mercoledì 8 marzo 2017

Credibility revolution

Su FB l'amico Vincenzo Cucinotta scrive:

"Per capire il livello di psicopatologia a cui si può giungere qui su fb. 
Oggi, di passaggio su un thread, leggevo un tizietto che perentoriamente e in più interventi pretendeva che i sovranisti gli dessero la dimostrazione scientifica (non so se mi spiego...) che una volta eliminato l'euro, tutto andrebbe a meraviglia e le economie nazionali avrebbero portato a un nuovo benessere. 
Cioè, c'è gente che nella buona fede che gli dobbiamo riconoscere fino a prova contraria, si rifiuta di rendersi conto della distruzione portata dall'euro, non ammette questa evidenza sperimentale, ma pretende che per cambiare ci debba essere la dimostrazione scientifica che le cose andranno alla grande. 
A me parrebbe che quando un sistema non funziona, si debba cambiare anche sottoponendosi a un ragionevole livello di rischio. 
Questo capovolgimento logico esibito senza vergogna alcuna fa molto pensare sulla difficoltà di condurre un ragionamento minimamente decente su questo mezzo."

Vorrei far notare all'ottimo Vincenzo Cucinotta che l'economia, in particolare l'econometria, non è ancora una scienza. Nel far ciò gli giro questo post (segnalatomi da Paolo Marino) dal titolo "What Do Economists Actually Know?". Con un certo scetticismo nell'articolo si segnala l'arrivo, nella professione economica, di una cosiddetta credibility revolution: "Angrist argues that improvements in research design along with various econometric techniques have improved the credibility of measurement in a complex world.".

Si potrebbe allora rassicurare il "tizietto", interlocutore di Cucinotta, raccontandogli che gli "improvements in research design along with various econometric techniques" daranno una risposta ai suoi dubbi. Oppure, più realisticamente, segnalargli l'obiezione di Luigi Zingales (on Incentives and the Potential Capture of Economists by Special Interests): "supporting business interests can be financially and professionally rewarding. Zingales outlines the different ways that economists benefit from supporting business interests and ways that economists might work to prevent that influence or at least be aware of it.".

Ma credo che la cosa migliore sia dirgli: be aware of your interest. Lo fanno gli euroti, lo fanno gli economisti, dunque facciamolo tutti!

Poi, scegliamo in quale schiera stare e diamocele di santa ragione. Perché lo sapete, vero, che finirà così?


Come sempre...

15 commenti:

  1. A parziale riaccredito di tale categoria, fornisco un esempio (sempre in Inglese, sorry) di contributi positivi forniti da (alcuni) economisti.

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    1. Perché una scienza possa avere sufficiente "durezza" è necessario, io credo, che ci sia un "mattone di realtà" che abbia comportamenti costanti. Ad esempio, per la chimica tale mattone è l'atomo: tutti gli atomi di un determinato elemento, in condizioni tali da mantenerli integri, sono uguali.

      Nel caso dell'economia il "mattone di realtà" è l'agente economico individuale, cioè l'uomo, ma ahimè non se ne riesce a trovare due uguali. Non solo! Questo "mattone umano" è di per sé stesso estremamente complesso, con comportamenti che non sono neanche lontanamente riducibili al solo criterio utilitaristico.

      Dunque l'economia (e l'econometria) non sono scienze dure. Su questo non c'è, a mio avviso, discussione che tenga. Resta da domandarsi se siano una scienza, seppur "morbida". Ritengo di sì, ma argomenterò più tardi. Adesso sono nell'intervallo tra un consiglio di classe e il successivo.

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    2. Eccomi qua. La domanda (che ho posto sostanzialmente a me stesso, senza la pretesa di dare risposte intelligenti) è se l'economia sia una scienza, seppur morbida, oppure un guazzabuglio di teorie e dati in conflitto tra loro senza una sia pur minima possibilità di verifica. Il problema è il "mattone di realtà", l'agente economico individuale che non ha le caratteristiche di predicibilità e certezza dei comportamenti che si trovano nei "mattoni di realtà" delle scienze dure.

      La situazione ha qualche nesso con il problema della teoria dei gas. Anche in quel caso si utilizzavano due approcci: uno di tipo macro (la termodinamica) e uno di tipo statistico (Maxwell, Boltzmann e altri). Nel primo caso si definivano grandezze macroscopiche (temperatura, volume, pressione, entalpia, energia libera, entropia) e si ricavavano sperimentalmente e deduttivamente le relazioni tra esse. Nel secondo caso si partiva dal comportamento dinamico delle singole particelle e, con metodi statistici, si dava una formulazione diversa, ma coincidente nei risultati, delle grandezze macro.

      Nel caso dell'economia, al contrario, questa convergenza nei risultati non c'è stata. L'approccio macro, tipico dei pensatori classici (da Smith, Ricardo, Marx fino a Keynes) non è stato confermato e arricchito dall'approccio "statistico" adottato dal marginalismo, ma al contrario ferocemente combattuto, arrivando a risultati diametralmente opposti.

      [continua]

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    3. Abbiamo quindi una "scienza morbida" che, pur nelle numerose ramificazioni, sostanzialmente si divide tra due approcci i cui risultati non coincidono. Se ne potrebbe dedurre che essa non sia nemmeno una "scienza", ma un guazzabuglio di teorie fondate su interessi di parte che si contrappongono con argomenti e sofismi avvocateschi. Eppure non credo che le cose stiano così.

      Il problema, a mio parere, è che entrambi gli approcci siano validi e potrebbero fornire risultati convergenti, ma che questo esito sia impedito dal fatto che quello "statistico" (fondato sul marginalismo) sia più funzionale alla difesa delle classi egemoni, e per tale ragione sia stato utilizzato per distorcere i risultati attraverso la manipolazione dell'enorme base di dati disponibile.

      Il merito che ho sempre riconosciuto a Illo, a dispetto dei contrasti personali, è quello di aver mostrato, a livello di divulgazione di massa, come sia avvenuta e in quale misura tale distorsione.

      [Continua]

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    4. In conclusione, e qui mi fermo perché sono pur sempre un dilettante allo sbaraglio, a mio parere l'economia non è una scienza dura (perché le manca il "mattone di realtà" con le necessarie caratteristiche) ma ha comunque i presupposti per assurgere alla dignità di scienza morbida. E che la responsabilità dei suoi fallimenti sia da ascrivere, in massima se non esclusiva parte, agli sforzi delle classi egemoni di utilizzarla non già come scienza, ma come ideologia al servizio dei propri interessi.

      Il caso esemplare di ciò, al netto della buona fede degli autori(?), è la tesi dell'austerità espansiva, basata sui calcoli (sbagliati) di Reinhart&Rogoff, tuttavia assunti immediatamente come verità di fede per chiari e limpidi interessi di parte. Cioè di classe.

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    5. Aggiungo che l'economia è una situazione umana nella quale l'umano ha "inventato" un bene che non esiste in natura.
      L'economia è una convenzione "artificiale", e in quanto "artificiale" sottostà alla volontà umana, la quale non è predicibile in assoluto, ma solo in parte dato che ricade nel calcolo probabilistico.

      Tutto questo è esposto da Heisenberg nel Principio d'Indeterminazione, e in specie nel suo libro Fisica e Filosofia dove spiega che i processi mentali avvengono ad un livello dimensionale quantistico ivi non è possibile conoscere con precisione ciò che noi consideriamo "fatti".

      E' una scienza basata sul calcolo delle probabilità (ma è scienza).

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    6. @Fiorenzo - ma anche a chiunque altro voglia cimentarsi, ovviamente: secondo te la Scienza Militare (diciamo Strategia, la parte Tattica attiene a scale temporali e dimensionali lontane da quelle dell'Economia) e' una scienza? E' una scienza morbida?

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    7. Secondo te perché è così importante la disciplina tra i militari? Io dico: per far sì che i "mattoncini di realtà", ossia ogni singolo soldatino e ufficiale, sia il più possibile identico a tutti gli altri. Solo così si può dare l'ordine di schierare la divisione x a supporto della divisione y avendo una ragionevole certezza che ciò avvenga.

      Pertanto, in attesa dei robot-soldato, al momento la strategia militare tende ancora al "morbido".

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    8. Non ricordo se avevo gia' consigliato la lettura di Pensare l’efficacia in Cina e in Occidente di François Jullien - probabilmente si, invecchio e tendo a ripetermi.

      Jullien quando paragona la filosofia (intesa come modo di approcciare la realta' in tutti i suoi aspetti) Cinese con quella Occidentale dedica spesso un certo spazio anche al raffronto tra le discipline militari.
      Lo fa anche nel testo che ho citato, che vi permette di fare un excursus sulla sua filosofia senza sorbirvi i mattoni tipo "Strategie del Senso" che per carita', e' bellissimo, ma di non facile lettura).


      La Strategia Cinese si basa sul concetto Taoista che "non esistono Regole, solo Regolazioni" - vale a dire che avere un modello rigido (il Piano di Battaglia descritto da von Clausewitz come fine a cui tendere ma anche come unico strumento per tenere a bada l'Alea) viene visto con sospetto dallo Stratega Cinese, che preferisce un approccio basato su reagire dinamicamente alle situazioni, cercando in ogni caso di massimizzare il proprio vantaggio.

      Tutto questo per dire (e qui forse rispondo anche all'osservazione di Ippolito sulle capacita' divinatorie) che forse il problema di fondo e' che concepire l'Economia come un piano/modello rigido (es.: Austerita') e pretendere al tempo stesso che il piano sia anche lo strumento per il raggiungimento del piano stesso e' una idea sorpassata.

      Un sistema complesso (una battaglia, una guerra, l'economia di un paese) non puo' essere controllato in ogni suo aspetto - si tratta di incoraggiare di volta in volta i cambiamenti che sono vantaggiosi per i nostri interessi, cercando di mettersi in sintonia con essi, invece di volerli piegare con la forza ai nostri desideri.

      (In questo senso, rinunciare a strumenti di "regolazione" quale per esempio la sovranita' monetaria, e' quindi doppiamente pericoloso).

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    9. mi aveva già risposto un certo Imm sul blog del Pedante: "Sulla questione della falsificazione, credo che il punto che Ippolito vuole fare, e con cui concordo in toto, sia che tutta la faccenda della falsificabilità delle teorie ha meno valore di quello che scrive il Sole 24 Ore, quantomeno per chiunque la scienza la faccia, e vive solo nella testa di Popper che, pace all'anima sua, è morto. Popper ha avuto impatto zero sulla cultura della scienza, perché dice cose totalmente irrilevanti. Le teorie, quando nascono, e quella di Copernico è un caso esemplare, spiegano due cose e ne sbagliano 10. È solo dopo un lungo lavoro di raffinamento, nato dall'amore e dalla frustrazione dei loro autori, che sono in grado di reggersi in piedi ed a dimostrare il loro, sempre limitato, valore esplicativo (non necessariamente predittivo, le previsioni le fanno gli ingegneri e i maghi, una teoria spiega una fenomenologia prima di fare, forse, un giorno, delle predizioni)."

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    10. PaMar scrive: "In questo senso, rinunciare a strumenti di 'regolazione' quale per esempio la sovranita' monetaria, e' quindi doppiamente pericoloso".

      Ho ripensato più volte, nelle ultime 24 ore, a questa tua affermazione (che ovviamente condivido). Non sto qui a rendicondarti tutte le mie elucubrazioni, ma una cosa consentimi di dirla, anzi di ricordarla: l'idea alla base del liberismo (nella versione di Milton Friedman - ad usum piddinorum) è che la libera circolazione dei fattori produttivi favorirebbe l'equilibrio, ovvero l'allocazione ottimale delle risorse. Il "sistema", cioè, si autoregolerebbe verso l'alto, con ciò rendendo non conveniente la lotta di classe che, con i suoi sprechi, finirebbe con il penalizzare tutti, sia i vinti che i vincitori.

      Questa favoletta è stata completamente sussunta dal piddinume di bassa lega, ed è a mio parere il nucleo della narrazione dominante che è necessario distruggere. La vita, sia quella individuale che quella collettiva, dipende dall'equilibrio tra cooperazione e competizione, ma l'aver spostato l'attenzione sulla competizione, inducendo la "sinistra" a farsi portabandiera di questa visione, salvo pannicelli caldi come il reddito di cittadinanza, ha segnato la grande vittoria dei forti sui deboli.

      L'attenzione per le problematiche economiche, cioè sull'idea che cambiando le regole le cose possano andar meglio, è stata l'ovvia conseguenza di questo approccio. Un errore nel quale sono caduto, in parte, anche io. In altre parole, ci siamo concentrati un po' troppo sul "come" veniamo sfruttati, dimenticando il fatto che "siamo sfruttati", e che questa è una cosa che dipende dai rapporti di forza.

      Vae Victis, disse Brenno. Il problema, dunque, non è cambiare le regole, ma avere le forze per farlo.

      Non è che abbiamo riunciato a "strumenti di 'regolazione' quale per esempio la sovranita' monetaria", ma questa rinuncia ci è stata imposta con la forza e con l'inganno. Per cambiare questo stato delle cose è necessario combattere.

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    11. queste considerazioni di Fiorenzo e PaMar meriterebbero un post dedicato

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  2. Infatti è proprio così; non esiste una legge o un principio che sia "giusto" in assoluto.
    Però si può decidere cosa è giusto per noi (che già noi è di difficile collocazione).
    E' giusto mollare i barconi in mezzo al mare? No.
    E' giusto andare a soccorrerli? No.
    E' giusto pensare al breve periodo e basta? No.
    E' giusto pensare nel lungo periodo? No.
    E' giusto parlare Inglese nelle relazioni Internazionali? No.
    E' giusto non parlare inglese e tradurre ogni volta in una lingua diversa? No.
    Siamo uguali come uomini? No.
    Siamo diversi? No.

    Si potrebbe pensare che il sapere di non sapere possa togliere la capacità di giudizio e di decisione, ma non è così. Bisogna giudicare e decidere comunque perché l'essere adulti comporta tale situazione.
    Altrimenti saremmo come i bambini che chiedono sempre "Perché?", pur sapendo che non ci si arriva mai alla fine dei "Perché?".
    Ci si accolla le proprie responsabilità e si decide, fine...punto.

    (spesso confondiamo i piani di lettura, non sempre quello che va bene per il singolo, va anche bene per i gruppi).

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  3. Bisogna sgombrare il dibattito dalla superstizione positivista che la scienza sia tale se abbia capacità divinatorie; con chi ragiona così non è possibile né utile intavolare alcuna discussione.

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  4. Una piccola precisazione, magari neanche necessaria, ma non si sa mai...
    Non vorrei che Fiorenzo, o qualcuno dei lettori, scambiasse il Taoismo per la versione Guzzantiana della Casa delle Libertà.
    Di sicuro i Taoisti non han mai inneggiato all'eliminazione delle leggi "perché così poi la mano invisibile del Tao aggiusta tutto". (Figuriamoci i Confuciani).

    Per il Taoista esiste una "propensione naturale delle cose" e si tratta di mettersi in sintonia con essa, ma non c'è mai stata una tensione verso il caos o l'anarchia. Del resto teniamo conto che per quanto meno "funzionale" al potere del Confucianesimo, il Taoismo conviveva comunque con l'ordinamento Imperiale, per cui il riconoscimento delle leggi umane era abbastanza indispensabile alla sopravvivenza.
    Semplicemente, nella propria condotta di vita si deve tenere conto delle leggi umane così come di quelle naturali, e cercare di porsi "obliqui" ad esse per trarne il massimo risultato, senza violarle, e senza operare per abolirle.

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