sabato 29 settembre 2018

In vino veritas

Premessa: scrivo questo post in stato di alterazione alcolica, come penso molti in questo sabato sera ma con la differenza che, per fortuna e grazia di Dio, sono nella quiete della mia casa. Per di più nella meravigliosa campagna ciociara. Sono felice, soddisfatto e tranquillo, non vorrei essere in nessun altro posto (oddio, in riva al mare sotto la luna con la Penelope Cruz di dieci anni fa, prima della plastica, sarebbe un'altra storia...).

Si vede che sono su di giri? Direi di sì.

Dunque, si è conclusa la pubblicazione dei video del primo incontro, in quel di Casale Monferrato, delle 50 sfumature di sovranismo, al quale sono stato invitato come relatore dall'amico Ippolito. Ho esposto la mia, di sfumatura, nella quale ho posto al centro la questione della democrazia, per me intimamente collegata all'idea di conflitto distributivo, aka lotta di classe. Questione fondamentale, che a mio avviso fa premio su ogni altra. Passano gli anni, i secoli, i millenni, tutto cambia ma, alla fine, stiamo sempre lì: da una parte il principio oligarchico, dall'altra quello democratico.

Io sono per il principio democratico, e non sento il bisogno di spiegare perché. E' così, è nella mia natura, io sono fatto così. Lo sono da quando camminavo traballando sulle gambette, lo sarò fino all'ultimo respiro della mia vita. Qualche sciocchino potrebbe eccepire: se sei democratico, perché sei contro la democrazia diretta? Oh sciocchino, è semplice: la misura della democrazia non sta nei principi astratti e perfettini, ma nei risultati misurabili, ovvero nel livello di redistribuzione della ricchezza che un sistema o l'altro ha dimostrato di favorire. Ad esempio la quota salari. Tutto il resto è noia.

Occorre quindi individuare il contesto nel quale il principio democratico, che infallantemente coincide con il grado di redistribuzione della ricchezza prodotta, è favorito nella lotta di classe, e nel far questo bisogna essere pratici e concreti. Ebbene, dopo un'approfondita riflessione durata molti anni, nel corso dei quali ho anche conosciuto e frequentato anche alcuni simpatici protogrillini fanatici della democrazia diretta (uno dei quali è attualmente deputato al parlamento europeo..) sono giunto alla conclusione che il campo da gioco più favorevole al principio democratico, in lotta perenne col principio oligarchico, è quello della democrazia rappresentativa con sistema elettorale proporzionale nel contesto di uno Stato nazionale. Se poi, in questo Stato nazionale, è in vigore una Costituzione che contempla, tra l'altro, il secondo comma dell'art. 3:

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Allora bingo!

Noi democratici che abbiamo capito tutto ciò ci siamo definiti sovranisti. Si può essere d'accordo, o eccepire, ma questo noi siamo.

O credevamo di essere.

Houston abbiamo un problema.



Poi sono arrivati i media, che hanno detto che sovranista è Salvini, sovranista è il m5s, sovranista è FDI, sovranista è Minniti, e Berlusconi, e Renzi, e Paolo Savona. Poi ci hanno detto che anche i LeUcemici (sto 'mbriaco, scusatemi) sono sovranisti... ma euroooooopeeeei.

Io aspetto i sovranisti mondiali. Vedrete che arriveranno: un bellissimo new world order mondialista per difenderci dagli alieni. Per il momento siamo fermi ai sovranisti amerikani, cioè Steve Bannon e metà del mondo, quello che fa perno sugli USA e gli UK con tanto di commonwealth, contro la Cina, la Turchia e l'Iran. La Russia? Trattative in corso.

La capite la differenza tra un'idea e un brand? Ebbene il sovranismo è diventato un brand, sul quale milioni di persone discettano senza avere la minima cognizione delle idee sottostanti. La potenza mistificatoria della comunicazione è ormai tale che il senso reale delle parole è un valore che può essere modificato a piacimento secondo le convenienze di lor signori. Ed è per questo che ho concluso la mia partecipazione al primo incontro delle 50 sfumature di sovranismo con queste parole:



Ma abbiate fiducia perché la realtà, se la butti fuori dalla porta, rientra dalla finestra. La battaglia è sempre la stessa: democrazia contro oligarchia. E non c'è tradimento che possa offuscare questo dato di fatto. Certo, vedere Bagnai che, davanti a Vespa che afferma che lo Stato è come una famiglia,  resta muto, fa male. C'è chi dice che si tratta di alta strategia, ma il vostro umile sub-divulgatore, nella sua ingnoranzità, nutre qualche dubbio. Come dice un marxista dell'Illinois: "chi vivrà vedrà", che è già un buon augurio perché significa che chi non si allinea potrà vivere. Della qual cosa, scusate se è poco, non sono poi così sicuro.

Ahò, sto 'mbriaco. In vino veritas.

venerdì 28 settembre 2018

Back to Mesopotamia?

Link correlato: Back to Mesopotamia?

Questo intervento di Guido Grossi è un po' tecnico e potrebbe spaventare molti. Dico potrebbe, ma non è detto, perché sono convinto che chiunque abbia un po' di risparmi, davanti al rischio di vederseli rubare per coprire i buchi delle grandi imprese finanziarie troverà certamente l'energia e l'attenzione necessarie per capire la questione. Avete a cuore i vostri soldi? Avete almeno 100.000 euro? E allora guardate con attenzione, anche se siete del PD o, Dio non voglia, di +Europa. Sono soldi vostri, vero? Li volete perdere per fedeltà al partito? Non credo...

martedì 25 settembre 2018

In viaggio con Goofy (il IX episodio - inedito)

Spulciando tra i video non in elenco del mio canale YT mi sono imbattuto nella IX puntata del viaggio con Goofy, che non avevo mai pubblicato. Non ne ricordo la ragione, forse una dimenticanza dovuta a un grave lutto familiare che mi aveva colpito.

lunedì 24 settembre 2018

Perché la Francia può fare il 2,8% di deficit e noi no? Una spiegazione macroeconomica a cura del vostro subdivulgatore di paese

Volete capire perché la Francia può fare deficit e l'Italia no? Guardate la tabella (fonte Ministero dello sviluppo economico)


Esportiamo quasi 56 mld verso la Germania e 46 verso la Francia, in totale più di 100 mld. I due dati sono simili ma nascondono un'enorme differenza, perché la Francia ha un passivo commerciale di 60 mld, la Germania un attivo di 280 mld. Noi abbiamo un attivo di 50 mld, conseguenza della cura Monti-Renzi-Gentiloni che, abbassando il costo del lavoro, ci ha consentito di tornare in surplus. Perché alla Francia è consentito di fare deficit, e ancor di più alla Spagna e ad altri paesi, mentre a noi è vietato? Per via del debito pubblico? Suvvia.

Il punto è che la Germania ha accettato di entrare nell'euro rinunciando con fatica al suo marco forte. Ma come, diranno i cultori della illoeconomics, non sapeva la signora bionda che ci avrebbe guadagnato dal cambio dell'euro, più debole del marco? Eh no, perché la Germania non vende scarpe e magliette, prodotti molto sensibili al prezzo e dunque che si vendono meglio con un cambio debole, la Germania vende prodotti industriali per i quali il prezzo è relativamente importante. Col marco forte la Germania acquistava i semilavorati di cui la sua industria aveva bisogno in marchi (quindi comprava bene) e vendeva altrettanto bene in marchi, cioè in moneta "pesante", perché quello che produceva era roba che si vendeva comunque.

Accettando di entrare nell'euro la Germania (sapete: quella che stava segando il ramo su cui era seduta) si è ritrovata a vendere in euro, una moneta più debole del suo marco. Quindi da questo lato ci ha perso. Ma il fatto è che, poiché importava, e importa, una quota rilevante di semilavorati industriali proprio dai paesi dell'eurozona, in primis l'Italia, ovviamente non ha mai visto di buon occhio una crescita dei prezzi di tali importazioni. Il paese critico per la Germania è l'Italia, a seguire tutti gli altri, per cui il primo paese la cui dinamica dei prezzi essa ha interesse a comprimere è proprio il nostro. Il debito pubblico è un pretesto per boccaloni.

In sostanza la Germania (sì, proprio lei, la signora bionda) poiché perde nel vendere i suoi prodotti in una moneta più debole del marco, non può accettare di perdere anche per il fatto che il paese da cui principalmente la sua industria si approvvigiona, per i semilavorati industriali, abbia un'eccessiva dinamica dei prezzi.

Voi direte: ma la signora bionda potrebbe acquistarli altrove. Per cominciare non è così semplice, ma poi c'è il fatto che l'Unione Europea è ordoliberista, cioè nelle mani di una cricca di esaltati che hanno tanta fiducia nel mercato da sentire il bisogno di controllarlo fino alla curvatura delle zucchine.

La soluzione, per accontentare la signora bionda e placare le sue angosce, è quella di deflazionare i paesi dell'eurozona da cui la sua industria si approvvigiona, per prima l'Italia e a seguire tutti gli altri. Di poco la Spagna, da cui la signora bionda importa beni di consumo il cui prezzo non ha impatto sulla competitività della sua industria, e infatti le ha concesso deficit fino all'11% senza batter ciglio. Alla Francia, considerando anche altre non secondarie faccenduole, si può concedere un 2,8% che desta da noi maraviglia, ma all'Italia no, proprio no, decisamente no!

Perché la Lega di Salvini è la longa manus della signora bionda


Dispongo di una ramificata rete di agenti nella padania (si noti la minuscola) i quali mi informano che da quelle parti c'è una forte ripresa. Tutte i CEO delle aziende che, agganciate alla filiera produttiva tedesca, la riforniscono di semilavorati industriali, si stanno stropicciando le mani. Infatti a fronte di una domanda costante, la dinamica dei loro costi di produzione è ampiamente sotto controllo grazie all'abbattimento del costo del lavoro. Il risultato è il saldo record della nostra bilancia commerciale: oltre 50 mld di euro, secondi in Europa solo alla signora bionda.

Il guaio è che, per favorire un'area geografica e alcune categorie socio-economiche, il resto del paese è costretto a far vita grama, col rischio che le predicazioni di brutti ceffi come il vostro umile reporter prendano piede. Servono contromisure, che sono state trovate.

La Lega di Salvini, cresciuta dal 3% al 30% in pochi anni, è la risposta. E come è cresciuto questo partito? Semplice, andando a prendere voti al centro e al sud, cioè proprio nelle regioni che meno si avvantaggiano della ripresa dell'export verso la Germania, o non se ne avvantaggiano affatto, ma sono chiamate a fornire lavoro a basso costo a sostegno dello sforzo produttivo del segmento industriale che si sta integrando sempre di più con quello germanico. Il risultato è un'Italia sottoposta a una tensione nord-sud che finirà col dividerla, e tenuta momentaneamente insieme (ma solo fino a quando servirà) dalla speculazione sulla crescita del fenomeno migratorio e dagli allarmi securitari di Matteo Salvini. Viene quasi il sospetto che l'aumento degli arrivi dall'Africa negli ultimi anni, oltre che da ragioni economiche (abbattere in prospettiva il costo del lavoro) sia stato anche un'arma politica per favorire il cambio di regime che dovrà consegnare l'Italia a Salvini.

Il quadro non è completo perché non tiene conto del ruolo del m5s, che il vostro unile reporter di paese continua a ritenere una rivoluzione colorata esodiretta, eppure potrebbe essere, nella fase attuale e prima che prenda forza una forza popolare e costituzionale, un argine contro il nuovo tentativo confindustriale di mantenere la sua presa sulla nostra Patria. La Lega non sarà fascista, ma dietro la Lega io vedo l'ombra degli  stessi poteri che consegnarono il potere ai fascisti.

50 sfumature di sovranismo

Si è svolto a Casale Monferrato il primo incontro del programma 50 sfumature di sovranismo, organizzato dal CDIM (Comitato per la Democrazia e l'Indipendenza Monetaria). Quelli che seguono sono i primi 6 video, gli altri seguiranno a breve.




















giovedì 20 settembre 2018

I nazionalpopulisti (NAZIPOP)

Tutti i media concordano nel definire il M5S come una forza politica populista e la Lega di Salvini come sovranista. Ma davvero la lega è sovranista? Stiamo parlando di pubblicità, dove si ragiona per brand, o di politica dove contano le idee? La Lega, con la complicità dei media tutti, si è appropriata della parola sovranismo, rubandola a chi l'aveva introdotta nel dibattito politico fin dal 2012 e le aveva attributo il significato di istanza di riconquista della sovranità nazionale in un quadro di rigoroso rispetto della Costituzione del 1948.

Forse non esiste, nel vocabolario politico, una parola che possa etichettare correttamente la linea politica della Lega di Salvini? Certo che sì, questa parola esiste, ed è nazionalismo.

Però i media all'unisono, e la stessa Lega, hanno rubato una parola non loro, cogliendo così i classici due piccioni con una fava: evitare l'uso della parola nazionalismo, troppo screditata in Italia, e togliere a noi sovranisti l'uso di una parola che potesse identificare le nostre posizioni. Che sono, lo ripeto, quelle esposte con mirabile sintesi nella carta costituzionale del 1948.

Se la Lega di Salvini è venuta a rubare in casa nostra, cosa si fa in questi casi, come ci insegna lo stesso Matteo Salvini? Si spara, ovviamente con le armi della polemica politica! Che sono le parole.

Ecco allora che è giusto, non solo politicamente ma anche moralmente, etichettare questo governo come nazionalpopulista, abbreviando quando serve in...

NAZIPOP

La cosa vi turba? E perché, io non mi turbo quando mi dichiaro sovranista e mi sento rispondere che sono leghista? D'altronde sfido chiunque a negare che la Lega sia nazionalista, e che l'unico punto di contatto con noi sovranisti è l'ovvia e scontata difesa dei confini e del principio di cittadinanza. Un principio che tutti gli stati sovrani del mondo - vi ricordo che non sono molti, tutti gli altri essendo di fatto delle colonie - difendono a spada tratta. Ma quanto al resto tutto, nella Lega, sa di nazionalismo, il caro vecchio nazionalismo liberale col quale noi sovranisti non abbiamo nulla a che fare.

Perché noi sovranisti siamo, tutti e senza eccezioni, socialisti e patrioti. Chi non lo è non è un sovranista.


mercoledì 19 settembre 2018

lunedì 17 settembre 2018

La proposta indecente dei sovranari di lotta e di governo

Se il ministro agli Affari Europei, un uomo del calibro di Paolo Savona, comunica di aver inoltrato a Bruxelles un documento intitolato "Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa", ciò significa che in quel documento è delineata la posizione del governo sull'UE e sull'euro. Non è dunque più necessario aspettare i numeretti del DEF per capirne le intenzioni. Una versione in formato testo dello stesso documento è reperibile su scenarieconomici.it.

Il documento non è di facile lettura, non solo e non tanto per i temi trattati ma anche per lo stile di scrittura di Paolo Savona, piuttosto involuto. L'incipit non è dei più felici:

«L’Europa unita trova il suo fondamento nel principio affermatosi nella convivenza civile tra i popoli che se si muovono le merci non si muovono le armi. L’esperienza dell’abbattimento delle barriere doganali vissuta dal Trattato di Roma in poi è stata altamente positiva per la pace e il benessere delle popolazioni europee.»

Una minima conoscenza della storia ci informa esattamente del contrario: quasi tutte le guerre dell'età moderna, e molte (ma in misura inferiore) del passato, hanno avuto origine in contrasti per la spartizione dei mercati.

Dopo una diagnosi dei mali dell'UE e dell'euro Savona accenna ai comportamenti poco cooperativi di alcuni paesi:

«Per agevolare l’adesione di paesi, come l’Italia, desiderosi di entrare nell’euro fin dall’inizio, fu introdotta la “clausola della convergenza”. I paesi che all’epoca della decisione già superavano il 60% nel rapporto debito pubblico/PIL avrebbero dovuto crescere a saggi più elevati degli altri per validare la solvibilità del loro debito sovrano. Ciò sarebbe potuto accadere se i paesi eccedentari avessero espanso la domanda aggregata – una necessità che la basa crescita media sperimentata negli anni 1990 ha reso più pressante – ma il rispetto dei due parametri fiscali restrittivi ha imposto politiche deflattive, peggiorando la sostenibilità del loro debito.»

Capite cosa intendo quando parlo di stile involuto? In sostanza Savona ci dice che la soluzione, per un paese come l'Italia che è entrato con un debito al 113%, sarebbe dovuta essere la crescita, ma questa non c'è stata in misura sufficiente sia perché i paesi in surplus non hanno espanso la loro domanda aggregata, sia perché oltre al parametro del 60% sul debito l'Italia doveva rispettare anche quello del 3% sul deficit. La tesi dominante è stata che, in mancanza di una sufficiente domanda aggregata, si dovesse agire sul lato dell'offerta, ma queste politiche, è sotto gli occhi di tutti, non hanno sortito gli effetti desiderati. A questo punto Savona lancia l'allarme:

«Gli enti pubblici e privati di ricerca avanzano previsioni di una caduta generalizzata del saggio di crescita reale, per ora stimata in lieve misura, in una situazione in cui l’inflazione, avendo raggiunto il tetto del 2% programmato, induce la politica monetaria ad avviare un’azione di rientro nella normalità che coinvolge i tassi dell’interesse e le quantità di base monetaria.»

Insomma il QE sta per finire mentre le politiche tariffarie degli USA cominciano ad avere effetti, e da ciò emerge per Savona la necessità di agire subito, di fare presto.

«Per una nuova politica economica basta rendere espliciti gli strumenti da attivare per raggiungere gli obiettivi indicati nei Trattati esistenti, mentre per le modifiche di architettura istituzionale occorrono nuovi accordi, anche se più difficili da attuare. Si inizi quindi dalle prime e le seconde verranno di conseguenza.»

Sul piano metodologico siamo alla riedizione di una scelta già fatta, prima la moneta e poi le istituzioni politiche, i cui esiti non sono stati particolarmente felici. Una confessione:

«Vi era coscienza delle profonde diversità allora esistenti tra i paesi firmatari, che si sono accresciute con l’ingresso dei paesi liberatisi dal vincolo sovietico, ma si riteneva che criteri così rigidi avrebbero costretto le economie dei paesi membri a convergere. Queste aspettative non si sono realizzate per alcuni paesi membri, nonostante la flessibilità nell’applicazione;»

e l'augurio di un "vaste programme":

«Affinché questa unione si possa realizzare in futuro, è necessario educare i giovani, oltre che istruirli, dando vita a una scuola europea di ogni ordine e grado nella quale trovi spazio una comune cultura, mantenendo viva la coscienza dell’immenso patrimonio culturale di cui dispongono tutti i paesi membri, come stabilisce il Trattato. Fatta l’Europa si devono fare gli europei. Il perno essenziale è la scuola, come testimonia il successo presso i giovani, gli abitanti dell’Europa futura, del progetto Erasmus.»

Savona prosegue esponendo una critica ben nota:

«Per quanto concerne l’esercizio della funzione di lender of last resort, la BCE è vincolata dalla proibizione di creare base monetaria attraverso il canale Tesoro e da altri condizionamenti, ai quali essa aggiunge quello di sottoporre i suoi interventi a vincoli sull’esercizio della sovranità fiscale nazionale in linea con l’impostazione della politica economica dell’Unione Se i poteri di intervento contro la speculazione fossero veramente pieni, gli spread tra rendimenti dei titoli sovrani si dovrebbero azzerare.»

Si tratta del divieto alla BCE di finanziare direttamente gli Stati (divieto aggirato da Draghi ricorrendo ad acrobazie che hanno profondamente irritato i paesi core) con l'aggravante che le condizionalità fiscali imposte agli Stati in deficit hanno agito in direzione opposta agli stimoli monetari.

«Molto più delicato da trattare sul piano della politica monetaria è lo svolgimento degli interventi da lender of last resort se si vuole che lo strumento risponda veramente all’istanza di essere non solo whatever it takes, ma anche operi in time... I vincoli di quantità, di proporzionalità tra paesi membri (la capital key che immette base monetaria anche dove non è necessario, come acquistando titoli di Stato olandesi e tedeschi) e di qualità delle attività finanziarie oggetto di intervento sono il risultato dello Statuto posto a base della sua azione. Sarebbe pertanto necessaria una razionalizzazione dei poteri sul piano istituzionale per fronteggiare i futuri attacchi speculativi in maniera più tempestiva ed efficiente

Giustamente Savona osserva che gli acquisti di titoli di Stato operati dalla BCE non seguono, per i vincoli presenti nei Trattati, il criterio di essere orientati agli Stati che più ne hanno bisogno, ma rispondono a quello della "capital key", ossia sono proporzionali ai pesi relativi delle singole economie nazionali, col risultato che si crea poca base monetaria dove è necessaria e troppa dove non è necessaria. Una disfunzione di grande importanza, alla cui correzione si oppongono ovviamente i paesi fratelli della zona core. I quali, anzi, premono affinché l'azione di creazione di base monetaria aggiuntiva, e necessaria ad evitare la recessione nei paesi in deficit, abbia termine. Il problema qui è la competizione per la conquista dei mercati (ricordate? se si muovono le merci non si muovono le armi):

«Non vi sarà mai competizione corretta (fair competition) nell’eurozona finché le imprese di un paese avranno un costo del danaro permanentemente più elevato rispetto a quelle di un altro paese per motivi diversi dalle loro specifiche inefficienze, ma derivanti semplicemente dall’essere uno Stato membro la cui denominazione del debito sovrano non è nella moneta che esso crea ed è quindi esposta al rischio sovrano.»

Savona critica anche la proposta di creare un fondo europeo per gli interventi, essendo anch'essa sottoposta a un vincolo analogo alla capital key, in quanto «... oltre a disporre di risorse insufficienti, ha il duplice difetto di riproporre la parametrizzazione degli interventi, invece di valutare caso per caso secondo una visione politica comune.»

Inoltre, essendo tali interventi sottoposti alla condizione di attuare politiche di drenaggio fiscale, si avrebbe un «meccanismo rigido nell’applicazione e con effetti deflazionistici.». Preoccupato per la possibilità di una dissoluzione dell'eurozona, Savona propone di «creare un meccanismo che non abbia implicazioni deflazionistiche»

Dopo altre ridondanti riflessioni, in sostanza ripete quanto ha già scritto, Savona arriva al dunque: servono investimenti:

«Lo strumento principale di una politica della domanda coerente con quella dell’offerta a livello UE è quella degli investimenti infrastrutturali di interesse comune. Lo stesso vale per gli investimenti di interesse nazionale.»

Tuttavia, prosegue Savona, «Se l’UE non intende, né può decidere a causa di vincoli politici, una guida fattiva di questi investimenti debbono farlo tempestivamente i paesi membri».

Condizione per la loro efficacia è «1. un’esatta conoscenza dei moltiplicatori della spesa di questo tipo, 2. una diversa considerazione temporale dei due parametri fiscali e 3. una diversa registrazione contabile rispetto a quella vigente.»

Insomma si devono scegliere gli investimenti che producono alti moltiplicatori keynesiani (il reddito generato deve essere molto maggiore della spesa), si deve consentire un maggiore deficit in attesa che il ritorno degli investimenti produca il reddito atteso che permetterà il rientro, infine la registrazione contabile degli investimenti deve scorporare il loro valore patrimoniale (se spendo per acquistare una casa non è che sono più povero) dall'ammortamento (la casa col tempo perde valore per invecchiamento) iscrivendo a deficit solo quest'ultimo: «Solo una quota parte di questa spesa, pari all’ammortamento del bene investito, dovrebbe confluire nel conto entrate e spese dello Stato, come parte rilevante del disavanzo corrente di bilancio.»

Secondo Savona «A tal fine non è necessaria una modifica del Trattato, perché, come si è già indicato, è sufficiente una più attenta interpretazione degli accordi di Maastricht, peraltro già praticata in casi nazionali, come quello seguito per agevolare l’unificazione tedesca e altri casi come quelli affrontati nel corso della recente Grande Recessione.»


Nascosto tra le righe segue un attacco al Fiscal Compact:

«Siffatta impostazione comporta che l’iniziativa sulla domanda aggregata deve essere guidata dalla regola aurea di un sistema di crescita stabile: la percentuale di disavanzo del bilancio non deve essere superiore al saggio di crescita nominale del PIL che ne risulta. Se si pone a carico dell’applicazione di questa regola il principio di produrre avanzi di bilancio per ridurre il rapporto debito pubblico/PIL con effetti deflazionistici, la divaricazione degli itinerari di sviluppo dei paesi che si trovano al di sotto della soglia del 60% del rapporto debito pubblico/PIL e di quelli che si trovano al di sopra comporta conseguenze pericolose per la stabilità dell’euro e la coesione socio-politica.»

Tradotto dal savonese: nell'UE non si possono fare politiche keynesiane (investimenti in deficit ad alto moltiplicatore) e contemporaneamente ridurre il debito (fiscal compact), perché ciò creerebbe una forte e pericolosa asimmetria tra i paesi con basso debito pubblico e paesi con alto debito pubblico. 

Ma per disinnescare il fiscal compact il problema è convincere la Germania, e qui arriva l'alzata di ingegno di Savona (grassetto aggiunto):

«Se i timori dei paesi membri creditori che ostacolano la definizione di una politica fiscale fossero dovuti al rischio temuto da alcuni paesi di doversi accollare il debito altrui, esistono le soluzioni tecniche per garantire che ciò non avvenga. Si tratta di attivarle in pratica effettuando scelte politiche, come quelle di concordare un piano di rimborsi a lunghissima scadenza e ai tassi ufficiali praticati, fornendo una garanzia della BCE fino al rientro nel parametro del 60% rispetto al PIL, in contropartita di una ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche in caso di mancato rimborso di una o più rate. Ossia decidere quello che si sarebbe dovuto fare prima dell’avvio dell’euro. Ovviamente tra le clausole di un siffatto accordo vi sarebbe anche quella che il disavanzo di bilancio pubblico si collochi in modo dinamico entro la regola indicata di coerenza rispetto al saggio di crescita nominale del PIL e quindi non comporti un nuovo superamento del rapporto debito pubblico/PIL.»

Che dire di una proposta simile? Credo che un buon commento, temo purtroppo parziale, possano essere le seguenti parole di Federico Caffè:

«Vorrei aggiungere che, se per miracolo qualche risultato si dovesse raggiungere, ma andasse nel senso di un avvicinamento della nostra situazione a quella, poniamo, della Germania, non è questo il destino che augurerei al mio paese. Si tratta, infatti, di una situazione in cui i lavoratori, pur godendo di un certo benessere, sono in una posizione fortemente subalterna. Non credo, in altri termini, che il risanamento della bilancia dei pagamenti e un riassetto dell’economia, senza l’introduzione di veri elementi di socialismo, sia qualcosa che vale, un traguardo degno di essere indicato alla società italiana. Se ci mettessimo su questa strada, tradiremmo per la seconda volta gli ideali della Resistenza. Non vorrei apparire retorico. Ma tradiremmo l’ideale di costruire un mondo in cui il progresso sociale e civile non rappresenti un sottoprodotto dello sviluppo economico, ma un obiettivo coscientemente perseguito.»

Parziale perché (ma di ciò parlerò in altra occasione) anche ammesso che la Germania acconsenta al piano di Savona, possiamo star certi che ci chiederà un prezzo altissimo, avendo al suo arco lo strumento per ricattarci in ogni momento. Le basterebbe frenare la sua già stitica crescita per mandarci in crisi e passare all'incasso dell'«ipoteca sul gettito fiscale futuro o di proprietà pubbliche» A quel punto sarebbero guai seri, ma qualcuno potrebbe esserne contento: avrebbe, finalmente, la sua agognata Sollevazione!

Solo col rischio di esserne il bersaglio. 

domenica 16 settembre 2018

Lettera ai miei amici piddini frusinati e non

Cari amici piddini frusinati e non - intendo anche quelli di voi che sono andati sotto le bandiere dei cespugli sorti durante l'agonia del vostro partito - ho deciso di scrivervi dopo aver sentito la proposta di sciogliervi e rifondarvi avanzata da Orfini.

Cari amici, sono più di dieci anni che vi ripeto che sareste scomparsi, mi è testimone l'amico Benny - il mio piddino preferito - se non aveste cambiato radicalmente le vostre politiche. Su una cosa però mi sono sbagliato, perché credevo che la vostra scomparsa sarebbe stata causata dalle scelte di politica economica, e invece che avete combinato? Vi siete fatti strapazzare da un Salvini qualunque sul problema migratorio! Ma come, dopo aver danzato giulivi per l'arrivo di Monti, che ha fatto nel vostro nome il lavoro sporco e veramente importante, senza che ciò vi penalizzasse e anzi arrivando al 41% alle ultime elezioni europee, vi siete sentiti così sicuri di voi che, invece di fermarvi per consolidare il risultato, vi siete dapprima avventurati sul terreno minato della riforma costituzionale e, soprattutto, avete continuato con la politica dell'accoglienza ai migranti, questione che poteva tranquillamente essere riproposta dopo un momentaneo stop? Dopo, appunto, aver consolidato il vostro successo.

Come pensate di recuperare, forse ciarlando di più Europa? Proprio adesso che al governo sono arrivate due forze più europeiste di voi che si apprestano a farci compiere decisivi, e temo irreversibili, passi avanti nella costruzione degli USE (Stati Uniti Europei) forti del consenso che vi hanno strappato giocando abilmente sull'inquietudine degli elettori per l'arrivo di centinaia di migliaia di immigrati in pochi anni? La cosa mi appare così inverosimile che mi viene il sospetto che sia stata tutta una sceneggiata, che ai piani alti si sia deciso di farvi scomparire proprio perché il lavoro sporco necessario a far nascere gli USE possono farlo solo forze politiche apparentemente eurocritiche. Come disse una volta un caro amico, era il 29 novembre 2011, "gli schizzi di sangue stonano meno sul grembiule rosso". E anche su quello verde.

Guardate questo video e ascoltate con attenzione le parole di Antonio Scurati:

Scurati vs Borgonovo (La Verità): “Orban non rispetta diritti”. “Falso, cambierà lui l’Europa. E interviene Lilli Gruber - Il FQ online 16 settembre 2018

Chi è Antonio Scurati, direte voi. E' questo signore qua (17 lug 2015):


Non è straordinario? In appena tre, dicasi tre anni, il buon Scurati passa dall'apologia del Risorgimento alla rivendicazione appassionata dell'identità europea! Come se i milanesi delle cinque giornate si fossero ribellati perché gli austriaci non rispettavano i diritti civili!

Per me è tutto chiaro, cari amici, il vostro nuovo compito è quello di stare all'opposizione ciarlando di identità europea, mentre il lavoro importante per costruire gli USE lo faranno i cosiddetti sovranisti di Lega e 5S. The show is going on, as usual.

Eppure io so che il vostro problema, cari amici piddini frusinati e non, è un altro: voi, che di mutazione in mutazione da comunisti siete diventati liberali, semplicemente avete perso la capacità di comprendere la politica economica e la geopolitica. Siete così diventati simili al pubblico degli studi televisivi che applaude a comando ora questo ora quello dei personaggi invitati, tutti rigorosamente scelti dai padroni del discorso. Più di questo non sapete fare. La politica, miei cari amici, è un'arte difficile, che richiede preparazione e anche conoscenza profonda dell'animo umano, una qualità quest'ultima della quale io stesso difetto. Come vedete non mi ergo a giudice infallibile, perché ammetto di avere anch'io almeno uno dei vostri limiti: mi sono documentato studiando le tematiche macroeconomiche e geopolitiche - come si faceva un tempo alle Frattocchie, fatevelo raccontare dai vostri padri ancora in vita - ma non ho avuto l'arguzia o la malizia di riconoscere per tempo gli ambiziosi che si presentavano come sovranisti mentre già trattavano in segreto per indossare il grembiulino verde.

Ora siamo fregati, per colpa della vostra incompetenza e della nostra ingenuità. Tutto il parlamento è europeista, lo sarà anche il parlamento europeo che eleggerete fra un anno (io non andrò a votare) e a voi è stata assegnata una nuova parte in commedia. La interpreterete con la necessaria inconsapevolezza, continuando ad ingannare il popolo italiano al pari di Salvini, dei grillini e dei tanti che hanno indossato, o si accingono a farlo, il grembiulino verde.

Io non lo farò, sono troppo vecchio per avere ambizioni personali così forti da indurmi a tradire le mie convinzioni, mentre l'unica cosa che mi interessa è vivere in pace con la mia coscienza. Continuerò a scrivere, a fare video, talvolta parlerò in pubblico, ma sono e sarò irrilevante. Il mio massimo piacere sarà quello di disturbare la vostra coscienza sporca, come una zanzara molesta che non vi sarà mai possibile schiacciare perché è troppo veloce per le vostre mani appesantite. Il mio corpo sta invecchiando, ma il mio spirito è, e resterà, quello di un giovane ribelle.

Ciao Benny, amico mio piddino preferito.

Lascienza

venerdì 14 settembre 2018

Il colore del gatto


"Non importa di che colore sia il gatto, l'importante è che prenda i topi" è una frase di Confucio, ripresa da Mao Tse Tung e Deng Xiaoping. Sembra che oggi venga adottata da molti sovranisti costituzionali in relazione alla politica del governo gialloverde. E' tanta la voglia di liberarsi dalle catene dell'UE che a molti va bene anche un gatto di razza inglese o uno di razza padana, o un incrocio tra i due. Un atteggiamento comprensibile, a condizione di non dimenticare il rischio ricordato da un proverbio popolare, quello di cadere dalla padella nella brace.

Pare che il governo intenda emettere, già dall'asta di novembre quando il QE sarà chiuso, BTP in dollari, assicurandoli contro il rischio di un'eventuale svalutazione con delle swap options. Probabilmente c'è lo zampino del navigato Borghi. Forse è questo il motivo delle rabbiose esternazioni di questi giorni da parte dei Commissari europei Gunther Oettinger e Pierre Moscovici, perché la mossa segnala un ulteriore avvicinamento del governo all'amministrazione Trump e, più in generale, alla fazione del fronte anglosassone ostile alla globalizzazione finanziaria, che non gradisce un'Unione Europea a guida franco-tedesca ma non è detto sia disposta ad accettare una sua dissoluzione, quanto piuttosto un riequilibrio dei rapporti di forza al suo interno, così da smorzarne la spinta verso la costruzione di un polo geopolitico fortemente centralizzato e sempre più indipendente. Insomma gli USE.

Ho più volte ricordato, sul mio blog, quello che mi sembra essere stato il passaggio cruciale che ha segnato l'inizio dell'avventura unionista: il vertice di Rambouillet nel 1975.

«Il vertice di Rambouillet del 1975 (Germania, Francia, Italia, Regno Unito, Stati Uniti e Giappone) poneva momentaneamente in secondo piano il processo di integrazione europea, sia economica che politica, promuovendo una strategia trilaterale mirante a coordinare le politiche delle aree industrializzate (USA, Europa e Giappone). La partecipazione dell’Italia (che inizialmente era stata esclusa) rappresentata da Aldo Moro, fu infine accolta perché il nostro Paese aveva, in quel momento, la Presidenza di turno della Comunità Europea, e anche per volontà degli Stati Uniti, ben al corrente del sostanziale disinteresse della DC dell’epoca, e in particolare proprio di Moro, per un’accelerazione del processo di integrazione europea. Ciò nonostante, per volontà della Francia e della Germania, il progetto non venne abbandonato.  Le ragioni furono di natura sia politica che economica. L’interesse politico era soprattutto dalla Francia, un paese che non si rassegnava al ruolo subalterno assunto dopo la fine della guerra mondiale, mentre la Germania coltivava un interesse soprattutto economico

Se questa chiave di lettura è corretta allora stiamo assistendo - mutatis mutandis - alla riproposizione di un conflitto antico, nel quale al nostro paese viene chiesto, ancora una volta, di prendere posizione. E' un conflitto tutto interno all'occidente (comprendendo in questa dizione anche la Russia) come è ovvio che sia perché tutto il resto del mondo, messo insieme, non può competere né sul piano economico né su quello politico e militare. Ed è anche un conflitto che, se dovesse conflagrare in tutta la sua forza, potrebbe segnare la fine del predominio mondiale di questo mondo, aprendo le porte ad uno nuovo. Sempre ammesso che, dopo lo scontro, esista ancora il mondo.

Mettiamo tuttavia da parte le ipotesi apocalittiche e prendiamo in esame la possibilità, molto più concreta, di un conflitto a bassa intensità militare, seppure con molti pericolosi focolai, ma violento sul piano economico e politico. Le classi dirigenti italiane appaiono divise in due blocchi, euristi e cosiddetti sovranisti - moderna riedizione dei guelfi e ghibellini - mentre la gran parte della popolazione è oggetto di una contesa tutta basata sull'uso, sempre più spregiudicato, della comunicazione politica. Da una parte i messaggi terroristici della fazione eurista, dall'altra la propaganda del combinato disposto dei cosiddetti sovranisti gialli e verdi, basato sulla denuncia della corruzione e sull'allarme immigrazione. Queste tematiche, e altre ancora, sono dibattute con spirito irrazionale facendo largo ricorso alla menzogna: dalle apocalittiche previsioni di aumento dell'inflazione in caso di uscita dall'euro a quelle, non meno gridate, dell'invasione, contrastate dagli euristi con l'argomento farlocco dell'impossibilità di fermare le migrazioni. Una scemenza, quest'ultima, che è sotto gli occhi di tutti, non meno delle nudità del Re che tutti vedevano ma solo un bambino ebbe l'impudenza di segnalare.

Da ultimo, in questi giorni, lo stupefacente dietro front del governo in tema di vaccinazioni, le cui ragioni restano ancora da esplorare ma stanno creando sconcerto in una parte dell'elettorato poco politicizzato che aveva votato per i gialloverdi proprio perché, in questi, aveva creduto di trovare una sponda.

Vi è poi una piccola parte molto politicizzata dell'elettorato, formata dai sovranisti costituzionali, dai socialisti patriottici, dai keynesiani cultori della mmt, da una parte dei grillini e degli stessi leghisti, che si ritrova completamente spiazzata sul piano della comunicazione politica perché è stata abbandonata dalle sue voci più note arruolatesi nella fazione anglosassone, in alcuni casi entrate nella compagine governativa. Come se ciò non bastasse, alcuni noti blogger hanno sospeso la loro attività o sembrano sul punto di farlo.

Inoltre anche una piccola ma incisiva organizzazione politica, P101, pur nello sforzo di puntualizzare ogni sua presa di posizione, sembra aver fatto la scelta di considerare la fazione anglosassone un male minore rispetto a quella eurista, con ciò invitando alla mobilitazione in favore del governo qualora ciò fosse necessario. Il più noto esponente di P101, Moreno Pasquinelli, sembra aver fatto sua la massima di Confucio, già adottata da Mao Tse Tung e Deng Xiaoping: "Non importa di che colore sia il gatto, l'importante è che prenda i topi". Questo atteggiamento lascia perplessi molti, ed io tra questi, per i quali più che preoccuparsi di prendere posizione tra le due fazioni in lotta è necessario, anzi ineludibile, sforzarsi di costruire almeno un embrione di organizzazione politica genuinamente popolare. Questo sforzo è già fallito in occasione delle politiche di marzo 2018, anche per responsabilità di molti che, inspiegabilmente, hanno scelto di saltare quell'appuntamento per concentrarsi sulle elezioni europee del 2019, senza per altro fornire una spiegazione razionale di ciò visto che le difficoltà nella raccolta firme per le europee sono di gran lunga maggiori rispetto alle politiche. Per non dire della contraddizione di dichiararsi sovranisti costituzionali e poi partecipare all'elezione di un parlamento europeo privo di potere legislativo, misera parodia di un vero parlamento democratico. Il mio sospetto è che una parte di costoro sia già arruolata nella fazione anglosassone, e ansiosa di giocare la partita al suo fianco sul piano europeo; un'altra sia composta da personaggi in cerca di cadrega, pronti a vendersi al miglior offerente. Vedremo se i fatti mi daranno ragione.

Il rischio di non badare al colore del gatto pur di sbarazzarsi dell'UE è duplice. Non solo quello di trovarsi in una nuova prigione, magari meno dura e demente di quella europea ma pur sempre una prigione, ma anche l'aver perso un'opportunità storica per conseguire un obiettivo anche minimo ma in prospettiva di fondamentale importanza: quello di riuscire a ridar voce agli interessi popolari chiamandoli all'impegno politico diretto non solo nel corso di una breve fase rivoluzionaria (la mitica "sollevazione" dei sogni pasquinelliani) ma in modo duraturo, organizzato e strutturale. Contro questo rischio entrambe le fazioni che si danno battaglia, nello scenario politico italiano e in tutta Europa, hanno messo in campo tutte le loro armi di disinformazione, inquinamento del dibattito, infiltrazione e corruttive, ostacolando la diffusione delle verità fattuali, favorendo la nascita di nuovi movimenti o sostenendo la ricostituzione di altri. Tutto pur di riuscire - cito l'amico Enea Boria - a "sgambettare velleità/speranze di auto organizzazione su basi autonome, lavoro da spin doctors, che non lavorano solo sui media ma, ne sono convinto, hanno le proprie diramazioni e i propri agenti anche nella società".

Un amico socialista una volta mi disse: caro Fiorenzo, oggi un patriota non fa in tempo ad uscire per strada che si ritrova circondato dai nemici! Temo che abbia ragione.

sabato 8 settembre 2018

Se la sono fatta nelle mutandine

Dunque, si sostiene che quella dei gialloverdi sia tattica, e come dubitarne? Non è forse vero che nelle file di questo santo governo della riscossa nazionale militano personaggi del calibro di Borghi, Bagnai e Barra Caracciolo? Una tattica portata avanti da due partiti che hanno ottenuto consensi giocando sulla corruzione e sui migranti, e solo in piccola parte, peraltro contraddittoriamente, sul tema dell'euro e dell'UE, senza mai prendere veramente posizione né per l'uscita dall'euro né per quella dall'UE. Figuriamoci per l'uscita dal liberismo!

Ma ammettiamo che davvero i gruppi dirigenti gialloverdi, davanti all'impossibilità di conquistare il necessario consenso giocando esplicitamente la carta dell'italexit, abbiano adottato una strategia che puntava alla pancia dell'elettorato, appunto la corruzione e i migranti. Se così fosse, dovremmo pensare che esistono ben due classi dirigenti (m5s e Lega) le quali vogliono davvero l'italexit, e che abbiano nascosto questo intento per non spaventare troppo l'elettorato, seducendolo al contempo con argomenti di maggiore efficacia; e che ora le suddette classi dirigenti non stiano facendo altro che proseguire nella loro strategia, e dunque avanzano con cautela nel campo minato che l'oligarchia eurista ha predisposto sul cammino dell'italexit. Capito perché il disavanzo sarà del 2%?

Ovviamente ci viene chiesto di fidarci. Ma scusate, se queste classi dirigenti sono state così abili nel dissimulare il loro vero intento, il che fa pensare che si siano incontrate e coordinate ben prima delle elezioni del 4 marzo 2018, perché hanno ritenuto necessario cooptare non solo Claudio Borghi (ce sta) e Alberto Bagnai (avoja se ce stà... Illo naturalmente ce stà) ma perfino Luciano Barra Caracciolo?

Che bisogno c'era di far entrare LBC nel governo, e dunque tacitare la voce più prestigiosa nella difesa della Costituzione? Non hanno pensato, le raffinatissime classi dirigenti gialloverdi che stanno complottando per l'italexit, che cooptare LBC in una fase in cui è necessario agire con tattica sopraffina onde evitare lo scontro frontale coi poteri euro-oligarchici, avrebbe significato scompaginare il campo dei più decisi e appassionati, oltre che preparati, sostenitori della riconquista della sovranità nazionale?

Pare proprio di no, le raffinatissime classi dirigenti gialloverdi non ci hanno pensato. Il che significa, quanto meno, che tutti quelli che in questi lunghi sette anni si sono spesi per divulgare, organizzare, approfondire, insomma per dirla alla romana si sono fatti un mazzo così, non contano un cazzo.

Ora vi chiedo: vi pare credibile una simile ricostruzione?

Toc... Toc... Toc... permesso? Posso offrirvi una spiegazione diversa? Eccola:

Quando sembrava che a fare gli anti euro ci fosse da guadagnarci, alcuni hanno sgomitato per mettersi in prima fila, anche facendo fuori i loro potenziali concorrenti con metodi violenti e volgari, e ci sono riusciti. Quando però hanno visto avanzare le potenti schiere dell'avversario se la sono fatta nelle mutandine.

Tre minuti appassionanti:

domenica 2 settembre 2018

Lo sbriciolamento del P.U.D.E.


Era il febbraio del 2014, quattro anni e mezzo fa, sembra un secolo. L'acronimo PUDE sta per "Partito Unico Dell'Euro". Per capire bene cosa sia il PUDE bastano le immortali parole di Alcide De Gasperi:

«(…) i voti non sono tutto (…). Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessaria a dominare la situazione. Vi è in Italia un quarto Partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e di rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi o le campagne scandalistiche. L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di Governo, in una forma o nell'altra, i rappresentanti di questo quarto Partito, del partito di coloro che dispongono del denaro e della forza economica. (a un consiglio dei ministri dell’aprile 1947)»

Dopo quel discorso, De Gasperi fece seguire alle parole i fatti, come testimonia Graziani ne “Lo sviluppo dell’economia italiana” (Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pag. 41):
Tutti i ministeri economici vennero affidati a uomini di sicura fede liberista. Einaudi lasciò il governo della Banca d’Italia a Menichella e assunse la direzione del nuovo ministero del Bilancio: Del Vecchio, autorevole studioso di eguali tendenze liberiste, assunse il ministero del Tesoro; i ministeri delle Finanze e dell’Industria andarono rispettivamente a Pella e a Merzagora, ambedue legati agli ambienti della grande industria del Nord. A questo governo spettò di prendere nei mesi immediatamente successivi i provvedimenti di maggiore portata, e di realizzare la famosa svolta deflazionistica del 1947.

Per una trattazione approfondita si rimanda a questo post di Luciano Barra Caracciolo1- LA DEMOCRAZIA SOVRANA, LA CONDIZIONALITA', IL VINCOLO ESTERNO E IL "VINCOLONE" (TTIP). - LUNEDÌ 5 OTTOBRE 2015.

Il frammento video di LBC, tratto da una più estesa trattazione - Euro e (o?) democrazia costituzionale - vedi anche dibattito - è relativo a un incontro organizzato dall'amico Gianluigi Leone in collaborazione con Dionisio Paglia, che è stato tra gli animatori in Ciociaria del Comitato 4 dicembre.

Quattro anni dopo quell'incontro il PUDE è sbriciolato. Il suo asse portante è stato, per un quarantennio, la riduzione della dialettica politica a scontro tra i buoni, educati e colti pds-ds-pd-ini e quei cafoni di Forza Italia. Una trappola, mi preme rimarcarlo, nella quale il vostro umile ma protervo cronista non è mai cascato.

E' già in atto, però, il tentativo di ricostruire una contrapposizione politica altrettanto farlocca, dal cui esito dipende la possibilità per il quarto partito di continuare ad egemonizzare il potere politico reale. Non è un'impresa facile, ma non perché gli avversari siano granché bensì per il fatto che la costruzione ideologica su cui esso ha fatto perno è fragorosamente fallita. Si tratta dell'idea secondo cui le forze del mercato, purché coordinate da istituzioni il cui compito doveva essere quello di costruire e preservare un ecosistema concorrenziale, laddove "eco" sta per "economico", sarebbero riuscite a conciliare lo sviluppo generale con un tasso di ragionevole equità. La realtà è invece quella di una vasta area economica, l'Unione Europea, in cui regnano sovrane la deflazione, cioè un basso tasso di crescita, e l'acutizzarsi delle disuguaglianze sociali.

Complici, seppur conflittuali in apparenza, di questo scriteriato progetto, sono stati il camaleontico partito dei buoni educati e colti (PDS-DS-PD) e Forza Italia. L'esito delle elezioni del 4 marzo 2018, e ancor più i sondaggi più recenti, per non dire della percezione generale, ha sancito l'annichilimento del tentativo, operato con la regia del quarto partito, di ridurre la dialettica politica reale a contrapposizione di brand. La differenza tra il ventennio fascista e il quarantennio del PUDE non si vede, perché non c'è. In entrambi i casi il famigerato quarto partito è riuscito a togliere dalla mente degli elettori l'idea che fare politica significa fare gli interessi della propria classe: durante il fascismo con la retorica dell'impero, nel trentennio del PUDE con quella dell'Europa.

Il partito dei buoni educati e colti (PDS-DS-PD) e Forza Italia non possono unire le loro forze, anche se ad un'analisi puramente numerica ciò potrebbe apparire conveniente, mentre un progetto alternativo non è di facile concezione. Ma non dobbiamo farci illusioni perché le menti raffinatissime sono già all'opera, potendo contare su tutta la potenza di fuoco di potenti altoparlanti. Una delle tecniche che possono essere usate è vecchia come la politica: se non puoi combattere il nemico alleati con lui.

Il quarto partito sa di aver perso questa mano, ma può comunque ritenersi soddisfatto perché ha ottenuto risultati stupefacenti. Farà quello che ha sempre fatto nei momenti di difficoltà: si immergerà ma, al contempo, si riorganizzerà, senza mai rinunciare, parole di Alcide De Gasperi, ad organizzare "il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi o le campagne scandalistiche".

E' importante, in questa fase, che le forze che sono riuscite a metterlo nell'angolo pur con tutti i loro limiti, riescano ad estrometterlo il più possibile dai centri del potere politico reale: i servizi segreti, la magistratura, l'informazione, le telecomunicazioni, solo per citarne alcuni. Tali forze, che sono in parte nazionali, e in parte rispondono al centro dell'impero angloamericano, a sua volta preda di una vera e propria guerra civile, sono comunque preferibili alla dittatura del quarto partito. Il PUDE è stato sbriciolato, ma non basta! E' necessario prendere una grossa ramazza e spazzarlo via dalla scena politica nazionale, per sempre. Non tanto e non solo perché il suo scriteriato progetto politico è dannoso e fonte di squilibri globali, non tanto e non solo perché questo progetto era fondato sullo scambio tra privilegi e potere per il quarto partito pagati con la cessione di sovranità del popolo italiano, ma soprattutto perché esso è stato perseguito oltre ogni ragionevole senso di opportunità, anche quando il prezzo da pagare per l'intera collettività si è rivelato molto maggiore dei vantaggi che il quarto partito poteva ottenere, e anzi addirittura quando anche esso ha cominciato a pagare dei prezzi. Tutto ciò dimostra che il quarto partito non è degno di governare questo paese, e con esso i maiores domus (cioè i partiti) che ne sono stati espressione: i buoni educati e colti (PDS-DS-PD) e Forza Italia

La distruzione del PUDE dovrà essere completa e totale, il quarto partito deve scomparire dalla storia contemporanea. Solo la sua completa distruzione può permettere l'inizio di una fase veramente nuova della nostra storia nazionale. Condizione necessaria, sebbene non sufficiente, affinché l'Italia continui ad esistere, è l'annichilimento del quarto partito. Se ci riusciremo avremo la repubblica, se falliremo tornerà il potere oligarchico.