domenica 23 luglio 2017

La bellezza, l'armonia e la pace ci siano compagne lungo la via per la riconquista della sovranità popolare [di Mario Giambelli]

Ricevo dall'amico Mario Giambelli, e volentieri pubblico sul mio blog, questo suo testo (il cui titolo è stato scelto da me) che origina da quella che credo sia stata una sfortunata sequenza di fraintendimenti, a seguito di un passaggio male interpretato, e probabilmente anche male espresso, del suo intervento al Simposio di Camogli del 3 luglio 2017.

Poiché il mio intervento al simposio di Camogli non è stato correttamente inteso (me ne assumo la responsabilità: non sempre si riesce a comunicare in modo efficace), ho pensato di chiarire il mio pensiero con questo scritto, confidando sull’ospitalità di Fiorenzo.
Voglio subito ribadire che non considero il dott. Luciano Barra Caracciolo soltanto un maestro. E’ lo studioso che ha risvegliato in me la passione, all’età di 60 anni, per lo studio e l’approfondimento del diritto costituzionale ed è il giurista che mi ha reso facile “decifrare” i noiosi trattati europei, testi scritti per non essere compresi. Credo sia l’unico giurista italiano in grado di elaborare una precisa e pertinente analisi economica del diritto, possedendo egli competenze non comuni anche in materia economica. La mia ammirazione e la mia gratitudine nei suoi confronti sono perciò fuori discussione. Menzionando il suo articolo, ho precisato che il contenuto dello stesso, restando sul piano delle “alleanze” tra entità assimilabili a partiti, era assolutamente condivisibile. Mi sono solo stupito che il dott. Barra Caracciolo ragionasse solo in termini di alleanze. Rileggendo più attentamente il suo articolo, mi sono tuttavia accorto di essermi sbagliato. L’ipotesi della creazione di “un partito di massa, a orientamento legalitario-costituzionale” (come potrebbe essere un partito unitario sovranista) è parimenti considerata, ma ritenuta irrealizzabile - in quanto “irrealistica aspirazione teorica” - sulla base di un motivato e ragionevole pessimismo.
Chiedo venia per l’errore e passo a precisare il mio pensiero in argomento, fondato invece su “un’ottimismo della volontà” (o, forse, della disperazione?) che potrebbe rivelarsi - almeno questo è il mio auspicio - altrettanto ragionevole.
Un lettore del blog, il sig. Claudio Silvis, contesta l’idea che l’alleanza tra esseri umani per raggiungere obiettivi comuni risponda ad “un’istanza neoliberista”. Il problema non consisterebbe nell’alleanza in sé, ma “nella qualità intrinseca delle motivazioni” che ne animano il progetto. D’altra parte, osserva il medesimo lettore, “la nostra Costituzione non è forse il frutto di un’alleanza fra forze politiche diverse e per molti versi contrapposte?
Orbene, premesso che non ho parlato, durante il simposio, di alleanze “tra esseri umani” in genere, bensì di alleanze “tra sovranisti” (ed il particolare è determinante, come vedremo tra poco), la risposta alla domanda del sig. Claudio, per quanto posta come interrogazione retorica, non può essere che no.
La nostra Costituzione è una legge. E’ la Legge fondamentale, formulata ed approvata, con una maggioranza di 453 voti favorevoli e 62 contrari su 515 presenti e votanti, da un’assemblea parlamentare (la Costituente) eletta con sistema rigorosamente proporzionale (e quindi massimamente rappresentativo della volontà del Popolo italiano).
Le elezioni dell’Assemblea Costituente furono dominate da tre grandi partiti: la DC, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi; il Partito Socialista, che ottenne il 20,7% dei voti e 115 seggi; il PC, che ottenne il 18,9% dei voti e 104 seggi. La tradizione liberale che era stata la protagonista della politica nell’Italia prefascista, ottenne invece il 6,8% dei consensi e 41 deputati.
Nell’Assemblea Costituente si confrontarono dunque idee, valori, modelli sociali, concezioni costituzionali (ad una concezione “atomista, individualista, di tipo occidentale, rousseauiana”, si contrapponeva, notoriamente, una concezione costituzionale “statalista, di tipo hegeliano”) e concezioni politiche diverse e, per molti aspetti, diametralmente opposte.
Il confronto fu acceso, a tratti molto aspro, con profondi dissensi e lacerazioni. Il lavoro fu instancabile. Oltre alle fatiche della Commissione dei 75 (testimoniato dai resoconti delle vivaci, polemiche e combattute discussioni sui singoli articoli proposti: http://www.nascitacostituzione.it/ ), lo testimoniano le 347 sedute assembleari, i 1663 emendamenti che furono presentati sui 140 articoli del progetto di Costituzione (dei quali 292 approvati, 314 respinti, 1057 ritirati od assorbiti), i 1090 interventi in discussione da parte di 275 oratori, i 44 appelli nominali ed i 109 scrutini segreti, i 40 ordini del giorno votati, gli 828 schemi di provvedimenti legislativi trasmessi dal Governo all’esame delle Commissioni permanenti ed i 61 disegni di legge deferiti all’Assemblea, le 23 mozioni presentate (delle quali 7 svolte), le 166 interpellanze (di cui 22 discusse), le 1409 interrogazioni (492 delle quali trattate in seduta), più le 2161con domanda di risposta scritta (che furono soddisfatte per oltre tre quarti dai rispettivi Dicasteri).
La Costituzione non fu il frutto di alleanze, bensì il frutto di “un processo di formazione democratica, cioè collettiva” (Meuccio Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, 22 dicembre 1947, Seduta antimeridiana dell’Assemblea Costituente). Fu il prodotto di una discussione (“che è il mezzo più razionale e più elevato per raggiungere quella verità relativa, che agli uomini può essere consentita”: Vittorio Emanuele Orlando, stessa Seduta antimeridiana dell’Assemblea Costituente) che vide le tesi più diverse e più opposte confrontarsi duramente su quasi tutti gli articoli. Alcuni di essi furono discussi da più di una Sottocommissione, o furono concepiti inizialmente come articoli differenti, diventando poi articoli unici o viceversa. Molti articoli furono trattati nelle discussioni generali in Assemblea, altri nacquero dagli emendamenti proposti. Come opera collettiva la Costituzione fu “transazione” ed “equilibrio” realizzato, con pazienza, intelligenza sopraffina e con eccellente tecnicismo giuridico-costituzionale, “fra le idee e le correnti diverse” (Meuccio Ruini, ibidem).
Il prodotto di quel processo, lo sappiamo, fu una rivoluzione epocale: l’avvento delle Costituzioni democratiche del secondo dopoguerra e, in particolare, della nostra, segnò il passaggio dallo Stato liberale (quello “aristocratico, espressione di liberismo individualistico” e di “dittatura della borghesia”, rivelatosi “impotente a mantenere un minimo di coesione sociale, perché l’abissale ineguaglianza delle posizioni di effettivo potere determinatasi fra i cittadini rendeva apparente la parità che la legge assicurava alle parti dei rapporti sociali , e privava la massa della popolazione del godimento delle libertà astrattamente riconosciute”, senza riuscire “a conseguire il fine del massimo benessere collettivo invocato a giustificare la pienezza della libertà concessa alla proprietà ed all’iniziativa economica privata”: così Mortati, voce “Costituzione”, Parte II – La Costituzione Italiana, Enciclopedia del Diritto, Giuffrè Ed., Vol. XI, 214 e ss.) allo Stato democratico, ovvero il passaggio dalla libertà-autonomia alla libertà-partecipazione (“la trasformazione del concetto di libertà - il quale, dalla idea della libertà dell’individuo dal dominio dello Stato, si trasforma in partecipazione dell’individuo al potere dello Stato - segna contemporaneamente la separazione della democrazia dal liberalismo”: Kelsen, Democrazia e cultura, 1955, 32), con la totale inversione del “valore attribuito ai due termini del rapporto proprietà-lavoro, conferendo la preminenza a quest’ultimo sul primo” (Mortati, ibidem).
Il passaggio dallo Stato liberale allo Stato democratico è un moto che i nostri Padri costituenti avevano immaginato come assolutamente irreversibile nel nostro sistema costituzionale e, dunque, chiuso - data l’immutabilità dei suoi principi fondamentali - ad ogni tentativo di ritorno al passato e di restaurazione di quel modello liberale-liberista che aveva generato miseria, sofferenze, differenze sociali, conflitto di classe, esclusione delle classi subalterne da qualsiasi funzione di governo, ed il cui fallimento era stato storicamente sanzionato con la grande crisi del 1929-1932.
Abbiamo purtroppo constatato che le previsioni dei Padri costituenti erano errate. La rivoluzione durò - malgrado i sabotaggi, le difficoltà, le inerzie e gli ostacoli di ogni genere interposti dalle forze conservatrici - lo spazio di un trentennio, sino alla fine degli anni ’70, quando, con il famigerato “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, la restaurazione liberale-liberista assestò un colpo letale allo Stato democratico.
I fatti, esterni ed interni allo Stato, che agevolarono la “controrivoluzione” liberista sono noti. Ho cercato di riassumerli qui https://www.youtube.com/watch?list=PLEEY0XES7Zsue0XLg_vefPIzRmXtYlz9k&v=pPxH7sUNqj8 (dal min. 5:16) e qui: https://www.youtube.com/watch?v=78qB-jhgwBU&index=9&list=PLEEY0XES7Zsue0XLg_vefPIzRmXtYlz9k.
Ritengo peraltro assai fondata l’analisi svolta sul differente, ma non meno interessante e concreto piano psicologico-sociale da Mauro Scardovelli, secondo il quale “la grande illusione della modernità è stata quella di creare la democrazia politica, l’autogoverno del popolo, la pace e la giustizia tra le nazioni, senza promuovere con altrettanto impegno la democrazia interiore, ovvero l’autogoverno di sé”. Osserva efficacemente tale autore che “il neoliberismo, nonostante le catastrofi che produce, continua a imporsi come pensiero dominante. Questo non solo grazie alla perdita di memoria storica, all’arretramento culturale dei popoli, alla propaganda mediatica, al marketing delle idee, agli intellettuali servi dei potenti, ma anche soprattutto perché, facendo leva sulla facile propensione umana alla comodità, all’egoismo, all’avidità, e agli altri inquinanti della mente, ha promosso una regressione psichica di dimensioni ormai endemiche. Pompando il narcisismo, l’infantilizzazione, l’individualismo, la prolificazione dei desideri, ha generato una nuova forma di vita, basata sulla competizione generalizzata in ogni relazione umana, compresa quella con se stessi. In altri termini, ha elevato a valore universale l’ultima forma storica di etica autoritaria, materialistica, oligarchica, competitiva, bellica, diffondendo due patologie strettamente connesse: lo sfruttamento delle debolezze altrui (struttura narcisistica) o l’implacabile persecuzione delle proprie debolezze (struttura depressiva-ansiosa). In altre parole, il neoliberismo promuove la concentrazione della ricchezza e la distruzione della cultura, conduce alla proletarizzazione del mondo e alla distruzione dell’ambiente. Questo progetto diabolico può realizzarsi solo con la complicità delle vittime che, avendo interiorizzato - a livello di inconscio sociale - il pensiero bellico neoliberista, anziché unire le forze contro il comune nemico, sono spinte a lottare tra loro e al loro interno, rendendo quasi nulla ogni possibilità di resistenza. […] Gli intellettuali critici più accorti sono concordi sull’inderogabile e prioritaria necessità di diffondere con tutti i mezzi una nuova consapevolezza, in grado di smascherare la menzogna mediatica, e un nuovo tipo di pensiero in grado di liberarci dalla patologia neoliberista interiorizzata, ripristinando il cammino verso la libertà interiore e la giustizia sociale. Svolta culturale indispensabile a ridare vita alla nostra Costituzione e a ridare forza al suo progetto di società libera ed equa, per la quale tanto sangue innocente è stato versato. [...] A quest’opera di risveglio tutti siamo chiamati a partecipare, ciascuno con le proprie competenze, risorse, energie disponibili. Avendo ben chiaro che il lavoro più grosso e difficile è quello interiore". Senza più cadere “nell’illusione, e nella trappola più insidiosa, di poter agire sul mondo esterno senza aver trasformato le convinzioni e le programmazioni mentali, egoiche e neoliberiste. Convinzioni e programmazioni che ci rendono inconsciamente e strutturalmente adesivi allo stesso modello neoliberista che crediamo di combattere, facilmente polemici e conflittuali tra noi, anziché empatici, solidali e costruttivi. Quindi individui propensi a dividersi e a scannarsi nella lotta orizzontale tra portatori di idee diverse, nelle quali ci identifichiamo, alimentando il conflitto tra poveri e sfruttati, anziché pronti ad unire le forze nella lotta contro il nemico comune, la lotta verticale contro i veri oppressori: gli oligarchi della finanza internazionale” (https://drive.google.com/drive/folders/0B4fo9SXBK4fTZzVIVm9FT1JYRVU).
L’articolo del presidente “a vita” del FSI, che ho citato durante il simposio di Camogli, dimostra in pieno la correttezza di questa analisi. In quello scritto vi è l’apologia della competizione (anche tra soggetti che non dovrebbero affatto competere, ma collaborare, unire le forze “per allargare il proprio territorio di idee arricchendolo del contributo degli altri, sino a condividere un territorio comune”, costruendo così una comunità in grado di opporsi al nemico comune); vi è una chiara propensione al conflitto ed alla disgregazione (laddove si pretende di escludere da una molto futura alleanza sovranista tutti coloro - fossero anche raffinati intellettuali, efficaci divulgatori, ecc. - che non avranno dimostrato una vocazione paramilitare sapendo organizzarsi in associazioni o piccoli partiti, “crescere per qualità e quantità di militanti”, marciare compatti “sulle strade”, organizzare “eventi sul territorio”, evitare le scissioni e via dicendo. Casi, “da sottoporre addirittura agli psicologi”, secondo l’improvvisato psicanalista “fissino”); vi è l’ossessivo attaccamento alle proprie ragioni ed un’evidente propensione alla polemica difensiva del proprio (limitatissimo) territorio privato di idee (“chi non ci stima si sbaglia o peggio... non è in grado di apprezzarci” e, in ogni caso, “la nostra stima non è eterna”); vi è dunque una (forse) inconsapevole, ma strutturale adesione al modello liberista che si crede di combattere, ma che, in realtà, si riproduce goffamente all’interno del proprio (aggettivo possessivo) gruppo sovranista.
Apro una parentesi. Il precitato soggetto ha reagito con malcelato rancore alla mia critica: dopo avermi definito, con sarcasmo, un “genio” per aver sostenuto che lo schema dell’alleanza (che presuppone logicamente una divisione e, quindi, un potenziale conflitto, tra soggetti politici, per diversità di tradizioni o di indirizzi) è coerente alla logica liberista della competizione e del conflitto ed è quindi da evitare nell’ambito di un processo di unificazione sovranista, mi ha pure “psicanalizzato”, affermando che dietro le mie posizioni “vi è probabilmente una debolezza psicologica” che spiegherebbe “la debolezza logica delle medesime”, “un blocco psicologico che conduce ad un moralismo da strapazzo”, aggiungendo – con un tono derisorio che inconsapevolmente tradisce un processo cognitivo distorto (noto come “etichettatura globale”) - che “non a caso parliamo di un astemio” (ebbene si… ho questo gravissimo difetto). Non pago di ciò, ha altresì psicanalizzato lo psicoterapeuta, l’amico Mauro Scardovelli, descrivendolo come una persona “non cresciuta caratterialmente, essendo rimasto un bambino fortemente egocentrico, fino a una forma di narcisismo patologico, con l’aggiunta di un tratto di modesto moralismo”. E ciò per il fatto di aver sostenuto che, “per attuare la Costituzione, riportandola al centro dell’agenda politica, è indispensabile una prassi trasformativa che agisca non solo sul piano esterno, delle istituzioni liberticide, ma anche sul piano interiore delle istanze psichiche distorte - rese distruttive dall’educazione e dalla cultura competitiva - che ci alienano dal nostro vero sé e dalla nostra più profonda essenza di esseri relazionali, naturalmente socievoli e collaborativi” e che, “recuperare la nostra autenticità, la nostra salute e la nostra propensione empatica, è un passo necessario per formare, a tutti i livelli, gruppi di lavoro realmente sinergici, efficienti e creativi, dei quali abbiamo sommamente bisogno”.
Sorvolo sugli attacchi personali di chi - senza conoscere nulla della mia vita sociale, lavorativa, familiare (o di quella dell’amico Scardovelli), dell’educazione che ho ricevuto e che ho trasmesso ai miei figli, delle discipline e delle arti che ho praticato e pratico tutt’ora, dei principi etici che hanno sempre guidato i miei pensieri e le mie azioni – esprime, senza possedere alcun titolo o competenza per farlo, giudizi un tantino grotteschi sulla mia psiche. Valuterà il lettore se tali giudizi siano da ascrivere ad occasionali alzate di gomito (pratica che tempo fa il soggetto in questione rivendicava con orgoglio), o ad altri fattori causali (malevolenza? Orgoglio? Presunzione? Arroganza? Permalosità? Dispatia? Risentimento?). Inquinanti del pensiero da disattivare con la compassione, sentimento che, come insegna l’amico Scardovelli, appartiene alla sfera delle “qualità dell’essere, o qualità dell’amore: le qualità o virtù che generano senso, orientamento e felicità durevole in una vita pienamente vissuta”.
Mi limito soltanto ad osservare che gli attacchi sul piano personale confermano, ancora una volta, quanto sia corretta l’analisi di Mauro Scardovelli (invito a leggere attentamente, sul punto, il paragrafo 12 del primo capitolo dello scritto “Economia e Psiche”, sopra “linkato”) e rivelano quanta strada, purtroppo, dobbiamo ancora percorrere, a livello interiore, per poter realizzare, sul piano esteriore, la rivoluzione solidaristica concepita dalla nostra Costituzione.
Chiudo la parentesi e torno al discorso originario.
Per quanto detto, il paragone con la Costituzione non è calzante. Sia perché la Costituzione, come abbiamo visto, non è frutto di un’alleanza tra forze politiche diverse, ma di un processo di formazione democratica, sia perché il compito dell’universo sovranista non è quello di confrontarsi, come avvenne in Assemblea Costituente, su idee, valori, modelli sociali diversi e contrapposti per darsi una Costituzione.
Il mondo sovranista possiede già un territorio comune di idee e di valori che vuole riaffermare ed attuare, ovvero quello consacrato nella nostra Costituzione del 1948. E’ la volontà di attuare i principi fondamentali della Costituzione la base comune ed il collante del mondo sovranista. Al cui interno non v’è ragione di stringere alleanze. Ci si allea, per perseguire uno scopo comune, se si è divisi e potenzialmente in competizione (non è un’affermazione aprioristica, bensì la realtà insita nel concetto stesso di “alleanza”). Erano divisi ed in competizione il PCI ed i socialisti che pure sia allearono dando vita al Fronte Popolare nel 1948 o, successivamente, alle giunte di sinistra. Erano divisi ed in competizione il PSI, il PSDI, il PRI e la DC che diedero vita, alleandosi, al Governo Moro nel 1963. Si allearono, fondamentalmente, per prevalere in una competizione elettorale, o per dare vita ad una maggioranza di governo, cioè per sostituire un gruppo di potere ad un altro gruppo di potere. E’ ovvio che non tutti i gruppi di potere siano uguali e che alcuni siano preferibili ad altri, in quanto più vicini all’ideologia accolta dalla Costituzione. Ma cosa produssero, alla lunga, le citate alleanze? Furono forse in grado di impedire la restaurazione liberale-liberista? Se aspiriamo ad un vero cambiamento, che ponga per sempre fine all’oppressione dell’uomo sull’uomo, dobbiamo prima di tutto unire le forze e costruire una comunità politica.
Sono divisi ed in competizione tra loro i vari frammenti del mondo sovranista? Non dovrebbero esserlo, condividendo tutti l’ideologia accolta dalla nostra Costituzione del 1948 ed il desiderio di attuarla. Se sono divisi, non lo sono sulle idee e sui valori, ma per futili questioni egemoniche, come chiaramente traspare dal citato articolo del presidente del FSI (ove, addirittura, si pretende di stabilire, unilateralmente ed in base a parametri numerici di tipo autoreferenziale, chi potrà partecipare e chi no alla costruzione della più che futura alleanza sovranista e chi avrà titolo per dirigerla). Lo sono perché “la distorsione egoico-competitiva dell’io umano relazionale e socievole” è divenuta “totalizzante, planetaria, endemica, come unica forma di io”, contaminando, in modo evidente, molte figure di spicco dei frammenti sovranisti, condizionandone il pensiero e l’azione.
I veri sovranisti non devono stringere alleanze a fini elettorali. Devono prima di tutto costituire una loro comunità politica attorno ai grandi valori condivisi. Per farlo, devono ripartire dalle qualità affettive ed amichevoli con cui è fondamentale vivere le relazioni quotidiane, a partire dalle riunioni del movimento. Devono aprirsi al dialogo, ricordando sempre che “la relazione e la sintonizzazione con l’altro vengono prima della parola e dell’azione comune che vuole essere retta e giusta”. Devono darsi regole democratiche che garantiscano una regolare alternanza alla guida del movimento. Costruita la comunità, i sovranisti dovranno poi individuare i loro esponenti politici e guadagnare progressivamente consenso con la grande forza degli ideali predicati, evitando - quantomeno nella fase della crescita e dell’affermazione - di inquinarsi stringendo alleanze (elettorali) con partiti o movimenti non autenticamente sovranisti.
Questa, a mio avviso, è la strada da seguire per cercare di riportare la Costituzione del 1948 al centro del programma di sviluppo sociale ed economico del Paese. Tra alleanza ed unità non vi è soltanto una differenza terminologica, ma sostanziale. Non vi è futuro per il sovranismo democratico e popolare senza l’unità dei sovranisti. Ma l’unità presuppone un lavoro, una prassi trasformativa interiore del nostro io che ci consenta di recuperare la nostra naturale propensione empatica, relazionale e comunitaria, contaminata, come abbiamo visto, dal pensiero neoliberista. E, non di meno, un’adeguata formazione “sulle tecnologie psicologiche più efficaci di mediazione, intese come competenze democratiche di base”.
Che poi sia o meno corretto “ridurre sic et simpliciter ad un’istanza neoliberista il fatto che gli esseri umani si alleino per raggiungere obiettivi comuni” poco importa. In linea generale, parlando di esseri umani, può effettivamente apparire scorretto (anche se, come ho cercato di spiegare, lo schema dell’alleanza, a prescindere dalle sue contingenti motivazioni, è coerente alla dimensione conflittuale orizzontale della società neoliberista) e l’accostamento può sembrare una forzatura. Tuttavia qui non si discute di alleanze tra esseri umani in genere, o tra soggetti politici differenti per ideologie, tradizioni o indirizzi, bensì del processo di unificazione sovranista, per realizzare il quale è assolutamente necessario abbandonare ogni propensione al conflitto e, quindi, l’utilizzo di schemi che lo presuppongano. Che l’accostamento sia o meno una forzatura è perciò irrilevante. Conta solo che il processo unificante si compia, prendendo coscienza, magari anche grazie ad una forzatura, che lo stesso potrà risultare vincente solo partendo dalle qualità dell’essere e delle relazioni umane, dall’etica del dialogo e della collaborazione. E conta che si compia al più presto. Mentre vi è chi straparla di alleanze elettorali per il 2023 e di chi avrà titolo per dirigerle, la tecnica di condizionamento mentale nota come finestra di Overton (http://www.lastoriavariscritta.it/la-finestra-di-overton/#sthash.HfW7g3Fc.dpbs) – volta, nella fattispecie, a veicolare il concetto che siano i principi fondamentali della Costituzione (“frutto di compromessi fra alcune forze, democristiani, socialisti e comunisti, che all’epoca non brillavano per adesione ai principi liberali”) ad ostacolare le riforme di cui necessiterebbe il Paese e che, pertanto, essi siano da cambiare (ovviamente ristabilendo la preminenza del capitale, “la proprietà privata”, sul lavoro, così come prevedevano le costituzioni ottocentesche) – è ormai approdata alla sua terza o quarta fase (“idea accettabile” o addirittura “sensata, razionale”): http://www.corriere.it/opinioni/17_luglio_21/costituzione-2ba03ff2-6d83-11e7-8b64-8c2227f4edc4.shtml .
Di questo passo, nel 2023 non stringeremo alleanze elettorali, perché saranno definitivamente estinti gli ormai “inutili” riti elettorali.
Auguro perciò a tutti noi un buon lavoro, aderendo senza riserve all’appello di Fiorenzo: Un imperativo morale.

Mario Giambelli

40 commenti:

  1. “la distorsione egoico-competitiva dell’io umano relazionale e socievole” è un dato di fatto che caratterizza da sempre l'essere umano nella sua dimensione relazionale con gli altri e con il mondo in generale. Esiste a prescindere dal neoliberismo e qualunque sia il modello ideologico storicamente imperante in quel momento. La "reductio ad unum" di ciò che è all'origine di fenomeni complessi, che dipendono dall'interferire vicendevole di una molteplicità di fattori causali eterogenei, è un'operazione destinata a non dare frutti sul piano della possibilità d'incidere positivamente sui fenomeni stessi.

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    1. Io non ho avuto (ancora) la forza di leggerlo, per cui pongo il mio intervento in forma dubitativa (con la celata speranza che qualcuno ne sappia di piu' e possa dirmi se sono completamente fuori strada).

      A quanto pare l'antropologo francese Luois Dumont (https://fr.wikipedia.org/wiki/Louis_Dumont) nel suo testo Homo Aequalis (in Italiano mi risulta disponibile solo il primo volume, edito da Adelphi) analizza l'idea di uguaglianza - secondo me correttamente - come l'elemento caratterizzante delle civilta' moderne.

      Se le mie fonti sono corrette, alla fine dell'analisi Dumont conclude che dal momento che si accetta che tutti gli uomini siano uguali l'unico "valore" distintivo diventa il valore economico (quanto puoi produrre/consumare).

      Se davvero le cose stanno cosi', azzarderei che “la distorsione egoico-competitiva dell’io umano relazionale e socievole” abbia veramente preso il soppravvento in tempi piu' recenti.

      Si potrebbe magari discutere se il neoliberismo sia causa o effetto, ma rimane il fatto che entrambi gli aspetti siano fenomeni specifici della modernita' (e che tendono ad intensificarsi al crescere dell'idea che tutti gli uomini sono uguali).

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    2. La violenza e la sopraffazione esistono da che mondo è mondo. La guerra idem. Smettiamola di demonizzare gli epifenomeni ideologici che nei vari periodi storici hanno fatto di simili impulsi la loro forza motrice. Abbatutto un sistema di pensiero che predica e favorisce la "distorsione egoico-competitiva", se ne crea uno nuovo che stimola le stesse pulsioni sebbene sulla base di giustificazioni teoriche diverse. Il problema è la tendenza dell'uomo alla suddetta distorsione e non le contingenti teorie politico-filosofiche che fanno leva su di essa o la determinano. Additare il neoliberismo come la causa prima ed ultima della malvagità umana risponde alla logica manichea e semplificante (psicologicamente autoassolutoria) della demonizzazione del singolo fenomeno, laddove è ciò che è alla base di questo a dover essere compreso se si vuole entrare nell'ottica di fare il salto di qualità.

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    3. Ed il Claudio ha perfettamente ragione, stiamo arrivando all' assurdo di definire neoliberisti, con accezione immanentemente negativa, comportamenti umani preesistenti alla nascita stessa del liberismo.

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    4. Basta ricordarsi di Caino e Abele ,che poi nell'essere umano esista anche la malvagità , che possiamo tradurre in sopraffazione economica o sfruttamento , lo recentemente ammesso anche Papa Francesco .

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  2. Mi pare che nel lungo, interessante ed articolato articolo di Giambelli, due siano i punti fondamentali.
    Il primo riguarda il termine "alleanza" che a mio parere, almeno in parziale dissenso con l'autore, rimane fondamentalmente una questione lessicale e che pertanto proverò a modificare per sottolinearne gli aspetti più propriamente politici.
    Il secondo punto sta nella concezione stessa di sovranismo.
    Ovviamente i due punti sono strettamente correlati tra loro, ma per comodità li affrenterò prima separatamente.
    Non possiamo dividerci sul signifcato del termine "alleanza", credo che su questo possiamo convenire tutti. La questione reale di dissenso mi pare riguardi piuttosto questioni assai complesse come verità, confronto e dialogo.

    Mi sembra, ma se sbaglio, correggetemi, che Giambelli parta dal concetto di verità come un'evidenza esistente fuori di noi e che noi dobbiamo solo raggiungere, e coerentemente con questo punto di vista, ritiene che con confronto serrato, paziente ed onesto, sia possibile per due persone che la pensano diversamente, giungere ad una comune conclusione. Qualunque sia il punto di partenza, se il viaggio è condotto in modo approrpiato, non si potrà che giungere tutti allo stesso punto di arrivo.

    Ora, tutto ciò è certo un'opinione del tutto rispettabile, ma si può escludere già in linea di principio che differenze d'opinione permangano per quanto buona sia la volontà nei soggetti coinvolti? Io non lo credo, e troverei troppo dogmatico affermare il contrario.

    Quindi, il punto di rilevanza politica è cosa fare quando tra persone differenti ci siano differenze d'opinione. Non credo in verità che le cose cambino se passiamo da individui differenti a formazioni politiche differenti, anzi forse le cose sono perfino più difficili perchè a monte c'è un processo di costituzione dei gruppi che ha presumibilmente basi solide.

    Detto questo sulla questione generale, passerò al secondo punto per riprendere questa stessa questione nel nostro specifico ambito sovranista.

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  3. Giambelli afferma apparentemente senza dubbio alcuno che il sovranismo consista nella difesa e nella volontà di dare piena attuazione alla nostra costituzione del 1948.

    Mi pare anche questa un'opinione del tutto rispettabile, ma mi permetto di fare notare come fare un tipo di affermazione di questo tipo implicherebbe che ogni iniziativa politica possa derivare quasi meccanicamente dalla lettura del testo costituzionale.

    Io preferirei dire che il sovranismo parte dalla difesa inflessibile della nostra beneamata costituzione, ma il testo costituzionale non può che essere un punto di partenza, certo formidabile, certo indispensabile con i principii che esprime, ma che va tradotto poi in concreti atti politici, e in questa attuazione è inevitabile che sorgano differenze di opinione, anche perchè è difficilmente sostenibile la tesi che nella stesura della costituzione si sia sviluppata una nuova idoelogia. Mi pare una visione irrealistica, molto ottimistica che nega alcune evidenti contraddizioni già nel testo, e pure se non ho la competenza necessaria per entrare davvero nel merito, mi pare che nella storia della repubblica, molte volte il legislatore di turno abbia sfruttato a proprio vantaggio quelle contraddizioni. Quindi, anche attenendosi alla definizione di Giambelli, non possiamo escludere che l'area sovranista sia percorsa da polemiche politiche che non è detto siano tutte ricomponibili.


    C'è tuttavia un altro punto che mi preme sollevare. Io obietto sul fatto stesso che il sovranismo possa da solo costituire una vera e propria dottrina politica. Una dottrina politica dovrebbe partire da una precisa concezione ideologica, quindi avere un retroterra filosofico, antropologico e poi naturalmente politico nelle sue varie articolazioni, e tale peculiare ideologia dovrebbe apparire chiaramente a confronto con il pensiero dominante.

    Forse sarò troppo distratto, ma temo di non notare nulla di tutto questo, e non mi meraviglia, visto che la difesa dello stato-nazione in sè è solo un punto di partenza una condizione preliminare per potere esercitare la stessa azione politica.

    Io stesso ho scritto un libro che si intitola "L'ideologia verde. La rivoluzione necessaria", e non credo che la mia personale azione politica possa esaurirsi nella difesa della costituzione e neanche in generale nel sovranismo, qualunque cosa con ciò si voglia intendere.

    Se quindi aggiungiamo alle considerazioni generali sin qui fatte, la specificità del sovranismo che al contrario sembra proprio una lotta che può riguardare organizzazioni politiche che pure hanno obiettivi complessivi differenti, ma che riconoscono che lo stessa possibilità di esercizio dell'azione politica sia oggi in pericoloa a causa della globalizzazione, e che quindi esso costituisca un modo per garantirsi le condizioni preliminari per potere operare politicamente, ecco che a me pare di dovere insistere sul fatto che proprio in quest'ambito alleanze non sono solo possibili ma direi anche augurabili, che il costituire alleanze possa essere la prassi più adatta a portare avanti la causa sovranista.

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  4. "C'è tuttavia un altro punto che mi preme sollevare. Io obietto sul fatto stesso che il sovranismo possa da solo costituire una vera e propria dottrina politica. Una dottrina politica dovrebbe partire da una precisa concezione ideologica, quindi avere un retroterra filosofico, antropologico e poi naturalmente politico nelle sue varie articolazioni, e tale peculiare ideologia dovrebbe apparire chiaramente a confronto con il pensiero dominante. "
    Concordo totalmente con Vincenzo Cucinotta e mi chiedo se il sovranismo debba essere una dottrina alternativa al liberismo nella sua versione globalista e liberoscambista, la risposta non può che essere no.
    Il liberismo è una ideologia internamente coerente, ma incompatibile con la nostra costituzione, che ricordo per chi non se ne fosse accorto, è antifascista,ma anche anticomunista ed antiliberista.

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  5. Vincenzo Cucinotta scrive (e Ippolito Grimaldi concorda):

    "C'è tuttavia un altro punto che mi preme sollevare. Io obietto sul fatto stesso che il sovranismo possa da solo costituire una vera e propria dottrina politica. Una dottrina politica dovrebbe partire da una precisa concezione ideologica, quindi avere un retroterra filosofico, antropologico e poi naturalmente politico nelle sue varie articolazioni, e tale peculiare ideologia dovrebbe apparire chiaramente a confronto con il pensiero dominante."

    Ragazzi, francamente sono sorpreso. Come può il sovranismo essere un'ideologia? Son Diego e mi spiego:

    Avete presente cosa sia un trattato internazionale? E' un accordo in cui i contraenti sono nazioni diverse. Ebbene, da un trattato internazionale può derivare un'ideologia? Certo che no, al massimo esso può dar vita a una prassi che regola le relazioni tra gli stati contraenti e tra questi e gli altri stati che non lo hanno sottoscritto.

    Orbene cos'è una costituzione, se non un "trattato intranazionale" i cui contraenti sono le classi sociali e i diversi interessi che agiscono all'interno della nazione? Le ideologie possono averle, semmai, i diversi soggetti di classe contraenti, ma il patto tra di essi, chiamato Costituzione, non è mai, né può mai essere, un'ideologia.

    Così come nei trattati internazionali, nei quali si impone "l'ideologia" dei più forti, allo stesso modo i trattati intranazionali, che siamo soliti chiamare "costituzioni" formalizzano un determinato equlibrio dei rapporti di forza. La Costituzione del 1948 è dunque lo specchio dei rapporti di forza vigenti all'epoca, e come tale non è né giusta né ingiusta, se non dai punti di vista dei soggetti contraenti, che possono giudicarla favorevolmente (il mondo del lavoro) o ingiusta (il capitale e le articolazioni del mondo del lavoro oggi sussunte nella logica del capitale).

    Che i rapporti di forza dal 1948 ad oggi siano cambiati, e a favore del capitale, è cosa certa ed evidente, perfettamente certificata dall'impudenza di Angelo Panebianco che, in un articolo sul Corriere della sera del 17 luglio 2017, si spinge a sostenere l'opzione di un attacco frontale alla prima parte della Costituzione, quella dichiarata inviolabile dai padri costituenti!

    Non è un'ideologia che viene contestata, ciò essendo sempre accaduto in questi decenni, anche legittimamente (art. 21 Costituzione), ma il trattato intracostituzionale che disegna un equilibrio di forze che, alla parte che oggi si sente più forte, evidentemente non va più bene.

    Essere sovranisti, dunque, significa opporsi alla modifica del trattato intranazionale del 1948 e, se proprio costoro volessero insistere, accettare la guerra di classe implicita nelle loro pretese, e vincerla. Per imporre, in tal caso, una Costituzione ancor più lavoristica di quella del 1948.

    Per il momento la linea del Piave è la Costituzione del 1948, in particolare la prima parte. Chi ci sta a difenderla? Chiunque ci sarà è un sovranista, tutti gli altri sono nemici.

    Insomma, e per concludere, la Costituzione non è un'ideologia, ma rispecchia i valori e gli interessi delle forze sociali che, imponendosi su altre, e trovando una sintesi tra le loro diverse visioni del mondo, seppero imporre una sintesi che era chiaramente a svantaggio soprattutto di una classe numericamente molto minoritaria ma, come ha saputo dimostrare in questi decenni, capace di muoversi con grande abilità. Guidata, questo è certo, da menti sopraffine...

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  6. Fiorenzo, Vincenzo sostiene che il sovranismo non possa essere una dottrina antitetica al liberismo, io ho aggiunto che non solo non può, ma neanche dovrebbe aspirare a diventarlo. Per Vincenzo non può, per me non deve.

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  7. Fiorenzo, anch'io sono sorpreso, visto che te la prendi con ciò che dico, senza apparentemente accorgerti che lo dicevo proprio per negarlo.
    Io stavo citando Mario Giambelli, è lui che ripete più di una volta l'affermazione del carattere ideologico della costituzione del '48.
    Come mai non hai obiettato allo stesso Giambelli?

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    1. Mi sono espresso male, anzi malissimo e chiedo scusa. Non mi riferivo a nessuno (ho usato il virgolettato impropriamente). Ho solo voluto ribadire, in generale, che parlare di "ideologia sovranista" è un controsenso. Il sovranismo è, prima di tutto, una chiamata alle armi nella lotta politica, dunque di classe, rivolta al mondo del lavoro nel suo insieme, in difesa di un equilibrio che è stato rotto dall'offensiva, dapprima sottotraccia e oggi spudorata, del "quarto partito" di degasperiana memoria.

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  8. Devo anche un chiarimento a Ippolito.
    Io non credo che il liberismo sia un'ideologia, penso che esista l'ideologia liberale, che ha a sua volta dato luogo a varie tendenze, ma tutte interne al liberalismo ed alla sua ideologia.
    Preciso questo aspetto perchè ritengo che senza sconfiggere l'ideologia liberale, non si potrà vincere nessuna battaglia, e tipicamente la globalizzazione neoliberista.
    Poichè poi il capitalismo è la dottrina economica del liberalismo, credo che un sovranista davvero coerente debba essere anticapitalista.
    Mi rendo tuttavia conto che non è detto che questa mia concatenazione logica venga condivisa da tutti, e quindi penso che sia necessario convivere nell'area sovranista con tendenze non del tutto coincidenti tra loro.
    Credo che sia potenzialmente pericoloso volere imporre una specifica concezione preliminare del sovranismo, mentre ovviamente è del tutto normale ma anche molto proficuo che il dibattito vada avanti senza limitazioni di sorta.

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    1. Puoi sconfiggere l' ideologia liberale se sei capace di proporne un' altra se non migliore almeno altrettanto coerente.

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    2. Ippolito, c'ho scritto un libro, in cui in realtà propongo più un percorso che non una conclusione già ben confezionata, ma insomma io il mio contributo l'ho dato.

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    3. Orco, mi toccherà leggerlo adesso...Immagino.
      Lo farò con piacere.

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  9. Grazie Vincenzo, per il chiarimento e le precisazioni, che condivido.
    A mio avviso ci stiamo complicando troppo il problema.
    Il sovranismo dovrebbe limitarsi alla lotta per la riconquista della sovranità monetaria e del controllo dei movimenti di merci, beni servizi, capitali e persone nel rispetto dei principi costituzionali.
    Ho più volte chiesto unità su questi semplici e chiari obiettivi, ma finora ho ricevuto solo obiezioni e se... ma... anche... tuttavia etc.

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    1. Ippolito scrive: "Il sovranismo dovrebbe limitarsi alla lotta per la riconquista della sovranità monetaria e del controllo dei movimenti di merci, beni servizi, capitali e persone nel rispetto dei principi costituzionali."

      Ottimo! Solo che questo non è "limitarsi". È chi parla di sola sovranità monetaria che "si limita". Mi sembra che, in questo blog, nessuno parla di sola sovranità monetaria.

      Se mi sbalio mi corigerai :-)

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    2. Ti correggo nel senso che personalmente mi accontenterei, forse per ingenuità, della sola sovranità monetaria, ma ho aggiunto gli altri punti che sono legittimamente emersi nei nostri confronti e che sono ormai definitivamente pronto a difendere come irrinunciabili.
      Nota che ho volutamente tenuto fuori la riconquista della sovranità nella politica internazionale perché su questo corollario rischiamo il ridicolo come tu ben sai.

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    3. "ho volutamente tenuto fuori la riconquista della sovranità nella politica internazionale".

      Immagino tu voglia dire "indipendenza nazionale" (da non confondere con "autarchia").

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    4. Mi riferisco a quelli che ritengono irrinunciabile uscire immediatamente anche dalla UE, NATO e Pianeta Terra e quelli che vedono nel militante del califfato l'incarnazione dell' agognato Uomo Nuovo.

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  10. Domanda: è il modello di società contemplato dalla Costituzione del '48 ad essere importante oppure anche il fatto che esso debba valere esclusivamente all'interno di certi confini territoriali e per la collettività di individui che in quell'ambito geografico è stanziata?

    Chi risponde affermativamente alla prima ipotesi, considera la (ri)conquista della sovranità nazionale come un obiettivo, sì, primario ma dal punto di vista esclusivamente strategico, poiché è per lui primario dal punto di vista politico quello di difendere il suddetto modello di società dall'attacco sferrato contro di esso da forze che vogliono sostituirlo con altri modelli. La priorità puramente strategica della (ri)conquista della sovranità da parte del popolo italiano si pone, per quanti mirano alla sola difesa del modello costituzionale, in quanto, nella contingenza storica, l'aggressione a tale modello avviene proprio attraverso la cancellazione del significato giuridico e politico dei confini nazionali e la negazione di una specifica identità giuridica e politica della comunità stanziata al loro interno (sicché il fine politico di preservare/promuovere il modello in questione non potrebbe essere perseguito in altro modo che difendendo e ricostruendo, dove necessario, il senso giuridico e politico di quei confini e di quella collettività).

    Chi invece risponde affermativamente alla seconda delle ipotesi prospettate (ossia chi pensa che la sovranità del popolo italiano rappresenti un obiettivo politicamente consustanziale alla tutela di un modello di società come quello recepito dalla Costituzione), si pone - del tutto legittimamente - in un ottica nazionalista di difesa delle identità nazionali come oggetto di riconoscimento e protezione sul piano giuridico ma, a quel punto, non può non accettare l'idea che "fette" del popolo italiano che non si riconoscono come parte integrante della nazione italiana rivendichino e lottino legittimamente per una propria sovranità nazionale.

    In quale di queste due prospettiva ci poniamo?

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    1. È una domanda non da poco la tua.
      Personalmente non ho le competenze di diritto amministrativo e diritto internazionale per risponderti con una certa attendibilità, però posso dirti quali principi dovrebbero secondo me ispirare la nostra organizzazione statuale.
      Io mi sento Italiano, orgogliosamente Italiano, fino a sfiorare il ridicolo alle volte.
      Ogni volta che vado in un paese,in una città che non conosco mi reco a vedere il monumento ai caduti in guerra, leggo i loro nomi e le loro date di nascita e morte... Chiunque voglia spaccare il paese per cui quei soldati sono morti è un mio nemico, non avversario politico attenzione, proprio un nemico.

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    2. Ippolito, mi spiego meglio. Quando mi riferisco alla sovranità nazionale come ad un dato "giuridico" è perché la sovranità di uno Stato, se non è sancita dal diritto interno allo stesso Stato e non è riconosciuta dal diritto internazionale, non è sovranità, ma una pura e semplice aspirazione ad essa da parte di una comunità di persone stanziata su un determinato territorio. I membri di questa comunità possono anche darsi un proprio parlamento, un proprio governo, una propria organizzazione della giustizia, ma questi organi non potranno produrre leggi, provvedimenti e sentenze aventi la validità e l'efficacia proprie di tali atti, perché non esiste alcun vincolo giuridico per nessuno di considerarli validi ed efficaci (una legge deve essere considerata valida ed efficace sempre e comunque e da tutti, non a volte sì e a volte no a seconda che chi dovrebbe osservarla decida di ritenerla valida ed efficace). Uno Stato c'è se e fino a quando esiste il suddetto vincolo di diritto interno ed internazionale. Diversamente, c'è solo chi si proclama cittadino di uno Stato che non esiste nella realtà.



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    3. Vabbè, ma noi siamo l' Italia, mica la Libia

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    4. Claudio, mi sembra di capire che ci poni il problema dell'indipendentismo. Per quanto mi riguarda, ti rimando al post "La Patria del Popolo è la Repubblica", laddove sostengo che la "Patria" è un patto politico e democratico che nasce e si sviluppa in uno spazio storico e geografico nei cui limiti si realizza l'obiettivo della democrazia sostanziale tra pari (laddove per "pari" intendo le classi sociali). Il che implica che dove e quando questo "patto tra pari" non si realizza, vuoi perché manca un equilibrio tra le forze sociali in campo, vuoi perché l'idea di democrazia non si è ancora affermata perché le strutture sociali sono ancora "deformate" da una storica ingiustizia, lì non può esserci la Patria, ma solo tribù, oppure, su scala maggiore, la nazione feudale.

      L'indipendentismo: se e quando questa rivendicazione è avanzata da una "più piccola comunità di pari" (nella quale cioè esista democrazia sostanziale) essa deve essere prontamente soddisfatta da parte di una "comunità di pari" maggiore che la ingloba. In caso contrario, la rivendicazione deve essere respinta o, almeno, si deve procastinare il suo recepimento fin quando la democrazia sostanziale nella "più piccola comunità di pari", come nella maggiore, non sia stata stabilita o ri-stabilita.

      Detto in parole semplici: le rivendicazioni indipendentiste siciliane, trentine, sarde (padane no, perché la padania è un'invenzione) DOVRANNO essere prese in carico da uno Stato italiano a democrazia sostanziale. Dunque, vista la situazione, dopo aver riaffermato la legalità costituzionale su tutto il territorio dello Stato italiano.

      Detto con parole ancora più semplici: prima la Costituzione, poi si parlerà di Stato federale o, se proprio, di indipendenza della Sicilia, del Trentino e della Sardegna.

      E per concludere in modo tranchant: chi pone oggi, in questa situazione, il tema dell'indipendentismo, è un infame!

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  11. Riduco all'osso la questione (sull'indipendentismo tornerò in seguito).

    Sei sovranista perché: (1)vuoi che il popolo italiano abbia il diritto di autogovernarsi? OPPURE (2) aspiri a vivere in un determinato sistema politico ed economico - ad es. di tipo socialista - che è impossibile attuare in assenza di una piena sovranità nazionale?

    Una risposta affermativa alla prima domanda esclude la possibilità di rispondere affermativamente anche alla seconda. Se ti batti per il diritto del popolo italiano di autodeterminarsi, tu VUOI che il popolo italiano scelga sovranamente (ossia liberamente) "come" autogovernarsi. In questo caso, il tuo obiettivo politico è, dunque, la (ri)conquista della sovranità nazionale tout-court.
    Se invece agisci per la (ri)conquista della sovranità statuale SOLO perchè ciò renderebbe possibile l'avvento di un sistema socialista, il tuo obiettivo politico non è la sovranità, ma il socialismo. In tal caso, la riconquista della sovranità si pone come obiettivo strumentale al raggiungimento di quello politico (finale), sicchè il suo perseguimento assolve ad una funzione esclusivamente strategica. Mutatis mutandis, è di tipo strategico anche la posizione di chi mira, attraverso il recupero della sovranità nazionale, non ad instaurare un determinato sistema politico fra quelli resi possibili dalla Legge Fondamentale della Repubblica, ma al puro e semplice ripristino della piena efficacia di quest'ultima.

    Noto che nel dibattito intersovranista - soprattutto quando viene affrontata la questione dei possibili "alleati" - emergono continuamente i sintomi di una assoluta confusione fra le due prospettive (inconciliabili sul piano teoretico) del sovranismo politico e di quello strategico, confusione che, fra l'altro, impedisce di comprendere qual è la giusta linea da seguire e se sussistono veramente i presupposti per la creazione di una forza sovranista omogenea nelle finalità politiche perseguite.

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    1. In sostanza stai dicendo che ci sono alcuni, singoli o gruppi politici, che vedono nel recupero della sovranità nazionale solo un momento di passaggio in vista di un altro obiettivo. Hai ragione, è così. Vale per gli indipendentisti (siculi o padani) e per i comunisti. Intanto, stando ai fatti e non alle intenzioni, quelli che hanno agito in cotal guisa sono stati i liberali, già il giorno successivo alla promulgazione della Repubblica. D'altra parte, se il popolo è sovrano, sarà pur lecito, una volta liberatici della dittatura dell'UE e, più in generale, dei mercati, cercare di convincerlo che il comunismo, piuttosto che uno stato corporativo o addirittura il ritorno alla monarchia e al diritto feudale, sono la cosa migliore? Io dico di sì, è lecito. In effetti, i liberali che ci hanno consegnato nelle mani dei mercati e dell'UE lo hanno fatto, molto abilmente, convincendo il popolo, che ancora non ha realizzato la fregatura che gli hanno rifilato.

      Vedi, anch'io avrei in mente un certo modello di società per il "dopo", e credo anche tu. Solo che non ho voglia di parlarne mentre sono in corso i preparativi di una battaglia fondamentale per la liberazione. Mi riferisco alle prossime, speriamo non ultime, elezioni politiche.

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    2. La questione non riguarda i soli indipendentisti. Anche durante i simposi da te videoregistrati c'è chi, ad esempio, individua nell'essere socialista un elemento pregiudiziale per essere considerato sovranista e poter appartenere ad un ipotetico schieramento politico-elettorale sovranista (https://www.youtube.com/watch?v=gk7-Ub8WcJM, all'incirca dal minuto 16.20).

      Qui non si sta parlando di cosa ciascun sovranista auspica in cuor suo che accada, in termini politici, una volta riconquistata la libertà del popolo di autogovernarsi, ma di una operazione (non importa se in buona o mala fede) di "mascheramento" del fine politico autentico (es., il socialismo o, più in generale, il modello di Stato e di società delineati dalla Costituzione) sotto le spoglie del mezzo per raggiungerlo (la riconquista della sovranità).

      A mio avviso, poiché il sovranista ha come obiettivo primo ed ultimo la possibilità da parte di una data comunità (in atto o in potenza) statuale di governarsi come meglio desidera, chi combatte perché quella comunità possa autogovernarsi ponendosi DA ORA l'obiettivo ultimo che essa si autogoverni in un certo modo anziché in altri non è un sovranista ma un comunista, un socialista, un socialdemocratico, un liberale, un fascista ecc. che vede nella conquista della sovranità una mera precondizione per il comunismo, il socialismo, la socialdemocrazia ecc..

      Se non si esce dall'ambiguità e dalla confusione indotte dalla non chiarezza circa lo scopo che muove ciascuno a considerarsi e proclamarsi sovranista (ambiguità e confusione che ho il sospetto essere in alcuni casi "di comodo"), penso che cercare di mettere in piedi un qualunque progetto politico-elettorale sovranista sia solo tempo perso.

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    3. Caro Claudio, non c'è alcuna ambiguità dal momento che nessuno si sogna di affermare che il sovranismo sia un'ideologia. Il sovranismo, inteso come istanza di riconquista della sovranità nazionale, è una precondizione fondata su una carta costituzionale che è un manifesto "di parte", nel quale si riconobbero ideologie diverse che si impegnarono ad agire politicamente nei limiti in essa stabiliti. Chi si rifà alla Costituzione lo fa, evidentemente, perché quel testo è lavoristico, antiliberista e, ovviamente, antifascista, nella misura in cui questa ideologia, oltre che essere stata a tratti vagamente socialisteggiante, ha svolto l'indiscutibile ruolo di cavallo di Troia del capitalismo. Esattamente la stessa cosa che oggi ascriviamo ai neofascisti del PD.

      Resta, come un macigno, il problema delle difficili alleanze con forze che continuano a porre il mercato al centro della loro visione, seppure in una forma mitigata e corretta rispetto agli sconvolgenti errori de L€uropeismo. E' del tutto evidente che essere a favore della riconquista della sovranità nazionale, aka il diritto/dovere degli italiani di decidere democraticamente come governarsi, non implica tirare dentro un'alleanza, per fare un esempio estremo, chi proponesse di ristabilire lo Statuto Albertino.

      Il sovranismo, che nasce nel 2012 dall'iniziativa scoordinata, ma non per questo poco efficace, di una minoranza, è nella sua essenza, intima e profonda, Costituzionale. Cioè lavoristico e antiliberista. Ti serve che aggiungiamo, ad ogni pié sospinto, il termine "costituzionale"? Non serve, a mio parere, perché il concetto è chiaro. La parola l'abbiamo inventata noi, e saremo noi a difenderne il significato. Sovranismo, repetita iuvant, è Costituzione! Nella quale Costituzione possono esserci molte ideologie, ma non il liberismo né il fascismo, cioè i nemici allora sconfitti e oggi, purtroppo, di nuovo trionfanti.

      Ciò detto e premesso, mi sembra di capire che il tuo timore siano i comunisti? Se sbalio mi corigerai, se ci ho azzeccato continueremo a parlarne.

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    4. Da cosa desumi che il mio timore sarebbero i comunisti? Eppure nell'ultimo post mi pareva di aver chiarito a sufficienza che la questione non è la particolare ideologia politica che può accomunare quanti si definiscono sovranisti, ma il fatto che coloro che sono accomunati da una stessa ideologia non possono fregiarsi del titolo di sovranisti senza compiere un'operazione intellettualmente equivoca e politicamente dannosa alla loro e altrui causa.

      Comunque sia, il fatto che il sostantivo "sovranismo" sia stato pensato (da chi lo ha "coniato") in abbinamento all'aggettivo "costituzionale" non dà la minima garanzia del fatto che tutti coloro che fanno riferimento al sovranismo lo intendano o vogliano intenderlo in abbinamento a quell'aggettivo. Nè è possibile pretendere che chi usa i termini "sovranismo" e "sovranista" lo faccia secondo il significato "autentico" datovi da qualcuno. Se si vuole che tali parole assumano un significato specifico rispetto a quello generico è consigliabile, sul piano comunicativo, accompagnarle al termine o ai termini necessari a renderne palese il senso particolare in cui le si intende usare. Inoltre, se intendiamo il sovranismo nel particolare senso da te precisato, ossia come istanza di attuazione "reale" della Costituzione repubblicana del '48 (resa irrealizzabile dagli infami trattati che sappiamo), l'uso del termine sovranismo nella sua assolutezza è fuorviante e fonte di nocivi fraintendimenti, dal momento che induce a credere che l'obiettivo politico sia quello di riconquistare la sovranità nazionale quando tale riconquista è invece posta come un obiettivo strategico (un "passaggio obbligato") rispetto a quello (autenticamente politico e finale) della attuazione del modello costituzionale di Stato e di società.

      Come ho cercato di dire nei post precedenti, la differenza fra "sovranismo" e "sovranismo per...(la Costituzione, il comunismo, il socialismo, la socialdemocrazia, l'interclassimo democristiano ecc.)" è netta e deteminante: il sovranismo tout court mira INCONDIZIONATAMENTE (ossia in modo assoluto) alla libertà di autodeterminazione di una comunità già riconosciuta o che si vuole sia riconosciuta come Stato-nazione indipendente, laddove i sovranismi per...hanno carattere relativo e, quindi, CONDIZIONATO, giacché mirano ad un altro obiettivo, vale a dire alla instaurazione in quella comunità di un determinato assetto politico-istituzionale DOPO il passaggio "tecnico" necessitato rapresentato dall'acquisizione o riaquisizione della sovranità. (CONTINUA)

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    5. (SEGUE)

      Se tanto è, non essendo io un sovranista tout court ma un sovranista per la Costituzione del '48", ritengo intellettualmente onesto non definirmi sovranista ma, per l'appunto, uno che vuole il ripristino nei fatti del modello di Stato e di società delineato dalla Costituzione del '48. Analogamente, se fossi un sovranista per il comunismo, per il socialismo, per la socialdemocrazia, per il nazifascismo o per la libera fruizione della gnocca, eviterei di definirmi un sovranista tout-court, giacché una simile definizione non corrisponderebbe alla mia effettiva posizione in relazione all'obiettivo politico da me perseguito ma, anzi, sarebbe una forma di controproducente mascheramento dello stesso sotto altre spoglie.

      Questo vale naturalmente per me. Gli altri si orientino come credono, ma nella consapevolezza che presentandosi come sovranisti senza esserlo nel senso assoluto ed incondizionato che il termine evoca "di default" (sovranismo come azione mirata alla promozione e tutela del diritto di una comunità di decidere liberamente la sua forma di Stato e di governo ed il proprio regime politico), il loro progetto individuale non potrà farà strada, come generalmente non fanno strada i progetti che muovono da premesse e tendono a finalità non chiarite in partenza fra coloro che dicono di condividerli e fra questi ultimi ed il resto dell'umanità (i sovranisti per il comunismo e quelli per l'interclassismo simil-democristiano scopriranno strada facendo di non poter combattere insieme contro i trattati U.E. perché perseguono obiettivi per il DOPO che sono diversi e non compatibili fra loro; laddove invece ciascuno rivelasse sin dall'inizio le proprie reali generalità politiche si eviterebbero perdite di tempo esiziali alla causa di tutti e si favorirebbe il processo di comune valorizzazione delle ragioni per lottare assieme anziché di quelle per andare ognuno per la sua inutile strada).

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    6. Fiorenzo, ti segnalo che avevo postato anche il post di cui questo mio ultimo è la prosecuzione.

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    7. "il fatto che il sostantivo 'sovranismo' sia stato pensato (da chi lo ha 'coniato') in abbinamento all'aggettivo 'costituzionale' non dà la minima garanzia del fatto che tutti coloro che fanno riferimento al sovranismo lo intendano o vogliano intenderlo in abbinamento a quell'aggettivo"

      Caro Claudio, "sovranismo" è il classico sostantivo radice che non dice tutto ma è necessario, anzi indispensabile. Anche "liberalismo" e "socialismo" sono sostantivi radice, tant'è che vi sono tanti liberalismi e altrettanti socialismi. Noi abbiamo coniato il termine "sovranismo" per indicare un concetto radicalmente diverso da quello che, storicamente, evoca la parola "nazionalismo". Credo di aver spiegato il senso di questa operazione nel post "La Patria del Popolo è la Repubblica"

      Ora, al netto delle operazioni distorsive di senso che la propaganda nemica può mettere in atto, il nocciolo della questione è la rivendicazione del diritto di una collettività di scegliersi il patto politico che la delimita e DISTINGUE da altre comunità, siano queste "sorelle" o "nemiche armate".

      Ovviamente potranno esserci, oltre ai sovranisti-costituzionali, anche i sovranisti-socialisti, i sovranisti-liberali, i sovranisti-federalisti o quel che vuoi. Il punto essendo sempre e soltanto uno: una comunità che rivendica il suo diritto di scegliersi il patto politico fondamentale che la DISTINGUE da altre comunità.

      Attenzione! Ho messo in maiuscolo il verbo "DISTINGUE" perché tale patto politico tutto può essere meno che un progetto che intenda "SCIOGLIERE" la comunità. Pertanto il liberalismo, nella sua versione globalista, è oggi il nemico principale, che non potrà mai essere accolto e anzi dovrà essere oggetto di una nuova norma transitoria di messa al bando. Come è accaduto per il fascismo, cavallo di Troia della stessa istanza politica.

      Dunque la parola radice "sovranismo" è questo. Inutile chiederle altro, ma sbagliato rinunciare ad essa.

      Augh, ho detto.

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    8. "Caro Claudio, sovranismo è il classico sostantivo radice che non dice tutto ma è necessario, anzi indispensabile. Anche liberalismo e socialismo sono sostantivi radice, tant'è che vi sono tanti liberalismi e altrettanti socialismi".

      Scusa se insisto, ma se hai capito cosa ho scritto sopra, hai anche capito che Filippo Turati e Rosa Luxemburg potevano definirsi socialisti nonostante l'uno fosse un riformista e l'altra una rivoluzionaria, mentre tu e il veneto che brama la rifondazione della "Serenissima Repubblica de Venethia" senza se e senza ma non potete definirvi entrambi sovranisti, perchè solo il veneto lo può (il sostantivo-radice "sovranista" si attaglia a lui e non a te, anche se, per ironia della sorte, fossi stato tu a coniarlo).

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    9. Il Veneto che brama è indipendentista.

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    10. Da quello che so, l'indipendentista veneto sogna uno Stato-nazione tutto suo. Possiamo decidere di definirlo con un termine diverso da "sovranista", ma ciò che egli vuole è fondare uno Stato sovrano (l'indipendenza di uno Stato altro non è che il suo essere sovrano nella dimensione relazionale con gli altri Stati). Magari ogni venetista si prefigura una nazione veneta governata in un certo modo anziché in un altro, ma mi pare che per il momento il desiderio di fondare la nazione indipendente (e, quindi, sovrana) non sia subordinato al "come" la stessa dovrà essere governata.

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    11. Pian , mi son veronese ,e quindi son scaligero , discendo da Cangrande della Scala , il veltro di Dante : " in fin che'l veltro verrà " ,quindi , mai e poi mai sotto el leon de San Marco . E poi per quale motivo , se il trombato Flavio Tosi , ha sempre detto : Veneto ,regione lenta ed inefficiente ?

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    12. Non corri il rischio. Gli scaligeri e i rodigini non sono considerati dal resto della regione come veneti D.O.C. Credo che non vi calcolino neppure come cittadini della ricostituenda Repubblica Serenissima (la ragione non la conosco; quindi, se ti vuoi incazzare, incazzati con i tuoi corregionali e non con me).

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    13. Meno male , mi dai un grande sollievo : con tutte le schifezze che ha combinato la Serenissima Repubblica di Venezia o Veneta , anche se bisogna ammettere che è stata una grandissima potenza mondiale ,che abbiamo dovuto aspettare il gran ladron di Napoleone per avere o entrare nella modernità .

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