Questa è la domanda, ad essa cercherò di dare una risposta parziale concentrandomi su un aspetto del problema, che chiamerò "il tradimento dei bravi compagni della sinistra cosiddetta radicale".

I "bravi compagni della sinistra cosiddetta radicale" costituiscono un bacino non enorme, e tuttavia sufficientemente grande, la cui mobilitazione sarebbe utilissima per uscire dall'impasse. Ognuno di noi ne conosce molti. Sono quei soggetti che militano nei quadri medio bassi delle formazioni politiche di questa cosiddetta sinistra radicale: PRC e SEL passando per le varie minoranze critiche di altri partiti, dal PD ai socialisti fino alle componenti più a sinistra dei sindacati, non dimenticando ovviamente le sigle più combattive come i Cobas e le USB, che sono, senza ombra di dubbio, delle persone per bene. Nel senso, cioè, che non rubano, non traggono dalla loro militanza grandi vantaggi, non detengono posizioni di potere, sono dei bravi compagni. Se si parla con loro, si scopre che sono contro il liberismo, contro il capitalismo, contro lo sfruttamento, contro la crescita insensata e fine a sé stessa, contro le ingiustizie, per la difesa del lavoro, della dignità sociale, per la scuola pubblica, per la sanità pubblica, per le libertà civili, insomma sono veramente dei bravi compagni. Con i quali è piacevole discutere, bere insieme una birra, parlar male di Renzi ma anche di Berlusconi, che sono contro le guerre di aggressione capitaliste, che hanno letto molti libri e spesso ci sorprendono con la loro preparazione in uno o più campi specifici.

E sono anche per la difesa della Costituzione!

Ma allora, perché non capiscono? Perché non sono al nostro fianco? Forse perché noi sovranisti abbiamo torto? Forse perché la giusta linea è quella di continuare nel processo di integrazione europea, euro compreso, pur battendosi per cambiarne il verso? Non voglio discutere questa tesi cui, per correttezza, non intendo in questa sede negare valore - pur disconoscendone ogni fondamento - perché io so, con certezza assoluta io so, che molti di essi in cuor loro sono su posizioni sovraniste, ma le disconoscono nel dibattito pubblico! In definitiva, non mi occuperò dei cosiddetti "sinistrati", quelli cioè che sono veramente convinti che "un'altra Europa è possibile", ma di quelli che sanno benissimo che ciò non è, e tuttavia non prendono posizione. E cercherò di spiegare perché, a mio modesto avviso, questi bravi compagni, che in privato sono sovranisti, nel dibattito pubblico non schiodano e, anche se lo facessero, sarebbero del tutto inutili.

Il fatto è che i nostri cari "bravi compagni", che non rubano, sono anticapitalisti, antimperialisti eccetera eccetera, sono anche, ahimè, ben inquadrati in un sistema protettivo di nicchia, una specie di riserva indiana graziosamente messa a disposizione dal sistema, nella quale è consentito sopravvivere accontentandosi di poche briciole e senza la necessità, per conservare quei piccoli o piccolissimi privilegi, di rischiare alcunché né sporcarsi le mani. E di ciò essi sono grati, in modo più o meno cosciente, ai capi bastone delle diverse sigle e siglette di riferimento. Essi sono, cioè, liberi di esplicitare le loro convinzioni ideologiche di base, dall'anticapitalismo all'antiimperialismo eccetera eccetera, ma sanno bene, o meglio percepiscono, che ogni deviazione dalla linea ufficiale dettata dai capi bastone, a loro volta cinghia di trasmissione di decisioni prese ancora più in alto nell'ambito della riserva indiana graziosamente concessa, avrebbe la grave conseguenza di privarli del loro ruolo e dei piccoli o piccolissimi privilegi connessi. Per mantenere i quali, in fondo, basta continuare ad essere anticapitalisti, antimperialisti eccetera eccetera.

In definitiva, sono dei bravi compagni vigliacchi.

Il danno che la loro vigliaccheria provoca alla causa della sinistra è straordinariamente grande perché nelle realtà locali, che esistono anche nelle grandi metropoli - poiché i sistemi relazionali di prossimità non cessano di esistere e si riproducono, sia pure in forme diverse, in ogni dove - essi sono l'esempio vivente e concreto di ciò che effettivamente è la sinistra cosiddetta radicale. E queste cose il popolo le vede, le sente, la annusa. Il risultato è che in basso nella scala sociale, laddove si lavora e si cerca di sopravvivere al disastro, insomma nei luoghi in cui noi viviamo, la parola "sinistra" fa ormai rima con vigliaccheria e opportunismo. Con l'aggravante, di non secondaria importanza perché il popolo che si fa il mazzo non ha mai perso la capacità di apprezzare almeno il coraggio e l'audacia, della pidocchieria esistenziale. Come sorprendersi allora se questo popolo preferisce, a queste amebe di terza classe, perfino un Silvio Berlusconi?

Esiste, ed eventualmente qual è, la loro possibile utilità? A mio avviso nessuna. Questo non è il tempo della vigliaccheria, dell'opportunismo, della prudenza, questo è il tempo della lotta, è nulla di buono può venire da gente che, pur consapevole dello stato delle cose, resta in attesa di un segnale di via libera dai propri capi bastone per schierarsi pubblicamente e concretamente, pagandone le inevitabili conseguenze in termini di pur miserrimi privilegi, in difesa della Costituzione italiana. Cioè per essere parte di rilievo nel movimento sovranista che, inevitabilmente, crescerà e si imporrà come sola vera forza di opposizione all'eurismo. Con il tempo alcuni di loro faranno il passo, potremo accoglierli, ma non dovremo mai dimenticare la loro indecisione, la loro prudenza, e non consentire che possano scalare posizioni nel movimento sovranista. Cosa, per altro, improbabile stante il fatto che, già oggi, essi militano nei ranghi più bassi degli ascari dell'eurismo.

La lotta per la riconquista della sovranità e dell'indipendenza del popolo italiano sarà dura, c'è bisogno di spiriti forti e di eroi. Perfino i pezzi grossi dell'eurismo, il giorno che opportunisticamente cambieranno bandiera, saranno più utili di queste amebe di terza classe che non trovano nemmeno la forza, davanti al massacro sociale in atto, di esprimere le loro vere idee, per non rinunciare non dico a benefici materiali - almeno questo - ma semplicemente all'illusione di sentirsi protetti. La campana sta già suonando, per noi tutti ma anche per loro, solo che fanno finta di non sentirla. Per viltà.

lunedì 17 agosto 2015

#Matteostaisereno!

 Riprendo il discorso aperto con il post "Matteo Renzi - Hic Rhodus hic salta". L'occasione mi è data dall'articolo di Giulio Sapelli pubblicato sul Messaggero di oggi 17 agosto 2015 dal titolo "L’Italia chieda più flessibilità, ora Berlino deve cedere". L'articolo non è ancora disponibile gratuitamente, per cui l'ho fotografato e lo riporto qui. Se mi verrà chiesto di rimuovere le foto lo farò, ma non credo che ciò avverrà, stante la natura rigorosamente no-profit del blog.

Ebbi modo di ascoltare Giulio Sapelli in occasione del seminario "CAPITALISMO FINANZIARIO E DEMOCRAZIA del 04/06/2013", ricavandone l'impressione di un uomo profondamente convinto della necessità di continuare sulla via dell'integrazione europea, pur modificandone radicalmente l'architettura economica. Non ero e non sono d'accordo con questa impostazione, che considero velleitaria e non percorribile, e l'intervento odierno conferma il mio scetticismo.

In esso Sapelli invoca un cambio di passo da parte degli Stati nazionali, in primo luogo l'Italia e a seguire la Francia, tale da imporre alle tecnostrutture europeee un profondo cambiamento nelle politiche economiche che "tendano all'autonomia relativa degli Stati" ponendo in secondo piano gli "strumenti automatici di controllo che sempre più concentrano meccanismi servili e vincoli, piuttosto che opportunità di possibili politiche economiche espansive".

 L'appello di Sapelli è analogo a quello di Romano Prodi già segnalato nel post "Matteo Renzi - Hic Rhodus hic salta". Entrambi i contributi possono essere inquadrati all'interno di una strategia di comunicazione tesa a descrivere il fallimento del processo di unificazione europea addossandone la responsabilità alla Germania, con l'evidente fine di smussare le responsabilità della classe politica italiana e del suo establishment politico-economico, del quale sia Sapelli che Prodi fanno parte. E non solo loro! Non sarebbe educato, infatti, trascurare il valido contributo al disastro di personaggi come Paolo Savona e Corrado Passera, per non dire dei vari Napolitano, Monti, Berlusconi, Tremonti e via messa cantando. Non ultimo, infine, il nostro attuale Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, al quale Sapelli chiede oggi di fare ciò che sempre si sarebbe dovuto fare, fin da quando la Germania di Schroeder lanciò l'agenda 2010, cui fecero seguito le riforme Hartz - vedi  Mi' cuggino all'abbiemmevvu (prima e seconda parte).
Oggi dunque Matteo Renzi incontrerà la Merkel all'Expo di Milano. Secondo il buon Sapelli i due capi di Stato avrebbero così la possibilità di "parlarsi", come se, nell'era di Internet, fosse necessario incontrarsi di persona come erano costretti a fare i loro analoghi del XIX secolo! Già questo dettaglio è sufficiente per qualificare la sortita di Giulio Sapelli: propaganda ad uso e consumo delle masse semi-acculturate che, sotto il condizionamento dei media, formano l'opinione pubblica cosiddetta "informata" dei fatti. Completano il quadro le citazioni del poeta Heinrich Heine e del teologo luterano Dietrich Bonhoeffer (il teologo che sfidò Hitler), a rimarcare il concetto che la colpa è dei tedeschi cattivi, la cui icona è naturalmente Wolfgang Schäuble, che del cattivo ha anche l'aspetto truce nonché il fatto che è immobilizzato su una carrozzella, e dunque chissà quanto è sadico!
 La verità è un'altra: la vittoria ha molti padri mentre la sconfitta è orfana! Agli €uristi nostrani serve un capro espiatorio che, per il momento, non può ancora essere Angela Merkel, dalla quale ci si attende non si sa bene quale miracolo. Perché la Merkel dovrebbe, improvvisamente, imprimere una svolta a 180° alla politica del suo paese per salvare le terga della classe politica e dell'establishment politico-economico italiano? E se del caso, in cambio di cosa lo farebbe? Cosa può offrire l'Italia, per contraccambio ad una timida apertura in senso espansivo della politica economica europea, se non una definitiva cessione di sovranità?  Eppure è proprio questo il senso del pigolare dei vari Prodi e Sapelli: concedeteci qualche briciola, incolpiamo di tutto il capro espiatorio, e salvateci! Cioè salvate noi, i responsabili italiani del disastro.
Questo è il mandato di cui è oggi investito Matteo Renzi, il quale però è stato scelto e promosso al ruolo di salvatore d'Italia sulla base di una diversa illusione, quella secondo cui, facendo le riforme, il nostro paese avrebbe rapidamente riguadagnato i margini di competitività necessari per confrontarsi alla pari con la Germania. I risultati economici, però, sono sotto gli occhi di tutti, e qualche nervosismo comincia a manifestarsi. A mio parere, per Renzi è suonata la campana dell'ultimo giro.

All'inevitabile fallimento cui andrà incontro nell'impossibile compito di "cambiare la Germania" farà seguito, alla ripresa autunnale, l'attacco coordinato per sostituirlo con un negoziatore più affidabile e di migliori capacità. Circola il nome di Enrico Letta. #Matteostaisereno!

venerdì 14 agosto 2015

Le dure repliche della storia [dal blog di Badiale&Tringali]

Marco Bersani
Dal blog di Marino Badiale e Fabrizio Tringali un articolo sul dibattito interno al mondo antisistemico sull'euro e l'Unione Europea. Qualcosa si muove, sostengono B&T, seppur lentamente. Personalmente sono amareggiato per la posizione di Marco Bersani (Attac-Italia) che ebbi modo di conoscere in occasione della campagna contro il nucleare (5 novembre 2009), prima che l'incidente di Fukushima mettesse la parola fine (almeno si spera) a quella follia. Trasmettemmo il suo ottimo intervento (parola di ingegnere nucleare) in diretta web e lo ripubblicammo il 6 aprile 2011, dopo l'incidente di Fukushima. Temo che il filosofo Marco Bersani sia molto più preparato in campo nucleare che in economia politica. Ma i fatti hanno la testa dura, e noi sovranisti lo aspettiamo tra le nostre fila.


Come era prevedibile aspettarsi, l'esito infausto della vicenda greca sta cambiando qualcosa, nelle riflessioni interne al variegato mondo “antisistemico”, che è costretto a confrontarsi con quelle che, in altro contesto, Bobbio chiamò “le dure repliche della storia”.
Finalmente una parte di quel mondo sta accettando una delle nostre tesi di fondo: cioè il fatto che mettere sul tavolo l'uscita dall'euro, almeno come “piano B”, è una condizione necessaria (anche se, come abbiamo ripetuto molte volte, non sufficiente) per qualsiasi programma politico di contrasto ai ceti dominanti nazionali e internazionali.
Ci sembra importante segnalare le sempre maggiori aperture che si stanno registrando in questo mondo, perché anche di qui passa la necessaria costruzione di un soggetto politico realmente antagonistico all'attuale organizzazione sociale.
Senza nessuna pretesa di esaustività, indichiamo alcune prese di posizione succedutesi dopo la sconfitta di Syriza (qualcuna l'avevamo già segnalata in post precedenti). [Continua sul blog di B&T]

mercoledì 12 agosto 2015

Proviamo con un ciclo for...


Vorrei sapere quanto ancora più grossa devo scriverla. Sto parlando dell'intestazione:

Questo non è un blog per anonimi

Proviamo con un ciclo for...

For (i=0; i<rotturaDiKazzo.length; i++)
{cervello.writeline("Questo non è un blog per anonimi");}

Ovviamente il frammento di codice dà errore se l'oggetto "cervello" non è stato precedentemente istanziato. La trappola d'errore la lascio a voi per esercizio. Cheese.

martedì 11 agosto 2015

E' imminente la pubblicazione del libro "Costituzione italiana contro Trattati europei" di Vladimiro Giacchè

Segnalo alla vostra attenzione un paio di brani, tratti da questa anteprima.

«Otmar Issing, già capo economista della BCE e membro del suo consiglio di amministrazione: “sebbene la via prescelta per ottenere la denazionalizzazione della moneta sia stata molto differente rispetto a quanto reclamato da Hayek, l’obiettivo finale da egli ricercato, cioè la indipendenza monetaria dall’interferenza politica e la stabilità dei prezzi, sono state, a tutti gli effetti, ottenute.”»

«Per quanto riguarda l’Italia, il ruolo della Banca d’Italia di compratore per eccellenza dei titoli pubblici era cessato molto tempo prima: a seguito del cosiddetto divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia, avvenuto nel 1981 ad opera del ministro del Tesoro Andreatta e del governatore della Banca d’Italia Ciampi. La Banca Centrale divenne un acquirente tra gli altri, e in questo modo non esercitò più una funzione calmieratrice sui tassi d’interesse pagati dallo Stato ai suoi creditori.
Questa operazione fu definita dallo stesso Andreatta come “un’inevitabile conseguenza” dell’adesione al Sistema monetario europeo, il progenitore dell’euro. Ed ebbe uno spiacevole (ma prevedibile) effetto collaterale, ammesso dallo stesso Andreatta: quello di gonfiare enormemente il debito pubblico: “naturalmente la riduzione del signoraggio monetario e i tassi d’interesse positivi in termini reali” – ossia maggiori anche dell’inflazione del tempo, che era a due cifre – “si tradussero rapidamente in un nuovo grave problema per la politica economica, aumentando il fabbisogno del Tesoro e l’escalation della crescita del debito rispetto al prodotto nazionale”
Escalation è il termine giusto: il rapporto debito/prodotto interno lordo, complici i tassi internazionali elevati degli anni Ottanta, passò in soli 10 anni dal 58 per cento ante-divorzio a oltre il 120 per cento.»

Il quadro è chiaro, ma il problema è spiegarlo ai sub-cittadini. Per questo servono migliaia e migliaia di sub-divulgatori. #eccesemocapiti!

domenica 9 agosto 2015

Matteo Renzi - Hic Rhodus hic salta

Non l'ho mai detto pubblicamente, essendomi limitato ad accennarne in privato con alcuni, tra cui Moreno Pasquinelli e Stefano D'Andrea, ma sono convinto di una cosa: o Matteo Renzi saprà rilanciare la prospettiva federalista europea, o dovrà farsi da parte. Oggi Romano Prodi conforta questa lettura della situazione con un articolo dal titolo:

Reagire con fermezza alle inaccettabili posizioni di Schaeuble. Italia e Francia impongano un vertice sul futuro dell’Europa


Vi invito a leggerlo. La sostanza mi sembra evidente: tocca all'Italia, in particolare a Matteo Renzi, il compito di rilanciare l'iniziativa europea. Non è solo una questione di rapporti di forza economica, ma anche di capacità politiche personali. Possiamo aspettarci che un leader, scelto per la sua capacità di raccontare balle alla plebaglia, sia anche un vero statista? Io penso di no, ma chi sono per parlare? Non l'ho scelto io Matteo Renzi, e neppure gli italiani se è per questo, per cui la responsabilità del suo più che probabile fallimento - almeno quella morale, e dunque politica - non potrà che ricadere su quei pezzi della società italiana che hanno puntato sul rignanese.

Hic Rhodus hic salta, Matteo Renzi!

sabato 8 agosto 2015

La politica è un processo altamente non lineare

State facendo la bella vita vero? Mentre io, quest'anno, niente vacanze. Va bene, ma mi vendico.

Chi è stato "complice" dell'euro? Il PCI, il PSI, la Dc, il PRI, il MSI, i radicali....? Oggi va di moda rivedere il passato alla luce del disastro dell'euro, per cui basta una clip in cui Craxi (già ad Hammamet, per altro) mostra scetticismo nei confronti della moneta unica, per farne un santino. Ma forse le cose sono lievemente più complicate. Guardatevi questa playlist sulla vita di Bettino, e poi fatevi la domanda: Craxi era per l'Unione Europea o era contrario?

Vi aiuto, tanto lo so che FacciaLibro vi ha rovinato: non c'è risposta a una domanda sbagliata, e la domanda è sbagliata perché è binaria. La politica è un processo altamente non lineare, non descrivibile con le equazioncine di primo grado - figuriamoci con le identità contabili!

Addendum: sia ben chiaro, al netto delle critiche ex-post, Bettino era comunque uno statista italiano, non un maggiordomo!

Addendum 2: vi consiglio, caldamente vi consiglio, di guardare tutta la la playlist con estrema attenzione.

Addendum 3: io non capisco un cazzo ma sono una persona onesta, e per onestà devo confessare, sebbene possa nasconderlo, che quel 30 aprile del 1993 ero a piazza Navona, a due passi dal Raphael, pronto ad andare a lanciare monetine contro Craxi. Me ne dissuase l'amico Paolo Galliadi, che non ho mai cessato di ringraziare per questo. Sento il bisogno di dirvelo, perché non mi va che qualcuno dei miei pochi lettori possa pensare che io abbia visto lontano. Al contrario, come tantissimi altri, ci cascai con tutti e due i piedi. E forse è per questo che oggi sono così incazzato. Senza per questo, lo ribadisco, fare di Craxi un santino.

La Germania sta segando l'albero su cui è seduta?

Ce lo ricordiamo quello che parlava di razionalità economica e del fatto che la Germania (sì, proprio lei, la signora bionda!) stava segando il ramo su cui era seduta? Questo ramo deve essere piuttosto robusto, dal momento che non si odono scricchiolii. O forse sì? Un momento, ascoltiamo bene. A dire il vero qualche scricchiolio si sente, un ramo sta effettivamente cedendo... ma forse non è quello su cui sta seduta la signora bionda.

Qual è la base della potenza di una nazione? Il fatto che importi molto ed esporti molto di meno, come sostengono gli amici della mmt? Questa, semmai, può essere la manifestazione di una condizione di superiorità, tipica di un impero: importo molto più di quanto esporto perché tanto stanno tutti sotto la mia cappella! Oppure: importo molto più di quanto esporto perché ho incontrato Mangiafuoco e, sebbene io sia Pinocchio, anzi proprio per questo, mi sento un signore senza esserlo, salvo risvegli asinini.

Uno Stato, che non sia ancora una potenza imperiale ma che aspiri a diventarlo, deve esportare molto più di quanto importi. Oltre ad essere, già di suo, abbastanza grosso. La ragione è semplice: uno Stato che esporta molto più di quanto importa, e lo fa in modo strutturale e per un lungo periodo, riesce con ciò ad espandere la sua base industriale a spese degli altri. Inoltre accumula crediti nei confronti degli altri paesi, che può spendere, all'occorrenza, come vuole.

In Europa c'è uno Stato che risponde a queste caratteristiche: la Germania. Sì, proprio lei, la signora bionda. Riesce a farlo grazie all'euro, ma alcuni credono che, quando l'euro imploderà, la signora bionda si troverà a mal partito, cioè cadrà dal ramo sul quale è oggi seduta. Ne siamo sicuri?

Cosa accadrà quando l'euro imploderà? Dite che con il suo nuovo marco i prezzi della signora bionda saranno così alti da mandarla a ramengo? Bè, intanto quel giorno la signora bionda si ritroverà con una base industriale molto più grande di quella che aveva quando la sventura dell'euro è cominciata, e questo, se permettete, è un vantaggio, non un handicap. Inoltre la signora bionda sarà gonfia di crediti. Anche perché avrà recuperato, grazie ai fondi salva stato, gran parte di quelli deteriorati. A quel punto la signora bionda avrà davanti a sé due strade: aumentare i consumi attraverso ampie concessioni salariali, così da espandere il suo mercato interno, oppure raggiungere lo stesso risultato con un classico e banale trucchetto: riarmarsi.

Vi ricordo che nel 1933 la Germania hitleriana era sostanzialmente disarmata, ma sei anni dopo, nel 1939, scatenò l'inferno. Quello che, negli anni trenta, richiese sei anni, oggi può essere realizzato in un tempo assai minore. D'altra parte, chi potrebbe impedirglielo? Forse gli americani, ma a quale prezzo? Io penso che oggi una delle scelte strategiche che la signora bionda può adottare sia proprio quella di riarmarsi velocemente dopo il collasso dell'euro. Avrebbe così raggiunto, dopo la riunificazione, il secondo obiettivo: quello di non essere più un nano politico pur essendo un gigante economico. E che gigante!

Questo sarebbe il più grande, e definitivo, fallimento dell'euro! La moneta unica, che nei fogni dei suoi sciocchi esegeti sarebbe dovuta servire a tenere sotto controllo la signora bionda, potrebbe invece rivelarsi lo strumento attraverso il quale, dopo la sua fine, essa tornerà a dominare sull'Europa.

Povera Marianna...

domenica 2 agosto 2015

Una linea rossa (usque tandem, Fassine, cincischieris?)

Non sono tra coloro che si scandalizzano quando vedono persone, soprattutto politici, fino a ieri europeisti che cambiano idea e si schierano contro l'euro e l'Unione Europea. Anzi, quando ciò accade me ne compiaccio e, in senso metaforico, sacrifico l'agnello grasso. C'è però un limite, una linea rossa oltre la quale non si può andare: quando l'euro imploderà, e con esso l'Unione Europea, non potremo trattare coloro che si convertiranno solo dopo, o in prossimità della fine del regime euroliberista, alla stregua di quanti avranno combattuto la guerra.

Ora un primo problema è: dove posizionare questa linea rossa? Ebbene, sono in disaccordo con quanti vorrebbero stenderla già oggi, in totale e completo disaccordo. Tuttavia a un certo punto questo dovrà essere fatto, proprio per impedire una corsa al trasformismo come quella che ci fu alla caduta del Fascismo: il giorno dopo l'otto settembre, al sud, erano già tutti antifascisti, sebbene di guerra partigiana non se ne fosse vista molta; al nord si dovette aspettare il 25 aprile 1945, data dopo la quale si scoprì che l'Italia era un paese di partigiani.

Il problema è particolarmente grave se si riflette sul fatto che in questa occasione non ci sarà, si spera, io almeno lo spero, una vera guerra combattuta, ma solo un durissimo confronto politico. Una guerra civile, che è un evento di gravità inaudita nella storia di un popolo, offre infatti una possibilità di riscatto a tutti, anche ai collaborazionisti del vecchio regime, mentre ciò non accade nel caso di una transizione che sia solo politica, per quanto aspra questa possa essere.

Che fare, dunque, con i convertiti dell'ultima ora? La linea rossa servirà a questo: a mettere fine ad ogni prospettiva di carriera politica per gli attuali unionisti nell'Italia che avrà riconquistato la sua sovranità nazionale. Cosa che non dubito che avverrà.

Il caso di Stefano Fassina è emblematico. Non v'è dubbio che gli attuali suoi convincimenti siano coincidenti con quelli di noi sovranisti, eppure Fassina non osa tagliare il cordone ombelicale che lo lega all'ideologia unionista. La domanda che mi pongo, e pongo ai lettori del blog, è la seguente: fino a quando Fassina potrà cincischiare (usque tandem, Fassine, cincischieris)?

A mio parere, almeno per quanto riguarda i piani alti della politica, quelli cioè dove si assumono responsabilità di livello nazionale, il momento di tracciare una linea rossa non è lontano. Di altra natura, evidentemente, è il problema di tracciare un'analoga linea rossa per i ranghi intermedi e bassi della politica, dai consigli regionali a quelli comunali. In tal caso non si potrà che seguire l'esempio di Togliatti che, con l'amnistia agli ex-fascisti, permise la necessaria riconciliazione nazionale. A maggior ragione se, come mi auguro dal profondo del cuore, la transizione sarà politica e non militare. Nella malaugurata ipotesi, invece, di una nuova guerra civile, mi astengo dal fare proposte, fatta eccezione per gli atti di eroismo dell'ultima ora, quelli cioè che riscattano un'intera esistenza malvissuta. Per altro potrebbe porsi il problema opposto, quello dell'epurazione delle nostre stesse schiere qualora, per difendere il folle progetto euroliberista, si arrivasse a tanto e noi fossimo sconfitti sul campo. Ma a questa terribile prospettiva non voglio nemmeno pensare...

C'è poi una seconda questione, quella della severità. Dovremo cioè essere ugualmente propensi al perdono, nei riguardi della classe politica di sinistra, di quanto lo saremo verso quella di destra e di centro? Non è una questione secondaria, perché all'accusa di tradimento nei confronti della Nazione, che accomunerà tutti gli euroliberisti, nel caso della classe politica di sinistra complice dell'euroliberismo non potrà non sommarsi quella di tradimento del popolo lavoratore. Anche su questo tema vi dico la mia, nell'attesa che coloro che frequentano questo blog dicano la loro: a mio parere nel caso della classe politica di sinistra si dovrà tener conto anche del secondo capo di imputazione, con una severità quindi ben maggiore. Anzi, se proprio devo essere chiaro, penso che la classe politica di sinistra, complice fino all'ultimo dell'euroliberismo, dovrà essere epurata con estrema spietatezza. Nulla dovrà esserle abbuonato! Ovviamente ciò riguarda le loro prospettive di riciclarsi a sinistra dopo la sconfitta dell'euroliberismo. Che vadano, se vogliono, a rinfoltire le fila della destra nazionale, che magari li accoglierà... ma forse no!

Il problema è quando stenderla questa linea rossa. Farlo troppo presto significa indebolire il fronte sovranista; tardando troppo si rischia di tenere dentro personaggi che, fino all'ultimo, saranno stati nostri avversari. Ancora una volta dico la mia, nell'attesa dei suggerimenti dei lettori del blog: al massimo la primavera del 2016. Il che significa consentire al "caso emblematico", alias Stefano Fassina, di tentare l'operazione che ci ha annunciato, quella di portare su posizioni sovraniste i protagonisti della nuova grande ammucchiata dei sinistrati, la cui costituzione è in programma all'inizio dell'autunno. Dopodiché, senza pur tuttavia fargliene passare una che è una, si aspettano sei mesi e, a fine marzo del 2016, si tira la linea rossa. Chi, dichiarandosi di sinistra, sarà ancora dall'altra parte, verrà considerato nemico della Patria e del popolo lavoratore!

Insomma, a Stefano Fassina gli diamo gli otto mesi!

sabato 1 agosto 2015

LUCIANO CANFORA. 1945-2015: LA GUERRA E' FINITA?

Dopo aver visto questo, penso che non sia un eccesso di precauzione cominciare a ragionarci sopra.

[PopulPost] Un matrimonio combinato

Allora ragazzi, perché la gente si sposa? Perché si ama? Certo, ma io ho chiesto perché si sposa. Perché non ci sposiamo tutti prima dei venti anni, quando le passioni sono al culmine dell'intensità? Forse perché il motivo per cui ci si sposa, oltre ad amarci, è in qualcos'altro? Non è che ci si sposa quando cominciamo a capire che un po' di sicurezza, nella vita, è importante?

Guardate che le nazioni nascono per una ragione un po' simile a quella per cui ci si sposa: a un certo punto ci si rende conto che, mettendosi insieme, la vita è meno pericolosa. Certo, per sposarsi serve amarsi un po', ma soprattutto è necessario avere delle cose in comune e una buona ragione per farlo, altrimenti si continua a trombare allegramente. Per esempio vivere nello stesso luogo, capirsi, sentirsi già in qualche modo simili... e poi gli anni che passano, le prime insicurezze, la prima ruga, e siete stanchi di tornare a casa ed essere soli, e i bambini...

Poi l'ammmore, si sa, fa fare cose folli, per cui un australiano può sposare un'esquimese, ma statisticamente parlando chi si assomiglia si prende e, se ha buone ragioni, mette su famiglia.

Ma come volete che siano nate le nazioni europee? In Spagna, diciamocelo, c'erano i Visigoti, gli Iberici e gli Arabi; in Francia i Franchi, i Celti e i Sassoni; In Inghilterra i Normanni, i Gallesi e gli Scozzesi. A un certo punto, vuoi per amore, vuoi per forza di cose, si sono "sposati" e sono nati i Francesi, gli Spagnoli, gli Inglesi. Qualche volta la "storia d'amore" è stata lievemente tormentata... ma si sa come vanno le cose.

Dice: e gli Italiani? Ma cari ragazzi, date un occhio al capoverso "Gli alleati italici" tratto da questa voce di wikipedia sulla battaglia di Canne! E più non dimandate.

Dunque ci si sposa, o si costruisce una nazione, quando tutti capiscono e accettano il fatto (ci si sposa anche per questo) che conviene. E adesso veniamo all'Europa.

Vi invito a guardare questa mappa:


Non sarebbe bello costruire una nazione così grande? Non sentite un pizzico di orgoglio al pensiero di far parte di una Patria così grande? E anche un piccolo sentimento di potenza, daje! Ebbene, è così che ci hanno fregato!

Il guaio è che l'Unione Europea è un matrimonio combinato, non un matrimonio d'amore. Oddio, qualche piccolo sforzo per farci conoscere, prima di incastrarci, i maledetti sensali lo hanno pur fatto. Avete presente l'Erasmus, il programma europeo grazie al quale migliaia di giovani studenti hanno trascorso un anno all'estero? Ci hanno fatto pure un bel film, l'appartamento spagnolo, di cui vi riporto una breve clip:


E' stato un po' come se, per farvi sposare una tipa (o un tipo), i maledetti sensali avessero organizzato una festicciola: vi fanno incontrare la tipa (o il tipo), brigano per lasciarvi soli e, sul più bello, arrivano e cominciano a dire che vi siete fidanzati. Poi arrivano anche i genitori in lacrime, le vecchie zie, tutti brindano dicendo che sarete felici e... siete sposati! E' andata così ragazzi, pensateci bene.

C'è un piccolo dettaglio: avete saltato il fidanzamento con tutte le sue sorprese, i problemi, le gelosie, le rotture, le rappacificazioni quando capite che non potete fare a meno della tipa (o del tipo), infine la grande decisione. La vostra grande decisione: ebbene sì, ti amo e voglio sposarti!

Il sentimento europeo è fondato sull'Erasmus, cioè su una vacanzella. Certo, poteva anche andare bene, ma pare che ci siano un po' di problemi. Si poteva fare diversamente? Questa Patria europea poteva nascere in modo diverso? Io dico di sì, e adesso ve lo dico con un altro raccontino.

Avete presente il CERN? Se andate al Cern, o conoscete qualcuno che ci lavora, sarete sorpresi dal constatare che lì vive un popolo europeo. Peccato che sia l'unico. Immaginate però uno scenario in cui gli Stati europei si fossero accordati per promuovere la nascita di imprese pubbliche nei settori trainanti dell'economia: istruzione, energia, telecomunicazioni, informatica, trasporti, logistica e quello che vi pare, nelle quali fossero stati assunti, rigorosamente per concorso pubblico, milioni di giovani! Altro che la vacanzella di Erasmus! Nel giro di pochi decenni sarebbe nato un vero popolo europeo. A quel punto grazie all'amore vero (non quello combinato dai maledetti sensali) che come tutti sappiamo è pieno di dolori oltre che gioie ma alla fine trionfa perché capiamo che ci conviene sposarci, questo popolo europeo avrebbe lui stesso chiesto l'unione politica!

Perché non lo hanno fatto? Ci voleva la scienza per capire che questa strada sarebbe stata migliore? Forse l'unica possibile? Io ve la butto là, poi valutate voi: non lo hanno fatto perché, invece di costruire grandi imprese pubbliche, sottolineo pubbliche, nei settori trainanti dell'economia, hanno deciso di privatizzare tutto.

E perché? La risposta è dentro di voi e adesso, dopo anni che ci si ragiona sopra tutti insieme, è quella giusta! I maledetti sensali...