giovedì 28 aprile 2016

Effetto "uomo qualunque"

Il m5s è morto (effetto uomo qualunque). C'è una grande opportunità per i sovranisti.

Cos'è il "sovranismo"? E' un " punto di vista": quello di una comunità di esseri umani che potrebbe desiderare di farsi "Stato". La comunità è quella degli italiani: 60 milioni di persone in un mondo di 7 miliardi.

Che volemo fa?

Nel 2011 l'occasione è andata persa. Chi ha vissuto l'intera vicenda sa di cosa parlo (Barnard, Bagnai, Rinaldi, D'Andrea, Pasquinelli...).

Il punto è: si vince uniti o, "questa volta", si vince divisi? Io, che beato me non capisco un cazzo, dico che si vince uniti e ci si divide dopo. Ovvero: prima si ammazza l'orso e poi si vende la sua pelle.

Il m5s è morto (effetto uomo qualunque).

Che volemo fa?


martedì 26 aprile 2016

Petrolio e corna

Per una volta non scrivo di euro e UE ma di politica estera. Sto guardando la trasmissione "Petrolio" di Rai-1 sul caso Regeni, e il taglio della trasmissione ha messo in vibrazione le mie antenne (chiamatele corna se volete). Ebbene, le corna mi dicono che stiamo andando in guerra con l'Egitto!

Non ne so molto, ragion per cui potrei sbagliarmi, ma scrivo lo stesso con lo scopo di invitare i pochi lettori del blog a informarsi, segnalare contraddizioni nella narrazione ufficiale, soprattutto attivare al massimo livello il proprio spirito critico. Da quel che so in Egitto è stato scoperto un immenso giacimento di gas sul quale l'ENI vanta diritti di sfruttamento. Logica vorrebbe che sia interesse dell'Italia mantenere buoni rapporti con il governo egiziano di Al Sisi, ma temo che le vere centrali di comando non siano i governi nazionali. Men che mai il governo Renzi, che non è dotato di una forza propria (come ritiene un caro amico a capo di una piccola forza sovranista) ma è ostaggio dei poteri globalisti atlantici. Vedremo chi ha ragione.

Credo che la chiave di volta per interpretare le evidenti contraddizioni della politica estera occidentale sia un dato che è messo in ombra dal conflitto con la Russia di Putin. Non che manchino ragioni di confronto con questa, ma a mio parere (posso sbagliarmi, anzi sicuramente mi sbaglio) il driver fondamentale è la guerra civile interna tra le bande capitaliste dell'occidente, di cui il conflitto con la Russia (in attesa della Cina) è al momento solo un quadrante: strategicamente importante per la sua dotazione nucleare, ma secondario rispetto agli interessi economici in gioco. Diciamo che strappare l'osso alla Russia è un gioco troppo pericoloso, mentre il conflitto interno all'occidente può essere giocato con le armi convenzionali, con la finanza, gli accordi commerciali globali, i colpi di stato, gli interventi di peace keeping. E ovviamente con la propaganda, onde conservare il consenso interno, vero punto debole dell'occidente.

Il direttore d'orchestra sono Gli Stati Uniti, il cui obiettivo è quello di porsi a capo dell'aggressione collettiva alle risorse del medio oriente minacciate dalle pretese dei regimi sottoposti, siano essi i sauditi, gli egiziani o gli israeliani. L'operazione americana può avere successo solo a patto di riuscire a tenere a bada gli appetiti e le rivalità reciproche dei componenti della "Santa alleanza occidentale", in particolare la Francia, il più Stato canaglia tra gli Stati canaglia europei, ma anche dell'Inghilterra e della new entry Germania. Al solito l'Italia è il vaso di coccio che viaggia insieme ai vasi di ferro.

Tutto ciò accade (ecco ci ricasco: vi parlo di euro e Unione Europea!) mentre la deflazione impazza acuendo i contrasti tra i capitalismi nazionali europei, sempre più indecisi tra l'adesione al progetto globalista e il ripiegamento in difesa degli interessi particulari.

In questo scenario Renzi ha bisogno di vincere il referendum di ottobre per consolidare il suo potere di stampo bonapartista (nel senso di Napoleone III). Il paradosso politico della situazione italiana (cazzo, non ci facciamo mancare niente) è che una vittoria di Renzi potrebbe rinforzare il "vaso di coccio", ma al carissimo prezzo di fare il funerale alla nostra Costituzione del 1948.

In questo scenario il M5S è piazzato lì come un condor. Delle due l'una: o Renzi si piega alle pretese della potenza dominante, oppure va a casa e arrivano i casaleggini made in USA.

Sono troppo pessimista? Non so. L'amore è una dolcissima illusione, ma la vita è una trattativa e, talvolta, una guerra.

Incrociamo le dita e facciamo le antenne. Oops... le corna.

domenica 24 aprile 2016

Uber (re)act e Qbit (spezzeremo le reni alla Merkel)

Link correlato: «Uber Act»: come liberare il Paese dalle piccole caste - di Luigi Zingales - 24 aprile 2016

Prima di leggere il mio post leggete l'articolo di Luigi Zingales che ho linkato.

Fatto? Bene, adesso collegate i neuroni. Zingales ci dice "La battaglia per la liberalizzazione del mercato dei taxi non mi aveva mai entusiasmato". Ma ora ha cambiato idea. Questo perché "L'entrata di servizi come Uber (oggi ce ne sono molti) non è un gioco a somma zero. Riducendo il costo, Uber aumenta enormemente la dimensione del mercato dei trasporti a pagamento. E non lo fa necessariamente riducendo il compenso del guidatore, ma riducendo i tempi morti. L'inefficienza è data dal tempo che un taxista passa inattivo aspettando chiamate. Più questo tempo viene ridotto dalla tecnologia, più ci guadagnano sia il guidatore che il passeggero".

Notate, vi prego, l'arte retorica dello Zingales. Prima scrive "non lo fa necessariamente riducendo il compenso del guidatore" (dal che si evince che molto probabilmente, ben che vada, il compenso resta lo stesso) bensì "riducendo i tempi morti".

E già mi immagino le connessioni neuroniche dei lettori condizionati dalla narrazione liberista che fanno clack clack e giungono alla conclusione che sì, lo Zingales ha ragione! Che poi, da un po', è anche critico dell'euro, e allora non è sicuramente un fanatico. Non è così! Lo Zingales compie un'operazione basata su una doppia falsa premessa, ovvero che qualsiasi progresso tecnologico sia benefico in sé perché aumenta l'output, e che sia neutrale dal punto di vista della redistribuzione del reddito. Entrambe sono scorrette, e l'esempio del tassista lo dimostra in modo lampante.

Primo, perché il fatto che il tempo di lavoro del tassista sia sfruttato al massimo non significa automaticamente che i prezzi scenderanno: questo dipende da come il plusvalore aggiuntivo verrà distribuito. Potrebbe accadere quello che è sempre successo ogni volta che la gestione di un servizio è passata dall'essere nelle mani di una pluralità di piccoli soggetti in quelle di grandi organizzazioni: in un primo tempo il prezzo diminuisce, poi aumenta. Si chiamano monopoli, o oligopoli.

Secondo, perché è riconosciuto dallo stesso Zingales che il tassista non avrà più tempi morti. Cioè il suo carico di lavoro aumenterà mentre il suo reddito diminuirà.

Terzo, perché il fatto che molti di più prenderanno il taxi implica una diminuzione del numero di automobili vendute, e anche questa non è una faccenduola da trascurare.

Visto che i lettori di questo blog non sono liberisti, e che i vostri neuroni sono connessi (i nostri fanno tonf tonf: siamo gente all'antica) immagino che abbiate già capito dove sta il verme della bella mela che lo Zingales ci presenta: poiché ogni cambiamento tecnologico è un'occasione per rimettere in discussione lo schema redistributivo esistente, questo fatto deve essere messo in ombra da un'immaginifica narrazione. Un'operazione alla quale lo Zingales si presta con fervore.

Non so perché, ma questa tecnica dell'arte retorica mi fa pensare alla nouvelle cuisine: avete presenti quei piatti striminziti tutti decorati che finiscono in un mezzo boccone ma costano uno sproposito? E giù chiacchiere e chiacchiere per convincere i gonzi che fa tanto figo pagare un occhio della testa per un bocconcino ridicolo? Solo che io sono ciociaro e preferisco il classico piatto di fettuccine, un secondo di carne arrosto, contorno, vino, caffè e ammazza caffè. Il tutto a 25 euro, con mancia al cameriere.

Il punto è che la logica liberista rifiuta di affrontare il problema della redistribuzione degli aumenti di produttività, in omaggio all'assioma secondo il quale quel che conta è l'aumento del PIL. Questo, poi, in un modo o nell'altro, colerà verso il basso. E infatti:


Però Zingales ci dice che bisogna liberare il paese dalle piccole caste. Evidentemente è già stato liberato dalle grandi caste, o no? Perdincibacco, abbiamo liberato l'Italia dalle grandi caste e adesso vogliamo rinunciare a crescere per non toccare gli immondi privilegi delle piccole caste? E daje!

Io lo vorrei vedere, lo Zingales, il giorno in cui noi ingegngngnieri inventeremo il computer quantistico capace di insegnare all'università meglio di qualsiasi professorone! Niente più affollate aule universitarie, fine dell'odioso arbitrio dei docenti universitari, niente più pubblicazioni redatte col sudore dei laureandi ma firmate dal professorone, basta criteri di valutazioni del pedigree di ricercatore, ma solo quanti Qbit ogni università potrà offrire! Secondo me, se ciò dovesse mai accadere, lo Zingales si iscriverebbe ai marxisti dell'Illinois.

La verità (mi perdonerete se sono apodittico ma la cosa mi appare così evidente che non ho voglia nemmeno di sprecarmi - e poi devo finire di scolarmi la bottiglia guardando la luna calante nell'incanto del mio giardino) è che il modo di produzione determina la distribuzione del reddito, e la distribuzione del reddito determina il modo di produzione.

Il che significa che quando il modo di produzione cambia velocemente, come è avvenuto negli ultimi decenni, altrettanto velocemente cambia la distribuzione del reddito; e che distrarsi in periodi come questi bevendosi le favolette degli Zingales, rilanciate per altro dall'opaco staff che governa il M5S mentre gli attivisti ronfano sonoramente, è cosa da somari.

[Chiosa: la distribuzione del reddito così come il tasso di occupazione (e il modo di produzione che determina entrambi) sono fatti squisitamente politici. Coloro che parlano di redditi di cittadinanza o quel che vi pare sono, nella migliore delle ipotesi, liberisti a loro insaputa. Nella peggiore trollazzi a libro paga.]

Lo Zingales dapprima osserva che:

 "la tecnologia permette non solo di produrre meglio ciò che veniva già prodotto (il servizio taxi), ma apre nuovi mercati e crea nuovi modi di produrre", poi si straccia le vesti "Tutto questo in Italia è bloccato. Uber .. non può operare in quello dei normali trasporti urbani, per proteggere il valore della licenza di pochi taxisti. È una metafora del sistema Italia. Per proteggere le rendite di pochi, si blocca l'innovazione e il progresso, non solo a danno dei più, ma anche a danno dei più deboli".

Infine l'ideona:

"[Renzi] dovrebbe fare come fece Obama all'inizio della sua amministrazione: nominare un esperto di regolamentazione (come Cass Sunstein) e con un unico atto eliminare tutte le regole inutili e tutte quelle il cui unico scopo è proteggere una piccola casta. Visto che al nostro premier piacciono nomi immaginifici, gliene suggeriamo uno: Uber Act. Sicuramente piacerà anche alla cancelliera Merkel"

Il succo della proposta è che la democrazia, cioè confrontarsi con gli interessi reali e concreti esistenti, è una perdita di tempo. Dobbiamo domandarci: perché questa fretta? Forse per salvare l'euro tagliando i costi di produzione interni? Nobile intento, nevvero? D'altra parte, dopo aver tagliato i privilegi delle grandi caste (nevvero?) ora è il tempo delle piccole caste, o vogliamo ostacolare il progresso? Dai su, un altro piccolo sforzo! Si passa il referendum confermativo di ottobre e poi si abbattono le piccole caste. A quel punto spezzeremo le reni alla alla Merkel! De gustibus non est disputandum.

I "pagherotti"

Paolo Savona: "E poi c'è il problema di fondo: chi è il responsabile del passivo della BCE, che nel corso del 2016 raggiungerà la cifra di 4 mila miliardi"

Paolo Savona
La dichiarazione è di Paolo Savona.

(ANSA) - NAPOLI, 22 APR - "L' euro? Non ci sono più dubbi sul fatto che non possa più reggere e la stessa UE è in bilico. Il vero nodo da sciogliere è come risolvere i problemi creati dalla fine della moneta unica". Questo il giudizio dell' economista ed ex ministro dell' Industria Paolo Savona, che ha presentato a Napoli il suo libro "Dalla fine del laissez-faire alla fine della liberal-democrazia"."Il dibattito che si è svolto indirettamente tra la Bce di Draghi e la Germania di Schauble lo testimonia - ha aggiunto Savona - sono reduce da un convegno ad Oxford. Danno tutti per spacciato l' euro ed in bilico lo stesso Mercato comune. Ma anche se si volesse tentare di mantenere la moneta unica è evidente che occorrerebbe un nuovo accordo intraeuropeo. "In caso di fine dell' euro tutti i contratti andrebbero rideterminati e ciascun Paese avrebbe il potere di ridefinire il valore della moneta. E poi c'è il problema di fondo: chi è il responsabile del passivo della BCE, che nel corso del 2016 raggiungerà la cifra di 4 mila miliardi".

Paolo Savona fa riferimento ai saldi Target2, ovvero al sistema di clearing dell'Unione Europea. In parole semplici sono i "pagherotti" (garantiti dalla BCE) che registrano i debiti e i crediti tra le banche nazionali dei paesi dell'euro.


La somma dei saldi è ovviamente zero, ma alcuni paesi (es. Germania) sono in forte attivo, altri (es. Spagna) in forte passivo. L'Italia, dopo aver accumulato un passivo di 300 mld di euro fino al 2012 (dal lieve attivo ancora nel 2010) ha stabilizzato la sua posizione (ha fatto i compiti a casa).

Tutto merito di Mario Monti, ovviamente, e della Fornero!

Sono tutte cose note alla minoranza di italiani che ha scelto di non giocare alle tre scimmiette...


...ma del tutto ignote alla maggioranza.

Nel disperato tentativo di salvare un progetto sbagliato in partenza, ed entrato in comma irreversibile dopo il 2010, la classe politica italiana, massimamente (ma non solo) il Partito Democratico, ha accettato il commissariamento de-facto del paese e si è resa complice del rovinoso deterioramento delle condizioni di vita di milioni di italiani. Duole riconoscere che gran parte della sinistra cosiddetta radicale, fatte salve poche marginali eccezioni, ha dato il suo contributo, rifiutandosi di riconoscere la realtà onde restare fedele a una sterile quanto astratta e ideologica visione internazionalista. I sindacati non sono stati da meno.

Sono gravissime anche le responsabilità del M5S, che pure ha avuto la possibilità di informare correttamente gli italiani, i cui attivisti non hanno avuto la determinazione e la capacità di affrancarsi dall'opaco e misterioso "staff" che lo ha fatto nascere e ancora lo dirige.

Il centro destra, sia berlusconiano che leghista, pur opponendo talvolta qualche resistenza, non ha mai voluto, o potuto, assumere una posizione chiara, con ciò finendo con il condividere le responsabilità del centro sinistra. Ha fatto premio l'impossibilità di superare la contraddizione di fondo tra la sua visione, liberista e anti statalista, e gli interessi nazionali.

I ceti pseudo acculturati hanno offerto una miserevole prova di sé. Le voci che si sono levate a denunciare la follia dell'euro e dell'Unione Europea, che pure non sono mancate, sono state a lungo ignorate e isolate.

Il vero problema con cui dovremo confrontarci, nei prossimi anni, è costituito dal combinato disposto del vuoto politico e della sconcertante ignoranza dei ceti pseudo acculturati. La grande massa del popolo, orrendamente ingannata da costoro e dai partiti politici, pagherà il prezzo dei loro errori. A dispetto della sua credulità, è tuttavia il popolo la sola risorsa che abbiamo, poiché esso ha avuto la sola colpa di essere igenuo.

Ho un solo consiglio da dare a tutti: stiamo attenti, perché adesso il gioco si fa duro. I trecento miliardi di "pagherotti" qualcuno dovrà tirarli fuori.

venerdì 22 aprile 2016

Chiariamo un concetto! Ekkekaxxo!

I sovranisti NON sono questi!


Che poi sono quelli che mettono la pubblicità sotto questo video:


La firma è quella di "Il Primato Nazionale".

Ovviamente costoro sono liberi di fare il caxxo che gli pare, ma è importante SOTTOLINEARE che ESSI non sono sovranisti. 

Dice: e chi caxxo sei tu per decidere chi è sovranista e chi no?

Semplice: io sono sovranista, e questi non sono un caxxo! Semplice no? E la Rom ha fatto bene a mostrargli il culo.

Al segnale di Piddu scatenate l'inferno

Link correlato: Europa o no? di Luigi Zingales (er blogghe de Beppe 18-04-2016)

Dice il maggiordomo dei ricchi che uscire dall'euro sarebbe un disastro per i poveri!


Addendum: 

LE TEORIE ECONOMICHE MAINSTREAM NON SONO INFONDATE (di Stefano D'Andrea)*

Non sono scientificamente infondate, come alcuni amici, anche cari, sembrano sostenere.
La nostra non è una lotta tra sostenitori di varie teorie scientifiche ma deve essere una lotta tra volontà.
Le teorie monetariste, liberiste e liberoscambiste funzionano benissimo, alla prova dei fatti. Esse realizzano la volontà degli ideologi, dello Stato imperiale, e l'interesse generale del grande capitale e dei gestori del grande capitale. Dunque sono fondatissime. Il fatto che vengano edulcorate o che vengano narrate, diffuse e insegnate come adatte agli interessi di tutti è soltanto l'inganno ideologico. In ogni tempo i dominanti hanno teso a generare consenso per le loro strategie e per i loro interessi.
Le teorie non mainstream non sono meno fondate ma in questo momento mancano della volontà. 
Anch'esse, una volta divenute, speriamo, convenzione dominante, saranno diffuse insegnate e narrate assieme ad un apparato ingannatorio. Agli ingenui può apparire ingiusto ma io credo che le cose andranno così. 
Tuttavia perché esse diventino dominanti, serve la volontà, serve una lunga militanza, serve pazienza, serve avere un progetto che si collochi nei tempi storici.
La critica scientifica alle teorie mainstream rivela la mancanza di volontà: talvolta è mancanza di consapevolezza (che il problema è un problema di volontà) ma spesso è rimozione del vero problema, il problema della volontà, perché senza rimozione siamo chiamati dalla coscienza ad impegnarci, impegnarci, impegnarci e poi ancora impegnarci per molti anni e a niente altro.

* Sono uscito dall'ARS, ma quando SdA dice cose condivisibili non posso non riconoscerlo. In questo caso chapeau!

giovedì 21 aprile 2016

POSSIBILE!

Link correlato: FLASSBECK E LAPAVITSAS: MODERAZIONE SALARIALE E PRODUTTIVITÀ IN EUROPA

Direttamente dal database della world bank un set di dati sorprendenti: il valore aggiunto (produttività) per lavoratore espresso in dollari USA del 1995 è cresciuto in Italia (e non solo) più che in Germania!

Table 5: Productivity (link)
•  Value-added per worker: Total value-added per worker; in annual US$ at 2005 prices; total and by sector of activity (four indicators). Value-added is the output of a sector net of intermediate inputs. It is calculated without making deductions for depreciation of fabricated assets or depletion and degradation of natural resources. The origin of value-added is determined by the International Standard Industrial Classification (ISIC), revision 3. Value-added data are converted to US$ using current exchange rates and then converted to 2005 prices using the U.S. GDP deflator. Data source: WDI, at http://data.worldbank.org/data-catalog/world-development-indicators.


Ma allora, perché le merci tedesche sono più convenienti?


Forse perché la dizione "per worker" si riferisce, appunto, al valore aggiunto per worker, e non per ora lavorata? 

POSSIBILE, direbbe un civatino!

Forse perché l'inflazione in Germania è stata minore che in Italia?

POSSIBILE, direbbe un civatino!

Forse perché il tempo di lavoro, in Italia, è cresciuto più che in Germania?

POSSIBILE, direbbe un civatino!

Sembra di capire, da questi dati della world bank, che la strategia seguita in Italia per reggere il confronto con la superiore tecnologia tedesca sia stata quella di aumentare il tasso di sfruttamento del lavoro.

POSSIBILE, direbbe un civatino!

Viene in mente che l'euro possa entrarci in qualche modo ("se non è flessibile il cambio deve essere flessibile il lavoro" - cit. Stefano Fassina). Qualcuno dirà: ma nel 1995 non eravamo ancora nell'euro! Eh ragazzi, nel 1995 era già cominciato il grande sforzo per esserne degni!

Sarà per questo che chi ha un lavoro deve faticare di più per meno soldi e meno diritti, mentre c'è tanta disoccupazione, cioè tante risorse produttive inutilizzate? Sarà per questo che gli imbecilli a loro insaputa spiegano il fatto con la teoria dell'automazione che uccide il lavoro? Non sarà, invece, che un paese con una dotazione tecnologica inferiore (cioè con capitalisti che NON investono in innovazione) posto in competizione con un paese con dotazione tecnologica superiore (con capitalisti che investono in innovazione) e con una stessa moneta, altro non può fare per reggere il confronto che sfruttare di più i lavoratori? Ah no, la colpa è della tecnologia che uccide il lavoro!

Non sarà che ai capitalisti italiani non è parso vero di scaricare sui lavoratori il costo della concorrenza internazionale senza dover correre il rischio di investire (e rischiare) di loro, con il sovrappiù di dargli la colpa quando le cose vanno male?

POSSIBILE, direbbe un civatino!

Non sarà che, dopo aver venduto il loro paese al grande capitalismo renano (cit. Romano Prodi) che avrebbe dovuto educarci&disciplinarci, i capitalisti italiani sono ora pronti a tutto pur di non fare i conti con la Nazione?

ImPOSSIBILE, direbbe un civatino!

E invece no, dicono i sovranisti: i conti con la Nazione si faranno! Non è POSSIBILE, è sicuro.

lunedì 18 aprile 2016

Pensieri e parole


Pensieri


Voglio decidere di me e della mia vita. Non voglio che altri che non parlano la mia lingua e hanno usi e costumi che rispetto ma diversi dai miei, possano scegliere per me. Non voglio che istituzioni sulle quali non ho un controllo diretto attraverso il voto possano dirmi quello che devo fare, né voglio delegare ad esse il compito di essere intermediarie dei miei interessi reali e concreti.

Parole


Come faccio a definire queste semplici eppure importanti mie necessità con una sola parola? Mi dichiaro nazionalista? Non va bene. Dico che sono socialista? Uhm... lasciamo stare. Dico che sono keynesiano? Daje a ride. Anticapitalista? Vi risulta forse che tutti gli anticapitalisti vogliono quel che voglio io?

Fondo il partito fraiolista sovranista? Astraridajearide!

Non basta, semplicemente, "sovranista"? Ve lo devo spiegare? Son Diego e lo spiego, dove sta il problema? 

Io sono un sovranista. Vorrei, semplicemente vorrei, che un certo numero di persone, quelle che sento più vicine a me per storia comune, per senso di appartenenza, per interessi condivisi, insomma noi italiani, ci si mettesse d'accordo sul fatto di trattare con il resto del mondo a partire da una posizione comune. 

Vogliamo adottare una parola per definire questo semplice e banale concetto? Va bene "sovranista"? Qualcuno dice che la parola non dice nulla: ha ragione! Non dice nulla perché questo semplice concetto, l'essere padroni del proprio destino, è stato dimenticato. La fatica di ricordarlo è il nostro compito.

sabato 16 aprile 2016

Fulvio Abbate, “La nuova destra italiana si chiama Movimento 5 Stelle” - Il Dubbio, 16 aprile 2016


di Fulvio Abbate

La destra italiana, comprensiva del proprio humus profondo, dopo aver lungamente cercato di uscire dalle secche del post-fascismo missino in modo moderno e possibilmente spigliato, ha trovato finalmente la sua macchina, meglio, il suo camper parlamentare maggioritario. Si tratta, almeno ai nostri occhi, del Movimento 5 stelle, un contenitore in grado di raccogliere ogni genere di pulsioni, ossia consensi ad amplissimo spettro. Ora slogan-banner autoritari ora all’apparenza libertari, ora gagliardamente populisti, l’essenza stessa della destra plebiscitaria. Non si tratta di un miracolo politico da poco, poiché, se i dati non mentono, il M5S, Grillo o non Grillo, Casaleggio o Casaleggio Jr., mostra al momento d’avere il maestrale in poppa, veleggia come forza palingenetica perfino nei migliori Bar “Sport” e perfino “del Tennis”. Il M5S piace ai semplici perché semplifica, piace agli incolti incazzati perché dà la sensazione del dono di mille metaforiche fucilazioni imminenti, piace perché sa dare sia al nostalgico del “Duce-tu-sei-la-luce” sia all’ex autonomo operaio la sensazione di un’imminente resa dei conti, di una piazzale Loreto rovesciata. Quanto all’affermazione secondo cui “la destra e la sinistra sono concetti vecchi, superati”, non c’è parola d’ordine più evidentemente di destra di quest’ultima, così per il suo bisogno semplificatorio, autoassolutorio, pronta a salvare le masse piccolo borghesi della nazione, le stesse che hanno sempre fatto affidamento sulla propria appartenenza alla “zona grigia”, lo diciamo al di là d’ogni retorica della difesa dei valori cerimoniali dell’antifascismo.
Con il M5S siamo infatti oltre, siamo al fideismo rispetto all’Animatore Generale Beppe Grillo e all’accettazione dagli Adepti del controllo pervasivo da parte della società che cura il Blog, sorta di Hal 9000, rammentate il perturbante cervello elettronico di “2001 odissea nello spazio”?
Questo genere di nuova destra venata di coloriture da gazebo rosso-bruno, sì, quasi una riproposizione del nazi-maoismo in formato easy e spettacolare, senza cioè bisogno di prenotazione ideologica obbligatoria, ha nella rete il suo bacillario culturale e antropologico più significativo, ciò che altrove, perfino nell’uomo berlusconiano più arrabbiato, era anticomunismo da circolo nautico, signore al corteo sui sanpietrini con tacco 12, amore per il capo dal maglione annodato sulle spalle come a Portofino, insomma, un clima da diportisti nautici dall’invidiabile 730, diventa adesso una sorta di massa che, sempre in nome della semplificazione, avanza con le sue minacce di far tabula rasa del vecchio mondo in nome dell’onestà, categoria assai volatile, talvolta perfino ambigua.
In questa costruzione del consenso plebiscitario pop, si può anche scegliere di dare soddisfazione al popolo che non vuol sentir parlare di mafia, ed è ciò che accadeva anni fa con Beppe Grillo nella piazza di Alcamo, quando questi, rivolto alla folla, così disse: “No, non la voglio neppure pronunciare quella brutta parola a cui vi associano ingiustamente!” Ne seguì un boato di vero amore, il boato che racchiudeva certa subcultura del Sud.
Ora non prenderete che affronti qui tutti i punti della questione, no? A semplificazione si risponde con la medesima moneta, magari solo accettando di elencare velocemente gli oggetti che dimorano sull’Altare della Patria grillina: “… onestà, onestà”, me l’hai già detto, poi quel video di Casaleggio, “Gaia” che baratta secoli di filosofia per un numero di “Urania” o del “Giornale dei misteri”, e ancora le scie chimiche, il microchip sottopelle, gli scontrini che sembrano sostituire ogni altra icona nel cartiglio dello stemma repubblicano. E adesso, apoditticamente, semplifico ancora di più correndo verso le conclusioni.
 Ecco, questa nuova destra, su camper guidato da un fido cognato, è destinata a dilagare, essa custodisce, fra molto altro, il consenso della parte più avvilita dallo stato delle cose materiali, ma anche l’elemento di esaltazione e fanatismo, non vorrei adesso sembrare eccessivo, ma molti soggetti assai dimenticabili della mia gioventù, insopportabili, ora ottusi comunisti o non meno ottusi e pietosi fascisti, li ho ritrovati tutti lì, sembra quasi che il M5S abbia dato loro una nuova giovinezza, una nuova primavera di bellezza, un rinato sol dell’avvenir, ballando sotto una immancabile pioggia di banner di dubbio gusto.  Dimenticavo, tra le loro armi sempre a portata di mano c’è anche una cieca incapacità di mettere in discussione i propri assunti, come neppure Belfagor, quest’ultimo anzi al loro confronto diventa Cartesio, l’inventore del dubbio metodico.
Mi dirai: mica sono tutti così. E’ vero, infatti chi fuoriesce dal M5S si narra come dopo un rapimento alieno. Come nel migliore stalinismo, l’opacità dei metodi non si discute, Casaleggio o chi gli succederà era e resterà un dogma, e questo perché un partito “proprietario”, come lo era già Forza Italia di Berlusconi, qual è il M5S, non può permettersi deroghe al principio del Capo. E la democrazia della rete? Guardo Di Maio e subito penso: piccoli Andreotti crescono. Sarà sicuramente un caso, ma sia Di Maio sia Di Battista hanno nel DNA familiare la fiamma tricolore.
Parafrasando qualcuno potremmo domandarci se “vinceranno, ma non convinceranno”. Sì, che convinceranno perché la semplificazione è sempre stata cara ai paesi senza memoria, prossimi all’analfabetismo civile. Laicità? Neppure a parlarne.

A(cci)ddendum:

   

giovedì 14 aprile 2016

In morte di Gianroberto Casaleggio

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Dichiarazione di Gianroberto Casaleggio al Fatto Quotidiano del 20 aprile 2014: «L’euro e l’Europa non devono essere un alibi. Noi abbiamo oggi 800 miliardi di spesa. Di questi, 100 sono tasse sul debito. Degli altri 700, possiamo tagliarne 200. Io discuterò con l’Europa sulla gestione, ma non per questo sono esonerato dal fare pulizia a casa mia.»

GENIUS!

martedì 12 aprile 2016

La scelta tra cambi fissi e flessibili

Premessa


Dopo aver frequentato per un certo tempo gli ambienti del misticismo economico e politico, e averne tratto importanti insegnamenti sull'animo umano, è tempo di tornare alla moderata razionalità. In questo post vi sottopongo un testo, tratto da questa dispensa dell'Università dell'Aquila, che mi è parso accessibile anche ai non specialisti e, al contempo, rigoroso.

«La scelta tra cambi fissi e flessibili

Tra gli economisti non vi è accordo circa la valutazione di quale regime di tasso di cambio sia preferibile per un’economia aperta, in quanto nessun regime di cambi può essere considerato preferibile per tutti i paesi o per tutte le situazioni economiche. Rinviando ai manuali di Economia internazionale per un esame più ampio della questione, in questa sede vogliamo solo evidenziare i principali vantaggi e svantaggi dei due regimi ‘estremi’ (cambi fissi e cambi flessibili), tenendo presente che le argomentazioni a favore di uno di essi rappresentano argomentazioni contro l’altro regime, e viceversa.
Anche solo sulla base dell’analisi che abbiamo condotto in questo capitolo e nel precedente, si possono indicare tra i vantaggi dei cambi fissi il sostegno alla crescita del commercio e degli investimenti internazionali, in quanto il regime di cambi fissi riduce il rischio di cambio nelle transazioni internazionali (le eventuali variazioni della parità non sono molto frequenti nella realtà) e facilita i confronti internazionali della competitività di beni e servizi.
Inoltre, in un sistema di cambi fissati attraverso accordi bilaterali o multilaterali tra Banche Centrali, viene limitata la presenza destabilizzante sul mercato valutario degli speculatori, i cui guadagni attesi sono legati all’eventualità di una variazione della parità. Infatti, mentre a difesa del tasso di cambio fissato unilateralmente da un singolo paese solo la Banca Centrale di quel paese interviene a difesa della parità, attingendo alle proprie riserve di valuta estera, nel caso di cambi fissi definiti da accordi tra più paesi tutte le Banche Centrali interessate possono (o devono, a seconda dei casi) intervenire: la quantità di riserve valutarie utilizzabili per la difesa della parità da un attacco speculativo sono molto maggiori. Va tuttavia rilevato che l’attività speculativa sul mercato valutario può risultare meno frequente, ma più destabilizzante – quando è presente – in regime di cambi fissi rispetto al regime di cambi flessibili: nel primo caso, infatti, è più facile che le aspettative degli speculatori siano orientate tutte in una stessa direzione (ad esempio, una svalutazione).
Gli svantaggi dei cambi fissi, invece, sono legati alla difficoltà di perseguire sistematicamente un obiettivo interno, ad esempio di reddito, nel rispetto del vincolo esterno di pareggio della bilancia dei pagamenti. Come analizzato nel paragrafo precedente, il sistematico disavanzo delle partite correnti, compensato dal ricorrente avanzo dei movimenti di capitale risulta insostenibile nel lungo periodo. Il regime di cambi fissi, inoltre, rende endogena la politica monetaria: la Banca Centrale non è in grado di condurre un’autonoma politica monetaria, perdendo un importante strumento per sostenere la domanda aggregata e l’occupazione. In aggiunta, essa deve immobilizzare elevate quantità di valuta estera come riserva per le necessità di intervento sul mercato dei cambi.
Un regime di cambi fissi, infine, non ha gli stessi effetti per tutti i paesi, in quanto vi è una sostanziale asimmetria tra paesi nei vincoli e negli aggiustamenti richiesti a seguito del manifestarsi di squilibri esterni, a seconda che tali squilibri vedano un disavanzo oppure un avanzo della bilancia dei pagamenti. I paesi in deficit incontrano seri vincoli e sono obbligati ad operare tempestivamente gli aggiustamenti necessari, pena l’abbandono del regime di cambi fissi, mentre i paesi in surplus possono continuare ad accumulare riserve di valuta estera senza che si ponga alcun problema.
Questa asimmetria può creare una disparità di incentivi alla cooperazione internazionale tra i vari paesi. Se si allarga l’analisi ad un contesto in cui i prezzi interni ed esteri sono variabili, emergono ulteriori elementi di valutazione relativa dei due regimi di cambio. Quando i prezzi interni crescono più di quelli esteri, un tasso di cambio fisso non consente di compensare la perdita di competitività della produzione nazionale, provocando un peggioramento delle partite correnti e della bilancia dei pagamenti. Questo fattore può però essere visto anche come un vantaggio, qualora spinga le imprese nazionali a contenere i costi di produzione migliorando la propria efficienza produttiva. In altri termini, il recupero della competitività deve essere ottenuto incrementando la produttività dei fattori o potenziando gli elementi di competitività “non di prezzo”. In un regime di tassi di cambio flessibili, invece, il peggioramento della bilancia dei pagamenti causa il deprezzamento del tasso di cambio, mantenendo inalterata la competitività. Se invece i prezzi esteri presentano una dinamica maggiore rispetto ai prezzi interni, in un regime di tassi di cambio fissi la competitività delle merci nazionali migliora, ma si ha anche un trasferimento sui prezzi interni della maggiore inflazione estera, attraverso l’aumento dei prezzi delle merci e servizi importati (si parla in questo caso di ‘inflazione importata’). Al contrario, un regime di tassi di cambio flessibili consente di isolare i prezzi interni dall’evoluzione dei prezzi esteri, attraverso l’apprezzamento del cambio dovuto alla maggiore competitività della produzione nazionale, ma ciò implica anche che la competitività interna non migliora.
Circa gli orientamenti delle diverse scuole di pensiero economico in materia, in linea generale gli economisti di scuola keynesiana mostrano una preferenza per il regime di tassi di cambio flessibili, in quanto esso consente maggiori gradi di libertà nella conduzione della politica di sostegno della domanda aggregata. Il regime di tassi di cambio fissi è preferito invece dagli economisti di formazione monetarista: la loro fiducia nei meccanismi equilibratori di mercato li porterebbe a sostenere i cambi flessibili, ma la loro diffidenza verso gli interventi discrezionali di politica economica tende a prevalere, e la loro preferenza è fondata sul fatto che i cambi fissi limitano fortemente tale discrezionalità.
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domenica 10 aprile 2016

Il rapporto Werner (testo)

Link correlato:

  • L’armonizzazione delle politiche di bilancio in una Unione monetaria. Un’analisi critica del Rapporto Werner (di ALBERTO MAlOCCHI)

  • Premessa


    Il testo del rapporto Werner, che copio&incollo nel seguito, è tratto da 30giorni.it, edizione online dell'omonimo mensile internazionale diretto da Giulio Andreotti dal 1993 al 2012. Nel testo si fa spesso riferimento a due gruppi di paesi membri, l'uno più propenso ad accelerare i tempi del processo di unificazione monetaria, l'altro più cauto. Il ciociaro Giulio Andreotti, sebbene favorevole all'unificazione europea, si è sempre schierato con il secondo gruppo, e forse anche per questa ragione è stato accusato di aver baciato Totò Riina. Ancora più cauto era Aldo Moro.

    Invito i lettori del blog a leggere con attenzione sia il testo che il contributo critico di Alberto Maiocchi e a commentare (rigorosamente i non anonimi) entrambi. Vista la complessità del tema, vi propongo, come metodo di analisi, quello di segnalare i passaggi che maggiormente vi colpiscono per discuterli insieme.

    martedì 5 aprile 2016

    La grande estinzione delle speranze III (di Marino Badiale)

    (Qui qui le puntate precedenti. M.B.)

    Tesi 7. L'estrema sinistra antisistemica è incapace di azione politica.

    Di fronte alla crisi di civiltà che ci aspetta, sembrerebbe naturale rivolgerci alle varie realtà anticapitalistiche, presenti in tutto il mondo occidentale, per trovarvi almeno i semi di nuove forze sociali e politiche capaci di affrontare gli enormi problemi che si stanno delineando. In particolare sembrerebbe naturale trovare ciò che stiamo cercando all'interno del variegato mondo che fa riferimento al marxismo. Si tratta, dopotutto, di un mondo che fa riferimento alle teorizzazioni di critica al capitalismo che sono le più profonde e serie attualmente disponibili. Ebbene, la conclusione che si può ricavare da un esame spassionato di tale mondo è che in esso non si trova quello di cui abbiamo oggi realmente bisogno, cioè la capacità di impostare un'azione politica che si ponga nell'ottica di contrastare la crisi di civiltà che si sta delineando.
    Il mondo dell'estrema sinistra antisistemica è una realtà talmente complessa, articolata, sfaccettata, con una storia altrettanto complicata alle spalle, che di certo nessuno può pretendere di conoscerlo fino in fondo. Si tratta di un mondo che ha ormai quasi un secolo di storia alle spalle: possiamo infatti indicarne l'atto di nascita negli anni Venti del Novecento, quando la sconfitta dei tentativi rivoluzionari in Occidente e l'affermazione dello stalinismo in URSS portano alla “normalizzazione staliniana” dei partiti comunisti ufficiali e alla separazione/contrapposizione fra questi ultimi e la frange di comunisti “eterodossi”.
    Ebbene, di fronte a questa realtà così ricca e multiforme, una cosa possiamo affermarla con tranquilla sicurezza: questo mondo, la cui essenza, per definizione, è la rivoluzione anticapitalista, non solo non ha mai fatto nessuna rivoluzione, ma non si è neppure mai lontanamente avvicinato ad essa, e non è neppure riuscito ad avere un qualche peso politico significativo. Non si tratta di rivoluzionari sconfitti: si tratta di rivoluzionari che non sono mai stati neppure nelle condizioni di progettare i primi timidi passi di un processo rivoluzionario. Questo nell'arco di circa ottanta o novant'anni, nei paesi e nelle situazioni storiche più diverse (l'unica eccezione, che al solito conferma la regola, è forse rappresentata dalla guerra civile spagnola). Il mondo della rivoluzione anticapitalista da ottanta o novant'anni si riproduce in sostanza eguale a se stesso senza minimamente avvicinarsi alla rivoluzione, e senza che nessuno al suo interno sembri disturbato da ciò.
    Ci sembra allora evidente che a questo mondo si può applicare la categoria della “falsa coscienza”. Si tratta anzi, a nostro avviso, di un caso evidente, solare, di falsa coscienza. Questo mondo rappresenta se stesso come rivoluzionario, ma tutto quello che fa, lungo ottant'anni, non porta a nulla che possa assomigliare ad una rivoluzione. La rappresentazione di se stessi come rivoluzionari è dunque una falsa immagine che copre una verità che non si è in grado di dirsi. Per capire la verità di questo mondo, bastano in realtà alcune considerazioni di buon senso. Basta guardare con occhio lucido cosa si fa realmente all'interno di questo mondo. Che cosa fanno le persone nel mondo dell'estrema sinistra? Fanno tante cose diverse: organizzare incontri e assemblee o partecipare ad essi, gestire realtà di vario tipo (centri sociali, circoli culturali, piccole case editrici, pubblicazioni), gestire le relazioni con altre analoghe realtà (altri gruppi, altre riviste), partecipare a manifestazioni. Si tratta quasi sempre di attività che non attirano la grande maggioranza delle persone comuni, che le vivrebbero come impegni gravosi e noiosi. Il pensiero della maggioranza degli esseri umani è, più o meno, che tali attività siano un sacrificio che ha senso fare in nome di uno scopo. In effetti anche le persone interne a quel mondo pensano alle proprie attività come indirizzate ad uno scopo: la trasformazione del mondo, la giustizia, il socialismo, il comunismo, la rivoluzione e così via. Il punto cruciale, però, sta nel fatto che assegnare un tale scopo all'insieme delle attività del mondo dell'estrema sinistra è una pretesa priva di ogni fondamento: dopo aver provato per circa ottant'anni, nei modi più diversi, nei paesi più diversi, nelle situazioni storiche più diverse, e dopo aver constatato la propria totale impotenza politica, il mondo dell'estrema sinistra non può più pensare che le proprie attività abbiano qualcosa a che fare con la rivoluzione, il socialismo o altri concetti analoghi. A qualsiasi cosa servano quelle attività, l'unica sicurezza è che non servono a cambiare il mondo. Ma allora, se mantenessimo il punto di vista delle persone comuni, dovremmo concludere che il mondo dell'estrema sinistra dovrebbe essere scomparso, e da tempo.Perché mai infatti continuare in attività faticose e poco gradevoli, se esse non servono minimamente allo scopo dichiarato? Se però il mondo dell'estrema sinistra si riproduce uguale a se stesso da circa ottant'anni, bisogna concludere che le cose non stanno come pensano le persone comuni. Il ragionamento delle persone comuni muove da due premesse: l'attività concreta che si svolge in quel mondo è faticosa e poco gradevole, ma ha un nobile scopo (prima premessa). Essa però ha rivelato la propria inutilità rispetto allo scopo (seconda premessa). Quindi logicamente andrebbe abbandonata e il mondo dell'estrema sinistra dovrebbe scomparire. Dove sta l'errore? Poiché la seconda premessa mi sembra indiscutibile, l'errore sta evidentemente nella prima premessa. Se le persone nel mondo dell'estrema sinistra continuano in quelle attività che sono del tutto inutili allo scopo dichiarato, è perché non provano per esse quella ripulsa e quel fastidio che provano le persone comuni. Le persone interne al mondo dell'estrema sinistra trovano una loro soddisfazione nella loro attività militante, nelle assemblee, nelle manifestazioni, nelle discussioni e in tutto quanto il resto. Se si accetta questo punto, si capisce anche facilmente perché l'inadeguatezza allo scopo non ha nessuna importanza. Queste attività vengono perseguite per sé, non per la rivoluzione. I militanti che gestiscono un circolo che organizza dibattiti sono contenti di questo: di organizzare dibattiti. Gli attivisti che gestiscono i concerti di un centro sociale vogliono solo organizzare concerti, e sono soddisfatti di poterlo fare. I black bloc che si scontrano con la polizia, sfasciano vetrine e lanciano bottiglie molotov, desiderano proprio scontrarsi con la polizia, sfasciare vetrine e lanciare bottiglie molotov. I militanti che vendono “Lotta comunista” per strada sono felici di vendere “Lotta comunista” per strada, e il fatto che questo non abbia nulla a che fare né con la lotta né col comunismo non ha nessuna importanza.
    La falsa coscienza di questo mondo non sta, ovviamente, nel fatto che in esso varie persone si dedichino a varie attività per esse gratificanti. Sta nel fatto che queste attività vengono surrettiziamente definite come politica, e addirittura come politica rivoluzionaria. La falsa coscienza sta nel sovrapporre a queste attività uno scopo col quale esse non hanno il minimo collegamento.
    Il mondo dell'estrema sinistra è in definitiva realmente interessato a quello che esso realmente fa: gestire un centro sociale, un circolo, un giornale, un gruppo di spaccatori di vetrine. Trova in questo la sua soddisfazione e il senso della propria esistenza. Il resto, la giustizia, la rivoluzione, il comunismo, è un insieme di parole vuote.
    A partire da queste osservazioni è forse più agevole inquadrare una serie di fenomeni che hanno sempre colpito tutti coloro che hanno avuto a che fare con questo mondo. Uno di questi fenomeni è quello della sua estrema litigiosità interna, il fatto cioè che esso si frammenta di continuo in piccole cerchie ostili l'una all'altra, e sembra incapace di una azione unitaria. Si tratta di un fenomeno apparentemente di non facile comprensione. Infatti questo mondo sembrerebbe condividere una impostazione culturale generale e una serie di finalità fondamentali, che sono quelle che dovrebbero strutturarlo (appunto la rivoluzione, il comunismo, la giustizia). Su queste basi non dovrebbe essere impossibile costruire un movimento unitario. Si pensi ad un gruppo di persone che hanno una finalità comune da realizzare, per esempio, in una comunità contadina, costruire una casa o coltivare un terreno. Ci possono essere divergenze e antipatie che rendono penoso il lavoro comune, ma è difficile che esse blocchino tale lavoro, se esso è considerato vitale: perché un compito da svolgere nella realtà struttura e impone una prassi precisa, che i litigi e gli scontri non possono mettere in questione, se si vuole che il lavoro sia portato a termine. Queste osservazioni ci chiariscono cosa succede nel mondo dell'estrema sinistra: succede che ciò che dovrebbe rappresentare lo scopo comune del lavoro comune (la rivoluzione, il comunismo) è un nulla, un vacuo suono, che non può minimamente strutturare l'azione comune, appunto per la sua nullità. Poiché il vincolo comune in realtà non esiste, lo spazio è totalmente libero per le antipatie, le vanità, le nevrosi, le tante piccole cose meschine di cui è fatto il legno storto dell'umanità. Tanto più libero, tale spazio, quanto più alto il tasso di falsa coscienza: cioè, tanto più spessa sarà la nebbia di parole altisonanti e vuote (rivoluzione, comunismo) calata sulle reali motivazioni dell'agire, tanto più facile sarà che queste reali motivazioni agiscano inconsciamente facendo fallire i tentativi di lavoro comune.
    Stante queste caratteristiche strutturali di tale mondo, è chiaro che da esso non può sortire nulla che sia d'aiuto nella difficile crisi di civiltà verso la quale ci stiamo incamminando.

    lunedì 4 aprile 2016

    PANAMA PAPER LEAKS [post breve]

    Ah dunque Putin portava i soldi nei paradisi fiscali? Ma non è un dittatore? E allora dov'è lo scandalo? Non è forse vero che le potenti armi dell'occidente libero e democratico già lo tengono sotto tiro?

    Lo scandalo, casomai, è nel fatto che i leaders dell'occidente libero e democratico portano i soldi nei paradisi fiscali! Non sono democratici? Se così è, allora ESSI hanno ingannato il popolo! Non Putin, che lo sanno tutti che è un bieco dittatore!

    Delle due l'una: o i leaders dell'occidente libero e democratico, che hanno portato i soldi nei paradisi fiscali, vengono immediatamente rimossi, e allora potremo continuare a (far finta di) credere nel fatto che l'occidente è libero e democratico, oppure sarà chiaro che ESSI sono peggiori di Putin, che almeno è un dittatore dichiarato (secondo ESSI). In tal caso, sarà almeno evidente che ESSI sono dittatori al pari di Putin, anzi peggiori perché mentono, e il popolo sarà moralmente legittimato a...


    Ma niente paura, son tutte armi di distrazione di massa. Basterebbero dei vigorosi calci nel culo, se solo il popolo riuscisse a capire l'abbiccì della politica.

    domenica 3 aprile 2016

    Aletheia

    In occasione della presentazione a Ceccano del libro di Giuseppe Allegri e Giuseppe Bronzini "Libertà e lavoro dopo il Job's Act", organizzato dai sinistrirsi (sentirsi di "sinistra" ma non esserlo) di "POSSIBILE", il vostro umile cronista è andato a rompere il ciceruacchio.


    CONTRO IL SINISTRISMO (di Ugo Boghetta)


    Cosmopolitica era il titolo dell'assemblea con cui ha preso avvio Sinistra Italiana. Cosmopolitica è un nome, un programma, un'ideologia: il sinistrismo. Il sinistrismo è una delle malattie della politica italiana. La sinistra, infatti, non è la soluzione ma un problema.
    Prima del '89 il termine sinistra veniva usato in modo generico per indicare i partiti dai socialisti alla sinistra rivoluzionaria. Dopo l'89, con la nascita del PDS/DS, il termine nomina un partito. Il PD di Veltroni va oltre, ma sinistra resta come nome e peso allo tempo stesso. Con la scissione dal PRC, Vendola si aggiunge al treno: Sinistra Ecologia, Libertà. Solo Berlusconi, su indicazione dei sondaggisti, usava il termine comunista: quelli di destra si sa rimangono indietro. C'è il centro sinistra. I sistemi elettorali maggioritari, polarizzando gli schieramenti, hanno favorito questo lessico.
    Questi passaggi comportano la cooptazione della sinistra nel sistema. Pds/DS, prima, Vendola poi, nascono anticomunisti e anticlassisti. Ciò porta a una visione liberale, con un po' di ecologia e tanti diritti individuali: la/le libertà. Michèa chiama quest'area: liberal-libertaria. I diritti individuali sono un pezzo forte. La vera ideologia del sinistrismo. Non il diritto individuale sacrosanto, ma anche il diritto individuale egocentrico di poter fare tutto: ogni limite è fascismo.
    Se, ad esempio, si fa rilevare che l'utero in affitto può comportare un problema di classe, ti becchi del nazista. Cosa sarà mai questa anticaglia della questione di classe!?Dall'immaginazione al potere, al potere dell'ipertrofia dell'io desiderante e consumista.
    Elettoralismo e leaderismo ne sono i corollari con il seguito di primarie.
    Ogni progetto forte è abrogato. Così il marxismo e la lettura di classe che avevano imperato per oltre un secolo svaniscono come neve al sole.
    In questo frullatore sono attratte anche culture comuniste. Ci riferiamo alla decadenza della galassia operaista (Negri, Revelli ecc) e dell'ingraismo (Bertinotti, Vendola ecc ecc ).
    Il sinistrismo, non a caso, trova terreno fertile negli eventi degli ultimi decenni. Il movimento noglobal è l'apoteosi e l'apparente conferma. Ma, alla fine, l'unico movimento global rimasto è quello del capitale.
    L'altro momento è l'Unione Europea. L'Unione capitalista liberista, finanziaria è coperta dallo spinellismo diffuso: gli Stati Uniti d'Europa. Il superamento degli Stati viene visto come un fatto positivo quasi fosse l'estinzione di marxiana memoria. Ciò senza comprendere che, a differenza della lunga fase storica precedente, è lo stesso capitalismo a demolire una parte delle prerogative statali per avere meno inciampi alla sua libertà totale. Dall'altra, tuttavia, lo stato, ancor di più di prima, diventa un comitato d'affari che tutela i loro interessi. Se serve l'intervento pubblico per salvare banche, finanza e sistema, chi se ne importa della teoria. Basta che il linguaggio rimanga liberista.
    Che l'Unione, metta in mora sostanziale e formale le Costituzioni post belliche (quelle che jp Morgan bolla come antifasciste e socialiste) appare secondario. E se gli Stati Uniti d'Europa, una volta realizzati, relegheranno le costituzioni nazionali a statuti regionali non importa. Però faranno la campagna per il no contro la deforma Renzi!?
    Così il cosmopolitismo sinistrese diventa funzionale. Contro gli stati nazionali alimenta il superstato europeo. Contro il pubblico inventa il bene comune.
    L'euro diventata uno strumento di unione dei popoli: l'internazionalismo monetario.
    Se si propone la riconquista della sovranità politica economica e monetaria nazionale, allora sei un fascista, reazionario, leghista.
    A nulla serve ricordare che siamo stati i sostenitori di tutte le lotte di liberazione nazionali. Che Marx, Lenin, Gramsci hanno, in modi e tempi diversi, teorizzato il radicamento nazionale, l'autodeterminazione nazionale. E che, dunque, l'internazionalismo non è il cosmopolitismo borghese ma il rapporto fra proletariati nazionali. Per queste anime belle la nazione è un tabù.
    Il sinistrismo non ha senso critico. Come il capitalismo é una religione. I dogmi non si discutono: si ripetono come mantra.
    Ma anche coloro che condividono la secessione dall'Unione hanno paura a usare il termine nazionale. È un tabù. Così si usa il termine sovranità popolare anche se questo termine non significa nulla al di fuori della riconquista dell'indipendenza.
    Tanto per non farsi mancare nulla, infatti, abbiamo anche il sinistrismo di sinistra.
    Questo è movimentista, “conflittista”, formalmente classista. Va da se che senza movimenti e conflitti non si va da nessuna parte, ma questo sinistrismo li penso e pratica come se questi movimenti in se portassero alla meta. Basta farli crescere.
    Pensano che la soluzione a tutti i problemi sia: più conflitti. Espandendosi questi, si crea un'altra società, mentre il capitalismo deperisce. Così non ha senso più di tanto interrogarsi sull'alternativa di società, basta enunciarlo verbalmente: un altro mondo è possibile o un altro generico socialismo o comunismo sono possibili. Così non ha nemmeno senso interrogarsi sulla strategia, sulla presa del potere dello stato e la loro trasformazione.
    Questi due sinistrismi hanno infatti in comune la mancanza di un progetto politico strategico, un percorso, le sue tappe, la transizione, i blocchi sociali. Hanno in comune il dissolversi del capitalismo.
    Anche sul tema immigrazione il sinistrismo cosmopolitico dà degna prova di se. Il problema non sta nella rimozione delle cause di questo fenomeno epocale: le enormi disparità, la rapina economica, le guerre, la fame, l'attrattiva del consumismo, ma lo approccia solo dal (giusto in sé) punto di vista umanitario.
    Che poi gli sfollati vadano a ingrossare le periferie, siano utilizzati come esercito di riserva per guerre fra poveri, non li tange. Che questo porti anche a conflitti culturali, religiosi, comportamentali è un aspetto secondario: nostra patria è il mondo intero. E la soluzione è il buonismo.
    C'è anche l'aspetto cinico. Siccome le nostre società hanno bisogno di mano d'opera, di figli, di giovani (Boldrini), non importa che siano proprio le società di origine ad aver ancor più bisogno di loro. Che tutti costoro abbiano diritto di vivere in pace a casa loro. Così i confini, i limiti, che servono per costruire le identità, le sole che poi permettono di confrontarsi con l'Altro, sono sostituiti dalle frontiere aperte. Del resto, a costoro, sembra anche assurdo pensare di mettere i confini per imbrigliare i movimenti di capitali e di merci. Viva il liberoscambismo capitalista. Viva il mercato dei capitali, delle merci, dei lavoratori.
    Come si può ben vedere il sinistrismo culturale ed ideologico è l'altra faccia di quel liberismo economico che ha bisogno di individui senza limiti e senza freni. La sinistra non è l'opposizione, non è l'alternativa, ma ciò che impedisce opposizione ed alternativa.
    È una sinistra che, strutturalmente, non sarà mai popolare.
    L'incapacità di chiamare le cose col proprio nome ha portato ad una visione fantastica della realtà: auto-illusione, produzione di parole a mezzo di parole.
    È tempo di rimettere le cose in piedi, i piedi per terra e dare alle parole il loro senso.

    venerdì 1 aprile 2016

    Il #movimento dal basso (parte II)

    Link correlato: Il #movimento dal basso (parte I)

    "Senza la forza nessun diritto può sussistere. E poiché in politica la forza è organizzazione, ecco che da ciò discende la necessità di costruirla" (credits: me di pirsona pirsonalmente)

    Il punto è come costruirla una forza dal basso! Ci vogliono i soldi, tanti soldi, almeno 30 mln di euro, sostiene qualcun Illo. Ma se così fosse non sarebbe una forza politica dal basso, elementare Watson! Ci vogliono trentamila militanti, ognuno dei quali metta in gioco mille euro l'anno, sostiene un blogger ciociaro. Trentamila x mille = trenta milioni di euro!

    Non si è fatta né l'una né l'altra cosa, né i più potenti altoparlant-Illi  pare abbiano sortito effetto alcuno:

    mercoledì 24 luglio 2013


    Oggi arriveremo a cinque milioni di contatti.
    E questo vorrà pur dire qualcosa!

    "E allora, quando i ceti medio alti hanno capito che toccava anche a loro, è stato relativamente facile trovare la strada verso megafoni più potenti (anche se il fatto che ci siamo riusciti noi ma non altri, e avendo fra l'altro molti meno mezzi di altri - perché non vi ho mai chiesto nulla - indica chiaramente che noi siamo migliori di altri: il mercato, a modo suo, funziona)."


    Ma è anche vero che i trentamila militanti non si vedono.  


    Cos'è successo, invece? E' successo che coloro ai quali per caso, ma anche per merito personale, come pure ambizione o volitiva prepotenza (e metteteci quel che vi pare) è toccato il ruolo di "capi" del movimento contro l'euro, abbiano fatto tutti, senza eccezione alcuna, il medesimo errore: pensare di poter fare da soli, senza coinvolgere migliaia di altri nella battaglia comune.

    "La politica è una materia difficile: all'orale sono tutti bravi; lo scritto è già più difficile; ma è alla prova pratica che quasi tutti falliscono!" (credits: me di pirsona pirsonalmente)

    Leaderismo e settarismo sono stati la cifra stilistica del tentativo di mobilitazione contro l'euro dal 2011 ad oggi. Epitome di questo stato delle cose il commento di Daniela De Marco la quale, riferendosi a me, ha ingenuamente dato voce a questo sentimento scrivendo "Ma non sarà che tu, momentaneamente parcheggiato in P101, stai invece, sotto sotto, cercando di farti una nuova associazione di cui divenire il leader?". Ovvero: se ti dai tanto da fare, evidentemente ambisci anche tu a diventare il capetto di qualcosetta.

    Ora è vero che da anni mi sto dando parecchio da fare, ma non sono il solo. Migliaia di italiani hanno dato il loro contributo, chi più chi meno, alla battaglia per uscire (almeno) dall'euro. Tutti, ne sono certo, con la speranza che da tanto impegno sortisca un risultato politico. E' anche vero, però, che la maggior parte si limita a rilanciare sui social i contenuti segnalati da altri. Altrettanto vero è che, in questa attività tutto sommato sterile, si nota una specie di segmentazione, per cui i bagnaiani rilanciano prevalentemente i contenuti segnalati dal blog del guru e da A/simmetrie, i dandreiani fanno lo stesso con la loro associazioncina, idem i pasquinelliani, e via così tutti gli altri. I memmettari, poi, hanno circuiti tutto loro, ma se la sono cercata: in fondo sono keynesiani (meglio: post-keynesiani) ma non sono riusciti a liberarsi dall'imprinting messianico imposto dal fondatore, e in ogni caso si rifiutano di buttarla in politica, che invece è quello che si deve fare.

    L'arte di fare politica


    Sono tempi duri, questi, se deve essere un ciociaro a spiegare come funziona la politica! E' una cosa semplice, ma tocca ricordarlo: in politica le persone si muovono se vedono un interesse per sé stesse. Certo, ci sono anche gli idealisti, ci mancherebbe, e gli indignati. Però se si vuole coinvolgere un gran numero di persone, la prima domanda che è necessario porsi è: cosa gli si dà in cambio? Questo ragionamento vi fa schifo? Allora tornate a guardare la televisione, non ho tempo da perdere con voi.

    Chi vuole costruire un grande movimento deve dunque confrontarsi con questa merda di problema: cosa si promette a chi si dedica alla causa? Se la risposta è "obbedire agli ordini" allora siamo alle elementari. Magari si capisce di economia, forse si è grandi intellettuali, ma manca l'essenziale. Va anche capito che ciò che si dà in cambio varia nel corso del tempo. All'inizio si trovano gli idealisti, poi arrivano gli indignati, i quali pure si danno da fare aggratisse, ma già al terzo passo occorre offrire un ruolo. C'è un sacco di gente che è disposta a battersi per qualcosa che condivide se gli si offre almeno un ruolo, se la si fa sentire importante.

    Ecco perché suggerii a Illo (tempore: dicembre 2012), nella lettera che fu all'origine del litigio, quanto segue:

    "Eviterei di ripetere l’errore di Donald il quale, nel costruire i suoi cosiddetti gruppi territoriali, ha finito con il costruire una struttura gerarchica che gli è esplosa tra le mani. Pertanto niente cosiddetti 'referenti', ossia persone che dovrebbero garantire una qualsiasi forma di ortodossia rispetto a un pensiero unico. Al contrario, privilegerei libertà di pensiero ed azione:  ogni gruppo parla per sé. Lo slogan deve essere: prima il metodo, poi le opinioni. Chi condivide il metodo è con noi, le opinioni si discutono.
    I gruppi di attivisti sul territorio dovrebbero portare avanti iniziative di carattere pubblico, non per indottrinare le masse, bensì per porre domande, sollecitare dibattiti, insomma far nascere dubbi e proporre non soluzioni ma un metodo di discussione."

    Un movimento politico dal basso lo si costruisce solo se si coinvolgono migliaia di persone, ma ciò non può essere fatto né relegandole al ruolo di ripetitori di un pensiero élitario (l'errore di Illo) né dando loro il libro della verità rivelata (l'errore di Barnard). Non meno sbagliato è pensare di costruire un partitino leninista e gerarchizzato che, nel fuoco della lotta, non si sa bene perché e percome, dovrebbe diventare il faro della rivoluzione (l'errore di Pasquinelli). Con il che non sto dicendo che l'organizzazione sia un fatto superfluo, ma c'è modo e modo di "organizzare". E comunque, se si vuole "organizzare", deve esserci qualcosa a cui fornire un ordine! Questo qualcosa è proprio quello che manca e si deve costruire: il coinvolgimento di migliaia di militanti i quali, necessariamente e ovviamente, devono scegliere loro, dal basso, dove vogliono andare e come farlo. Il compito di chi si sente leader essendo, casomai, quello di continuare ad essere tale anche quando entrano in mischia migliaia di altri potenziali capi. Se si è capaci bene, altrimenti ciccia.

    E arrivo qui all'errore di D'Andrea (ARS), il quale ha sì capito che è necessario coinvolgere (e dare un ruolo a) migliaia di persone (per ora solo centinaia) ma poi si è perso per strada. Non è un caso che il tentativo di ARS sia quello che ha ottenuto, finora, i risultati numericamente più rilevanti, sebbene ampiamente insufficienti, ma è da questo esempio metodologico che, a mio parere, oggi si può ripartire. Sia ben chiaro: non mi occupo, in questa sede, della declinazione politica dell'idea sovranista di ARS, che in parte condivido, perché mi sto occupando solo ed esclusivamente del metodo

    ARS ha scelto di coinvolgere le persone offrendo loro non solo una piattaforma programmatica (sulla quale, ripeto, si può essere o meno d'accordo) ma anche la possibilità per gli iscritti di ricoprire un ruolo. Il metodo stava funzionando, era quello vincente, ma è stato, da un certo momento in poi, posto in secondo piano dalla pulsione, chiaramente emersa già in occasione delle prime defezioni, di imporre una direzione verticistica. Ha prevalso cioè, anche in ARS, la deriva verso una concezione organizzativa di stampo leninista, pur comprensibile in un partito rivoluzionario, ma con una scelta dei tempi prematura rispetto a quanto necessario. Detto senza infingimenti (ovviamente questa è la mia opinione) è mancata a SdA la convinzione e la sicurezza di essere realmente il leader del movimento, anche in seguito a una crescita tumultuosa che, ovviamente, avrebbe portato nell'associazione molte altre persone di valore.

    Illo, SdA e Pasquinelli sono stati, insieme a Barnard - prematuramente scomparso per suicidio psichico, i principali esponenti di quello che possiamo chiamare "sovranismo". Non sono i soli, ovviamente, ma sono quelli che, in modo più o meno esplicito, hanno costituito dei "movimenti": A/simmetrie (Illo), ARS (SdA), MPL/Sollevazione/Sinistra no euro/Ora Costituente/P101 (Pasquinelli). Rispetto alle capacità e agli sforzi messi in campo i risultati sono, a mio avviso, insoddisfacenti. Questo post ha cercato di tratteggiare i limiti metodologici di tali tentativi senza la pretesa di entrare nel dettaglio delle posizioni politiche, che pure sono della massima importanza. Ciò sarà oggetto di future riflessioni.