Choppata da "Istituto Luce - Storia d'Italia 03 - L'Eta' Giolittiana e La Grande Guerra 1903 1918" (da 1h 09'20'' a 1h 10'19'').
Link correlati:
- “Antesignani in tempi oscuri della grande riscossa” di Stefano D'Andrea
- CORRADINI, Enrico (enciclopedia Treccani)
In nome dell'amicizia si possono sopportare molte cose, perfino tacendo quando invece si dovrebbe parlare. E' quello che ho fatto per quasi un anno e mezzo, da quando, nell'estate del 2014, uscii dall'ARS. Anche in quell'occasione mi comportai come avevo già fatto in un'occasione precedente, il litigio con Bagnai, tacendo e rifuggendo la polemica per così lungo tempo che in molti scambiarono questo atteggiamento per debolezza. Lo stesso ho fatto successivamente, quando sono entrato in conflitto di idee con un altro caro amico: ho preferito tacere per lungo tempo, e ancora mi taccio, per non esacerbare i rapporti.
C'è però un limite, oltre il quale tacere non è più possibile. Accadde con Bagnai, succede di nuovo oggi con l'amico Stefano D'Andrea (SdA nel seguito). Farlo significherebbe non chiarire a sufficienza la distanza ideale che ormai esiste tra alcune posizioni di SdA e la mia visione delle cose. L'occasione è la pubblicazione di uno suo scritto su Appello al Popolo, dal titolo “Antesignani in tempi oscuri della grande riscossa”.
Nell'articolo SdA scrive: «Se dovessi citare un caso italiano di movimento politico-culturale sorto “dal basso”, ma non popolare, bensì borghese, come era naturale ai primi del novecento, movimento portato avanti con capacità, determinazione, pazienza, da un gruppo, che aveva la guida in una specifica personalità, e che tuttavia fondo’ un’associazione dopo sette anni dalla costituzione, associazione che dopo altri tredici confluì in un partito, più popolare, che avrebbe avuto il potere per venti anni (qui si prescinde totalmente dal merito delle idee), direi che esso è il movimento nazionalista di Enrico Corradini. Non a caso, il capo di quel partito che tenne il potere per venti anni defini’ quel gruppo “antesignani in tempi oscuri della grande riscossa”.»
SdA sta parlando di Enrico Corradini, un agitatore politico (e scrittore fallito) tra i principali artefici della nascita e sviluppo del nazionalismo. I "tempi oscuri" di cui parla "il capo di quel partito che tenne il potere per venti anni" sono l'età giolittiana, durante la quale furono legiferate norme in favore di anziani, infortunati e invalidi, norme per la protezione di donne e bambini, l'istruzione elementare obbligatoria fino a 12 anni, il diritto al riposo settimanale, provvidenze assistenziali, l'indennità parlamentare, migliori retribuzioni, norme in favore delle condizioni igienico-sanitarie. Il diritto di voto fu esteso a tutti i cittadini di sesso maschile, e venne avviata un'imponente politica di opere pubbliche, in particolare nei trasporti. La società italiana conobbe un periodo di forte crescita economica, di aumento della pace sociale e di crescita della partecipazione alla vita democratica. Infine Giolitti non abbandonò mai una linea di separazione tra Stato e Chiesa, nonostante le aperture nei confronti del mondo cattolico ("Il principio nostro è questo, che lo Stato e la Chiesa sono due parallele che non si debbono incontrare mai" - Giolitti 1904).
Tutto ciò suscitò la reazione dei settori più reazionari, che vedevano minacciata una supremazia secolare che non era stata intaccata nei primi decenni dall'unità d'Italia. Ad essi le idee dei nazionalisti, Corradini in testa, fornirono il supporto ideologico per la difesa degli interessi minacciati. Il nazionalismo italiano non fu un movimento "dal basso", ma un fenomeno che maturò negli ambienti culturali della borghesia, al quale non mancarono, non appena riuscì a raggiungere un minimo di consistenza, gli appoggi politici e finanziari della grande borghesia, inquieta per il riformismo giolittiano, e dei settori più retrivi del cattolicesimo. Già nel 1913 il Corradini tentò, fallendo, di essere eletto in Parlamento grazie all'appoggio dei cattolici, ma ciò non gli impedì, un anno dopo, di essere uno strenuo sostenitore dell'entrata in guerra contro la cattolicissima Austria, in quanto «ci sono nazioni proletarie come ci sono classi proletarie; nazioni, cioè, le cui condizioni di vita sono con svantaggio sottoposte a quelle di altre nazioni, tali quali le classi ... L'Italia è una nazione materialmente e moralmente proletaria" - Enrico Corradini in "Classi proletarie: socialismo, nazioni proletarie: nazionalismo"»
L'idea, sostenuta dal Corradini, che esista uno "sfruttamento di classe semplice", operato dalla borghesia ai danni del proletariato in ciascun paese, e uno "sfruttamento di classe composto", che si verifica sul piano internazionale e si concretizza nell'opposizione tra nazioni ricche e nazioni povere, è il nucleo della narrazione nazionalista, la quale si fonda sull'assunzione della concorrenza come valore assoluto, sia che questa si svolga nell'ambito della competizione tra capitali, sia nella guerra tra le nazioni. La conseguenza di questo ordine di idee era che le nazioni povere come l'Italia dovessero dotarsi di una forte statualità, intesa però come strumento per la guerra verso l'esterno attraverso cui assicurare alla nazione le risorse necessarie all'aumento della sua potenza. Inutile aggiungere che, per Corradini e i nazionalisti, lo Stato doveva essere posto sotto la guida di una forte borghesia nazionale. Nulla a che vedere con l'idea sovranista, per la quale è il lavoro la vera e unica fonte della ricchezza di un popolo, e la giusta distribuzione di questa operata dallo Stato democratico.
La chiosa di SdA ("qui si prescinde totalmente dal merito delle idee") non basta a fugare, neppure lontanamente, la perplessità. Non è la prima volta che SdA esprime pubblicamente idee e concetti discutibili, ma finora avevo taciuto per amicizia. Credo che la misura sia colma, ed è questa la ragione di questo scritto. Il sovranismo non ha nulla a che vedere con il nazionalismo espresso dal Corradini e dai suoi accoliti, sebbene esistano certamente diverse declinazioni del significato di questo termine. Fu proprio per evitare ogni possibile confusione che, qualche anno fa, discutendo con lo stesso SdA, si convenne di coniare e introdurre nel lessico politico la parola "sovranismo", nell'attesa e nella speranza che "nazionalismo" tornasse ad avere un'accezione più democratica. Sta accadendo invece il contrario: le due parole vengono, sempre più, sovrapposte, generando così confusione.
Il fatto che il fondatore e principale esponente di un'associazione politica che si definisce "sovranista", nell'argomentare la necessità della nascita di movimenti dal basso faccia riferimento alla vicenda del nazionalismo italiano, e in particolare a Enrico Corradini, è cosa che lascia stupefatti per il suo carico di ambiguità. Non tanto e non solo per il fatto che il nazionalismo non fu un movimento dal basso, bensì borghese (come riconosce lo stesso SdA) e reazionario (come dimentica di ricordare SdA), ma perché l'accostamento dell'idea sovranista al nazionalismo denuncia una strategia comunicativa che lascia spazio ad una sola e netta alternativa: o SdA non sa comunicare, oppure SdA fa un discorso peloso. E cioè un discorso che mira esclusivamente al proprio tornaconto.