giovedì 28 dicembre 2017

Per l'unità nazionale

Io ve la riassumo in tre minuti...



Luciano Barra Caracciolo ve la spiega in un'ora e mezza:


Chi poteva capire ha già capito, tutti gli altri capiranno a danno delle loro terga. Prosit.

mercoledì 27 dicembre 2017

Zero tituli (Perché non c'è una lista sovranista alle politiche?)

Anni di impegno, di lavoro, di contrasti; convegni, blog, decine di migliaia di video, forse centinaia di sigle. Risultato:



La domanda "perché è andata così?" è d'obbligo. A mio avviso dobbiamo convenire che la risposta "è andata così perché nun ce sta 'na lira" è insensata, anche perché, se ci fossero i soldi, bisognerebbe nutrire qualche sospetto. La domanda, dunque, va posta in termini più chiari:

Perché le classi lavoratrici italiane, che pure hanno una grande tradizione di impegno politico, non riescono, non dico a prendere la guida della nazione, ma neppure a esprimere un livello minimo di contrasto ai bisogni e ai voleri della classe del capitale, sebbene sia universalmente percepito un sentimento di consistente di ripulsa verso tutti i partiti, nessuno escluso, che tali bisogni e voleri rappresentano?(*)

C'è un gran numero di elettori che non sa per chi votare, e c'è un pensiero politico, incardinato sulla Costituzione, che, interpretandone correttamente la sostanza, è oggi condiviso da qualche migliaio almeno di attivisti, i quali hanno scelto come riferimento una pattuglia più ridotta di intellettuali di sicuro valore e prestigio; eppure da questa circostanza non è derivato alcun tentativo serio di presentare una lista sovranista costituzionale alle prossime politiche, e ciò a dispetto di una legge elettorale che, pure, non porrebbe ostacoli invalicabili ad una forza che volesse farsi largo dal basso.
Non si può dare la colpa di ciò agli intellettuali di cui sopra, perché essere tali non basta ad assicurare la volontà o la capacità di costruire una lista elettorale, meglio ancora un partito del sovranismo costituzionale. Dunque non mi allineo alla schiera di quanti ascrivono ad essi la colpa dell'insuccesso. Nella mia visione delle cose, prima nasce il partito poi arrivano gli intellettuali. Magari per pretendere... ma questo è un altro discorso.
Forse, allora, la colpa dell'insuccesso è da ricercarsi nelle divisioni interne al movimento sovranista costituzionale, che in effetti ha dato ampia dimostrazione di una irrefrenabile propensione allo scissionismo? In effetti ci sarebbe da discutere. Come dimenticare, ad esempio, la tenacia con cui i fans della mmt (o memmt) si sono rifiutati di cogliere le fondamenta squisitamente politiche di quella che, ai loro occhi, era e doveva restare una tecnica salva Italia, rifiutando con ciò, e per anni, ogni proposta di aggregazione politica che gli veniva prospettata?
E vogliamo parlare dei numerosi tentativi di incistare il pensiero politico sovranista costituzionale in partiti già esistenti, che avevano già dato ampia prova di essere nel campo dell'avversario di classe oppure, come nel caso della Lega, ne erano stati punta di diamante? Che dire, infine, dei tentativi tutt'ora in corso, ad opera di ingenui sprovveduti, di rendere maggioritario nel movimento 5stelle il sovranismo costituzionale?

La lista degli errori (ecco un nome appropriato per una lista sovranista!) è sicuramente ancora più lunga, ma mi fermo qua. Il fatto è che, quando si è cominciato a parlare di elezioni, ci si è accorti che mancavano quei 400-500 comitati elettorali, distribuiti in tutta Italia, senza i quali l'avventura è impossibile. E i blog allora? E i convegni? E i social? Ma chi è che scrive sui blog e sui social, e chi va ai convegni? Fatta salva qualche eccezione, si tratta, nella maggioranza dei casi, di persone volenterose, spesso abbastanza colte, ma isolate nel loro contesto sociale, quando addirittura non in famiglia. E come fa uno di questi soggetti a costituire un comitato elettorale se il sovranista più vicino che conosce abita a 50 km di distanza, e anche quello è altrettanto isolato? Semplicemente non può.
Eppure ognuno di questi isolati soggetti conosce sicuramente molte persone che potrebbero dare il voto a una lista sovranista, ma non li ha frequentati politicamente con la necessaria assiduità per poterli chiamare a raccolta per costituire un comitato elettorale locale. Ed ecco allora che la cura per le fortune del sovranismo costituzionale consiste nel porsi questo problema e tentare di risolverlo. In realtà c'è stato un gruppo sovranista che si è posto il problema in questi termini, fin dall'inizio, il Fronte Sovranista Italiano, ma esso rappresenta solo una frazione, una delle tante possibili declinazioni di questo pensiero politico, per cui il buon lavoro che pure gli va riconosciuto non è, neppure esso, sufficiente. Infatti il FSI ha scelto di saltare l'appuntamento delle politiche per concentrare le forze sulle elezioni regionali di Lazio e Lombardia, che si terranno in concomitanza con le politiche.
Resta il fatto che quel modello organizzativo è l'unico ad aver dato risultati, e dunque si può considerare la possibilità di riprenderlo, magari con qualche correzione. Aggiungo che un modello in qualche modo simile fu implementato dai fans della mmt - memmt, purtroppo senza la necessaria visione politica, fornendo buoni risultati anche in quel contesto, e sicuramente migliori di chi ha insistito esclusivamente nel lavoro di organizzazione di convegni o di presenza sui blog e sui social.

Insomma, cari compatrioti, servono le sezioni sul territorio! E' necessario sviluppare un modello organizzativo che ponga al centro la diffusione capillare del sovranismo costituzionale, da ottenersi attraverso il duro e anonimo lavoro di organizzare incontri periodici con le persone del luogo al fine di conoscersi politicamente attraverso il confronto e il dibattito. Ma questo modello deve essere attentamente studiato a tavolino, per essere codificato e proposto come insieme di regole democratiche orientate alla costruzione di una frazione sovranista costituzionale, tali da consentire a tutti una modalità di partecipazione attiva, e non solo ai più bravi, mentre i meno bravi possono solo ascoltare passivamente come troppo spesso accade ai convegni.

A proposito di convegni: ne ho visti - anche - di interventi di persone assai poco preparate, in compenso di carattere più volitivo, mentre i più capaci restavano in silenzio! Ed è per questo che, quando ci vado, spesso salto del tutto alcuni di tali interventi, preferendo il contatto diretto con altri della platea, magari meno volitivi (o prepotenti) ma con molte più cose da dire. 

Per altro la sola attività convegnistica si scontra con un limite ben noto, che l'Italia non è poi così piccola come sostengono i globalisti. Altro che Italietta! Di fatto i cosiddetti convegni nazionali sono problematici, e già organizzarne per il nord, il centro, il sud e le due isole maggiori, comporta seri problemi di lontananza per chi è interessato a partecipare. Dunque i convegni nazionali devono essere diradati, al massimo uno l'anno, mentre devono crescere in numero gli eventi regionali, la cui promozione deve essere delegata alle sezioni delle province, anche in considerazione del fatto che le elezioni regionali sono molto importanti, e dunque un'articolazione per regioni di fatto è ad esse propedeutica.
La linfa vitale della vita politica, vorrei ricordarlo a tutti, è fatta di partecipazione, dalla quale emergono successivamente le inevitabili e necessarie, quando non troppo rigide, gerarchie che strutturano la vita di un partito politico. Ai vertici delle quali, in un partito democraticamente organizzato, si ascende in base al possesso di  una combinazione di tre caratteristiche - il prestigio personale, le capacità organizzative, l'essere collettori di voti - nessuna delle quali può essere considerata prevalente sulle altre.

L'intenso e generoso lavoro di questi anni non ha sortito effetti elettoralmente rilevanti perché è stata eccessivamente privilegiata l'attività di elaborazione ideologica, non solo da parte degli intellettuali ma soprattutto da coloro che hanno puntato sull'opzione di organizzare convegni sempre più partecipati numericamente, nei quali però chi prendeva la parola non veniva scelto da una base capillarmente diffusa attraverso meccanismi di delega, ma all'interno della cerchia ristretta degli organizzatori. Per entrare nella quale, godendo così di una ribalta (mentre qualche infaticabile come lo scrivente faceva riprese video) occorreva entrare nelle buone grazie di qualche leader non eletto, al più riconosciuto come tale per prestigio intellettuale. In politica le cose non funzionano così, questo è, al più, movimentismo di alto bordo, la cui tendenza intrinseca è quella di amplificare le divisioni. Ciò perché ognuno è incentivato a ricercare una sua specifica interpretazione, e a tentare di imporla agli altri attraverso la sola battaglia dialettica, senza che vi sia un elemento equilibratore costituito dai delegati democraticamente eletti dalle sezioni locali, sparse sul territorio, con diritto di parola in quanto effettivi rappresentanti del popolo.

Il risultato di tutto ciò è che i convegni sono sempre meno numericamente partecipati, alle elezioni politiche non ci sarà nessuna lista del sovranismo costituzionale, e molti di noi cominciano ad essere un tantinello stanchi. Prosit.



(*)Nota: poiché questo è il blog di un sovranista (costituzionale, così l'amico Simone è contento) do per scontato che l'unico e solo pensiero politico di opposizione alle istanze globaliste, oggi esistente, sia il sovranismo costituzionale. Chi non fosse d'accordo e volesse, ad esempio, citare il tentativo di Potere al Popolo (i "papellidi") o di Lista del Popolo (gli "ingroiati") o gli ortotteri, può esimersi sia dalla lettura che dal commentare. Anche perché sarebbe irrimediabilmente bannato. Questo è il post di un sovranista costituzionale, su un blog del sovranismo costituzionale, rivolto ai sovranisti costituzionali.

sabato 23 dicembre 2017

Lo stato del sovranismo in Italia

Premessa


Sarà un post complicato (per l'occasione sono consentiti i commenti degli anonimi) perché l'argomento è scottante. Come sanno i quattro gatti che mi seguono, a settembre ho aderito alla CLN, dopo essere uscito nel 2014 dall'ARS (oggi FSI) ed essermi limitato, per alcuni anni, a fare sub-divulgazione tramite il mio blog, nonché alcune riprese video di eventi sovranisti. Ho sempre lavorato per l'unione delle forze sovraniste, non tanto con la visione di un partito unico del sovranismo, quanto nella direzione di promuovere l'instaurarsi di buoni e fraterni rapporti fra tutti. Non credo di essere riuscito nell'intento, come gli ultimi avvenimenti dimostrano in modo lampante. Si aggiunga a ciò il fatto che, non per mia volontà (sfido chiunque a dimostrare il contrario) mi è capitato, più spesso di quanto desiderassi, che alcuni rapporti personali si guastassero in seguito a divergenze di opinioni, fino al punto che qualche volta sono stato accusato di agire per conto di organizzazioni "rivali" quando mai, e sottolineo mai, anche per carattere, mi sono prestato a trame di qualsiasi genere. Talvolta ho preso posizioni politiche che oggi ritengo sbagliate (dieci anni fa sostenevo i grillini, ad esempio) ma ho sempre riconosciuto pubblicamente i miei errori e i miei limiti. Non sono un grande leader, ma un uomo del popolo con qualche piccolo talento e molta passione politica.

L'esperienza nella CLN


Quando ho deciso di aderire alla CLN, nel settembre scorso, l'ho fatto perché si stavano avvicinando le elezioni politiche, e l'idea di fondo professata in quell'ambito era quella di riunire tutte le forze sovraniste in un contenitore dal nome fortemente evocativo. Speravo che, in vista di un appuntamento così importante, le rivalità e le animosità tra pensatori politici anche di notevoli capacità potessero stemperarsi. Fin da subito, purtroppo, ho avuto la percezione che non fosse così. In sostanza la linea principale di polemica e divisione era il grado di radicalità, nonché alcuni punti politici di fondamentale importanza, segnatamente e in ordine di importanza:
  • La prevalenza del tema NO-NATO o di quello NO-UE (dunque la collocazione geopolitica del sovranismo).
  • Le difficoltà dell'uscita dall'euro e la proposta di una moneta fiscale (i Certificati di Credito Fiscali), in sostanza quindi la scelta tra un approccio radicale e uno più tattico.
  • La posizione da assumere sul tema dei migranti.
  • Quale Italia per il dopo euro.

Vi dichiaro fin da subito il mio punto di vista, per quel che conta:

  • L'uscita dall'UE è, per me, più importante di quella, anch'essa importante, di uscire dalla NATO.
  • Ritengo che si debba uscire dall'euro consapevoli del fatto che, giunti al punto in cui siamo, sarà un bagno di sangue cui non sarà possibile sottrarsi, quali che siano i palliativi immaginabili. Questi ultimi attengono alle soluzioni tecniche possibili, ma l'obiettivo politico dell'uscita deve essere dichiarato con assoluta chiarezza.
  • E' necessario respingere con assoluta determinazione le posizioni no-border di stampo (per usare un'espressione divenuta di moda) sorosiano.
  • Ritengo che il problema di quale classe sociale sarà prevalente, dopo esserci sganciati dalla gabbia dei trattati internazionali, in primis UE e NATO, sia secondario rispetto all'obiettivo del recupero della piena sovranità nazionale.

Queste sono le mie posizioni che sicuramente molti, che hanno il vezzo di dichiararsi sovranisti, non condividono, in toto o in parte. Preciso: anch'io ho il vezzo di dichiararmi sovranista, ma non ho la pretesa di essere l'ermeneuta di riferimento di questa posizione politica. Però si può dialogare e dibattere, senza per questo prendersi l'accusa di essere al servizio del re di Prussia, o di Mosca, o di Washington, o di Londra. Ora sta cominciando ad accadere esattamente questo, sebbene non ancora proprio a me, ma alcuni segnali in tal senso cominciano ad essere allarmanti. Stiamo cioè passando dall'accusa di leaderismo, tipica nel piccolo universo sovranista dei primi anni, a quella di agenti di potenze straniere! La qual cosa mi dice due cose:
  1. Il sovranismo comincia ad essere un problema rilevante per lo stato esistente delle cose, quindi è sempre più "infiltrato" da idee politiche e personaggi nuovi.
  2. La salute mentale di molti dei protagonisti del dibattito è gravemente compromessa.
Che il movimento sovranista sia oggetto di attenzione, e quindi attentamente sorvegliato, non mi sorprende né mi preoccupa, mentre mi allarma molto la paranoia montante intorno a ciò perché, per interpretare gran parte delle divisioni del mondo sovranista, non è necessario immaginare che chi non la pensa esattamente come noi sia un agente manovrato, bastando spiegazioni ben più semplici o triviali (rasoio di Occam). Ad esempio, una diversa percezione del pericolo insito nell'UE e nell'euro (o nella NATO), oppure il desiderio da parte di alcuni di cogliere le opportunità offerte dai cambiamenti negli equilibri politici che la tesi sovranista offre; infine (e per tagliar corto) approcci teorici di base differenti (ad esempio dare più importanza agli aspetti monetari piuttosto che a considerazioni geopolitiche). L'insieme di queste diverse letture del momento politico ha prodotto, nell'universo sovranista, posizionamenti divergenti e aggregazioni spesso troppo conflittuali, che l'occasione elettorale sta ovviamente facendo esplodere.

Quest'ultima circostanza costringe infatti a prendere una posizione definita e in tempi brevi, ragion per cui molti, che sono alla spasmodica ricerca di una ribalta che possa garantirgli una visibilità da capitalizzare e spendere in seguito, quando non addirittura la chimera di un seggio, perdono di lucidità. Sono le piccolezze dell'animo umano che, nel momento dell'opportunità, si scatenano fornendo combustibile fresco alle polemiche già esistenti.

La crisi della CLN


Quando aderii alla CLN precisai a voi lettori che non avrei potuto continuare a comportarmi come semplice blogger, in quanto vincolato da un ovvio principio di riservatezza. Questo vale ancora, ed è la cosa che rende più difficile la scrittura del post. La CLN era nata sotto i migliori auspici, il 25 aprile del 2017, ma quasi subito si verificarono i primi dissapori ai quali ho assistito, ancora da blogger, parlando ora con l'uno ora con l'altro dei protagonisti rimanendo turbato dalla veemenza del confronto. Ne sortì una prima defezione, grave e vissuta con sofferenza, ma si decise di proseguire, e fu così che, nel settembre dello stesso anno, aderii venendo subito cooptato nel coordinamento nazionale e nella segreteria esecutiva. Alle porte c'erano le elezioni siciliane che vedevano in campo una componente locale della CLN, su posizioni sovraniste e costituzionali, alleata con una frangia importante degli indipendentisti siciliani. La cosa inizialmente mi sconcertò ma, in seguito, giunsi alla conclusione che gli indipendentisti fosse meglio arruolarli in un progetto sovranista e costituzionale piuttosto che lasciarli liberi di far danni maggiori. La presentazione della lista sembrava cosa certa e già si vagheggiava di una rivoluzione sovranista che partiva dalla Sicilia, definita laboratorio d'Italia, quando arrivò la doccia gelata: per errori formali la lista veniva ricusata!

E non per qualche piccolo dettaglio, ma per una caterva di errori, uno più dilettantesco dell'altro.

Nel frattempo l'attenzione per le elezioni politiche cresceva coinvolgendo nel dibattito tutto il movimento sovranista. Il più importante dei gruppi, il FSI, sceglieva di non partecipare puntando invece alle regionali di Lazio e Lombardia, mentre nella CLN veniva accolta all'unanimità la proposta di presentare una lista, Italia Ribelle e Sovrana - IReS, su posizioni sovraniste molto radicali. Nel frattempo altri gruppi oscillavano tra tentativi di endorsement alla Lega di Salvini e accordi con il già forte movimento no-vax. Qualche altro gruppo, infine, si proclamava autosufficiente, non so bene sulla base di quale valutazione delle proprie forze. Altri, più caratterizzati da un approccio di tipo intellettualistico, disdegnavano l'appuntamento elettorale.

Mentre tutto ciò accadeva, e in concomitanza con la presa d'atto in CLN del fallimento dell'operazione IReS, altre due proposte si facevano strada. La prima, che ha generato Potere al popolo, si sviluppava (a valle del fallimento dell'assemblea del Brancaccio) per iniziativa del collettivo napoletano Je so' pazzo, quasi subito appoggiato da ciò che resta di Rifondazione Comunista e da una galassia di altri movimenti provenienti dal mondo dei centri sociali (vedi anche qui); la seconda in seguito alla discesa in campo della coppia Chiesa-Ingroia (la mossa del cavallo), che ha dato vita alla Lista del popolo.

La necessità di confrontarsi con queste due nuove iniziative ha aperto un dibattito nella CLN il cui esito è stato la sua sostanziale implosione. Personalmente mi sono opposto a entrambe le ipotesi, insistendo affinché si proseguisse con l'operazione IReS, foss'anche in un solo collegio elettorale, ma non ho trovato, o non sono stato capace di trovare, alcun seguito. Dopo che era stata respinta l'ipotesi di aderire a Potere al popolo (ci tengo a sottolineare che se fosse stata accolta mi sarei dimesso per tornare all'orto) si è posta la questione di andare a vedere le carte calate da Chiesa e Ingroia. Inizialmente c'era da ben sperare, ma rapidamente la situazione è completamente cambiata perché la prima stesura della piattaforma programmatica di Lista del popolo, tutto sommato accettabile a mio avviso, è stata sostituita da una seconda del tutto irricevibile per chi si dichiara sovranista, anche a giudizio della maggioranza del coordinamento della CLN.

Vi risparmio i dettagli dell'asprezza della contrapposizione che si è aperta nel coordinamento della CLN, perché sono vincolato dal principio di riservatezza, ma una cosa voglio dirla. Mentre la parte che era stata sconfitta nel suo tentativo di andare a vedere le carte della proposta di Potere al popolo ha, tutto sommato, accettato e digerito la sconfitta, la fazione favorevole all'adesione alla Lista del popolo ha agito in modo tale da amareggiarmi sommamente. Dal che sortiranno conseguenze nei rapporti personali che, ci tengo a precisarlo, non si erano mai prima verificate nella mia vita, almeno per mia iniziativa. Questo perché, quando si viene sconfitti in un confronto democratico, ci sono due, e solo due, strade:
  • Si accetta la sconfitta rimanendo come minoranza.
  • Oppure, si esce salutando cordialmente e amichevolmente i compagni con i quali si è, al momento, in disaccordo.

Eclissi e prospettive del sovranismo


L'insieme delle circostanze che vi ho sommariamente raccontato segna una gravissima crisi del sovranismo, inteso come istanza per la riconquista della sovranità nazionale all'insegna della Costituzione del 1948. L'unica forza organizzata ancora in campo è il FSI al quale, visto il disastro della CLN, darò il mio contributo come indipendente alle regionali del Lazio, forse come candidato. Tuttavia, come ho già asserito nell'ultima riunione del coordinamento nazionale della CLN, non v'è da disperare perché la vita è continuo mutamento e, laddove c'è forza vitale, questa si farà strada. Per spiegarlo ho raccontato che, come bomboniere per il nostro matrimonio, io e mia moglie abbiamo scelto di offrire ai nostri amici un bulbo di giacinto dei fioristi (hyacintus orientalis) accompagnando il dono con le seguenti parole:

«HYACINTHUS ORIENTALIS (GIACINTO DEI FIORISTI)
Come tutti i bulbi, racchiude in sé tutto quanto necessita alla futura pianta nel primo anno di vita: ancoraggio (radici), sostentamento (sostanze nutritive e foglie), riproduzione (fiori).
Per svegliarli dalla loro dormienza, capacità che gli permette di superare la “durezza del vivere”, gli occorre “una botta di freddo”, la così detta vernalizzazione.
Devono cioè trascorrere un certo numero di ore a bassa temperatura.
Avete capito cosa sono i bulbi forzati? Noi li chiameremmo “bulbi imbrogliati”.
Li mettono in frigorifero mentre sono in letargo vegetale. Poi li mettono in terra o in acqua.
Il bulbo, man mano, “sente” il modificarsi della temperatura e delle ore di luce…
Quindi, lentamente, sviluppa le radici e dispiega il suo germoglio per rallegrarci.
Per lui è già primavera e un po’ anche per noi.
Da questo momento, di tanto in tanto, va annaffiato e, volendo, concimato (concime liquido ricco di P e K).
Non chiedeteci quanto… osservatelo, toccate il terreno, lui ve lo dirà.
…Comunque sempre con parsimonia e a lunghi intervalli…
Quando le foglie cominciano ad ingiallire e a seccare, non li buttate.
Se volete, eliminate i fiori appassiti appena sotto la corolla (andando a seme sottraggono nutrimento al bulbo) ma preservate lo stelo e le foglie.
In questo modo continuano a sintetizzare sostanze nutritive necessarie ai bulbi per la fioritura dell’anno successivo.
Quando sono in dormienza levateli dal terriccio e ripiantateli in giardino o in vaso a circa 10 cm di profondità.
Rifioriranno, magari meno sontuosi ma sicuramente più naturali e profumati.»

Anche il sovranismo costituzionale (faccio contento l'amico Simone, che ci tiene tanto - n.d.r.) ha forse bisogno di "una botta di freddo"! Certo, quella che ha appena subito non è da poco, ma servirà per fare pulizia e schiarirsi le idee. Così come la crisi economica che stiamo vivendo non è congiunturale, ma strutturale, allo stesso modo la sua causa ascendente è una crisi politica strutturale, la quale, a sua volta, rinvia ad una crisi spirituale. Non ci sono soluzioni facili, men che mai la partita è chiusa, ma servono idee forti sostenute da uomini forti, tenaci e intelligenti.  Questi ultimi verranno, in numero sempre maggiore, così come quelli che oggi vacillano (se non cadranno) torneranno con noi. Oggi l'unica carta da giocare è appoggiare il FSI, che non va lasciato solo nella sua battaglia per le regionali; così come, dopo le elezioni di marzo, non dovremo lasciarlo solo a sventolare la bandiera del riscatto nazionale. Intelligenti pauca.

giovedì 21 dicembre 2017

Forse mi candido da indipendente (per una Banca Centrale dipendente)

Fiorenzo Fraioli
Grande fu il mio dispiacere nel constatare che l'appello lanciato dalla CLN per la presentazione della lista Italia Ribelle e Sovrana - IReS era caduto sostanzialmente nel vuoto, e ancor più grande il mio disappunto per il fatto che fosse respinta, dal coordinamento nazionale della CLN, la mia richiesta di candidarci comunque, anche in una sola circoscrizione. Anche il tentativo estremo di aderire, come CLN, alla Lista del popolo presentata da Giulietto Chiesa e Antonio Ingroia, non ha avuto esito, nonostante i nostri sforzi per accettare una piattaforma molto meno radicale della nostra e non del tutto allineata con la visione sovranista, e comunque successivamente ulteriormente annacquata fino al punto da lasciare sconcertati molti di noi (Trappola per sovranisti).

Esperiti tutti i nostri tentativi di promuovere una lista del sovranismo costituzionale, e preso atto dei loro fallimenti, ho infine deciso di raccogliere l'invito del FSI di dare il mio apporto per le elezioni regionali del Lazio, che si terranno probabilmente in concomitanza con le elezioni politiche. Non so se sarò candidato, ma la cosa è probabile, ragion per cui mi muoverò fin da ora come se lo fossi. Dovesse essere scelto un altro ne sarei lieto e lo supporterei ugualmente, forse con ancor maggiore energia. Chi mi conosce sa che parlo con voce di verità.

Se sarò candidato (da esterno) per il FSI dovrò affrontare, in campagna elettorale, temi di natura amministrativa relativi alla regione Lazio, ma ovviamente mi esprimerò anche su questioni politiche. Tra le tante, tutte ovviamente improntate al tema dell'uscita dall'Unione Europea e dall'euro ai fini della riconquista della piena sovranità nazionale, ve n'è una che mi sta particolarmente a cuore perché la ritengo di importanza cruciale, ed è il principio di indipendenza della Banca Centrale imposto extra legem al popolo italiano in occasione del famoso divorzio Tesoro Banca d'Italia nel 1981. Si tratta di una questione che, per me, è stata dirimente per l'abbandono dell'ipotesi di appoggiare la Lista del popolo di Chiesa&Ingroia, stante il fatto che, mentre nella prima stesura della loro piattaforma programmatica veniva esplicitamente proposta la ripubblicizzazione della Banca d'Italia (il che implicava, si poteva presumere, la fine del principio di indipendenza), nella seconda stesura questo cruciale obiettivo politico veniva espunto sulla base di superflue considerazioni tecniche dell'economista indicato, da Chiesa e Ingroia, come "di riferimento", tal Alberto Micalizzi, noto alle cronache per i suoi trascorsi come sfortunato investitore finanziario. Se mi consentite una battuta, passare da Alberto Bagnai ad Alberto Micalizzi (chi?) non è una progressione di carriera.

Ora io ritengo che il principio di indipendenza della Banca Centrale sia il bastione fondamentale dell'ordoliberismo, in quanto introduce surrettiziamente nell'ordinamento un quarto potere (mentre la Costituzione ne riconosce solo tre: il potere legislativo, il potere esecutivo e quello giudiziario) che fa da pendant (quasi numerologico) a quel quarto partito di cui parlò Alcide De Gasperi nel 1947 in occasione della caduta del suo terzo governo:

"Vi è in Italia un quarto Partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e di rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi o le campagne scandalistiche. L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di Governo, in una forma o nell'altra, i rappresentanti di questo quarto Partito, del partito di coloro che dispongono del denaro e della forza economica."

Questo quarto partito, che è il partito dei detentori di grandi capitali, ha preteso, riuscendoci, di negare il principio di uguaglianza formale e sostanziate tra i cittadini sancito dalla Costituzione, ed ha pienamente conseguito il suo intento avendo successo nell'affermare il principio secondo cui l'autorità responsabile della politica monetaria, la Banca Centrale, non debba rispondere alla volontà politica del Parlamento, e quindi sia indipendente dalle scelte dei governi. Pertanto dal 1981 (almeno) si è passati da un regime in cui la BC era dipendente dagli indirizzi di politica economica espressi dal Parlamento, pur mantenendo una sua autonomia rispetto ai percorsi tecnici necessari per ottemperarli, ad una situazione in cui la BC si è arrogata il diritto di sceglierli in piena libertà. E' come se le nostre forze armate, che ovviamente non sono libere di decidere se fare la guerra, e contro chi, ma solo di condurla nel miglior modo possibile dopo aver recepito la volontà del Parlamento, e quindi del governo, si arrogassero il diritto di condurre una politica estera indipendente, dichiarando guerra a loro piacimento e stipulando trattati di pace senza rispondere all'autorità politica.

Io credo che il cuore dell'ideologia ordoliberista, da cui i trattati dell'Unione Europea traggono ispirazione, sia proprio il principio di indipendenza della Banca Centrale, sia della BCE che delle banche nazionali, tutte coordinate dal Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC). Una questione che Chiesa e Ingroia si sono ben guardati dal porre al centro della loro proposta politica, preferendo dare ascolto all'economista(?) Alberto Micalizzi, il quale si è peritato di strologare su fantomatiche difficoltà tecniche relative alla ripubblicizzazione della Banca d'Italia, indicando nei CCF (Certificati di Credito Fiscale) intesi come moneta parallela, per altro espressamente vietata dai Trattati - come la BCE non ha esitato a ricordarci, un percorso di riconquista della sovranità monetaria. Un approccio di natura tecnica, la cui fattibilità resta comunque da dimostrare, che salta a pié pari il problema politico. Come può un sovranista, che considera il principio di indipendenza della Banca Centrale come un fatto squisitamente politico, accettare l'idea che la soluzione a questo vulnus possa essere di natura tecnica? E' una scemenza troppo grossa per non pensar male, talmente male che l'ipotesi che Chiesa&Ingroia siano due dilettanti allo sbaraglio appare vistosamente ottimistica.

Dunque appoggerò il Fronte Sovranista Italiano alle regionali del Lazio, candidandomi come indipendente se mi sarà chiesto di farlo. Parlerò dei problemi della nostra regione, che conosco abbastanza bene, ma non dimenticherò che questa battaglia, seppur secondaria rispetto al confronto politico nazionale, si gioca comunque sullo stesso terreno, quello dell'effettiva sovranità del corpo elettorale rispetto ai diktat dell'élite finanziaria che opprime tutti i cittadini e tutte le classi sociali.

Alberto Bagnai (da imparare a memoria)

Un uomo politicamente indispensabile quanto politicamente inutile, insomma necessario ma non sufficiente. Imparare a memoria quello che dice e dimenticare l'uomo, come per altro Illo stesso ci ha insegnato. Cinque anni fa si litigava: un grande dispiacere che è diventato un grande sollievo. Grazie al grande Claudio Messora, uomo utile ma non indispensabile, come tutti noi comuni mortali.

mercoledì 20 dicembre 2017

Per uscire dall'euro



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L'unico modo per uscire dall'euro è una guerra, anche civile, sapevatelo. Chi non se la sente vada con chi gli pare, ma l'equazione non cambia. O si resta nell'euro, oppure si combatte, per uscirne, contro i nemici esterni e interni. Non c'è tattica che tenga, non ci sono alternative, è inutile seguire chi dice e non dice.

Ma quali CCF, ma quale nuova costituente europea! Cari amici Chiesingroiani, vi siete bevuti il cervello?

Il tempo per uscirne con le buone è scaduto nel 2011, poco dopo il famoso convegno. E adesso vi sta bene Micalizzi? Vi prego! Già la prima stesura del documento era carente, poi l'hanno cambiata, infine hanno presentato il Micalizzi come economista di riferimento, e come se non bastasse Chiesa ci ha detto chiaramente "prendere o lasciare". Non era meglio continuare con IReS presentandoci dove riuscivamo a farlo?

Poi arrivano Chiesa&Ingroia con Micalizzi al seguito e abbiamo scherzato?

Volete andare con lista del popolo? Nessun problema, tanto tornerete qui. Quel giorno uccideremo e mangeremo il vitello grasso, ed è anche giusto che facciate i vostri errori.

Quanto a me, sarò candidato indipendente alle regionali del Lazio con il FSI, e potete star sicuri che non parlerò al popolo di CCF o di nuova Europa.

Ne riparleremo dopo le idi di marzo.

domenica 10 dicembre 2017

Criptomonete, speculazione e manipolazione dell'opinione pubblica

«Nell' ultimo anno il prezzo di Bitcoin è salito di circa 20 volte. Nell' ultima settimana, si è apprezzato di circa il 45%, sfiorando i 17.000 dollari il pezzo. Gli ultimi rialzi sono considerati un effetto dell' imminente lancio di derivati su Bitcoin, che avverrà oggi. (Alberto Mingardi per ''La Stampa''

Una bolla speculativa consiste nel fatto che il prezzo di qualcosa è disallineato rispetto al suo valore reale. Ma cos'è il valore reale di un bene? Per la teoria del valore-lavoro il valore di un bene dipende dalla quantità di lavoro necessaria per produrlo, e poiché il costo di estrazione (mining) di un bitcoin è esponenzialmente crescente e la sua quantità massima estraibile è finita, ecco che si può sostenere che il bitcoin rispetta la teoria del valore-lavoro. Tuttavia non si estrae qualcosa se in ciò non vi è utilità, dunque il cuore del problema consiste nel cercare la risposta alle domande: per cosa è utile il bitcoin? Per chi?

La risposta alla prima domanda è semplice: il bitcoin è utile per sottrarre l'accumulo di ricchezza finanziaria al controllo delle autorità monetarie, posto che queste non decidano di intervenire per mezzo dei governi. Ora, è molto probabile che ciò avverrà, perché chi ha un potere di controllo difficilmente è disposto a rinunciarvi, e controllare la moneta significa avere in mano uno straordinario strumento di potere. Tuttavia è molto difficile che si possa arrivare alla completa eliminazione delle criptomonete, molto più probabilmente assisteremo a una graduale regolamentazione di quelle basate su una blockchain pubblica, che ne limiterà l'uso e la diffusione, ma anche al successo di quelle che garantiscono la privacy, con la nascita di un mercato nero ad uso della grande criminalità organizzata. Le criptomonete con blockchain offuscata finiranno con l'essere strumenti di pagamento all'interno di grandi network del crimine organizzato, dove potranno essere scambiate sotto l'usbergo della forza militare che questi sono in grado di esercitare. Faccio un esempio: il network Spectre commissiona un'azione criminale e paga gli esecutori utilizzando una criptomoneta offuscata. A lavoro compiuto, i percettori della paga potranno spenderla all'interno delle attività gestite dalla Spectre, acquistando droga, armi, e tutti i beni che la Spectre controlla, oppure convertirla in moneta ufficiale, sempre con la complicità e la protezione di Spectre. Un esempio di criptomoneta offuscata adatta a un simile uso è dato dal Monero.

"Monero (XMR) è una criptovaluta creata nell'aprile 2014 che si focalizza sulla privacy, la decentralizzazione e la scalabilità. Il suo primo nome è stato BitMonero per poi divenire semplicemente Monero che in esperanto significa moneta. A differenza di molte altre criptovalute che sono derivate dal Bitcoin, Monero si basa sul protocollo CryptoNote e possiede differenze algoritmiche significative sull'offuscamento della Blockchain. L'architettura modulare del codice di Monero è stata elogiata da Wladimir J. van der Laan, un manutentore di Bitcoin Core. Monero ha avuto una rapida crescita di capitalizzazione di mercato (da 5 milioni US$ a 185 milioni US$ ) e per volume di transazioni durante il 2016, in parte dovuta all'adozione da parte dei più grandi mercati Darknet, tra cui AlphaBay e Oasis Market. Nel 2017, Monero è la nona criptovaluta più scambiata con un mercato di capitalizzazione di oltre 1.500.000.000 di dollari."

Le criptomonete con blockchain pubblica, invece, sono destinate ad essere regolamentate, il che le espone al rischio di un crollo del loro valore. Tuttavia, in questa fase del loro sviluppo, questa circostanza le rende assolutamente adatte per la speculazione finanziaria.

Cambio euro-bitcoin
 Anzi, è proprio la speculazione che, già oggi, sostiene i costi di estrazione. Senza la crescita di valore sui mercati di cambio l'attività di mining sarebbe probabilmente già cessata, e certamente non sarebbero state sviluppate le tecniche che rendono l'estrazione di nuovi bitcoin molto più efficiente di qualche anno fa. In altri termini, la qualità intrinseca del bitcoin, l'essere cioè un mezzo di pagamento non soggetto a inflazione in quanto la quantità massima estraibile è predeterminata, non lo renderebbe così appetibile da giustificare i costi crescenti necessari alla sua produzione. Il fatto è che un numero crescente di soggetti si sta dedicando all'attività estrattiva non perché siano motivati dalla differenza tra i costi e il valore attuale del bitcoin, bensì da quello con il suo valore futuro. Se guardiamo il grafico, vediamo che a luglio del 2017 un bitcoin era quotato all'incirca 2500 euro, cinque mesi dopo ne vale 13500!

A un certo punto la bolla scoppierà, questo è certo, e qualcuno si farà male. Probabilmente non sarà un gran danno perché, per quanto il fenomeno possa essere diffuso, le sue dimensioni assolute sono marginali rispetto all'insieme delle attività finanziarie. La cosa, però, farà un grande chiasso, e sarà quello il momento in cui si porrà mano ad una regolamentazione. Molto più insidiosi, tuttavia, sono gli aspetti politici del fenomeno criptomonete, in quanto esso potrebbe essere usato per dimostrare l'esistenza di una domanda diffusa di strumenti di pagamento non soggetti al rischio di inflazione, asseverando così, presso l'opinione pubblica, il fatto che il controllo dell'inflazione debba essere il primo e irrinunciabile obiettivo delle autorità monetarie. Le quali potranno così dire "ce lo chiede il popolo". Le criptomonete con blockchain pubblica (quelle offuscate essendo chiaramente e inevitabilmente destinate ad usi illegali) si prestano dunque ad essere utilizzate come uno strumento di persuasione occulta per fini politici, atte a conformare la mente di grandi masse di persone rendendole insensibili ad ogni richiesta in favore di politiche espansive finanziate con deficit monetizzati dalle Banche Centrali. Una riedizione delle bufale sul debito pubblico circolate nei primi anni della crisi, che solo ora, e al prezzo di enormi sforzi, cominciano ad essere comprese come tali, seppure da una minoranza della popolazione.

Questa finalità può forse spiegare, almeno in parte, lo spazio crescente che i media mainstream cominciano a dedicare al fenomeno, oltre all'ovvia circostanza che la bestia finanziaria, sempre in cerca di nuove opportunità, intende lucrare sul fenomeno coinvolgendo nella bolla anche chi non è interessato a diventare un miner.

E infatti: Debutto dei futures bitcoin con il rebus-prezzi (Sole24ore).

giovedì 30 novembre 2017

Chisse so' pazzi

Ola ola ola, a quanto pare da quel di Naples sta partendo una revolucion!

POTERE AL POPOLO! UNA PROPOSTA DI PROGRAMMA

La trovate anche in calce a questo post. Me la sono letta, questa proposta di programma di Je so' pazzo ex OPG, e la prima domanda che mi è venuta in mente è stata: ma questi qui, che hanno fatto in questi ultimi dieci anni? No, non nel senso di mobilitazioni sociali, anzi, sono certo che hanno mobilitato moltissimo, ma  il punto è: dove stavano mentre l'Unione Europea e l'euro venivano studiati, analizzati, passati ai raggi beta di blade-runner memoria, da un mondo che si è autodefinito "sovranista", in fondo, proprio per rivendicare questo tipo di approccio? A leggere la loro proposta di programma, francamente, cadono un po' le braccia. La sensazione che emerge è quella di un volenteroso dilettantismo, come fossero degli addormentati che, d'improvviso, si destano e scoprono la realtà di una matrix di cui non sospettavano l'esistenza. E per questa ragione, anzi soprattutto per questa ragione, credono di aver capito tutto.

Cari lettori del blog, vi prego di leggervi quello che scrivono. Il post continua alla fine del loro testo.

La proposta di Je so' pazzo ex OPG - Potere al Popolo

********************INIZIO*********************************

1. COSTITUZIONE

Vogliamo l'uguaglianza, vogliamo salari dignitosi, il rispetto di chi lavora. Perché su chi lavora è fondata la Repubblica. Chiediamo troppo? Chiediamo solo quello che già è scritto nella nostra Costituzione, nata dalla spinta dalla lotta di liberazione dal nazi-fascismo e da un grande protagonismo delle masse. 
Il Referendum del 4 dicembre ha mostrato la chiara volontà del popolo italiano di difendere la carta costituzionale, noi crediamo che sia finalmente giunto il momento di metterla in pratica fino in fondo. Vogliamo dunque la piena attuazione della Costituzione nata dalla Resistenza, e in particolare dei suoi aspetti più progressisti. Questo significa prima di tutto:
- ridare centralità e dignità alle lavoratrici e ai lavoratori;
- far sì che ogni discriminazione di sesso, razza, lingua, religione, orientamento sessuale venga superata;
-  rimuovere ogni ostacolo di carattere economico e sociale che limita l’uguaglianza e inibisce il pieno sviluppo della persona umana; 
- promuovere e supportare la cultura e la ricerca scientifica, salvaguardare il patrimonio ambientale e artistico;
- ripudiare la guerra e dare un taglio drastico alla spesa militare (ovvero: la rottura del vincolo di subalternità che ci lega alla NATO e la rescissione di tutti i trattati militari; l’adesione e sostegno dell'Italia al programma di messa al bando delle armi nucleari in tutto il mondo; il ritiro delle missioni militari all'estero; la cancellazione del programma F35, del MUOS, degli altri programmi e basi di guerra);
- rimuovere il vincolo del pareggio di bilancio, inserito di recente, che sacrifica le vite e la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori in nome dell'equilibrio fiscale e del rispetto dei parametri europei;
- ripristinare l'equilibrio istituzionale, ridando centralità ad un Parlamento eletto con un sistema proporzionale.


2. UNIONE EUROPEA

Negli ultimi 25 anni e oltre, l'Unione Europea è diventata sempre più protagonista delle nostre vite. Da Maastricht a Schengen, dal processo di Bologna al trattato di Lisbona, fino al Fiscal Compact, le peggiori politiche antipopolari vengono giustificate in nome del rispetto dei trattati. I ricchi, i padroni delle grandi multinazionali, delle grandi industrie, delle banche, le classi dominanti del continente approfittano di questo ”nuovo” strumento di governo che, unito al “vecchio” stato nazionale, impoverisce e opprime sempre di più chi lavora. Sempre di più la gente comune sente il peso di decisioni che sono prese altrove, lontano, e che non rispecchiano ciò che il popolo vuole.
L’Ue ha agito come uno strumento delle classi dominanti, delle banche, della finanza: un dispositivo che ha “protetto” dalla democrazia quelle riforme strutturali (da quelle costituzionali e a quelle del lavoro) non a caso definite impopolari. L’ Unione europea dei trattati è lo strumento di una rivoluzione passiva che ha reso funzionale “il sogno europeo” agli interessi di pochi. Noi vogliamo ricostruire il protagonismo delle classi popolari nello spazio europeo: 
Per questo:
- vogliamo rompere l'Unione Europea dei trattati;
- rifiutiamo le storture governiste impresse al nostro sistema politico, lo svuotamento di potere del Parlamento e il rafforzamento degli esecutivi;
- vogliamo che le classi popolari siano chiamate ad esprimersi su tutte le decisioni prese sulle loro teste a qualunque livello – comunale, regionale, statale, europeo - pregresse o future.


3. LAVORO E REDDITO

Costituzionalmente è riconosciuto il diritto al lavoro e la promozione delle condizioni che rendano effettivo questo diritto. 
La realtà del lavoro in Italia è sempre più sbilanciata: c’è chi sia ammazza di fatica per 12 ore al giorno e non riesce ad andare in pensione e chi non riesce a trovare un impiego, noi vogliamo lavorare meno, ma lavorare tutte e tutti. Gli unici lavori che si riescono a trovare sono iper-sfruttati e sottopagati (o addirittura gratuito, nelle forme degli stage, dei tirocini, dell’alternanza scuola/lavoro, etc.); migliaia di persone ogni anno sono costrette ad emigrare per lavoro (nessuno ne parla ma sono più di coloro che arrivano nel nostro Paese); più di tre persone al giorno muoiono di lavoro e le norme a tutela della sicurezza dei lavoratori sono sempre più deregolamentate, così come le misure di prevenzione di infortuni e malattie professionali. La tenuta del nostro sistema pensionistico è a rischio a causa del fatto che nel mercato del lavoro si entra – forse – tardi, un eventuale reinserimento in età avanzata è ancor più difficile, e si esce chissà quando; ad essere garantite sono solo le pensioni dei dirigenti, pagate con i soldi dei lavoratori dipendenti.
Per questi motivi vogliamo:
- la cancellazione del Jobs Act, della legge Fornero, della legge Biagi, del pacchetto Treu e di tutte le altre leggi che negano il diritto ad un lavoro stabile e sicuro;
- il ripristino del testo originario dell'art. 18;
- la cancellazione di tutte le forme di lavoro diverse dal contratto a tempo indeterminato;
- misure che garantiscano incisivamente la sicurezza sul lavoro;
- serie politiche di contrasto alla disoccupazione;
- una legge sulla democrazia nei luoghi di lavoro che garantisca a tutte e tutti il diritto di scegliere liberamente la propria rappresentanza sindacale, tutti elettori e tutti eleggibili senza il vincolo della sottoscrizione degli accordi;
- che venga anticipata l’età pensionabile;
- la fine delle discriminazioni di genere e della disparità salariale.
- la battaglia per il diritto al lavoro e per la riduzione di orario viaggia insieme alla necessità di riconoscere il diritto a una esistenza degna a tutte e tutti. Non si tratta solo di contrastare una povertà sempre più odiosamente diffusa, ma di superare il welfare assistenzialistico e familistico e riconoscere a tutte e a tutti il diritto a un reddito minimo garantito.


4. ECONOMIA, FINANZA, REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA

Partiamo, come detto all'inizio, dalla Costituzione e dalla rimozione degli ostacoli all'uguaglianza. Questo punto è incompatibile con le scelte scellerate in materia di economia e finanza fatte dai governi di qualunque colore negli ultimi trent'anni. Ribadiamo la necessità di cancellare l'obbligo del pareggio di bilancio inserito in Costituzione e la volontà di disobbedire al Fiscal Compact. Crediamo inoltre che sia urgente trasferire ricchezza dalle rendite e dai capitali al lavoro e ai salari, ricostruire il controllo pubblico democratico sul mercato organizzando un piano che elimini la disoccupazione di massa e la precarietà  e cancelli la povertà. Per mettere in atto questo piano immaginiamo alcuni passaggi fondamentali: 
- un'imposta patrimoniale;
- un sistema di tassazione semplice e fortemente progressivo;
- una lotta seria alla grande evasione fiscale;
- il recupero dei capitali e delle rendite nascoste;
- la fine delle privatizzazioni e delle esternalizzazioni (in particolare degli appalti per servizi permanenti): vogliamo che i beni e i servizi pubblici rimangano tali e non vengano svenduti;
- politiche industriali attive e controllo su delocalizzazioni e investimenti (in particolare delle multinazionali, quindi è necessario anche abolire Il trattato con il Canada e cancellare definitivamente Il TTIP);
- la nazionalizzazione della Banca d'Italia, delle banche e delle industrie strategiche, il ripristino della separazione tra banche di risparmio e di affari;
- un piano per il lavoro con  forti investimenti pubblici nel risanamento del territorio, nei beni culturali, nella formazione, nella ricerca e nella innovazione, nello sviluppo dei servizi e dello stato sociale.


5. LOTTA ALLA POVERTÀ E ALL’ESCLUSIONE SOCIALE

Un paese sempre più preda della crisi, impoverito e incattivito, vede crescere l'emarginazione sociale. Superando le logiche assistenziali, la lotta alla povertà e all'esclusione è un punto importante del nostro discorso politico. Vogliamo:
- città e territori realmente aperti a tutti, senza zone ghetto, senza periferie immiserite e preda della criminalità organizzata accanto a “centri storici-vetrina” dai quali gli esclusi vengono cacciati con un DASPO;
- una seria politica per gli alloggi popolari mettendo innanzitutto a valore il patrimonio immobiliare esistente;
- il rispetto delle garanzie e tutele costituzionali – casa, salute, istruzione, etc. - per tutte e tutti, in particolare per chi è in condizioni di miseria e disagio socio-economico.
- un piano di inclusione da realizzare per tutti gli espulsi dalla crisi economica, il cui destino non può essere quello della marginalità e della ghettizzazione.


6. WELFARE: SALUTE, ISTRUZIONE, ASSISTENZA, INCLUSIONE

La lotta alla povertà e all'esclusione, il superamento di qualsiasi diseguaglianza sociale, passano per la tutela del diritto all'istruzione, alla salute, per il potenziamento di qualsiasi forma di assistenza sociale, attraverso un incisivo ripristino del Welfare State. La sanità pubblica è allo sfascio, preda di sciacalli privati che hanno solo sete di profitto; i livelli assistenziali sono in caduta libera, frutto di politiche di tagli trasversali e indiscriminati, la partecipazione diretta alla spesa cresce sempre di più, come la lunghezza delle liste d'attesa, con una conseguente diseguaglianza di accesso ai servizi, in particolare nelle zone depresse come il Sud e le isole. Questa disuguaglianza è accentuata anche dall'introduzione del Welfare Aziendale e di fondi pensionistici integrativi vincolati al contratto di lavoro e allo status socio-economico. L'esclusione di fette sempre più ampie di popolazione dall'accesso alle cure va di pari passo con l'assenza di qualsiasi investimento incisivo sulla prevenzione primaria e secondaria di malattie e su misure di tutela della salute. 
La “Buona Scuola”, degna figlia delle riforme precedenti, insulta gli insegnanti, svuota le conoscenze, punta a trasformare gli studenti in schiavi obbedienti pronti a lavorare gratis e senza protestare. Mancano totalmente politiche di assistenza e sostegno alla famiglia, come gli asili o dei servizi sul territorio per il sostegno agli anziani. I diversamente abili ed i soggetti sociali fragili sono sempre più spesso abbandonati a loro stessi o alle loro famiglie, senza alcuna assistenza economica e materiale e alcun serio programma di inserimento e inclusione sociale. 
Per questo noi vogliamo:
- la cancellazione di tutte le riforme che hanno immiserito la scuola, l’università e la ricerca;
- l'assunzione a tempo indeterminato di tutto il personale precario della Pubblica Amministrazione e un nuovo programma di assunzioni per scuola, sanità, servizi socio-assistenziali, con immediato sblocco del turn-over lavorativo;
- un serio adeguamento salariale;
- l'ampliamento dell'offerta formativa e l'estensione del tempo scuola col tempo pieno per tutto il primo ciclo d'istruzione;
- la gratuità dei libri di testo e la certezza del diritto allo studio fino ai più alti gradi;
- la totale gratuità del servizio sanitario nazionale;
- un potenziamento reale del servizio sanitario e dei livelli assistenziali minimi;
- l'uscita del privato dal business dell'assistenza sanitaria;
- lo stop alla chiusura degli ospedali, il potenziamento dei servizi sanitari esistenti, una rete capillare di centri di assistenza sanitaria e sociale di prossimità;
- che ci sia piena libertà di scelta da parte del soggetto interessato riguardo l’uso sproporzionato di mezzi terapeutici (“accanimento terapeutico”) e le decisioni di fine vita (eutanasia);
- il risanamento e la bonifica dei territori inquinati, col potenziamento di programmi di prevenzione primaria e secondaria;
- la copertura totale del fabbisogno di posti negli asili nido;
- un concreto sostegno economico e materiale agli anziani e alle loro famiglie;
- un piano nazionale di edilizia pubblica per risolvere l'emergenza abitativa che preveda la costruzione di nuove case popolari e il recupero del patrimonio esistente (piano da finanziare in primo luogo con più tasse sugli alloggi sfitti dei grandi costruttori) e provvedimenti che regolino il mercato degli affitti (equo canone);
- la riqualificazione delle periferie;
- un sistema di trasporto pubblico efficiente e alla portata di tutti;
- un ripensamento globale delle politiche sui diversamente abili ed i soggetti fragili, e sull'inclusione, nella scuola, al lavoro, alla vita.


7. IMMIGRAZIONE E ACCOGLIENZA

La questione è centrale, visto che nel dibattito pubblico e politico si fanno sempre più strada tendenze razziste. Per questo vogliamo invertire la tendenza e fare nostro un discorso solidale, antirazzista, per una degna accoglienza e per l’estensione dei diritti (primo fra tutti lo Ius Soli). 
Vogliamo:
- il superamento della gestione emergenziale e “straordinaria” dell’accoglienza e la generalizzazione del sistema sul modello degli SPRAR, in centri di piccole dimensioni nell'immediato e prediligendo l'inserimento abitativo autonomo degli accolti in modo da contrastare la ghettizzazione, con un controllo rigido sulla qualità e una valorizzazione delle professionalità coinvolte;
- le gestione pubblica dei servizi legati all’accoglienza, perché affaristi senza scrupoli e organizzazioni criminali non possano più fare profitto sulla pelle dei migranti;
- la promozione dell’autonomia delle persone straniere che transitano o risiedono, per periodi più o meno lunghi, sul nostro territorio, indipendentemente dal loro status giuridico.
Rifiutiamo:
- il regolamento di Dublino III, le leggi Minniti-Orlando e tutte le leggi razziste che lo hanno preceduto, perché vogliamo accogliere degnamente chi scappa da fame, guerra, persecuzioni, alla ricerca di un futuro migliore


8. AUTODETERMINAZIONE E LOTTA ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE IN TUTTE LE SUE FORME

Oggi il movimento femminista mondiale "Non una di meno" è la forza politica che tiene insieme e traduce percorsi di liberazione dal dominio di classe, di genere, di razza e orientamento sessuale. La lotta femminista partita dalla Argentina ha portato nelle piazze centinaia di migliaia di donne contro la violenza in tutte le sue forme. Lo sciopero dal lavoro riproduttivo e produttivo dello scorso 8 marzo ha messo in luce le tante forme di sfruttamento invisibili, nel lavoro di cura, nel lavoro da casa e nella richiesta di disponibilità e prestazione permanente. Anche in Italia "Non una di meno" ha espresso, con autonomia e intelligenza, una capacità fortissima di lotta e di proposta, come dimostra l’elaborazione del Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere.  
Nel Gender Gap Report 2017, il resoconto sulla disuguaglianza tra uomo e donna, l'Italia è all'82esimo posto su 144, ed era al 50esimo nel 2015. Aumentano quindi la disuguaglianza e le discriminazioni a partire dal lavoro, dove le donne sono meno partecipi e più povere degli uomini. La crisi e i tagli al Welfare aumentano la difficoltà a coniugare tempo di lavoro, tempo di vita e anche tempo per la politica: sempre più donne sono costrette a stare a casa, nemmeno libere di interessarsi alla propria dignità e alle battaglie per il miglioramento delle proprie condizioni. 
Le violenze contro le donne sono cronaca quotidiana, è tra le mura domestiche o nei viaggi disperati in fuga dalle guerre che si consuma, nel silenzio, il maggior numero di violenze. In particolare i corpi delle donne migranti ci ricordano che la questione di genere è intrecciata alla questione di classe, inasprita dalla doppia oppressione che coinvolge anche le donne che diventa tripla se l'oppressa è donna e immigrata. 
Noi vogliamo:
- parità di diritti, di salari, di accesso al mondo del lavoro a tutti i livelli e mansioni a prescindere dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale;
- un sistema di Welfare che liberi tempo dal “lavoro di cura” (nidi, “tempo prolungato” a scuola,  assistenza agli anziani e ai disabili, etc. );
- mettere in campo soluzioni che inibiscano ogni forma di violenza (fisica, ma anche sociale, culturale, normativa) e discriminazione delle donne e delle persone LGBTI e che sia data centralità dell'educazione alla parità e alla non-discriminazione ad ogni livello d'istruzione;
- piena e reale libertà di scelta sulle proprie vite e i propri corpi; pieno diritto alla salute sessuale e riproduttiva, negata in tante strutture pubbliche dalla presenza di medici obiettori;
- Non vogliamo pacchetti sicurezza. La sicurezza delle donne è nella loro autodeterminazione.


9. AMBIENTE

Questo sistema economico si è dimostrato totalmente incompatibile non soltanto con la vita e la libertà delle classi popolari, ma con la natura e la sopravvivenza stessa del nostro pianeta. La questione ambientale non può essere analizzata in modo settoriale, ma dobbiamo riappropriarci di uno sguardo ecologico sul mondo. Anche la devastazione ambientale, nelle sue ricadute drammaticamente differenti nelle vite degli oppressi e degli esclusi e in quelle dei ricchi e privilegiati, mostra la sua aspra natura di classe. 
Mentre un intero continente, quello africano, fa i conti non solo con le guerre ma anche con la siccità, la desertificazione, l'inquinamento, nei paesi del primo mondo continuiamo ad usare – e sprecare – molte più risorse di quanto ci potremmo permettere. Ma i danni non si possono confinare a lungo: l'inquinamento, lo stravolgimento climatico, la crisi idrica, gli incendi colpiscono sempre di più al cuore dei paesi dominanti e ci impongono un urgente e radicale ripensamento del nostro modello produttivo e di consumo. 
Anche nel nostro Paese abbiamo assistito a disastri ambientali, più o meno annunciati (terremoti, incendi boschivi, frane) e al tentativo costante di depredare e devastare i territori in nome del profitto (si pensi a “Grandi Opere” come la TAV, il progetto TAP, le trivellazioni petrolifere, etc.).
Noi vogliamo:
- la messa in sicurezza e salvaguardia preventiva dei territori;
- uno stop al business dell'emergenza ambientale  e a quello della cosiddetta green economy;
- una gestione trasparente, programmata e condivisa dalle popolazioni interessate delle risorse destinate all'ambiente, nonché da un serio piano per la messa in sicurezza idrogeologica del Paese;
- la messa in mora delle cd. “Grandi Opere”, presenti o future;
- un piano d'investimenti pubblici, ad esempio sui trasporti o sull'energia, tarato sui reali bisogni delle classi popolari e fatto nel pieno rispetto dell'ambiente;
- una nuova politica energetica che parta dal calcolo del fabbisogno reale;
- una nuova politica dei rifiuti, che parta da un ripensamento della produzione di merci e veda il privato fuori da ogni aspetto legato al ciclo di smaltimenti
- il rispetto totale per il territorio e la gestione partecipata e democratica di ogni lavoro e progetto.


10. MUTUALISMO, SOLIDARIETÀ E POTERE POPOLARE

Le condizioni di vita delle classi popolari peggiorano sempre di più, questo deterioramento riguarda la salute, l'istruzione, ma anche più semplicemente la possibilità di godere di tempo liberato da dedicare ad uno sport, un hobby, etc. In quest’ottica mutualismo e solidarietà non sono semplicemente un modo per rendere un servizio, ma una forma di organizzazione della resistenza all'attacco dei ricchi e potenti; un metodo per dimostrare nella pratica che è possibile, con poco, ottenere ciò che ci negano (salute, istruzione, sport, cultura); una forma per rispondere, con la solidarietà, lo scambio e la condivisione, al razzismo, alla paura e alla sfiducia che altrimenti rischiano di dilagare. Le reti solidali e di mutualismo sono soprattutto una scuola di autorganizzazione delle masse, attraverso la quale è possibile fare inchiesta sociale, individuare i bisogni reali, elaborare collettivamente soluzioni, organizzare percorsi di lotta, controllare dal basso sprechi di denaro pubblico e corruzione.

Tutti i punti precedenti sono strettamente intrecciati con la questione centrale, la necessità di costruire il potere popolare. Per noi potere al popolo significa restituire alle classi popolari il controllo sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza; significa realizzare la democrazia nel suo senso vero e originario.
Per arrivarci abbiamo bisogno di fare dei passaggi intermedi e, soprattutto, di costruire e sperimentare un metodo: quello che noi – ma non solo noi – abbiamo provato a mettere in campo lo abbiamo chiamato controllo popolare. Il controllo popolare è, per noi, una palestra dove le classi popolari si abituano a esercitare il potere di decidere, autogovernarsi e autodeterminarsi, riprendendo innanzitutto confidenza con le istituzioni e i meccanismi che le governano. Per questo abbiamo chiamato controllo popolare la sorveglianza che abbiamo fatto sulla compravendita di voti alle ultime elezioni amministrative a Napoli, le visite che facciamo ai Centri di Accoglienza Straordinaria, le “apparizioni” all'Ispettorato del Lavoro per reclamare efficienza e certezza del controlli, la battaglia per il diritto alla residenza e all'assistenza sanitaria per i senza fissa dimora, o per il rispetto delle regole, senza abusi, nei dormitori pubblici e nei Consultori Familiari. Ancora, è controllo popolare denunciare e vigilare sui ritardi e gli abusi nei rilasci dei permessi di soggiorno, o sulle scuole dell'obbligo che vincolano la frequenza scolastica al pagamento di una retta. Anche la battaglia contro l'allevamento intensivo di maiali nel Mantovano, quella contro i DASPO a Pisa, o le inchieste sulle Grandi Opere e le battaglie per arrestarne la realizzazione sono controllo popolare.
Costruire il potere popolare, vigilare e prendere parola su tutto ciò che ci riguarda direttamente, rimettere al centro il lavoro (un lavoro degno ed equamente retribuito), mettere in sicurezza il territorio, smantellare il sistema degli appalti e delle esternalizzazioni e impedire l’accesso ai privati in settori cruciali (scuola, smaltimento rifiuti, sanità, accoglienza, etc.), significa ridurre le disuguaglianze, evitare speculazioni e contrastare efficacemente le organizzazioni criminali che avvelenano e distruggono la nostra terra, sottraendo loro bassa manovalanza, reti clientelari e occasioni per fare affari (è anche per questa ragione che sosteniamo la legalizzazione delle droghe leggere).
Per noi, ma per i tanti che sono intervenuti e che l'hanno ricordato, anche con altri nomi, oggi il controllo popolare è il primo passo per stimolare l'attivismo, la partecipazione, l'impegno di tutti, senza distinzioni.
È per questo, insomma, che crediamo e speriamo che il nostro compito non si esaurisca con le elezioni, ma che il lavoro che riusciremo a mettere in campo ci consegni, il giorno dopo le urne, un piccolo ma determinato esercito di sognatori, un gruppo compatto che continui a marciare nella direzione di una società più libera, più giusta, più equa.

Noi ci stiamo, chi accetta la sfida?

***********************FINE******************************

E da dove si comincia? Un guazzabuglio di idee giuste e condivisibili mischiate a cialtronate invereconde. Ne scelgo una, tra le molte, e la analizzo per voi che già sapete. Voglio parlare della proposta (inserita nel capitolo 4. ECONOMIA, FINANZA, REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA) di una patrimoniale.

Non ci fosse quel punto questo capitolo, sebbene scritto in modo discutibile, in fondo potrebbe essere accettabile. Ma quella parolina, patrimoniale, ci dice molte cose, e in particolare a me ne dice una chiarissima: i compagni di Je so' pazzo con la Costituzione non c'entrano un cazzo. Magari sono comunisti (non nel senso di epiteto alla Berlusconi) e allora, ovviamente, nel loro programma c'è, deve esserci per forza, la patrimoniale, ma in tal caso con la Costituzione del 1948 non ci azzeccano niente. Se si è comunisti, con tutto quel che segue, non ci si può rifare alla Costituzione del 1948, che comunista non è!

Perché la Costituzione del 1948 sicuramente non è due cose: non è liberista e non è comunista. Anzi, la Costituzione del 1948 tutela il risparmio e la proprietà privata, conciliando questi obiettivi con l'obbligo dello Stato di rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono alla libertà e all'uguaglianza sostanziale dei cittadini. Qualche richiamo:

Art. 3 comma 3

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 41

L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Art. 42

La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti [cfr. artt. 44, 47 c. 2].

La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.

La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.

Art. 47

La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.

Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

Dunque, cosa intendono i compagni di Je so' pazzo con "patrimoniale"? Non è forse vero che gli italiani sono già da tempo vittime di una patrimoniale a puntate? Magari vogliamo, noi sovranisti e loro, le stesse cose; magari si sono solo espressi malamente. Però non è cosa, questa, su cui sorvolare alla leggera.

Una patrimoniale è una tassa, che può essere una tantum ovvero distribuita nel tempo e su cespiti di diversa natura. Ora, il senso di una patrimoniale può essere di natura politica (si vuole colpire una classe di possidenti espropriandoli dei loro beni) oppure motivata dalla necessità di ripagare creditori esteri. Quel che è certo è che, in uno Stato che possiede la piena sovranità economica, cioè monetaria, fiscale, di controllo dei fattori di produzione, essa non può avere motivazioni economiche. Perché delle due l'una: o la ricchezza che si va a colpire è in forma tesaurizzata, e in tal caso può essere sostituita senza problemi dall'intervento statale che immette in varie forme liquidità nel sistema, oppure viene spesa in consumi e investimenti, e in tal caso essa torna in circolo, restando allo Stato il solo compito, con una tassazione progressiva, di redistribuire il reddito prodotto.

Qual è allora il senso di inserire, nel caotico e ingenuo documento programmatico proposto dai compagni di Je so' pazzo, la voce "patrimoniale"? Poiché mi rifiuto di pensare che essi vogliano, come Profumo e altri qualche anno fa, risarcire ora e subito i creditori esteri attingendo alla ricchezza della nazione, invece che utilizzare quest'ultima per rilanciare investimenti e consumi interni, devo per forza di cose dedurne che essi siano dei comunisti. Ma allora lo dicano! E smettano di agitare la bandiera della nostra Costituzione, che non è comunista, come non è liberale, ma lavoristica e keynesiana. Nonché una cosa seria, temo attualmente al di là della loro capacità di comprensione.

martedì 21 novembre 2017

I manoscritti non bruciano

Basta un solo atto puro nella vita per non temere la morte.

La demonizzazione del sovranismo

C'è una parola, "sovranismo" che è sotto attacco propagandistico dal giorno della sua introduzione nel linguaggio politico nella primavera del 2012. Coloro che si rifanno a questo concetto, i sovranisti, assistono impotenti alla sua quotidiana delegittimazione, alimentata da un flusso costante, sebbene strisciante, di notizie che accostano il termine a significati apparentemente simili che tuttavia non ne colgono il significato profondo. Ricordate l'espressione TINA (There Is Not Alternative)? Quell'acronimo è l'emblema di una comunicazione politica il cui contenuto informativo è di zero bit, cioè assenza di scelta. Affinché sia possibile operare una scelta è infatti necessario almeno un bit, che sia 0 oppure 1, ma questo nel mondo della comunicazione politica modello TINA è precluso. Nel suo significato più profondo, dunque, "sovranismo" è il bit mancante nell'informazione politica, grazie al quale si può ricostruire il primo indispensabile operatore politico, l'operatore NOT. La sola presenza del NOT fa sì che diventi riconoscibile l'operatore nascosto che, ormai da decenni, è l'unico adoperato, l'operatore NOP, che sta per No-Operation (nessuna operazione).

Tutta la comunicazione politica di sistema agisce al fine di promuovere l'operatore NOP, il sovranismo invece proclama il NOT. Solo la possibilità di negare una tesi, una visione, una proposta politica, ne permette l'affioramento e, dunque il riconoscimento. Il globalismo, cioè l'idea della libera circolazione, della società vista come somma aritmetica di individui ognuno con la sua libertà che dipende solo dal suo capitale finanziario e umano (ricordate la Tatcher: "la società non esiste"), insomma l'ordine internazionale dei mercati posto come dato "naturale", emerge nella sua qualità di scelta politica solo nel momento in cui si impugna l'operatore NOT. Ecco perché la parola sovranismo è entrata nel mirino della propaganda politica dei media liberisti, che hanno ricevuto il compito di distruggerla demonizzandone l'uso.

Un'operazione che viene portata avanti ricorrendo all'unico mezzo possibile, consistente nel riassorbirla nelle pieghe del linguaggio politico unico. Lo stratagemma usato è quello di far sì che essa venga inserita all'interno di narrazioni politiche apparentemente anti liberiste, che del liberismo sono varianti cosmetiche. Ecco allora che il sovranismo viene proposto con significanti limitati, dall'uscire dall'euro - la sovranità monetaria, alla rivendicazione etnica - prima gli italiani, fino al risibile decideranno gli elettori con un referendum. Vediamo i movimenti No-Vax assimilati ai sovranisti (come se non ci fossero i NoVax liberisti, europeisti, atlantisti e chi più ne ha più ne metta), si usa la parola "fascismo" come sinonimo, come pure "populismo", fatto quest'ultimo indubbiamente meno grave, ma altrettanto capzioso.

Ora il punto cruciale da capire per intendere il significato profondo della parola sovranismo, e dunque il suo potenziale eversivo rispetto alla logica TINA, è già stato enunciato, e sono le parole della Tatcher, "la società non esiste". Parole che possono essere intese, in fondo, come un manifesto a posteriori del marginalismo, oppure, per farci capire anche da vegani e new agers, come affermare che "il tutto è la somma delle parti", ovvero che, per spiegarlo, basta studiare e comprendere il comportamento delle singole parti che lo compongono. Ecco, il sovranismo opera su tutto questo con un NOT: non è vero che la società non esiste, la società esiste eccome! Il tutto è più della somma delle parti.

Il che significa che le entità collettive esistono, siano esse le classi sociali, le etnie, le nazioni, i popoli, i sindacati, le associazioni capitaliste, le società segrete, le religioni, i legami di sangue, quelli tribali; insomma tutto quello che era pacificamente ammesso ancora cento anni fa e, da allora, è stato prima messo in discussione, e infine negato e annichilito, per effetto dell'azione politica di un movimento di idee, nato nella seconda metà del XIX secolo, che risponde al nome di marginalismo, con un'operazione NOT analoga a quella che oggi ripropone il sovranismo. Ed è stato annichilito perché, così facendo, il marginalismo ha camuffato la sua tesi da sintesi, elevandola a tale dignità usando in modo spregiudicato gli strumenti della comunicazione pubblicitaria di massa. Dunque un'operazione culturale di grande successo, certamente sofisticata ma anche promossa grazie all'enorme dispiegamento di mezzi messi a disposizione dalla ricchezza finanziaria e dall'impetuoso sviluppo dei mezzi di comunicazione.

Ora questo problema si pone, in Occidente, soprattutto al livello della percezione delle masse europee, in particolare italiane, perché altrove, perfino negli USA, l'idea che c'è un "noi" e un "loro" è ancora presente, e dunque che questa poltiglia che ci viene venduta come modernità, costituita dalla fiaba "dell'allocazione efficiente delle risorse all'interno di un mercato a concorrenza perfetta e cioè all'interno di un mercato in cui vi è un'ottima diffusione di informazioni", posta a fondamento della loro idea di democrazia, è una boiata pazzesca.

L'intuizione sovranista, dunque, consiste nella riscoperta della realtà concreta - oltre la narrazione TINA - che la società esiste e non è formata dalla somma aritmetica di singoli individui, ma è attraversata da confini e confitti di ogni genere, che essa stessa genera continuamente in un processo senza fine in cui il tempo gioca un ruolo fondamentale. Se ieri c'era la classe degli operai, oggi c'è il terziario impoverito; se appena due secoli fa un popolo non esisteva e non aveva coscienza di sé, oggi pretende di difendere la sua identità. E lo stesso - chiamiamolo così - campo sovranista, è attraversato da divisioni, perché ci sono quelli che si definiscono costituzionali e democratici, ma anche i sovranisti nazionalisti; non è un caso se, nel 2012, decidemmo di raccattare da terra questo termine, sovranismo, proprio per distinguerci dai nazionalisti. Ma resta vero che il nemico ideologico comune è il marginalismo, quell'ideologia fatta propria dal grande capitale (quello sì) internazionalista, e usata per dire a tutti i suoi nemici "voi non esistete". E' in questo modo, convincendo tutti del fatto di non esistere, che costoro hanno vinto. Per il momento.

Quanto appena esposto potrebbe essere inteso come uno sdoganamento della possibilità di unire tutti i sovranisti, ma questo sarebbe un errore imperdonabile. Non basta, per unire, il fatto di denunciare l'idea farlocca della fine della storia, così come non basterebbe, in una società per azioni, prendere coscienza che un socio di minoranza ha fatto credere a tutti di avere la maggioranza delle quote e che non ci fosse alternativa al suo dominio, per unire tutti gli altri in un'alleanza durevole. La fine della narrazione TINA, la rinascita della consapevolezza crescente che la società è divisa in classi, che le nazioni e i popoli esistono, segna solo il momento in cui il bluff della minoranza, che era riuscita a porsi come unico soggetto della storia del mondo, è stato scoperto. Dunque siamo sì, oggi, tutti "sovranisti", ma torneremo presto a dirci socialisti, comunisti, popolari, democristiani, repubblicani e, feccia della feccia, perfino liberali.

Dalle parti di questo blog oggi siamo sovranisti, ma domani saremo socialisti.