giovedì 31 agosto 2017

La volpe e l'uva

(EL)
« Ἀλώπηξ λιμώττουσα, ὡς ἐθεάσατο ἀπό τινος ἀναδενδράδος βότρυας κρεμαμένους, ἠβουλήθη αὐτῶν περιγενέσθαι καὶ οὐκ ἠδύνατο. Ἀπαλλαττομένη δὲ πρὸς ἑαυτὴν εἶπεν· «Ὄμφακές εἰσιν.» Oὕτω καὶ τῶν ἀνθρώπων ἔνιοι τῶν πραγμάτων ἐφικέσθαι μὴ δυνάμενοι δι' ἀσθένειαν τοὺς καιροὺς αἰτιῶνται. »
(IT)
« Una volpe affamata, come vide dei grappoli d'uva che pendevano da una vite, desiderò afferrarli ma non ne fu in grado. Allontanandosi però disse fra sé: «Sono acerbi». Così anche alcuni tra gli uomini, che per incapacità non riescono a superare le difficoltà, accusano le circostanze. »

Sul blog di 48 ho letto questo paragrafo (tratto da LA TRAPPOLA DELL'ODIO DEGLI "AGENTI DI INFLUENZA". LA MANOVRA DELL'ANTISOVRANO)

E non vuole la democrazia (a meno che non sia "liberale", cioè ridotta a mero processo elettorale idraulico che azzera ogni reale possibilità di scelta popolare dell'indirizzo politico da seguire), perché (come dice Barroso, una volta per tutte, richiamando il ruolo imperituro de L€uropa nelle nostre vite quotidiane) la considera inefficiente dal punto di vista allocativo.
E ciò in quanto, appunto, le risorse (monetarie) sono limitate, corrispondono ad un dato ammontare di terra-oro come fattori primi di ogni possibile attività economica, e la titolarità, preesistente e prestabilita, della proprietà di questi fattori precede ogni calcolo economico: cioè legittima un equilibrio allocativo che riflette una Legge naturale a cui asservire ogni attività normativa e amministrativa dello Stato, e rende un diritto incomprimibile il ritrarre un profitto da questa titolarità incontestabile, anche a scapito dell'interesse di ogni soggetto umano che non sia (già) proprietario di questi fattori della produzione.
Il merito che si autoattribuisce il capitalismo è quello di attivare una capacità di trasformazione delle risorse (limitate) per moltiplicare i beni suscettibili di essere acquisiti in proprietà (questo sarebbe il dispiegarsi dell'ordine del mercato, fin dai tempi della teorizzazione ecclesiastica), essenzialmente oggetto di consumo, e di permettere, nel corso di tale processo, l'impiego lavorativo di moltitudini di esseri umani che, in tal modo, sarebbero in grado automaticamente di procurarsi i mezzi di sostentamento.

Ma se è vero che "le risorse (monetarie) sono limitate, corrispondono ad un dato ammontare di terra-oro come fattori primi di ogni possibile attività economica, e la titolarità, preesistente e prestabilita, della proprietà di questi fattori precede ogni calcolo economico", ciò vuol dire che il motore primo della storia non è la razionalità economica, ma la lotta per il potere. In altri termini, la razionalità economica è sempre e comunque subordinata a un principio di invarianza che non è quello dello scambio, bensì quello del possesso della terra-oro. Un possesso che si difende con le armi, quando la minaccia è tale da rendere necessaria questa scelta - che può rivelarsi tuttavia disastrosa - o con la conquista e il mantenimento del consenso politico. Ora, sebbene di guerre ce ne siano sempre state, è tuttavia evidente che è la politica lo strumento il più delle volte agìto per la risoluzione dei conflitti, non fosse che per il fatto che, se fosse la guerra, la specie si estinguerebbe. A maggior ragione oggi, con l'abbondanza di armi di distruzione di massa in circolazione.

E infatti nelle nazioni dell'occidente democratico fare politica significa lottare per conquistare il consenso, essendo le elezioni il metodo utilizzato per la sua misura. I modi per conquistare il consenso sono i più vari, tanto più diversi quanto più il conflitto sociale è equilibrato, mentre tendono a ridursi allorché una delle parti inizia a prevalere. Ciò accade perché, quando il conflitto è equilibrato, la parti in lotta sono costrette a fare concessioni. Ad esempio, i capitalisti concedono il welfare, mentre i socialisti rinunciano alla conflittualità nei luoghi di lavoro; ovviamente accade che le suddette "concessioni" vengano rivendicate, dalle parti opposte, come "conquiste": dello stato sociale e, simmetricamente, della concertazione sindacale.

Quando l'equilibrio si rompe, e una delle parti inizia a prevalere, le concessioni, alias le conquiste, si riducono, fino a cessare del tutto, sostituite da continue e crescenti pretese. Ecco allora, per fare un esempio, che Macron, dopo aver stravinto la battaglia del consenso in Francia, come certificato dai risultati elettorali, propone una seconda loi travail ben più liberista di quella fatta da Hollande. D'altronde perché non dovrebbe farlo? L'avversario di classe è in rotta e, come accade in guerra, quando il fronte si spezza è allora che inizia il massacro. Ci avete fatto caso alla circostanza, ben nota agli appassionati di storia militare, che il maggior numero di vittime tra i soldati, in guerra, si ha quando uno dei due schieramenti cede?

La guerra si fa costruendo organizzazioni militari, similmente la politica si fa costruendo organizzazioni politiche. Senza organizzazione, o quando questa si sfalda, c'è solo il massacro e la riduzione in schiavitù. Ne segue che oggi, in Italia, alla vigilia delle elezioni politiche del 2018, è necessario costruire un'organizzazione politica che cerchi il consenso e affronti la sfida del voto. Non importa, nell'attuale situazione di sfascio delle organizzazioni del mondo del lavoro, che il risultato sia numericamente rilevante, quel che conta veramente è ricostituire un nucleo dal quale ripartire. Radunare gli uomini (scusate: non scrivo "radunare le donne e gli uomini" perché il politically correct mi fa vomitare) distribuendo ruoli e responsabilità, fissare obiettivi razionali benché minimi, raccogliere il consenso e andare alla conta, questo è quello che si deve fare, oggi e sempre.

L'avversario di classe è così forte da essere diventato strafottente, e questo è il suo punto debole. Se un tempo, per raccogliere il consenso, si piegava a concessioni redistributive, oggi pretende di governare con il solo potere dei media che tutti i giorni, come bombardieri che si alzano in volo al mattino, ininterrottamente scaricano sui lavoratori quantità incommensurabili di falsità. E' un vero e proprio bombardamento, dal quale il popolo si difende ignorandolo e rifugiandosi sui social, ma che sortisce ugualmente il suo effetto perché il rumore non solo copre ogni voce critica, ma ottunde i timpani mentali rendendoli incapaci di svolgere la loro funzione, che è quella di ascoltare con attenzione.

L'intensità e la ferocia del bombardamento quotidiano hanno anche lo scopo di dissuadere da ogni velleità di resistenza. Quante volte abbiamo provato a smentire e rettificare le ignobili falsità che ci vengono propinate? Non è forse vero che, dopo un po', ci si stanca? Ecco, questo è esattamente lo scopo che ESSI si prefiggono: spezzare anche le ultime resistenze prendendoci per stanchezza. Questo accade perché ognuno di noi combatte la battaglia per il consenso isolatamente, incapaci di organizzare una schiera che operi in modo coordinato. Il massacro, pertanto, è in corso.

Ma se un pugno di uomini (scusate: non scrivo "un pugno di donne e uomini" perché il politically correct mi fa vomitare) riuscisse, in questo momento, ad organizzare una linea di resistenza? Se alcuni valorosi testardi oltre ogni misura si mettessero in testa di rinunciare alla lotta individuale e accettassero di aderire a un progetto politico di riscossa? Non sarebbe questo un fatto di straordinaria importanza, di per sé e senza che i risultati siano, per il momento, un aspetto dirimente? Resistere, ma non per ritardare o rallentare la sconfitta, che è già nelle cose che stiamo subendo, bensì per costruire il nucleo iniziale di partigiani in vista di una lunga marcia per la riscossa del mondo del lavoro in Italia. L'avversario, che oggi maramaldeggia, è così sicuro di sé che non se lo aspetta, dunque abbiamo un margine di manovra. Noi siamo così piccoli e insignificanti, così dispersi, da essere fuori dai radar, e questo è un vantaggio da sfruttare. Non dobbiamo vincere le elezioni, ma dar vita a un'organizzazione politica di resistenza, oggi, per continuare la lotta domani.

Le energie che spenderemo per costruire un'organizzazione politica capace di presentarsi alle elezioni sono l'investimento necessario per un progetto di più lunga durata. Non siamo disarmati! Al bombardamento dei media potremo opporre la rinascita della conflittualità sociale dal basso; uno strumento, questo, di conquista del consenso almeno pari all'efficacia dell'apparentemente invincibile grande armada mainstream, ma affinché tutto ciò sia possibile occorre che risorga la capacità del mondo del lavoro italiano di darsi un'organizzazione. Sbaglia chi oggi afferma che "l'uva è acerba", perché se l'ha vista ciò vuol dire che c'è, e se pensa di ripassare in un secondo momento rischia di non trovarla, anche se viene con una lunga scala.

Questo fine settimana sarò all'assemblea della CLN, per ascoltare e fare qualche intervista. Soprattutto, incontrerò uomini e donne (questo non è politically correct, ma semplice presa d'atto) che in questi anni non si sono arresi, a dispetto di tutto (anche del fuoco amico) e spero vivamente di potervi riferire che sì, abbiamo deciso di smettere di agire individualmente per organizzarci collettivamente in vista di un primo momento di lotta organizzata nella battaglia elettorale del 2018.

Noi siamo sovranisti, noi crediamo nelle costituzioni, noi siamo socialisti.

1 commento:

  1. Grazie Fiorenzo!
    Tu spesso hai detto di essere stato un grillino della prima ora e quindi avrai vissuto la crescita di quel movimento. La domanda sorge spontanea: come ha fatto il cazzaro di Genova a prendersi 10 mln. di voti?.... Forse varrebbe la pena studiare la sua strategia dimostratasi vincente!
    Un caro saluto
    s.g.

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