venerdì 21 agosto 2015

I "bravi compagni" della sinistra cosiddetta radicale

Nella quiete della mia camera, dopo una giornata di fuoco passata a trattare con i fornitori presso i quali mi reco per l'acquisto di quanto necessario per portare a termine la ristrutturazione della mia casetta di campagna (sono tra i pochi che stanno investendo).

E' un pianto generale. Ed è anche un buon momento per acquistare perché la carenza di domanda fa sì che i prezzi, per l'acquirente oculato, siano buoni. Parlo con molti di loro, e il refrain è sempre lo stesso: le tasse che si mangiano l'utile, il fatto che la gente non abbia soldi per comprare e, a seguire, quella che per loro sarebbe la cura: tagliare la spesa pubblica e combattere la corruzione. Più la prima che la seconda, in verità, forse perché di impicci ne fanno anche loro, per sopravvivere, e lo sanno, ah se lo sanno! Il finale di queste discussioni è quasi una costante: la colpa è della sinistra (quale sinistra?) e dei sindacati. Perché dei sindacati? Incredibile ma vero: perché non hanno difeso i lavoratori! Uno di loro si è mostrato preoccupato dall'idea di una possibile patrimoniale e ho dovuto dirgli che questa c'è già, e si chiama IMU sui fabbricati strumentali. Gli ho anche spiegato che sì, quella è una patrimoniale, ma del genere "diluito", mentre ciò di cui si vocifera è la patrimoniale secca, un colpo e via. Un lampo di inquietudine nei suoi occhi.

Ecco, questa è la situazione, e noi sappiamo quali ne sono le cause vere e profonde, tali da costituire un formidabile insieme di argomenti da utilizzare per mettere sotto accusa, facilmente e senza alcuna pietà, l'ideologia liberista in salsa eurista. Eppure ciò non accade, ragion per cui le analisi, gli approfondimenti, le diagnosi elaborate da un piccolo numero di militanti che qui definirò "sovranisti" - pur cosciente dei limiti di questa come di ogni definizione - non riescono ad uscire dalla cerchia ristretta di coloro che, in questi anni, hanno dedicato non poche energie a questo scopo. Certo, non disponiamo di "potenti megafoni", ma non può essere questa la sola spiegazione, c'è dell'altro. Anche perché, se già oggi disponessimo di tali "potenti megafoni", la cosa sarebbe ben sospetta e, giustamente, ci si dovrebbe interrogare sul perché. Pur nella diversità dei contesti, credo che le delusioni provocate dalle esperienze del grillismo, di Syriza e, a breve, di Podemos, siano ben comprensibili alla luce di questo evidente dato di fatto: tutti questi movimenti hanno goduto, nel momento della loro rapida ascesa, dell'appoggio del sistema dei media, messosi al loro servizio nel descriverli come forze di opposizione antisistemica nei momenti più aspri della crisi.

Io credo solo nei movimenti dal basso, quelli veri, che si fanno strada a spintoni e, quando necessario, anche a pugni, selezionando la loro classe dirigente nel fuoco della lotta. Il problema, dunque, è perché, a dispetto della gravissima crisi, nonché dei segnali ormai evidenti dell'impossibilità di risolverla in tempi ragionevoli continuando nell'applicare le ricette dell'euroliberismo, i movimenti dal basso stentino ad acquistare forza. Questa è la domanda, ad essa cercherò di dare una risposta parziale concentrandomi su un aspetto del problema, che chiamerò "il tradimento dei bravi compagni della sinistra cosiddetta radicale".

I "bravi compagni della sinistra cosiddetta radicale" costituiscono un bacino non enorme, e tuttavia sufficientemente grande, la cui mobilitazione sarebbe utilissima per uscire dall'impasse. Ognuno di noi ne conosce molti. Sono quei soggetti che militano nei quadri medio bassi delle formazioni politiche di questa cosiddetta sinistra radicale: PRC e SEL passando per le varie minoranze critiche di altri partiti, dal PD ai socialisti fino alle componenti più a sinistra dei sindacati, non dimenticando ovviamente le sigle più combattive come i Cobas e le USB, che sono, senza ombra di dubbio, delle persone per bene. Nel senso, cioè, che non rubano, non traggono dalla loro militanza grandi vantaggi, non detengono posizioni di potere, sono dei bravi compagni. Se si parla con loro, si scopre che sono contro il liberismo, contro il capitalismo, contro lo sfruttamento, contro la crescita insensata e fine a sé stessa, contro le ingiustizie, per la difesa del lavoro, della dignità sociale, per la scuola pubblica, per la sanità pubblica, per le libertà civili, insomma sono veramente dei bravi compagni. Con i quali è piacevole discutere, bere insieme una birra, parlar male di Renzi ma anche di Berlusconi, che sono contro le guerre di aggressione capitaliste, che hanno letto molti libri e spesso ci sorprendono con la loro preparazione in uno o più campi specifici.

E sono anche per la difesa della Costituzione!

Ma allora, perché non capiscono? Perché non sono al nostro fianco? Forse perché noi sovranisti abbiamo torto? Forse perché la giusta linea è quella di continuare nel processo di integrazione europea, euro compreso, pur battendosi per cambiarne il verso? Non voglio discutere questa tesi cui, per correttezza, non intendo in questa sede negare valore - pur disconoscendone ogni fondamento - perché io so, con certezza assoluta io so, che molti di essi in cuor loro sono su posizioni sovraniste, ma le disconoscono nel dibattito pubblico! In definitiva, non mi occuperò dei cosiddetti "sinistrati", quelli cioè che sono veramente convinti che "un'altra Europa è possibile", ma di quelli che sanno benissimo che ciò non è, e tuttavia non prendono posizione. E cercherò di spiegare perché, a mio modesto avviso, questi bravi compagni, che in privato sono sovranisti, nel dibattito pubblico non schiodano e, anche se lo facessero, sarebbero del tutto inutili.

Il fatto è che i nostri cari "bravi compagni", che non rubano, sono anticapitalisti, antimperialisti eccetera eccetera, sono anche, ahimè, ben inquadrati in un sistema protettivo di nicchia, una specie di riserva indiana graziosamente messa a disposizione dal sistema, nella quale è consentito sopravvivere accontentandosi di poche briciole e senza la necessità, per conservare quei piccoli o piccolissimi privilegi, di rischiare alcunché né sporcarsi le mani. E di ciò essi sono grati, in modo più o meno cosciente, ai capi bastone delle diverse sigle e siglette di riferimento. Essi sono, cioè, liberi di esplicitare le loro convinzioni ideologiche di base, dall'anticapitalismo all'antiimperialismo eccetera eccetera, ma sanno bene, o meglio percepiscono, che ogni deviazione dalla linea ufficiale dettata dai capi bastone, a loro volta cinghia di trasmissione di decisioni prese ancora più in alto nell'ambito della riserva indiana graziosamente concessa, avrebbe la grave conseguenza di privarli del loro ruolo e dei piccoli o piccolissimi privilegi connessi. Per mantenere i quali, in fondo, basta continuare ad essere anticapitalisti, antimperialisti eccetera eccetera.

In definitiva, sono dei bravi compagni vigliacchi.

Il danno che la loro vigliaccheria provoca alla causa della sinistra è straordinariamente grande perché nelle realtà locali, che esistono anche nelle grandi metropoli - poiché i sistemi relazionali di prossimità non cessano di esistere e si riproducono, sia pure in forme diverse, in ogni dove - essi sono l'esempio vivente e concreto di ciò che effettivamente è la sinistra cosiddetta radicale. E queste cose il popolo le vede, le sente, la annusa. Il risultato è che in basso nella scala sociale, laddove si lavora e si cerca di sopravvivere al disastro, insomma nei luoghi in cui noi viviamo, la parola "sinistra" fa ormai rima con vigliaccheria e opportunismo. Con l'aggravante, di non secondaria importanza perché il popolo che si fa il mazzo non ha mai perso la capacità di apprezzare almeno il coraggio e l'audacia, della pidocchieria esistenziale. Come sorprendersi allora se questo popolo preferisce, a queste amebe di terza classe, perfino un Silvio Berlusconi?

Esiste, ed eventualmente qual è, la loro possibile utilità? A mio avviso nessuna. Questo non è il tempo della vigliaccheria, dell'opportunismo, della prudenza, questo è il tempo della lotta, è nulla di buono può venire da gente che, pur consapevole dello stato delle cose, resta in attesa di un segnale di via libera dai propri capi bastone per schierarsi pubblicamente e concretamente, pagandone le inevitabili conseguenze in termini di pur miserrimi privilegi, in difesa della Costituzione italiana. Cioè per essere parte di rilievo nel movimento sovranista che, inevitabilmente, crescerà e si imporrà come sola vera forza di opposizione all'eurismo. Con il tempo alcuni di loro faranno il passo, potremo accoglierli, ma non dovremo mai dimenticare la loro indecisione, la loro prudenza, e non consentire che possano scalare posizioni nel movimento sovranista. Cosa, per altro, improbabile stante il fatto che, già oggi, essi militano nei ranghi più bassi degli ascari dell'eurismo.

La lotta per la riconquista della sovranità e dell'indipendenza del popolo italiano sarà dura, c'è bisogno di spiriti forti e di eroi. Perfino i pezzi grossi dell'eurismo, il giorno che opportunisticamente cambieranno bandiera, saranno più utili di queste amebe di terza classe che non trovano nemmeno la forza, davanti al massacro sociale in atto, di esprimere le loro vere idee, per non rinunciare non dico a benefici materiali - almeno questo - ma semplicemente all'illusione di sentirsi protetti. La campana sta già suonando, per noi tutti ma anche per loro, solo che fanno finta di non sentirla. Per viltà.

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