sabato 22 agosto 2015

[PopulPost] L'impossibile quadratura del cerchio

Ovvero l'incompatibilità fra la libertà di circolazione dei capitali, l'autonomia della politica monetaria e la stabilità dei tassi di cambio.

Se l'Italia uscisse dall'euro potrebbe svalutare e recuperare competitività. Questo è quanto è entrato nella testa di un certo numero di persone, ed è corretto, ma non è tutta la storia. Tra l'altro ci sono anche quelli che sostengono che, in caso di uscita, la nuova lira potrebbe addirittura rivalutarsi: sono los memmetaros, per i quali l'applicazione della medicina miracolosa C&P (Click&Pay) darebbe un tale slancio alla nostra ripresa che... eccetera eccetera.

Naturalmente io non sono un economista, dunque non dovrei parlare di queste cose. Francamente me ne infischio.

L'uscita dall'euro comporterebbe, svalutazioni a parte, il recupero di una preziosa leva di controllo: la politica monetaria. Questa consiste sostanzialmente di due strumenti:

  1. la possibilità di stabilire il prime rate, il tasso privilegiato di interesse che le banche praticano nei prestiti ai loro clienti più solidi e per depositi di una certa entità. Questo parametro viene determinato dalla Banca Centrale che, a sua volta, presta alle banche private. 
  2. la possibilità per lo Stato di spendere a deficit. Cioè, in definitiva, di emettere moneta con la certezza che questa venga spesa.

Quando il prime rate viene alzato il costo del denaro cresce, con la conseguenza di raffreddare l'economia. Quando scende... non è detto che l'economia riparta: forse sì, forse no. In questo secondo caso l'esito dipende dalle scelte degli investitori i quali possono anche decidere, in base alle loro valutazioni, che un tasso di interesse più basso non basta a indurli a correre rischi imprenditoriali. Pertanto la politica monetaria viene spesso descritta come una corda, tirando la quale (alzando il prime rate) si può "strozzare" la crescita economica, mentre spingendola non succede niente, a meno che gli investitori non si diano una mossa.

Diversamente dalla determinazione del prime rate, la spesa a deficit dello Stato non soffre della seconda limitazione (pur conservando la capacità di raffreddare l'economia, quando questa si surriscalda, riducendo il deficit) perché la moneta "emessa" dallo Stato viene spesa con certezza.

Ora immaginiamo di uscire dall'euro, dunque di riappropriarci della leva monetaria, e domandiamoci: possiamo avere anche un cambio della nuova lira stabile mantenendo la libertà di circolazione dei capitali? La risposta è no! Proviamo a capire perché, non è difficile. I casi sono due: o l'economia è in un ciclo espansivo, oppure è in una fase recessiva. Tertium non datur perché l'economia altro non è che la contabilizzazione delle attività umane nella sfera della vita economica, e la vita non è una linea piatta.

Se siamo in una fase espansiva, ciò vuol dire che c'è molta richiesta di lavoro per cui i salari tendono a crescere e, con essi, i prezzi, cioè l'inflazione. Se i prezzi aumentano troppo rapidamente le merci esportate diventano troppo costose, dunque si deve intervenire. Per non dire del fatto che, con i soldi in tasca, la gente compra di più aumentando le importazioni e la bilancia commerciale va in passivo. La conseguenza sarebbe una svalutazione della nuova lira, meno domandata all'estero perché esportiamo poco e molto offerta perché spendiamo troppo. E' chiaro che, a un certo punto, si deve fare qualcosa, perché l'inflazione ci mette poco a trasformarsi da benefico incentivo per gli investitori a non tenere i soldi a riposo, in un meccanismo infernale che si autoalimenta. In queste condizioni, se voi aveste un gruzzoletto in nuove lire, non sareste tentati dall'idea di cambiarli in nuovi marchi per preservarne il valore? Certo che sì, anche perché, in regime di libera circolazione dei capitali potete farlo legalmente.

Una soluzione è un intervento della BC che, alzando il prime rate, raffreddi l'economia. Le aziende chiudono, i lavoratori si disciplinano un po', si spende di meno per cui la bilancia commerciale si raddrizza e i capitali smettono di fuggire, anzi magari affluiscono dall'estero. Certo, il prezzo da pagare è la disoccupazione, ma dovete scegliere: volete il cambio stabile (cioè poca inflazione, non deprezzamento della nuova lira) o la libera circolazione dei capitali? Gesù o Barabba?

Lo stesso risultato, cioè "raffreddare" l'economia, può essere perseguito anche riducendo la spesa dello Stato, cioè diminuendo il deficit, ma ci sono alcuni problemi. Primo, i governi rispondono agli elettori, i quali non sono contenti di guadagnare di meno; secondo, non è facile tagliare il deficit perché la spesa statale ha una notevole inerzia. Sindacati a parte, la spesa statale, per essere davvero efficace, deve essere orientata verso investimenti infrastrutturali di lunga durata che non possono essere frenati per gestire una fase congiunturale, e inoltre presenta il non trascurabile effetto secondario di sottrarre interi grandi mercati all'iniziativa privata (istruzione, trasporti, energia, telecomunicazioni...). Non è un caso che "La Repubblica", il giornale di piddinia, da decenni scriva contro gli sprechi dello Stato...

Guardate che la situazione opposta non è simmetrica. Immaginate che si sia in una fase recessiva del ciclo. La BC può rispondere abbassando il prime rate, così da invogliare gli investitori a lanciarsi, ma ci sono due problemi: per quanto detto prima, non è detto che questi rispondano con il dovuto entusiasmo, e inoltre i capitali esteri, vedendo che i tassi di interesse scendono, se ne vanno via nel tempo di un click. In sintesi:

L’autonomia della politica monetaria e la stabilità dei tassi di cambio necessitano di limitazioni alla libertà di movimento dei capitali.

Questa, cioè un regime che limitava la libertà di circolazione dei capitali, era la situazione prima del nostro ingresso nello SME. L'Italia poteva condurre una sua autonoma politica monetaria e mantenere sufficientemente stabile il cambio (si era nell'era dei cambi fissi) proprio perché Barabba, scusate i capitali, erano vincolati. Se non ci credete leggetevi questo:

REPRIMERE LA RENDITA FINANZIARIA E INSTAURARE UN SISTEMA FINANZIARIO NAZIONALE (ARS)

Con l'ingresso nello SME si adottò una linea di politica economica che preservava il controllo della leva monetaria (determinazione del prime rate) essendo ancora in regime di parziale, seppur progressivamente allentato, vincolo alla libera circolazione dei capitali. Permaneva però la possibilità per lo Stato di fare deficit, cioè emettere moneta in surroga al sistema bancario privato. Il risultato, come sappiamo, fu una successione di svalutazioni del cambio, culminate in quella del 1992 quando dovemmo uscire dallo SME svalutando del 28% nel giro di pochi mesi. Altro effetto collaterale: l'esplosione del debito pubblico, che passò dal 59% del 1981 al 123% nel 1993. In sintesi:

La libertà di movimento dei capitali e l’autonomia della politica monetaria implicano la rinuncia alla stabilità dei tassi di cambio.

Siccome ci era andata bene (applausi di gente intorno a me, applausi tu sola non ci sei...) la "nuova" classe dirigente, dopo essersi sbarazzata dei politici della prima Repubblica, pensò bene di tentare la terza combinazione: vuoi vedere che, se rinunciamo all'autonomia della politica monetaria (cioè diamo alla BCE il compito di farlo per noi) e soprattutto togliamo allo Stato il potere di fare spesa a deficit, possiamo tenerci anche la libertà di movimento dei capitali e il cambio fisso che più fisso non si può, cioè l'euro?



Come potete vedere siamo stati addirittura più bravi della Germania. Peccato che l'euro abbia avuto due effetti opposti, seppur traslati in scala temporale:
  1. nella prima fase ha surriscaldato l'economia
  2. alla prima congiuntura, l'ha portata nella più grande recessione del secolo
Questo perché:

La libertà di movimento dei capitali e la stabilità dei tassi di cambio necessitano di restrizioni alla politica monetaria.

Il che implica che, se siete disoccupati, vi attaccate perché la politica espansiva della BCE non ha effetto (vi ricordo che la leva monetaria è una corda: non si può spingere), e lo Stato (che per altro non esiste, altro che Stati Uniti d'Europa!) non solo non può spendere a deficit (pareggio di bilancio in Costituzione), ma addirittura, con il fiscal compact, è chiamato nei prossimi due decenni a mantenere avanzi primari da record.

Brevi considerazioni finali


Io non sono un economista.

EcceZZZiunalmente per questo post, ma solo per questo post, sono ammessi i commenti degli anonimi (anche Yanez può farlo), con l'unico vincolo (rigorosamente interno) che chi offende (non me, ma gli altri commentatori) non sarà pubblicato.

Infine...

ce lo vogliamo mettere in testa che il problema è politico, solo politico, esclusivamente politico? Lo vogliamo capire che non ci sono ricette economiche miracolose per uscire dal disastro dell'euro e dell'Unione Europea, ma serve un radicale cambiamento degli equilibri politici, il che implica la necessità di riorganizzare dal basso, e partendo praticamente da zero, la rappresentanza politica delle classi sociali che hanno subito, senza ribellarsi, l'avvento dell'era della libera circolazione dei capitali?

L'unica combinazione che conviene, alle suddette classi sociali, è questa: autonomia della leva monetaria, stabilità del cambio, e dunque limitazioni alla libertà di circolazione dei capitali.

Insomma: il liberismo è contrario agli interessi dei lavoratori. La politica opposta al liberismo è il sovranismo (ovviamente non quello farlocco di Salvini).

Se sbalio mi corigerete. Tanto io non sono un economista...

Il conflitto è endogeno, la lotta di classe esiste e l'interclassismo è una boiata pazzesca.

28 commenti:

  1. Secondo me, tu sottovaluti il fattore esogeno all'euro che sta a fondamento della crisi.
    Quando dici "alla prima congiuntura, l'ha portata nella più grande recessione del secolo", usi il termine contingenza impropriamente. Altro che contingenza, nel 2007 è venuto al pettine la scelta di rilevanza storica che è stata fatta a partire dalla fine degli anni settanta, di surrogare la crescita economica incrementando oltre ogni limite di decenza gli strumenti finanziari.
    Questo è il punto su cui, uno come me, pure profondamente convinto dell'importanza di abbandonare l'incubo dell'euro, si trova in profondo disaccordo con gli antieuristi doc come te.
    Il dissenso, che è tutt'altro che di natura puramente teorica, sta nel pesare i contributi alla recessione della crisi finanziaria e dell'adesione all'euro.
    Quando tu guardi alla crisi finanziaria come a un elemento contingente che ha scatenato una recessione spaventosa, dai mi pare una visione ottimistica della crisi, come un episodio come molti altri che si risolverà rapidamente con l'uscita dall'euro e la possibilità dello stato di usare lo strumento monetario ed il deficit di bilancio.
    Nello stesso tempo, secondo me, sottovaluti direi tragicamente la natura strutturale della crisi mondiale e specificamente degli USA, avvalorando la opinione mainstream che gli USA stanno bene, e sono fuori dalla crisi.

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    1. Vincenzo, avanzo l'ipotesi che tu non abbia letto con sufficiente attenzione il post, o forse lo hai fatto con qualche pregiudizio dettato dal fatto che, effettivamente, ancora nel 2011 e nella prima parte del 2012, sostenni la tesi semplicistica per cui bastava uscire dall'euro. Da allora è passato un po' di tempo. Infatti esordisco nel post scrivendo:

      "Se l'Italia uscisse dall'euro potrebbe svalutare e recuperare competitività. Questo è quanto è entrato nella testa di un certo numero di persone, ed è corretto, ma non è tutta la storia."

      Dunque affermo che "non è tutta la storia".

      Infine concludo il post affermando:

      "Insomma: il liberismo è contrario agli interessi dei lavoratori. La politica opposta al liberismo è il sovranismo (ovviamente non quello farlocco di Salvini)."

      In definitiva, nel post sostengo che l'unica combinazione che convenga al mondo del lavoro è "autonomia della leva monetaria, stabilità del cambio, e dunque limitazioni alla libertà di circolazione dei capitali."

      E' del tutto evidente che, senza libertà di circolazione dei capitali, almeno l'Italia sarebbe fuori dal capitalismo casinò. So what?

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  2. Io invece guardo alla montagna di titoli bancari che stanno ancora in giro, a cui nel frattempo si sono sommate le emissioni robuste di moneta con i vari QE e che qualificano la situazione mondiale come analoga al pre-2007, se non peggiore, ponendo il problema non del possibile scoppio di una nuova bolla finanziaria, ma del momento in cui ciò avverrà come un evento in sè inevitabile.
    Mi pare insomma che il vostro essere keynesiani vi costringa ad ignorare che proprio i classici strumenti escogitati da Keynes nella situazione data non sono utilizzabili, perchè gli effetti di un ulteriore aumento della liquidità nella condizione data, non potrebbe che indurre i detentori di ricchezza finanziaria a libersarsene al più presto inducendo un big bang inflazionistico come non ne abbiamo mai visto.
    Per tentatre di descrivere la situazione per certi versi paradossale in cui ci troviamo, io ho usato la metafora di un treno che è troppo pesante per una sola locomotiva che lo tira lungo una salita, per cui col QE si decide di aggiungere un'altra locomotiva in coda che lo spinga, ma con l'inconveniente che il macchinista di questa seconda locomotiva non vede nulla di ciò che avviene in testa.
    Ad un certo punto, finirà la salita ed inizierà la discesa, e se la seconda locomotiva non smette a questo punto di spingere, il treno a quel punto deraglierà per l'eccesso di forze a cui si sarà sommata la forza di gravità che prima operava contro il movimento.
    La soluzione invero sarbebe quella di alleggerire il treno piuttosto che continuare ad aggiungere potenza, o togliendo vagoni o alleggerrendo gli stessi vagoni.
    Insomma, fuori di metafora, questa cartaccia finanziaria andrebbe semplicemente bruciata certificandone l'obiettivo suo essere priva di valore reale, cioè gli stati avrebbero dovuto far fallire le banche, piuttosto che distruggere le economie con l'unico scopo di salvarle. Non dico che far fallire il sistema bancario globale sia una passeggiata indolore, dico che è un fatto obiettivamente inevitabile e che pertanto prima si fa, e meglio è.
    A mio modo di vedere quindi, visto che i padroni della giostra non hanno alcuna intenzuione di fermare la giostra infernale che hanno messo in moto, l'unica soluzione ragionevole, è scendere dalla giostra, e cioè uscire dal circolo impazzito della finanza globale, rivendicando la propria sovranità, incluso il controllo rigoroso delle frontiere, sia verso i movimenti di capitale, che di merci, che infine anche di persone. Ricordo a tutti che controllare non significa chiudere, spero che tutti sappiano cosa significhi controllare in italiano. Senza tale controllo, la sovranità semplicemente non esiste. Punto.
    (continua dal commento precedente).
    Se l'uscita dall'euro è quindi un primo passaggio verso il riacqusito della sovranità non solo monetaria,ben venga, se invece pensiamo che tolto l'incidente dell'euro, tutto andrà bene madama la marchesa, allora il mio dissenso è totale. Per questo, sono convinto che nel campo no-euro si debba dibattere sin da adesso e senza reticenze, prima di scoprire di avere militato accanto al tuo avversario più feroce.

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    1. Credo di aver già risposto col mio commento precedente. In sintesi, temo che tu mi abbia preso per ciò che non sono, per qualche pregiudizio che si è formato nella tua memoria. Una più attenta lettura del post sarebbe bastata a smontarlo. Ti ricordo, altresì, che pur essendo uscito dall'ARS, resto un sovranista convinto e un sostenitore di quella come di altre iniziative sovraniste, e che combatto i falsoni che cercano di appropriarsi di questa etichetta stravolgendone il significato. Tra questi ci metto, senza ombra di dubbio, la Lega Nord e una parte consistente del M5S (quella che ne detiene il controllo). Quanto a los memmetaros, ho la sensazione che dopo l'iniziale ubriacatura economicistica, stiano gradualmente maturando politicamente, come è avvenuto anche a me e a tanti altri negli ultimi anni. Nessuno nasce "imparato".

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    2. Caro Fiorenzo, innazitutto ti volevo confermare che io intervengo sul tuo blog perchè sento che concordiamo in tante cose, e quando sollevo una critica, lo faccio perchè credo che sia molto più importante parlare di ciò che ci divide che non di ciò che ci unisce.
      Io citavo esplicitamente una tua frase per sottolineare una caratteristica comune agli antieuristi, quella di centrare l'attenzione sull'euro, piuttosto che sulla crisi finanziaria del 2007/2008. Tu non rispondi su questo punto, così devo credere che su questo punto ti ho convinto.
      Più avanti, parli di controllo dei movimenti dei capitali, e così taci sul controllo delle merci e delle persone, cosa che, perdonami, mi sembra un atteggiamento alquanto reticente.
      Infine, la cosa più importante, non dici nulla sulla possibilità di affidarsi a misure di tipo keynesiani, che io invece dicevo di considerare improponibili.
      Il punto dirimente non è insomma euro sì o euro no, ma se sia ancora possibile affidarsi ad un'economia di mercato, o se ammettiamo che l'economia va pianificata come credo io.
      Se si crede all'economia di mercato, si chiede allo stato solo di influenzare il mercato perchè questo reagisca nel modo desiderato, ma alla fine bisogna affidarsi ad esso, sperando che le misure macroeconomiche sortiscano l'effetto sperato.
      In un'economia pianificata invece, lo stato ha il pieno controllo di tutte le variabili e può sicuramente ottenere ciò che vuole ottenere, invece che limitarsi a sperarlo.
      Io sono anticapitalista, ma mantengo un atteggiamento aperto, almeno così mi sforzo di fare e penso anche di riuscirci per capire coloro che pure così critici rispetto alla direzione che il capitalismo ha assunto, continuano a credere che comunque il mercato sia la soluzione, ma ancora non vedo alcuna argomentazione reale, quanto piuttosto un atteggiamento preconcetto, simile per certi versi all'atteggiamento di coloro che appoggiano acriticamente l'euro, sosteneendo che fuori da esso ci sia il disastro.
      Vedo che non è facile indurre un simile dibattito sul web. C'ho provato su vari blog, ma ho dovuto rinunciarvi, ad esempio su Goofynomics, perchè è evidente che la maggior parte delle persone non ha un reale interesse a dialogare e cioè a mettere in dubbio le proprie convinzioni, cerca al contrario la facile conferma a ciò che già crede.
      Da queste nostre prime frequentazioni, mi sembra che tu abbia una mentalità più aperta, ma se le mie opinioni ti appaiono troppo lontane dalle tue, mi adeguerò.

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    3. @Vincenzo che scrive: "Io citavo esplicitamente una tua frase per sottolineare una caratteristica comune agli antieuristi, quella di centrare l'attenzione sull'euro, piuttosto che sulla crisi finanziaria del 2007/2008."

      Vedi caro, noi non possiamo decidere come deve andare il mondo, al massimo possiamo farlo a casa nostra. Ragion per cui se gli americani, i giapponesi, gli inglesi e via dicendo finanziarizzano le loro economie non c'è altro da fare che prenderne atto, e difendersi. Cioè sganciarsi da quel modo di essere. Pertanto le crisi di origine esogena ci saranno sempre, a meno che l'Italia non diventi Lei la potenza imperialista dominante e imponga Lei le sue regole. Ne segue che è giusto osservare che la costruzione dell'euro è così fragile che alla prima crisi esogena, appena nove anni la sua adozione, è andato in tilt.

      Ciò detto, ti faccio osservare che chi mi "ha convinto" non sei tu, bensì Moreno Pasquinelli e Stefano D'Andrea, con entrambi i quali ho da anni ottimi e proficui rapporti (seppure talvolta lievemente polemici... ma siamo sempre grandissimi amici). E' ad essi che va il mio debito di riconoscenza intellettuale.

      Infine un paio di note.

      1) Le misure keynesiane di cui parli, cioè controllo della leva monetaria, gestione del cambio e controllo dei movimenti di capitale, sono strumenti standard che anche uno Stato completamente e totalmente collettivizzato deve prendere in carico, a meno di chiuderso completamente al mondo esterno. Domanda: è questo quello che auspichi, la totale chiusura dell'Italia al mondo esterno (che comunque continuerebbe a fare i cazzi suoi) per costruire qui da noi un comunismo in stato d'assedio?

      2) parli di controllo dei movimenti di merci e persone. Sul controllo dei movimenti di merci, pensavo che il riferimento al documento sulla repressione finanziaria, che parla anche di ciò, fosse sufficiente. Ovvio che si debbano reintrodurre politiche daziarie, da gestire attraverso accordi bilaterali e non attraverso l'adesione a organizzazioni internazionali (tipo il WTO o, peggio, il TTIP) alle quali si devolve questo importantissimo aspetto della sovranità. Per quanto riguarda il controllo dei movimenti di persone, ebbene in questo sono d'accordo con Emiliano Brancaccio il quale ricorda che si tratta principalmente di un problema subordinato al controllo dei movimenti di capitali. Sfugge a questo schema il problema dei movimenti di persone causati da guerre e conflitti scatenati dalle potenze imperialiste. Per quanto attiene a questo aspetto del problema, cioè i profughi che fuggono da guerre, carestie e quant'altro, io (come credo nessuno) ho una risposta soddisfacente. Se ce l'hai tu, ti prego di darmene contezza.

      3) ti ricordo che io non sono comunista, nel senso che credo che l'iniziativa privata sia un bisogno insopprimibile dell'essere umano. Sono invece sovranista, perché penso che a nessun privato, o gruppo di privati, debba mai (mai mai mai mai mai mai) essere consentito di diventare così grande e potente da sovrastare lo Stato. Per me l'iniziativa privata, necessaria e irrinunciabile, deve essere un cavallo aggiogato al volere dello Stato democratico.

      Credo di aver detto il grosso delle mie convinzioni. Valuta tu se continuare a dialogare o se sono troppo poco "comunista". Vale sempre l'immortale enunciato di Rhett Butler...;-)

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  3. Interessantissimo dibattito il vostro, mi ha fatto pensare, e tra le mille considerazioni, che vi risparmio, che mi sono venute in mente una mi ha lasciato inorridito, o meglio un dubbio, se cioè una volta recuperata la sovranità noi andremo ad assomigliare di più ad una Corea del Sud o piuttosto ad una Corea del Nord?

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    1. In Corea del nord c'è un evidente potere dinastico. La Corea del sud è un paese che, almeno la sua politica monetaria in senso stretto (prime rate), la può determinare. Di più non so dirti, se non che l'Italia non è la Corea, né del nord né del sud.

      Cioè no, una cosa posso dirla: nel 1966 la Corea (non ricordo se del nord o del sud) ci buttò fuori dal mondiale. L'evento fu vissuto qui da noi come una vergogna nazionale.

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  4. Dici che non sei un economista , ma ne sai una piu' del diavolo , vabbè , con le
    frequentazioni che hai , le piu' acute menti economiche italiane...., quello che non
    riesco a capire e' quando tu insisti nell'affermare che bisogna riorganizzarsi dal basso ,
    partire dal basso . Per mia esperienza quotidiana è proprio nel basso dove si annida
    il consumismo maggiore , consumismo inteso come gratificazione della propria esistenza
    e non come soddisfazione dei bisogni primari . Infatti non facciamo il mutuo solo per
    comprarsi la casa , ma anche per cambiarsi l'auto , per farsi un viaggio , per comprarsi lo
    smartphone....Voglio dire che mi sembra che le menti del basso oggi siano piu' occupate
    a pensare a quello che compreranno domani ,che a conquistare il sovranismo ,che per me
    rimane un ideale dell'alto , emancipato e acculturato .
    PS , certo che nel basso ci sono anche le menti che pensano a cosa metteranno in tavola domani ,ma la classe media, che sta bene ,in Italia è ancora numerosa !

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  5. faccio un intervento molto più terra terra....dal confronto fra gli andamenti del surplus primario bisogna dare però atto a chi dice che l'Italia PRIMA di tutte è stato il vero Paese che ha fatto del mercantilismo la propria bandiera per primo.

    guardate là che surplus: più alto di quello tedesco attuale appena dopo l'uscita dallo SME....che come sappiamo bene noi, e come non ammette Bagnai, fu gestita precisamente SVALUTANDO IL LAVORO.

    e tocca dire che i nostri imprenditori avevano smesso di fare investimenti seri già da anni eh?

    poi il resto della storia lo diamo scontato...cioè la sottomissione ai voleri europei ecc... però cavolo vista da fuori si direbbe che la Germania abbia reagito allo slancio mercantilistico italiano e NON IL CONTRARIO.

    poi ha reagito in grande stile....come tipico dei tedeschi...restituendo tutto con gli interessi...va detto.

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    1. Scusa Luca, intanto lasciami ricordare che il saldo primario è la differenza tra entrate e uscite statali al netto degli interessi sul debito pregresso, e quindi chiarire la relazione tra ciò e il mercantilismo: un saldo primario positivo ha, come conseguenza, la sottrazione di risorse monetarie al mercato interno, il che genera disoccupazione e tendenza alla moderazione salariale. Pertanto la tua osservazione è molto centrata.

      Occorre aggiungere che il solo modo per rendere l'euro sostenibile, in assenza di trasferimenti fiscali netti, era che ai saldi primari positivi dei paesi meno competitivi corrispondessero saldi negativi da parte di quelli più competitivi. Ciò non è avvenuto e anzi la Germania dal 2003 ha iniziato a praticare forti e crescenti saldi primari. Il grafico che ti ho linkato è la pistola fumante che dimostra, senza ombra di dubbio, che l'euro è fondato sulla concorrenza tra i paesi che lo hanno adottato, e non sulla cooperazione.

      Notiamo anche che la Francia, oltre ad aver esagerato meno di noi con i suoi saldi primari, dopo lo scoppio della crisi ha fatto dei bei deficit, forse nella speranza di indurre la Germania a fare altrettanto. Anche questo non è avvenuto. L'Inghilterra ha fatto grandi deficit, dopo un iniziale tentativo di imitare la Germania.

      Cosa mi fa venire in mente questa situazione? A me che siamo nuovamente alla contrapposizione della fine degli anni trenta: anche allora voltammo le spalle a Francia e Inghilterra per allearci con la Germania. Come se ne esce? Come dice quel simpaticone di Illo: dipende dalle scelte degli USA.

      Nel frattempo la gente schiatta.

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    2. purtroppo allora direi che dobbiamo tifare repubblicano...magari proprio donald trump ahah.... perchè i democratici ci han già fatto capire cosa vogliono: UE ed eurozona DEVONO DURARE AD OGNI COSTO.

      il grafico che hai linkato è molto interessante: il capitalismo alla francese sembrerebbe proprio il più equilibrato.

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    1. Clack, ti ho pubblicato ma francamente non ci ho capito una mazza. Forse sono ubriaco... o forse te sei fatto 'na canna. Oppure il contrario, chissà... ma non diciamolo ai miei studenti.

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    2. Clack , ti rispondo io , perché Fiorenzo ogni tanto si incazza , ma è un ragazzo
      dal cuore d'oro . La storia insegna " Historia magistra vitae " : la Francia nel '81
      con Mitterand fece una politica espansiva e benefici finirono tutti in Germania
      che esportava a Parigi .Lo stesso è capitato piu' recentemente col Giappone in cui
      la politica espansiva ha avuto successo per poco tempo perché poi sono aumentate
      le importazioni : cioè le importazioni sono sempre determinanti nell'economia
      di una nazione e aumentano se aumenta il potere d'acquisto dei suoi cittadini .

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  8. Grazie Fabio, elimino il commento precedente e provo a spiegarmi meglio.
    Fiorenzo dice, mi sembra riprendendo il discorso di Illo, che in condizioni di uscita da eurozona vi sarebbe una ripresa. E la gente, con più soldi in tasca, ricomincerebbe a spendere. Siccome la spesa maggiore favorirebbe le importazioni, in breve si avranno problemi di bilancia di pagamenti.
    Ma siccome ancora non siamo un paese totalmente dipendente dalle importazioni per il fabbisogno del mercato interno, ne deriva che le importazioni andranno a coprire solo una frazione dell'aumento della richiesta di beni e servizi conseguente alla rinnovata voglia di spendere della popolazione.
    Quanto vale detta frazione? La misura in cui l'industria nazionale non riesce a soddisfare la percentuale di cui è aumentata la domanda di beni del mercato interno, che a sua volta è una frazione dell'aumento di beni+servizi richiesti a seguito della ripresa.
    Allora, quanto più riusciamo a preservare un sistema industriale efficiente e in grado di rispondere alle richieste del mercato, tanto più bassa sarà quella frazione della frazione.
    Che comunque ha un costo ed è quello che genera i problemi di bilancia di pagamenti.
    Ma qui c'è un ma. Illo nel corso del tempo ci ha fatto una capa tanta smentendo i teorici del terrorismo da benzina a 20 mila lire al litro nel caso di uscita dall'euro, dato che il costo della materia prima incide per una frazione del costo alla pompa.
    Nella mia ignoranza di fondo, allora, devo ritenere che se questo vale per la benzina deve valere anche per tutto il resto.
    Ne consegue che il problema non assomma al valore al dettaglio delle merci importate in più, come si potrebbe credere facendo il discorso benza a 20 mila, ma al costo di quelle merci alla fonte + il trasporto, se ci si affida a un vettore straniero, cosa che non è scontata.
    Dunque, tutto il problema finisce con l'essere costituito da una frazione della frazione della frazione del monte complessivo determinato dall'aumento di domanda interna a seguito di ripresa post uscita.
    Ma se questo secondo Bagnai non rappresenta un problema per i combustibili per i quali siamo largamente dipendenti dall'estero, perché dovrebbe rappresentarlo per i beni importati in conseguenza della ripresa?
    La svalutazione della neolira conseguente all'uscita dall'euro, anzi, e qui rispondo all'obiezione dell'amico Fabio dato che essa rappresenta il quid in più dii cui Francia e Giappone non hanno potuto godere, renderà via via più elevato il prezzo delle merci d'importazione, spingendo il pubblico verso quelle nostrane. E poi avremo pure delle esportazioni che andranno in qualche misura a compensazione. Senza contare che le merci importate saranno vendute con un margine di ricarico e una percentuale di tassazione, che vanno sempre a favore della circolazione interna della moneta e dell'introito dello stato, quindi a sostegno del nostro sistema economico, sia pure in misura minore del prodotto autarchico.
    Spero fin qui di essermi spiegato.
    Ora, se questo problema è così grande, e a me non sembra in base a quanto detto finora, il sig. Bagnai ci spiega che per contrastarlo si deve deprimere la domanda interna per mezzo della moderazione o meglio della riduzione dei salari.
    Ma questa è la ricetta di Monti, allora mi si spieghi dov'è la differenza tra i due. Soprattutto è il pervenire in seguito all'uscita dall'eurozona a condizioni di fatto indistinguibili da quelle causate dalla moneta unica.
    E allora se le condizioni cui pervengo sono esattamente le stesse, perché devo dannarmi la vita a uscire dall'euro?
    Perché egli si è affannato per anni a dirci che solo fuori dall'euro avremo una ripresa delle condizioni economiche e un recupero di democrazia? Ma se poi finisce col dire l'opposto, spera che le persone non se ne accorgano?

    (continua)

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  9. (segue dal commento precedente)

    Da tutto questo deriva una seconda considerazione, riguardo all'efficacia del sistema industriale del paese nel rispondere ai bisogni del mercato interno al momento della ripresa seguente all'abbandono dell'eurozona.
    Se c'è una cosa che la moneta unica ha insegnato, è proprio che funziona come elemento depressivo dell'economia, e quindi del sistema industriale, dei paesi che non sono riusciti ad acquisire la supremazia all'interno dell'eurozona o che non abbiano almeno tenuto il passo di quelli che invece lo hanno fatto.
    Da ciò consegue che la moneta unica funziona come un nodo scorsoio, che si stringe sempre più al collo dei paesi che ne vengono oppressi. In modo tale che quanto più lungo è il lasso di tempo che essa e il suo sistema restano in vita, tanto più risulta difficile uscirne.
    Proprio perché con il passare del tempo il sistema industriale dei paesi che non riescono a stare al passo tende a deprimersi e quindi a essere smantellato, cadendo vieppiù in condizioni tali da rendere le conseguenze dell'uscita disastrose, perché sempre meno in grado di soddisfare la domanda interna. Ne deriva che il paese colpevole di ribellione si trova tanto più esposto ai contraccolpi della bilancia dei pagamenti quanto più tarda a uscire.

    Sono convinto che su questo elemento i padri dell'euro abbiano giocato coscientemente, al pari dei suoi reggitori passati e presenti, alcuni dei quali hanno suggerito questo aspetto nei loro discorsi, anche se in maniera non del tutto chiara, anzi molto poco.
    Viceversa agli alfieri dell'euro-scetticismo queste cose non ricordo di averle sentite dire, men che mai con il rilievo e la chiarezza necessari, quando invece sarebbe stato doveroso. Se non altro per mettere al corrente i loro sostenitori riguardo a ciò cui si andrebbe effettivamente incontro con l'uscita dall'eurozona, per quanto la si ritenga doverosa.
    I motivi potrebbero essere ovvi, almeno dal mio punto di vista, riportando ancora una volta d'attualità il malcelato ruolo di doppiogiochisti, messo in evidenza dall'appena dimostrata intercambiabilità coi più noti alfieri della moneta unica e massacratori sociali, che del resto col passare del tempo è andato rivelandosi in maniera sempre più netta.

    Grazie a tutti per l'attenzione e la pazienza.

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    1. Rispondo con un po' di fretta durante una pausa, essendo impegnato negli adempimenti di inizio anno scolastico (già dal 24 agosto... gli insegnanti fanno tre mesi di vacanze vero?).

      Vedo che si sta finendo a parlare di uscita dall'euro, ma non è questo il tema del post. L'uscita dall'euro è un "transitorio sul quale non mi azzardo a esprimere valutazioni tecniche personali, ad esempio se i salari reali scenderebbero o meno. Sono per l'uscita dall'euro per ragioni squisitamente politiche, per amore della libertà e della democrazia.

      Ciò detto e premesso, ho preso in considerazione uno Stato pienamente sovrano e tre obiettivi di politica economica:

      A - libertà di emettere moneta, sia privata (prestiti bancari) che statale (deficit)
      B - stabilità del cambio
      C - libera circolazione dei capitali, delle merci e dei servizi

      e ho argomentato (ma si tratta di una cosa assolutamente standard, non mi sono inventato niente) che solo due (a scelta) di questi tre obiettivi sono compatibili.

      In particolare, se si sceglie la piena sovranità nell'emissione monetaria (cioè libertà di determinare il prime rate e di fare deficit) e si vuole mantenere stabile il cambio, allora NECESSARIAMENTE si devono imporre limiti alla libera circolazione.

      Ho concluso affermando che, poiché la libertà di emissione di moneta (prime rate e deficit) e la stabilità del cambio sono obiettivi che favoriscono la classe dei lavoratori, dobbiamo essere a favore dell'imposizione di limiti alla libera circolazione.

      In altre parole ho affermato una banalità (cercando di dettagliare un po' sul piano tecnico) : la sovranità popolare è incompatibile con il liberismo!

      Questi pazzi dell'euro invece hanno fissato il cambio (moneta unica) aperto alla più selvaggia libera circolazione di tutto e, ovviamente, non possono permettere che uno Stato dell'eurozona, anche quando è in estrema difficoltà, faccia deficit. Inoltre proprio lo Stato più in difficoltà, la Grecia, è addirittura escluso dal QE, mentre tutti gli altri devono, in ogni caso, offrire garanzie reali alla BCE!

      Vi saluto, inizia un nuovo consiglio di classe.

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    2. "Ora, se questo problema è così grande, e a me non sembra in base a quanto detto finora, il sig. Bagnai ci spiega che per contrastarlo si deve deprimere la domanda interna per mezzo della moderazione o meglio della riduzione dei salari."

      A me non pare che Bagnai abbia mai sostenuto niente del genere. Mi sono perso qualche passaggio del Bagnai-pensiero?

      ""...agli alfieri dell'euro-scetticismo queste cose non ricordo di averle sentite dire, men che mai con il rilievo e la chiarezza necessari, quando invece sarebbe stato doveroso. Se non altro per mettere al corrente i loro sostenitori riguardo a ciò cui si andrebbe effettivamente incontro con l'uscita dall'eurozona, per quanto la si ritenga doverosa.""

      Qui mi sa che ad essersi perso qualche passaggio è Lei, dal momento che il sunnominato cattedratico (e relativi colleghi schierati sulle stesse posizioni) hanno sempre ammonito che più tempo si lascia trascorrere e più drammatiche saranno le conseguenze dell'abbandono della moneta unica (abbandono che, peraltro, il predetto, almeno fino a non molto tempo fa, affermava che dovrà sicuramente avvenire presto o tardi, indipendentemente da ogni scelta politica dell'Italia in quella direzione).

      Inoltre, non è detto che le catastrofiche conseguenze di un euroext nazionale, da Lei preconizzate in termini quasi biblici, siano frutto di una corretta conoscenza e intrepretazione della (complessa e articolata) realtà e dei suoi possibili sviluppi nell'ipotesi considerata (io lascerei certe interpretazioni e previsioni a chi, per mestiere, dispone di quanche strumento in più per farle).

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    3. Che dire? Aspettiamo la replica di clack. Non mi piace essere costretto a difendere Bagnai, ma se dovrò farlo non mi tirerò indietro... primum verum!

      p.s. la citazione "colta" è un vezzo che mi ha inoculato Illo. Trattasi di morbo blog-esantematico.

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  10. Caro Fiorenzo, ho estrapolato quel singolo elemento dal tuo post non per entrare in una sorta di conflitto con le tue posizioni, ma perché mi è sembrato esemplificativo delle contraddizioni che attanagliano il movimento euro-scettico, del quale malgrado tutto mi sento parte integrante, sia pure come voce fuori dal coro.
    Più vado avanti e più mi convinco che di dovere abbia previsto anche questo e si sia fatto grandi risate pensando al momento in cui ci saremmo trovati di fronte a questi crocevia fatti soltanto di strade tutte inevitabilmente sbarrate. E che obbligano a osservare il TINA secondo un'ottica nuova e portatrice di sgomento.
    Mi sarebbe piaciuto sapere qual è il tuo pensiero in merito agli elementi che ho sollevato, ma mi sembra che tu sei rimasto più sulle generali nella tua risposta, limitandoti a ribadire alcuni punti fermi di tutto il ragionamento, col quale almeno a grandi linee sono tutto sommato d'accordo.
    Sia pure con le perplessità sempre più grandi dovute all'intercambiabilità di fatto tra due linee di pensiero che dovrebbero essere totalmente opposte e divise da gap profondi come canyon, ma invece più si procede nella discussione e più rivelano punti di contatto a livelli ben oltre non il prevedibile ma l'immaginabile.

    Buon consiglio di classe.

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  11. Approfittando della eccezionale possibilità data agli anonimi di intervenire nel dibattito, vorrei sviluppare alcune considerazioni sulla tua affermazione secondo cui "il problema è politico" (e non tecnico).

    Con l'espressione "il problema è politico", credo tu voglia dire che la scelta di rompere con l'UE non deve essere condizionata dalla valutazione circa le conseguenze sfavorevoli che la rottura determinerebbe alla Nazione sul piano socio-economico, ma dalla considerazione degli inacettabili e insopportabili costi che il rimanere vincolati alla UE comporta per il Paese in termini di autodeterminazione politica, di libertà democratica e di dignità civile del suo popolo.

    Se questa lettura è corretta, io mi permetto di precisare che il problema è "giuridico" prima ancora di essere politico, perché non mi stancherò mai di ripetere che l'assetto giuridico che lo Stato italiano si è dato aderendo agli orridi trattati è ILLECITO, perché INCOMPATIBILE con quello delineato e imposto, allo Stato stesso, dalla sua legge suprema (tuttora vigente e obbligatoria per gli organi di vertice del potere statuale e per tutti gli altri soggetti operanti in Italia).

    La necessità del progetto sovranista è tutt'uno con la necessità di interrompere la condizione di antigiuridicità "continuata" (termine da intendersi nel suo significato giuridico) in cui lo Stato italiano è stato messo dalle singole PERSONE (con tanto di nome e cognome) che hanno, per qualunque motivo, approvato e ratificato un sistema di regole vincolanti per lo Stato palesemente contrarie a quelle consentite dalla legge fondamentale dello Stato stesso (in nome del quale costoro hanno agito e tuttora agiscono).

    Anche se questa chiave di lettura ha scarsa presa sull'opinione pubblica e non infiamma gli animi, la consistenza giuridica del problema viene prima di quella politica, etica, economica ecc...e questo per il semplice fatto che tali profili ulteriori del problema trovano il loro quadro di riferimento qualificante e i loro limiti nel diritto, ossia nelle norme della vigente Costituzione italiana.

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    1. Mi dispiace molto che tu non venga più a commentare, ma nella vita si devono fare delle scelte e, a parte questa eccezione, intendo perseverare. Tra l'altro, sebbene abbia perso qualche ottimo commentatore, mi sono liberato di qualche scocciatore che, approfittando dell'irresponsabilità che regala l'anonimato, veniva qui a dire la qualunque.

      Vengo alle tue osservazioni. La tua lettura ("credo tu voglia dire che la scelta di rompere con l'UE non deve essere condizionata dalla valutazione circa le conseguenze sfavorevoli che la rottura determinerebbe alla Nazione sul piano socio-economico, ma dalla considerazione degli inacettabili e insopportabili costi che il rimanere vincolati alla UE comporta per il Paese in termini di autodeterminazione politica, di libertà democratica e di dignità civile del suo popolo.") pur corretta non centra completamente la ragione per cui, oggi, affermo che il problema è politico. C'è dell'altro.

      Vedi, prima vennero gli economisti, i quali ci parlarono della razionalità dei mercati. Si sosteneva che, di fronte all'evidente disfunzionalità della moneta unica, gli attori economici che venivano danneggiati avrebbero fatto sentire la loro voce. Mi sembra che nemmeno Bagnai, che di questa visione è stato l'alfiere, abbia oggi molta fiducia in tale esito.

      Vennero poi i giuristi, i quali sostennero, con ottime ragioni, che i trattati costitutivi dell'euro e dell'UE sono contrari alla Costituzione, e addirittura (Guarino) che sono stati applicati in modo distorto. Il problema di questa impostazione è che, come in qualsiasi controversia, dovrebbe esserci il "foro competente", ma questo manca, con la sola eccezione della corte costituzionale tedesca. Chissà perché. Per quanto riguarda l'Italia, credo che il colpo di Stato del 2011 abbia tolto qualsiasi efficacia, che non sia solo propagandistico (a nostro favore), sia a questo approccio che alla speranza nella razionalità dei mercati.

      Pertanto è arrivato il tempo della politica. Questa è l'ultima spiaggia, prima che la parola passi ai guerrieri. La "parola alla politica" significa che deve restare aperto il percorso di un cambiamento della situazione, fino allo smantellamento dell'euro e dell'UE (nel caso di ogni singolo paese fino all'uscita unilaterale), che sia fondato sul confronto elettorale. Se questa strada venisse chiusa davanti all'avanzata delle forze sovraniste, ricorrendo a modifiche svergognate delle leggi elettorali, a brogli, alle intimidazioni, magari al terrorismo, allora anche noi politici dovremo farci da parte, e arriveranno i guerrieri.

      [Nota - Per quel giorno, spero di aver finito di ristrutturare la mia casetta, come pure di aver completato la posa delle mine antiuomo nel praticello antistante. Io non sono un economista, non sono un giurista e nemmeno un guerriero. Sono solo un politico.]

      Ciò non toglie che la divulgazione economica, come le ragioni giuridiche, siano oggi formidabili strumenti nelle mani, appunto, della Politica. Così come Bagnai ha sperato che bastasse la corretta divulgazione economica, e Guarino che bastasse denunciare le distorsioni nell'applicare i trattati, anch'io spero ardentemente che si possa arrivare a un risultato attraverso l'azione politica. Se ciò non accadrà, la parola passerà alla forza. A quel punto, dopo tanti evitabili lutti, trovato un nuovo equilibrio nei rapporti di forza tra le classi e le nazioni, la palla tornerebbe alla Politica. Questa, a sua volta la passerebbe ai giuristi e, infine, tornerebbe agli economisti. Il risultato? Tutto dipende da chi vince, ovviamente.

      Se non basta la razionalità, non conta nulla la legge, e fallisce la democrazia, non resta che la guerra.

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  12. Ma perché la flessibilità di cambio sarebbe incompatibile con gli interessi dei lavoratori?

    Io rinuncerei alla sciocca stabilità del cambio (che peraltro può essere esogena solo se sei in surplus estero, che se sei in deficit dura fintanto che hai riserve) piuttosto che alla libera circolazione dei capitali. Peraltro credo sia possibile anche solo limitare la libertà dei capitali in uscita (o forme di libertà di movimento dei capitali intermedie tra quella assoluta di disinvestire/investire ora e subito e il blocco totale, in modo da "scegliersi" in un certo senso l'investitore straniero pronto ad impegnarsi seriamente nel paese - come fa la Cina)

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    1. Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Oppure, se preferisci, la coperta è troppo corta. Di proverbi che ci ricordano che viviamo in una condizione esistenziale di scarsità ce ne sono in abbondanza nella cultura popolare.

      Ciò detto, posto che l'autonomia della politica monetaria non può essere messa in discussione, anche perché la cosa ha risvolti politici di fondamentale importanza, non resta che scegliere tra vincolare i capitali o vincolare il cambio. La relazione tra questi due parametri non è simmetrica, nel senso che:

      a) se vincolo i capitali allora, e solo allora, è possibile (usando lo strumento monetario) contenere le oscillazioni del cambio ed evitare brusche variazioni.
      b) se vincolo il cambio lasciando liberi i capitali, al contrario, mi espongo INEVITABILMENTE a grandi afflussi e improvvisi deflussi di capitali, il cui prezzo alla fine si scarica sul lavoro.

      In altre parole, il cambio "stabile" è un risultato che posso perseguire (sottolineo: posso) se si ha il pieno controllo della leva monetaria e dei flussi di capitali (nonché di merci e servizi). Al contrario, se lascio liberi i capitali non ho nessun modo per controllare il cambio, che inevitabilmente si mette a fluttuare, anche in seguito a movimenti speculativi.

      Perché un cambio stabile favorisce i lavoratori? Ma è semplice, perché la vita delle persone, la vita in generale, ha bisogno di un certo grado di stabilità, per poter fare progetti, organizzare imprese, far studiare i figli e via dicendo. In molti (me compreso all'inizio dell'euro) pensarono, per ignoranza assoluta, che il cambio fisso ci avrebbe dato tutto ciò, e che questo potesse convivere con la totale libertà di circolazione ponendo il controllo della leva monetaria in mani "indipendenti". Sappiamo come è finita.

      Inoltre la variabilità dei tassi di cambio, cioè una situazione in cui le BC non hanno i mezzi e gli strumenti per controllarli a causa della totale libertà di circolazione, conferisce ai grandi possessori di capitali un potere politico fondamentalmente antidemocratico.

      Pertanto la sovranità monetaria, unita ai vincoli sulla libertà di circolazione, costituiscono l'accoppiata che rende possibile il perseguimento della stabilità dei cambi, utile all'economia reale e, in quanto toglie potere alla speculazione finanziaria, anche alla democrazia sostanziale.

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    2. Nella prima parte del tuo commento hai scritto cose (per quanto mi riguarda) non solo pacifiche sul piano economico - il teorema del trio inconciliabile etc. - ma condivisibili sul piano politico - l'autodeterminazione della politica monetaria (e FISCALE, con possibilità di monetizzare il disavanzo) è irrinunciabile per una democrazia sovrana.

      Aggiungo anche che condivido l'approccio del rispetto dei vincoli di scarsità (che, però, tenderei a enfatizzare in particolare solo su un piano statico: la quantità da distribuire oggi è data, la quantità che si potrà distribuire domani - che sarà data domani - non è indipendente dalle scelta allocative fatte oggi).

      Detto questo, quello che non mi persuade sono le conclusioni del tuo commento (che poi sarebbero la risposta alla mia domanda). Mi sembrano - senza voler in alcun modo mancare di rispetto - un po' apodittiche laddove assumi la STABILITÀ del cambio come valore assoluto, a sé stante. Ma forse si tratta di un equivoco.

      Provo a spiegarmi meglio.

      Il modello di Bretton Woods - tanto amato dai Keynesiani d'antan - poteva funzionare perché la (tendenziale) stabilità dei cambi era imposta da un sistema di regole internazionali rispettate da tutti, che imponevano un equilibrio tendenziale dei conti con l'estero (nel senso che se esportavi troppo dovevi aumentare la spesa pubblica per riequilibrare il conto delle partite correnti o accumulare riserve straniere: quindi, diciamo che in questo secondo caso eri comunque costretto a finanziare i partner meno competitivi di te accettando la loro valuta) e così riequilibravi il cambio riportandoti sulla parità dichiarata col dollaro.
      I movimenti dei capitali non erano proibiti, ma controllati (altrimenti non ci sarebbe stato commercio estero)

      Peraltro, da atto che anche tu parli di LIMITAZIONE dei movimenti di capitale, e non di proibizione

      Ora c'è un problema: in mancanza di accordi internazionali, vincolanti per tutti, non ha alcun senso prendere la stabilità del cambio come valore a sé stante (come, peraltro, fanno gli euristi con riferimento ai rapporti tra i paesi dell'eurozona ) per il semplice fatto - sicuramente a te ben noto - che i paesi non hanno nessun obbligo di cooperazione simmetrica negli aggiustamenti. Se ti poni come obiettivo la stabilità della lira col marco tedesco, ma la Germania se ne infischia di essere in surplus con l'Italia, prima o poi consumi tutte le riserve in marchi e svaluti comunque.

      Io sono tendenzialmente per la limitazione dei movimenti di capitale e il CONTROLLO sulla politica valutaria (non attribuirei un valore alla "stabilità" in sé e per sé: stabilità, poi, rispetto a quale benchmark? Dollaro US? Marco tedesco? Sterlina britannica?) ma - a seconda dei casi - bisogna valutare anche la possibilità di lasciar rivalutare chi adotta politiche mercantilistiche (dopotutto, se la stabilità è un valore, anche per lui rivalutare sarebbe un disvalore).

      D'altronde, il teorema del trio inconciliabile è un teorema stilizzato che ipotizza tre casi estremi (esistono anche sfumature di politiche intermedie nella realtà) e postula, per semplicità dell'esposizione, due economie (l'economia che assume le scelte di politica economica e l'economia del resto del mondo). L'economia internazionale del mondo reale, come ben saprai, é più complessa. E ogni paese deve fare i conti con una pluralità di partner commerciali, ognuno dei quali ha strategie diverse.

      Mi scuso per la lunghezza.

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    3. Hai ragione. In effetti io intendo "limitazione dei movimenti di capitali", non proibizione, con l'ulteriore precisazione (ma è evidente che anche su questo siamo d'accordo) che i controlli e i vincoli devono essere stabiliti da un'autorità subordinata al potere politico.

      In un commento a questo stesso post ho scritto: "ti ricordo che io non sono comunista, nel senso che credo che l'iniziativa privata sia un bisogno insopprimibile dell'essere umano. Sono invece sovranista, perché penso che a nessun privato, o gruppo di privati, debba mai (mai mai mai mai mai mai) essere consentito di diventare così grande e potente da sovrastare lo Stato. Per me l'iniziativa privata, necessaria e irrinunciabile, deve essere un cavallo aggiogato al volere dello Stato democratico.".

      Dunque "limitazioni", non "proibizione". In altri termini, qualsiasi "flusso", sia esso di capitali, servizi, merci o persone, può essere un bene in un ambiente cooperativo, ma anche una forma di aggressione in un ambiente concorrenziale. Il progetto globalista si caratterizza per il fatto che vuole eliminare i corpi intermedi preposti alla tutela degli interessi delle comunità nazionali, cioè gli Stati, togliendo loro gli strumenti per esercitarla.

      Permettimi di aggiungere che si tratta della stessa visione che, in ambito nazionale, le destre propongono da sempre con la loro avversione nei confronti di ogni forma di organizzazione intermedia a tutela del lavoro. Questa circostanza è oggi fonte di confusione perché si assiste al paradosso di forze di destra che, pur invocando il valore della sovranità nazionale, sono pronte a replicare in tale ambito ciò che combattono sul piano europeo e globale. Un paradosso rinforzato dalla completa adesione delle cosiddette sinistre al progetto globalista.

      Questo significa, a mio parere senza ombra di dubbio, che un'eventuale alleanza dei sovranisti con le destre nazionali, contro il globalismo, non può che essere valutato con estrema attenzione, essendo evidente che si tratterebbe di un'alleanza fragile ed esclusivamente di scopo.

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