giovedì 31 luglio 2014

Popoli, Stati, Ideologie

Vorrei dire la mia sul conflitto israelo-palestinese. E' un argomento spinoso che preferirei non affrontare, ma quello che sta accadendo mi turba profondamente, mi spinge a riflettere e, in un certo senso, mi obbliga a prendere una posizione. Spero di non suscitare reazioni scomposte e che le mie valutazioni siano invece utili

Due popoli


I filo-palestinesi e i filo-israeliani si sfidano sui social networks come fossero due avverse tifoserie. L'argomento dei primi è la violenza efferata di cui sono vittime i palestinesi; quello dei secondi il diritto all'autodifesa degli israeliani. Trovo questo approccio sbagliato e fuorviante.

Il problema è la terra, che alcuni decenni fa apparteneva ad un popolo, i palestinesi, e oggi è degli israeliani. E' accaduto che un popolo sui generis, gli "ebrei", si sia insediato nella terra che un tempo era dei palestinesi, spingendoli ai margini.

Credo sia inutile negare l'esistenza del popolo che chiamiamo "ebreo": la sua esistenza è un dato di fatto. Si può eccepire se siano gli effettivi eredi biologici degli antichi abitanti di Palestina, si può sostenere che in realtà si tratta in gran parte dei discendenti di tribù un tempo stanziate nel Caucaso che abbracciarono, per motivi politici, la religione ebraica; si può dire ciò che si vuole, ma non negare l'esistenza reale di una comunità che si autodefinisce "gli ebrei".

Ovviamente è innegabile che esista un popolo palestinese. Si può sostenere che prima dell'arrivo degli "ebrei" questo popolo non aveva reale coscienza di sé, che erano solo delle tribù nomadi, si può dire ciò che si vuole, ma non negare l'esistenza reale di una comunità che si autodefinisce "i palestinesi".

L'aspirazione a uno Stato


I popoli, tutti i popoli, aspirano ad avere uno Stato. Che si tratti di una monarchia, di un sultanato, di una repubblica, quello che volete voi, è un fatto certificato dalla storia che ogni popolo, cioè ogni comunità che percepisce se stessa come distinta e autonoma da altre comunità, desidera costituirsi come Stato. Poiché uno Stato ha bisogno, prima di tutto, di una terra, ma purtroppo di questa non sempre ce n'è quanta ne serve per soddisfare tutte le aspirazioni dei popoli a farsi "Stato", da ciò nascono molti conflitti. Uno di questi è quello israelo-palestinese.

Quando un popolo occupa un territorio, precedentemente abitato da un altro popolo, cosa che nei millenni è accaduta innumerevoli volte, possono derivarne conseguenze molto diverse. La più comune, per fortuna, è sempre stata quella di una reciproca assimilazione, eventualmente dopo un iniziale periodo di conflitti di varia intensità e durata. Questa assimilazione può essere paritaria (in tal caso si parla di fusione) quando i due popoli sono di eguale forza, o essere più o meno asimmetrica quando una delle comunità prevale sull'altra.

In altri casi, anche questi numerosi, invece che di assimilazione si può parlare di integrazione. Popoli diversi coabitano sullo stesso territorio mantenendo le rispettive tradizioni e abitudini, ma dotandosi di apparati amministrativi e/o statuali comuni. Quando, pur in presenza di strutture amministrative e statuali comuni, le differenze rimangono molto marcate, si parla di Stati multietnici.

Nei casi in cui né l'assimilazione né l'integrazione sono possibili, resta una sola alternativa: 1 - due popoli e due Stati, oppure 2 - lo Stato di uno dei due popoli riduce l'altro a colonia o territorio occupato. Questa è la situazione che si è creata tra palestinesi e israeliani.

Il ruolo dell'ideologia


Per i "travaglioti" questi signori sono antisemiti
La ragione di fondo di questo esito è, a mio parere, l'ideologia sionista. Gli "ebrei" che sono emigrati in Palestina, in effetti, non erano soltanto tribù di uomini e donne in cerca di un luogo dove piantare le loro tende, coltivare la terra, crescere i loro figli, mantenendo rapporti più o meno buoni con gli abitanti del luogo. Questo è ciò che credettero i palestinesi del XIX° secolo all'apparire dei primi coloni, ai quali cedettero volentieri ampi appezzamenti di terra, pensando di fare buoni affari e di ritrovarsi con dei pacifici vicini; con i quali si sarebbero, col tempo, assimilati o integrati. Mai errore fu più catastrofico e denso di conseguenze! In realtà essi avevano aperto le porte all'invasione di un popolo che, per quanto sui generis, era di fatto un'entità ideologica, tenuta insieme non da tradizioni valori e consuetudini comuni, giacché i coloni provenivano da tutto il mondo, bensì da un'ideologia: il sionismo. Un'ideologia che voleva conquistare un territorio per costruirvi uno Stato fondato sull'ideologia sionista

Si potrebbe obiettare che i coloni avevano un insieme di valori comuni, costituito dalla religione ebraica, ma ciò è irrilevante rispetto alla forza dell'ideologia sionista. Senza il sionismo, infatti, si sarebbero sviluppati al più conflitti di natura religiosa i quali tendono, quando non sono alimentati e/o strumentalizzati da forze esterne, a rimanere latenti e a bassa intensità.

Un'analogia


Il territorio fra i 47°16'15" N e 55°03'33" N di latitudine e i 5°52'01" E e i 15°02'37" E di longitudine è oggi chiamato Germania. Questo territorio è abitato da un popolo che chiamiamo "i tedeschi". Dalla metà del XIX° secolo i tedeschi hanno uno Stato unitario. Nel corso degli anni '30 del XX° secolo lo Stato tedesco è stato "occupato" da un partito ideologico, il Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP). Dunque in Germania, per venticinque anni, c'è stato un popolo (i tedeschi) che aveva uno Stato (lo Stato tedesco) occupato da un partito ideologico (i nazisti). 

Gli alleati hanno combattuto contro il popolo tedesco in armi al fine di sconfiggere lo Stato tedesco "occupato" dai nazisti. Ottenuto ciò, non hanno distrutto il popolo tedesco (anzi, lo hanno aiutato), hanno ricostruito lo Stato tedesco (anzi, bontà loro, ne hanno fatto due...), ma hanno distrutto il nazismo! Ripeto: gli alleati hanno distrutto il nazismo!

Conclusione


Torniamo in Palestina. C'è un popolo (gli "ebrei"); c'è uno Stato (lo Stato di Israele); c'è un partito ideologico che, da decenni, "occupa" lo Stato israeliano. 

Io dico:
  1. il popolo "ebreo" ha diritto di esistere in quanto esiste. Nessuno può pensare di distruggere il popolo "ebreo". Chi afferma una tesi simile è un criminale di guerra e come tale va trattato.
  2. Lo Stato d'Israele ha diritto di esistere perché è lo Stato di un popolo che esiste; Lo Stato di Israele ha diritto di esistere e di difendersi (ma non di attaccare). Lo Stato di Israele ha gli stessi identici diritti di ogni altro Stato.
  3. L'ideologia sionista, che oggi occupa lo Stato di Israele, può essere combattuta anche fino al punto di estirparla dalla faccia della terra. Nessuno, che si dichiari anti-sionista, può essere accusato, con ciò, di essere contro gli "ebrei", o di volere la distruzione dello Stato di Israele. Chi sostiene tesi del genere è un ignorante e come tale va trattato.
Se io fossi un palestinese, ogni mattino mi alzerei con un pensiero fisso: abbattere il sionismo. Se io fossi un israeliano, ogni mattino mi alzerei con un pensiero fisso: liberare Israele dal sionismo. Ma io non sono né un palestinese né un israeliano, sono un italiano. E mi alzo ogni mattina con un pensiero fisso: abbattere il liberismo! E' questo un crimine? Ho forse detto che voglio distruggere il popolo americano o distruggere gli Stati Uniti d'America? No! Io ho detto che voglio distruggere il liberismo! Ovviamente è altrettanto lecito desiderare la distruzione del comunismo, che infatti è stato distrutto, ma i russi e la Russia ci sono ancora.

L'unica battaglia cruenta, e all'ultimo sangue, che sia permessa, è la battaglia delle idee.

mercoledì 30 luglio 2014

Salve, posso mandarti alcuni punti che non capisco?

"Salve posso mandarti alcuni punti che non capisco?". Inizia così un messaggio di Marco Orso, da poco iscritto all'ARS. Ecco il testo completo:

«1) I tassi reali positivi sul debito fanno danni. Il capitale anziché investire in economia specula sui contribuenti e ciò non solo porta il debito/pil ad esplodere ma soffoca l'economia reale con tasse improduttive e con creazione di disoccupazione e morte del diritto al lavoro (esercito di riserva di disoccupati). Io sono per tassi reali = circa a 0.
2) Uscendo dalla moneta unica c'è un modo di evitare che i tassi reali siano positivi?
So anche che se usciamo di soppiatto (non certo col referendum) e svalutiamo del 20% , impediamo che ci sia la fuga pre-svalutazione. 
3) Dopo la svalutazione del 20% però è previsto che qualcuno andrà di nuovo a ritirare TdS (Titoli di Stato) prima della scadenza cosa che comporterà altra stampa e altra svalutazione ed i capitali lo sanno... c'è quindi il pericolo ci sia un'altra fuga di capitali... quella per cui tutti credono che gli altri possessori di TdS vendano TdS e allora vendono a loro volta temendo la altra stampa/svalutazione (tipo concorso di bellezza di keynes). Per impedire che la gente riconsegni prima della scadenza ci sono 2 modi: o alzare i tassi, ma allora crei tassi reali positivi cosa che non mi piace per niente... o la stampa come visto sopra.
4) Se però usassimo solo il meccanismo della stampa ciò potrebbe portare a iperinflazione.
5) Quindi da un lato c'è il rischio inflazione e dall'altro quello di tenerci stretti i capitali promettendo loro tassi reali colossali... c'è il modo per evitare ambedue uscendo dalla moneta unica? Quale? Cerco la risposta da mesi. Saluti.»

Caro Marco, comincio facendoti io una domanda: perché pensi che sia un esperto di economia? Sai, questa è una cosa che mi sorprende: un sacco di gente mi interpella trattandomi come se lo fossi. In realtà di economia so quello che dovrebbe sapere una persona di media cultura almeno un po' interessata all'argomento, ma credo che tanto basti, al tempo d'oggi, per essere considerato, per l'appunto, un "esperto". Diciamo allora che, nel paese dei ciechi, l'orbo è Re? E diGiamolo!

Allora: in questo paese di ciechi io sono solo orbo, ma anche tu non sei del tutto cieco! Infatti i problemi che hai elencato sono assolutamente centrati, anche se non esaustivi della problematica. Prima di discuterne, però, consentimi una premessa morale.

Premessa morale


Immagina di aver costituito una società con il tuo miglior amico. Per alcuni anni va tutto bene, ma poi arriva una crisi e le cose prendono una piega amara. Noti con sconcerto, però, che mentre tu tiri la cinghia il "socio" se la passa addirittura meglio. Insospettito svolgi qualche indagine e scopri che:

  1. il "socio" si è intestato gran parte degli utili
  2. ad essere esposto con banche, fornitori e fisco sei praticamente solo tu
  3. il "socio" tromba tua moglie, con la cui complicità ti ha fatto firmare le carte che ti inguaiano
A questo punto che fai? Li affronti, chiedendo che le cose siano messe a posto, con la minaccia di denunciare il "socio" e tua moglie facendo scoppiare un gran casino, con il che tutti vi ritrovereste nei guai fino al collo, oppure te ne stai buono buono e accetti di essere "cornuto e mazziato"? Fine della premessa morale. 

Come si esce dall'euro


Il modo in cui si uscirà dall'euro dipenderà da molti fattori, alcuni dei quali del tutto fuori da ogni possibile controllo. In linea di massima possiamo affermare che molti dei costi dipenderanno dal grado di coesione nazionale che si manifesterà in quel momento. Un po' come un esercito che debba rompere un accerchiamento: può farlo in modo coordinato sotto la guida degli ufficiali, oppure può essere un fuggi fuggi generale, nel quale ognuno bada a salvare la sua pellaccia. 

Uno dei problemi da affrontare sarà quello del rifinanziamento del debito pubblico. Bada bene: uno dei problemi, perché ce ne sono altri ben più gravi! C'è il debito privato che, originatosi da famiglie e imprese, finisce in capo alle banche; ci sono contratti internazionali di fornitura di materie prime, semilavorati e risorse energetiche; ci sono impegni geopolitici; c'è da considerare il fatto che una quota del debito pubblico è in mano estera...

Insomma un'uscita unilaterale e non concordata, peggio ancora mal gestita dal punto di vista degli interessi nazionali, rischia di essere un vero disastro. Inoltre molte delle scelte che dovrebbero essere fatte, pur valide dal punto di vista della tutela degli interessi generali della nazione, sarebbero molto penalizzanti per alcuni. Pensa solo, per esempio, alla necessità di nazionalizzare il sistema bancario! Non credi che i gruppi privati che oggi detengono, in Italia, il potere di emettere moneta bancaria attraverso il credito potrebbero risentirsi? Utilizzando ancora la metafora dell'esercito accerchiato, cosa risponderesti, tu, ad un ufficiale che ti chiedesse di sacrificarti, insieme alla tua compagnia, per mettere in salvo il grosso dell'esercito? Daresti patriotticamente il tuo contributo, o diserteresti passando al nemico?

Il problema dei tassi reali


Mi chiedi se ci sia la possibilità, uscendo dall'euro, di evitare che i tassi reali siano positivi. La risposta è sì, esiste questa possibilità. Ma essa implica che sia lo Stato il monopolista dell'emissione monetaria, unitamente al fatto che vengano rapidamente ripristinati vincoli ai movimenti di capitali. E qui arriviamo al vero problema. Gli squilibri prodotti da 15 anni di moneta unica sono così enormi che non è pensabile, per uno Stato, uscirne rimanendo tuttavia nell'Unione Europea con lo status di paese in deroga (senza contare che questa possibilità, per chi ha già adottato l'euro, è preclusa dai trattati). Ciò significa che, se si esce dall'euro si deve necessariamente uscire anche dal trattato di Maastricht.

Devi sapere, infatti, che il Trattato di Roma del 1957 stabiliva che i movimenti di capitali nel territorio della Comunità erano consentiti solo nella “misura necessaria al buon funzionamento del mercato comune. Vale a dire, erano possibili movimenti di capitale solo come corrispettivi dei movimenti di merci e servizi. Fu a partire dal 1986, con la direttiva  566/1986, e successivamente con la direttiva 361/1988, che si avviò la realizzazione di "un grande mercato interno dotato della sua piena dimensione finanziaria". Nel 1992 il Trattato di Maastricht, abrogando gli artt. da 67 a 73 del Trattato di Roma del 1957, "codificava la nuova formulazione della normativa, per la quale la liberalizzazione dei movimenti di capitali non è più ancorata al finanziamento del mercato comune, ma è un principio assoluto, che si applica nei rapporti tra gli Stati membri e tra questi e i paesi terzi".

Dunque, si può uscire unilateralmente dall'euro, mettendosi al riparo da una tragedia finanziaria, solo e soltanto uscendo contestualmente dall'Unione Europea! Non ci sono santi! Se qualcuno ti dirà che si può uscire per un periodo dall'Unione Europea, per poi rientrare più tardi, sappi che ti sta mentendo. 

Ciò detto, ti chiarisco che in regime di repressione finanziaria e in condizioni di sovranità monetaria il fatto che i tassi reali di interesse siano positivi, nulli o addirittura negativi è un problema di natura esclusivamente politica. Attiene, cioè, al tipo di redistribuzione che lo Stato intende attuare: se dall'alto verso il basso o dal basso verso l'alto. Va da sé che negli anni ottanta, quindi ancor prima delle modifiche imposte dal Trattato di Maastricht, la scelta politica fu quella di una redistribuzione dal basso verso l'alto. Ciò è mirabilmente spiegato in questo interessantissimo contributo del 2011 di Aldo Barba.

Quando non puoi spostare i tuoi capitali all'estero non hai altra scelta (a parte quella di tenerli sotto il materasso) che investirli in attività produttive (mercato azionario o obbligazionario nazionale - quindi a rischio) o prestarli allo Stato, anche a un tasso di interesse reale nullo o negativo. Anche se tutti, e dico tutti, i risparmiatori decidessero di non investire i loro risparmi né di prestarli allo Stato, ciò non comporterebbe alcun problema. Quei capitali, di fatto, diverrebbero inesistenti, e lo Stato potrebbe stampare moneta (il famoso click del mouse) senza il rischio di innescare una spirale inflazionistica. Quando poi i capitali tornassero sul mercato, lo Stato potrebbe ritirare la liquidità precedentemente immessa.

Per fare quanto sommariamente descritto (cioè per fare politica monetaria) serve necessariamente la sovranità monetaria. Il dispiegamento effettivo di una politica monetaria implica l'imposizione di controlli alla circolazione dei capitali. La sovranità fiscale consente l'attuazione di una politica fiscale autonoma, che è il necessario complemento della politica monetaria. Il controllo effettivo delle frontiere completa il quadro. 

Il problema è politico


Spero di essere stato sufficientemente chiaro nell'esporti il percorso di sganciamento, anche unilaterale, dall'euro: esso implica necessariamente l'uscita dall'Unione Europea. Il problema è la volontà politica di percorrerlo. Una volontà che deve sorgere dal corpo della nazione, e dunque ha bisogno di essere sorretto da nuove forze politiche che siano capaci di raccogliere e coordinare gli interessi sparsi oggi danneggiati, e anzi umiliati, dalla scelta europeista. Certo, è sempre possibile, in linea di principio, immaginare "un'altra Europa", o "cambiare verso all'Europa", ma questi sono solo slogan. Nessuno di noi sarebbe nemico di un'Europa dei popoli, intesa come soggetto statale che nasca da un processo costituente dal basso, democratica e paritaria, ma questa "Europa dei popoli" non è l'Unione Europea. Anzi, perché nasca un'Europa dei Popoli, ammesso che ciò sia possibile e desiderato dai popoli europei, la condizione necessaria è lo smantellamento dell'Unione Europea. Ciò può accadere in modo concordato, ovvero per decisione degli stessi gruppi nazionali di interesse che hanno edificato l'Unione Europea, oppure in modo traumatico, in seguito al recesso unilaterale di uno o più paesi. In quest'ultimo caso, a mio parere il più probabile, il costo per le classi sociali danneggiate dall'Unione Europea sarà inversamente proporzionale alla loro capacità di dotarsi di una rappresentanza politica. Nessuno dei partiti che ci hanno "portato in Europa" può credibilmente operare un tale ribaltamento dei fini, dunque è necessario che nascano nuovi partiti.

Questa può apparire una pia illusione, ma consentimi di argomentare al fine di dimostrarti il contrario. L'Unione Europea (non solo l'euro) è un progetto mal congegnato che genera inevitabilmente vincitori e vinti, perfino all'interno degli stessi gruppi di interessi nazionali che l'hanno voluta. L'ostilità e l'avversione verso di essa stanno crescendo in tutti i paesi e in tutti gli strati sociali "perdenti", dei quali fanno parte, te lo ricordo per l'ennesima volta, anche parti delle élites nazionali. Ciò è particolarmente evidente in Francia e in Italia, sebbene nel nostro paese la situazione sia resa più difficile dal grande successo del M5S, che ha cristallizzato il dissenso orientandolo verso i noti falsi obiettivi (casta-cricca-corruzione). 

Ma la situazione è destinata ad evolvere, sia pure ancora con qualche lentezza. Per accelerare il processo è necessaria l'azione politica esplicita di associazioni e movimenti che facciano da apripista. Questo è esattamente quello che sta accadendo, poiché tali associazioni e movimenti sono già nati ed operanti. Il riferimento comune è, come sai, la nostra Costituzione del 1948. Tutti insieme questi movimenti hanno una forza di qualche migliaio di militanti, un numero che può sembrare molto piccolo ma che è destinato a crescere velocemente. Ebbene, la domanda è: quanti militanti effettivi, reali, veri, hanno i partiti oggi al potere? Tutti insieme, raggiungono il numero di duecentomila? Non credo. In termini di militanti veri, dunque, i movimenti contro l'Unione Europea rappresentano una forza di almeno un punto percentuale, destinato però a crescere. E' da qui che si deve partire, ben sapendo (la Storia ce lo insegna) che tutto ha inizio, sempre, dall'azione delle avanguardie, dalla forza della verità, dalla passione con cui questa viene servita.

Conclusione morale...


Il punto, in definitiva, non è quanto ci costa uscire, ma se sia moralmente dignitoso non farlo, accettando di vivere da "cornuti e mazziati". Nessuno che capisca di essere "cornuto e mazziato" può accettare questa condizione, per cui lo scopo della nostra azione politica è, in questo momento, quello di far crescere questa consapevolezza. Il principale ostacolo è rappresentato da tutti coloro che raccontano la balla secondo cui la colpa è nostra, e non del "socio" che ci ha fregato e ci tromba la moglie (o il marito). 

...e politica


In questo paese, come in gran parte dell'Unione Europea, il numero dei "cornuti e mazziati" consapevoli crescerà, e ad essi dovremo presentare un'offerta politica. Queste persone non staranno troppo a domandarsi se e di quanto cresceranno i tassi di interesse reali, anche perché probabilmente saranno già rovinati, ma è sempre utile dar loro una risposta. Spero, in tal senso, di esserti stato utile. Infine, è altrettanto vitale che, al più presto, si verifichi una saldatura di tutti i movimenti contrari all'Unione Europea, per rompere l'accerchiamento attraverso un'azione politica coordinata e decisa, onde evitare il fuggi fuggi generale in cui ognuno pensa solo a salvare la propria pellaccia. Uniti si vince!

lunedì 28 luglio 2014

Il profumo (un post per intenditori)

Link correlato: Il profumo di Patrick Süskind

«Ciò che aveva sempre agognato, e cioè che gli uomini lo amassero, nel momento del suo successo gli era intollerabile, perché lui stesso non li amava, li odiava. E d'un tratto seppe che non avrebbe mai tratto soddisfazione dell'amore, bensì sempre e soltanto dall'odio, dall'odiare e dall'essere odiato.» - da "Il profumo", di Patrick Süskind (1985)

Il gran finale:


«G, tuttavia, non riesce a provare piacere di fronte all'amore che è riuscito a scatenare nelle persone, perché egli dal canto suo prova per gli uomini solo odio e ripugnanza. Giunto alla conclusione di non provare più alcun interesse per la vita, ritorna a Parigi, nello stesso luogo dove era nato, dove, di fronte a un gruppo di malviventi, si versa addosso tutto quanto il profumo. Sotto l'effetto del profumo, consumati dal desiderio, i malviventi fanno a pezzi G e lo divorano.»


Criptico? Incomprensibile? Non siete degli intenditori, è evidente! Ma io, che sono bbuono (il più bbuono tra i bloggers), vi darò un indizio...

venerdì 25 luglio 2014

Debito pubblico 4 dummies

Una domanda che continuo a pormi è: come spiegare cos'è il debito pubblico a un piddino? Questi ti stanno a sentire, magari condividono l'idea che il liberismo è capitalismo rapace, ma sotto sotto restano dell'idea che un debito debba essere onorato. E quindi che noi italiani, che abbiamo un alto debito pubblico, siamo "colpevoli". Una passeggiata sugli scogli mi ha suggerito un approccio. Magari funge! Anni di insegnamento negli IPSIA hanno limitato la mia crescita intellettuale, ma l'abilità didattica ne è risultata affinata, facendo di me un princeps subdivulgatorum. Procedemus!

Caro piddinuzzo, hai fatto caso che, in condizioni normali, aumentano sia i prezzi che la quantità di beni e servizi prodotti e scambiati? Ne possiamo dedurre, piddinuzzo bello, che anche la quantità totale di soldini aumenta? Direi di sì.

Ora ti domando: chi li stampa questi bei soldini nuovi? Attento, non prendermi per un signoraggista. Però, signoraggismo o no, una risposta deve esserci: i soldini nuovi ci sono, ergo qualcuno li "crea".

Ebbene, i soldini nuovi li crea la Banca Centrale (BC). La domanda successiva è: la BC decide lei quanti soldini nuovi creare, o esegue gli ordini di qualcuno? Mi sai rispondere piddinuzzo bello? La BC è indipendente, dici? Risposta esatta! Vedo che sei informato.

Dimmi, bel piddino, ti sembra una cosa normale? Quando vai al centro commerciale (o a "piddane" se sei uno sporcaccione) lo decidi tu il prezzo? Riassumendo: la quantità di soldini deve aumentare (non ti spiego perché, ti basti l'osservazione empirica che aumenta), ed è la BC indipendente che decide di quanto.

Ora stai attento: stiamo parlando di creazione di soldini, non di squilibri dell'€uro. Non voglio confonderti con troppi concetti. Parliamo solo di soldini nuovi. Pertanto possiamo considerare uno Stato generico, nel quale però la BC non sia indipendente, ma al contrario stampi soldini nuovi obbedendo alle direttive della politica. Così non ci sono scuse: il governo lo eleggono i cittadini, e dunque sono loro che decidono.

Lo Stato ha bisogno di soldini, e allora che fa? Tu dici: tassa i cittadini. Bravo, tassa i cittadini, ma deve anche stampare, continuamente, soldini nuovi. Ora ti chiedo: perché lo Stato, invece di tassare i cittadini, non utilizza i soldini nuovi che deve per forza stampare, invece di tassare i cittadini? Perché non bastano? Giusto, non bastano. Tassando i cittadini lo Stato li obbliga, seppure in modo indiretto, a finanziare i bisogni collettivi. Tu lavori per 1600 ore l'anno, ma una parte del frutto di queste ore di lavoro ti viene preso dallo Stato per costruire strade, ospedali, etc.

Diciamo allora che le tasse sono una forma di "colletta obbligatoria". Diciamo anche che, proprio per il fatto che vige questa "colletta obbligatoria", lo Stato ti costringe a lavorare. Va bene, ma i soldini nuovi a chi vanno? E guarda che, con il passare del tempo, si tratta d una bella cifretta!

Certo, lo Stato potrebbe prenderseli tutti lui, che poi è quello che dicono i memmettari, ma questo modo di agire avrebbe, sul lungo periodo, delle conseguenze che molti trovano inaccettabili, anche quando lo Stato spendesse proficuamente e con oculatezza i soldini nuovi. L'effetto, detto in soldoni, sarebbe che, per effetto dei soldini nuovi incamerati direttamente dallo Stato, si creerebbe una situazione eccessivamente egualitaria, con una continua riduzione del settore privato e un'espansione crescente di quello pubblico. Insomma, il comunismo!

Ma allora, che si fa? L'idea geniale consiste nel farsi prestare i soldini nuovi dai privati, dandogli in cambio un interesse molto basso, ma tale da non implicare una perdita di valore dei soldi che prestano allo Stato. In altre parole, il tasso di interesse dei titoli di stato deve essere allineato, più o meno, all'inflazione. In tal modo i privati hanno uno strumento per "trasferire al futuro" i propri risparmi, e lo Stato può stampare un po' meno soldini nuovi, evitando così di arrivare al comunismo.

Ma, per far ciò, deve essere lo Stato a decidere il tasso di interesse! Che succede, invece, se il tasso di interesse lo decidono i privati che offrono prestiti allo Stato? Oppure, in altre parole, che succederebbe se il prezzo delle prestazioni delle "piddane" lo decidessi tu? Le poverette farebbero la fame! Esattamente quello che sta succedendo anche a te, caro piddinuzzo! Anzi, piddanella sfruttata bella...

Mi fermo qui, e ti invito ad approfondire. Vai sul sito dell'Associazione Riconquistare la Sovranità (ARS) e leggi attentamente i nostri documenti programmatici. In particolare questo.

giovedì 24 luglio 2014

Goofy ha rotto il cacio

Link correlato: Zingy 4: la vera anomalia (il tradimento)

Un'osservazione: Bagnai è bravo e questo non si discute. Dice anche molte cose condivisibili (e altre meno). Però... che gli hanno fatto i "marxisti dell'Illinois"? Li chiama addirittura "traditori", sottolinea che gli "fanno più schifo perché hanno un cattivo odore e perché dovrebbero stare dalla nostra parte" e scrive:

«(ah, perdonatemi se vi ho imbonito con quelle che i marxisti dell'Illinois, gli altri traditori - quelli che a me fanno più schifo, per inciso, perché hanno un cattivo odore e perché dovrebbero stare dalla nostra parte - chiamano "fumisterie econometriche". Sapete com'è, l'economia son numeri, alla fine, e senza conoscere le tabelline se ne cava poco, non si riesce a vedere dov'è la fregatura, e quindi nemmeno quale sia, e perché sia tale. Credo che invece la maggior parte di voi apprezzi un approccio quantitativo, se non altro perché conferisce alle analisi quella precisione chirurgica essenziale per stabilire in modo attendibile nessi di causa ed effetto...)».

'Sto tipo cita l'autocorrelazione dei residui e pensa che, per il fatto che lui conosce le cose di cui si occupa, e gli altri ovviamente no, questi siano degli imbecilli o dei traditori. Qualcuno dovrebbe ricordare a questo palloncino gonfiato che ci sono più cose tra cielo e terra che nei suoi modellini del cacio.
Tengo a precisare che io non sono un marxista dell'Illinois, ma la boria del palloncino mi ha scassato la minchia. Uno che si permette di chiamare "traditori" i compagni (nonché amici) di Sollevazione - Movimento Popolare di Liberazione merita risposte a muso duro. Si aprano le danze.

martedì 22 luglio 2014

La doppia coppia

Link correlati:
Se ciò che è reale è razionale, allora le riforme di Matteo Renzi devono avere uno scopo. Il quale non può che essere il rafforzamento dell'esecutivo a discapito del Parlamento. Infatti se si opera, per di più di gran fretta, nel senso di un rafforzamento dell'esecutivo nel mezzo della più grave crisi dalla fine della seconda guerra mondiale, ciò non può che significare una sola cosa: che si prevede la necessità, a breve, di prendere decisioni gravi e straordinarie.

Il compito di Renzi è dunque quello di predisporre il quadro costituzionale e politico all'interno del quale sarà possibile far passare tali gravi decisioni. Queste ultime vengono già ora (anzi da tempo) dibattute in ambiti ristretti e lontani dalla grancassa mediatica. Ciò non significa che il dibattito sia "segreto", dal momento che di tale segretezza non v'è alcun bisogno, stante il grado di intontimento di un'opinione pubblica rintronata da decenni di ridicole trasmissioni di approfondimento politico. Per non parlare di certi "editorialisti", che non dovrebbero scrivere nemmeno su un giornalino di quartiere...

Solo una minoranza degli italiani segue il dibattito, e solo una parte di questa è in grado di coglierne le implicazioni. La polemica tra la doppia coppia Alesina&Giavazzi (A&G) e Frattiani&Savona (F&S) ben rappresenta le due opzioni discusse all'interno del mainstream economico finanziario. Da un lato ci sono coloro (A&G) che chiedono di proseguire sulla strada del rigore di bilancio, fatta di avanzi primari da mantenere per decenni, tagli ulteriori alla spesa pubblica e dismissioni massicce di assets pubblici. Sul versante opposto, F&S prospettano l'inevitabilità di un intervento sullo stock di debito pubblico, da effettuarsi attraverso un allungamento delle scadenze tali da ridurne il rendimento reale (differenza tra rendimento nominale e inflazione). Il confronto è riconducibile alla contrapposizione tra quanti chiedono di proseguire sulla rotta di un'Europa ultraliberista (A&G), e coloro i quali, pur restando nei limiti di un'impostazione liberale, hanno preso atto della contraddizione insita nei comportamenti non cooperativi dei paesi in surplus, Germania in testa.

I due link correlati rimandano all'ultimo scambio di colpi della doppia coppia. L'articolo di A&G ha il merito di svelare l'aspetto che maggiormente preoccupa i salotti buoni del capitalismo italiano, che non è quello di una transitoria sfiducia dei mercati finanziari a seguito di un parziale default sui titoli di stato, quanto la sua inevitabile conseguenza: la nazionalizzazione del sistema bancario. Una prospettiva, questa, enormemente temuta, giacché non vi sarebbe alcuna certezza sui tempi di una sua successiva riprivatizzazione. La terapia proposta da A&G, tuttavia, non sembra corroborata da alcuna argomentazione razionale, limitandosi a chiedere l'ennesima spallata sull'Isonzo, e si conclude con una frase che è, al contempo, una confessione e una conferma dell'assunto iniziale di questo post: "Insomma, siamo ad un bivio. I compromessi gradualisti non bastano più. Per farcela da soli ci vuole un po' di coraggio. Ma i partiti tradizionali sono disposti a farlo?". Cos'altro è mai questa, non è l'invocazione di un governo dittatoriale?

Le argomentazioni della coppia F&S sono più razionali e concretamente ancorate alla realtà dei fatti. Serve la crescita, certo, ma questa è possibile solo liberando risorse, e dunque riducendo gli interessi sul debito attraverso una sua parziale ristrutturazione. Operazione praticabile grazie all'avanzo strutturale del bilancio dello Stato italiano che ci metterebbe al riparo dall'iniziale, e presumibilmente rabbiosa, reazione dei mercati privati internazionali. Nell'articolo della coppia F&S c'è qualcos'altro, oltre all'ovvia e implicita conseguenza di nazionalizzare, almeno temporaneamente, il sistema bancario, ed è la convinzione dell'inevitabile implosione della zona euro, che potrebbe addirittura avvenire prima che l'Italia sia costretta, dalla testa dura dei fatti, ad abbandonarla.

domenica 20 luglio 2014

Riflessioni personali di mezza estate

Poiché questo è un blog, e non un sito di informazione, mi sento libero di scriverci quello che mi pare, anche le mie personali riflessioni. Magari sarò banale, dirò cose risapute, tirerò conclusioni ovvie, ma che importa? A volte si scrive più per se stessi che per gli altri.

E' sera. Dalla finestra giunge l'eco di una festa di paese, una di quelle occasioni in cui si incontrano tutti alle quali normalmente non manco di partecipare. Oggi no. Oggi non ho voglia di uscire per incontrare tante persone che hanno un'idea di come vanno le cose ormai totalmente diversa dalla mia; non ho voglia di fare la fatica di ascoltarli, di cercare di fargli intendere un briciolo di quello che oggi penso della situazione. Resto a casa e scrivo. Per me.

La domanda che mi pongo, dalla quale voglio partire per sviluppare questa riflessione, è: perché quasi tutta la nostra classe politica vuole ad ogni costo salvare l'€uro e l'Unione Europea? Quali interessi è costretta a tutelare la classe politica che sta dando vita alle larghe intese, così larghe da valere la salvezza di Berlusconi? Perché non possiamo uscire dall'€uro e denunziare i trattati?

Io penso che ciò accada perché il grande capitale italiano è sotto ricatto. Penso, cioè, che se appena l'Italia tentasse di fare un passo verso l'uscita alcune grandi banche salterebbero in aria, e con esse i patrimoni di quello che, ai tempi di Cuccia, si chiamava il salotto buono della finanza italiana. Penso, in definitiva, che la classe politica italiana non abbia alcuna reale autonomia rispetto ai suddetti grandi interessi patrimoniali, e ciò principalmente perché sono scomparsi i partiti di massa.

Se questo è vero, allora l'unica strada percorribile è quella di farli rinascere. Impresa non facile, poiché gli attuali maggiordomi del salotto buono si stanno impegnando in sommo grado al fine di renderla ancor più aspra e difficoltosa. La riforma costituzionale che prevede un senato non elettivo, con poteri non ancora chiari ma, temo, tali da garantire una seconda linea di difesa nella malaugurata ipotesi di uno sconvolgimento degli equilibri elettorali; addirittura la possibilità che alla camera dei deputati rimangano le liste bloccate; le soglie di sbarramento che potrebbero aggirarsi intorno all'8%; magari l'imposizione per legge di scegliere una quota delle candidature attraverso primarie aperte, limitando così l'autonomia decisionale di nuovi partiti di opposizione, ebbene tutto ciò ha, per me, il sapore di una manovra preventiva in vista della possibilità che la crisi produca un'eruzione dal basso capace di aprire la porta alla rinascita dei partiti di massa. Tutto ma non questo, è quello che io leggo nelle "riforme" di Matteo Renzi!

Se leggiamo in questa prospettiva il dibattito sulle liste bloccate, ricordando altresì l'ipotesi ventilata da Matteo Renzi di imporre le primarie per legge, appare chiaro qual è il dilemma davanti al quale si trovano i maggiordomi delle larghe intese. Le liste bloccate garantiscono sì la scelta puntuale degli eletti in parlamento, ma hanno la controindicazione di permettere ai nuovi partiti di opposizione di scegliere, come propri candidati, i militanti più appassionati e, per ciò, meno gestibili una volta eletti. Di converso, imporre la scelta di una quota delle candidature attraverso le primarie aperte, pur indebolendo il controllo delle élites sui partiti esistenti potrebbe avere effetti devastanti per i nuovi partiti di opposizione.

Il grande terrore dei maggiordomi politici, schierati a difesa degli interessi patrimoniali privati che hanno ucciso la democrazia, è la rinascita dei partiti di massa; vale a dire partiti nei quali la selezione delle candidature proceda dal basso attraverso la partecipazione di migliaia e migliaia di militanti che, uniti da vincoli etici e comunitari, ne animano le sezioni. Ed è anche il terrore dei loro padroni.

Nel frattempo le grandi speranze che aveva suscitato il M5S si stanno spegnendo miseramente. Non solo il M5S si sta confermando come portatore di una visione anti statalista (e questa non è una novità), ma sempre più appare chiaro come il potere reale della sua base, nel determinarne la linea, sia del tutto marginale.

In questa notte della democrazia, mentre venti di guerra spirano sempre più intensamente nell'Europa "pacificata" dall'€uro, l'unica speranza contro la barbarie, inevitabile conseguenza della difesa ad oltranza degli interessi dei grandi capitali privati, è il ritorno del maggior numero possibile di uomini e donne alla militanza politica.

Ci libereremo!