sabato 27 febbraio 2021

Sulla fondazione di un partito dal basso

venerdì 26 febbraio 2021

Dalla Razza Padrona alla Borghesia Cotoniera

L'intervento che avrei svolto se mi fosse stato possibile partecipare all'assemblea di Vox Italia e Liberiamo l'Italia del 27 febbraio 2021.

mercoledì 24 febbraio 2021

Fatela girare (la democrazia)

martedì 23 febbraio 2021

RAPIDISSIMAMENTE

lunedì 22 febbraio 2021

A baby story: da San Fruttuoso a Ravanusa

sabato 20 febbraio 2021

Una prece

 

NON FATE GLI IGIENISTI DELLA POLITICA

Link correlatoProlegomeni per ogni futuro cartello elettorale sovranista

Ho ascoltato con attenzione. Mi pare di capire che, dei tre "commensali", uno, il FSI, si sia già tirato indietro. Di Paragone non parlo per non sprecare fiato (mi si perdoni la schiettezza, ma ciò che è evidente non merita di essere discusso).

Ora, siccome 2>1 e qui c'è bisogno di un "cartello" del sovranismo costituzionale e socialista, tanto più dopo l'errore compiuto anche dallo stesso Pasquinelli di poter trarre qualche utilità dall'appoggio, sia pur condizionato, prima ai gialloverdi poi ai giallorossi, per non parlare dell'ingenua fiducia riposta in alcuni soggetti di area bagnaiana (id est Rinaldi et alii) le poche speranze rimaste non possono che essere riposte nel successo di una vera e leale collaborazione tra Vox e Liberiamo l'Italia.

C'è bisogno di un cartello elettorale (non lo si può definire altrimenti, se vogliamo rimanere concreti) in vista delle politiche del 2023. L'atteggiamento del FSI, se non cambierà, lo condannerà alla definitiva estinzione, dopo la già pesante ritirata rispetto alle magnifiche sorti e progressive quando si immaginava un raddoppio dei militanti ogni anno.

La funzione del cartello elettorale dovrebbe essere quella di creare un vortice di militanza e di ritorno alla politica, anche correndo il rischio di un grande disordine. Questo rischio c'è, non posso negarlo, ma deve essere corso, perché è sempre preferibile il caos, che può essere creativo, a una stasi che è sicuramente distruttiva. La vita, anche quella politica, si nutre di conflitto, ma il conflitto è vitale, nulla nasce senza conflitto, senza sforzo, mentre l'ossessione della purezza ideologica e della linea precisa equivale, sul piano psichico, all'ossessione igienista della protezione compulsiva del sé tramite distanziamento-mascherine-gel.

Fate nascere il cartello elettorale, questo è il compito storico che incombe su di voi, attraete migliaia di militanti nel vortice dell'impegno politico, lasciateli liberi, salvo alcuni inderogabili punti fermi, e accettate che sia il popolo a scegliere i passi successivi.

Essere leader significa vincere, e vincere, e ancora vincere la battaglia per la leadership: chi teme ciò non si sente capace, è ovvio, di restare leader. Agite, vi prego agite, accendete la miccia e non abbiate paura del popolo che irrompe da protagonista. Non fate gli igienisti della politica.

Il mito del signoraggio

Prolegomeni per ogni futuro cartello elettorale sovranista

giovedì 18 febbraio 2021

Se alzi la tazza del cesso ci trovi la merda

Le tribolazioni del topolo

mercoledì 17 febbraio 2021

Il discorso di Draghi al Senato

lunedì 15 febbraio 2021

Tecnologia Potere e Democrazia

sabato 13 febbraio 2021

Gabriele Pinto SI, Lillo Massimiliano Musso forse...

Video killed no-euro stars

Nove anni dopo il primo dissidio col vate di Pescaracas in merito all'inopportunità che andasse in televisione, torno sull'argomento con la concretezza dei fatti avvenuti. Tutto il resto è noia. No! non ho detto gioia, ma noia! noia! maledetta noia!

Video correlato

giovedì 11 febbraio 2021

Da Greta al covid fino al terrorismo digitale

 

Da “Event 201” a “Cyber ​​Polygon”: la simulazione del WEF di una “pandemia informatica” in arrivo.
Cyber ​​Polygon 2021 sarà la prossima simulazione sponsorizzata dal World Economic Forum, “pandemia informatica” in arrivo?

mercoledì 10 febbraio 2021

Duecentonovemila milioni di euro

martedì 9 febbraio 2021

Un caloroso invito

Dallo zibaldone del nazionalismo arcaico - 9 febbraio 2021

 L’idea che la scienza non sia democratica si è andata rinforzando in questi ultimi anni, ma in realtà si tratta di uno slogan propagandistico il cui effetto è quello di erigere una barriera progressivamente più alta al diritto di partecipare al dibattito, non solo scientifico ma soprattutto politico. Si tratta di un inganno grossolano ma difficile da smontare, e ciò per diverse ragioni. Per cominciare è necessario distinguere tra scienza e titoli scientifici, un’operazione non facile perché la scienza si è profondamente trasformata negli ultimi due secoli diventando, da ramo della filosofia, un sistema organizzato e finanziato sia da istituzioni pubbliche che da gruppi privati. Ne è sortito un ibrido, cioè un habitat nel quale convivono scienziati fedeli al metodo scientifico, che si nutre di dubbio, onestà intellettuale e raffinati metodi di critica, insieme con specialisti nell’arte dell’ascesa sociale, quando non spregevoli individui disposti a qualsiasi menzogna pur di fare carriera. L’ibrido sistema si conserva in equilibrio grazie a un’abile politica che riesce a dare spazio a entrambi i tipi umani, utilizzando e finanziando gli scienziati veri per il progresso della ricerca, aspetto questo di fondamentale importanza in quanto la supremazia in ambito scientifico è un ingrediente essenziale di quella politica ed economica, ma anche promuovendo l’ascesa di personaggi i quali, più che scienziati, sono abili amministratori di sé stessi, tuttavia in possesso di diplomi che ne attestano l’appartenenza al campo della ricerca scientifica e capaci di accumulare, in pochi anni, un gran numero di pubblicazioni sfruttando l’oscuro lavoro di centinaia di volenterosi, e talvolta talentuosi, ricercatori precari condannati a prestare la loro opera al servizio delle ambizioni di crescita del cosiddetto rating di questi sfruttatori del lavoro intellettuale.

Accade così che, sempre più spesso, anche nell’ambito di un confronto accettato, dal quale quindi dovrebbe essere espunto ogni e qualsivoglia riferimento ai titoli accademici e di ricerca, questi vengano sbattuti in faccia all’interlocutore per intimorirlo e delegittimarlo. La bestiale volgarità di un simile comportamento è emersa in tutta la sua crudezza in occasione di due recenti dibattiti televisivi, nel corso dei quali il dott. Mariano Amici, medico di base di Ardea e sostenitore di tesi eterodosse rispetto alla narrazione ufficiale sul covid, è stato interpellato in malo modo dall’ex sottosegretario alla sanità Pierpaolo Sileri (ma egli si auto definisce vice ministro) e dal dottor Matteo Bassetti, virologo noto, tra le tante esternazioni, per aver delegittimato la dottoressa Ilaria Capua asserendone l’incompetenza in quanto veterinaria: “E' una veterinaria, i vaccini prevengono la malattia e l'infezione. Ognuno deve parlare di ciò che sa e si occupa”. Ecco dunque che la “competenza”, concetto di per sé valido, viene usata come una clava per togliere credibilità alle tesi altrui, con ciò negando la ragione stessa di ogni dibattito che pretenda di essere scientifico. Il punto è che, se ci si ritiene competenti su un qualche argomento, allora è sì legittimo sottrarsi al confronto con chi non lo è, ma una volta che questo è stato accettato è necessario spogliarsi dei propri titoli, veri o presunti, meritati o acquisiti con abili manovre nell’istituzione scientifica, e limitarsi ad argomentare. Siamo arrivati al punto che nemmeno a un medico come il dottor Mariano Amici, con decenni di esperienza clinica alle spalle, è consentito apparire al cospetto del mammasantissima Pierpaolo Sileri, perché quest’ultimo ha prodotto nella sua carriera ben 180 pubblicazioni! Facendo le debite proporzioni, è come se nel dibattito sulle onde elettromagnetiche si fosse tolta la parola a Marconi e Tesla perché non avevano i “tituli”. Ah, scusate, mi dicono dalla regia che in effetti ciò è accaduto, e in moltissime altre occasioni anche.

domenica 7 febbraio 2021

Come si cambia per non soffrire

 Commento ad alcuni estratti di un convegno della lega del 31 gennaio 2017.

6 febbraio 2021 - 01:32

Lega, Borghi e Bagnai: dai No euro all’ex Bce Draghi. Storia spettacolare di una conversione

di Fabrizio Roncone

I convertiti della Lega vengono giù per via degli Uffici del Vicario, uno avanti e l’altro dietro.
Ogni conversione di solito scatena tormento, dubbio, ansia da martirio. Ma su questi due ha sortito l’effetto del Lexotan, almeno 20 gocce.
Rilassati, positivi, di ottimo umore.
Dopo aver odiato l’euro e la Bce, aver scritto e detto cose terrificanti sull’Unione Europea, i due economisti adesso camminano in completa letizia verso Mario Draghi.
Quello basso (Claudio Borghi): eccolo che arriva davanti alle telecamerine, ai microfoni, il sospiro e lo sguardo di uno che prova fastidio per questi idioti di giornalisti che fanno sempre domande idiote. «Io avrei cambiato idea? In che senso?». Santo cielo: come in che senso? «Draghi è Ronaldo, è un fuoriclasse». Allora c’è uno di noi che si volta e camminando all’indietro dice no, scusate, ragazzi, mi sa che non ho capito: ha detto che Draghi è come Ronaldo?
Quello più alto e dall’aspetto elegante (Alberto Bagnai, però poi vedremo cosa nasconde questa sua scorza oxfordiana): «Draghi? Ma io Draghi l’ho sempre stimato». Cala un brevissimo silenzio di stupore, si sentono i passi sui sampietrini. Un giovane cronista prova a dire che beh, forse, veramente. Allora Bagnai diventa arrogante, è proprio così, arrogante e grifagno, gli viene naturale: «Provate a fare un piccolo sforzo visto che sicuramente avete studiato...».
La scorsa estate Bagnai è subentrato a Borghi alla guida del «dipartimento economia» della Lega. Salvini, all’epoca, voleva che il partito continuasse ad essere decisamente orientato: e Bagnai, 58 anni e modesto suonatore di clavicembalo ai festival di musica barocca, senatore e docente all’università di Pescara, è noto alla comunità scientifica e politica solo ed esclusivamente per la sua forsennata battaglia contro l’Eurozona.
Una pubblicazione di successo: Il tramonto dell’euro, otto anni fa (quindi scarsamente profetica). Poi convegni e interviste. Sempre con tono minacciosetto. Contro chiunque osi criticarlo. Il collega Tommaso Monacelli della Bocconi ci prova. E Bagnai, su Twitter: «Gli facciamo un bel cappottino di abete» (per alludere a una bara). Un’altra volta, soliti toni cimiteriali, sul suo blog: «L’unica Bce buona è quella morta». Su Draghi, all’epoca presidente della Banca europea: «Dice sciocchezze. Non ha alcun titolo per dettare la linea economica di uno Stato sovrano». Poi se la prende con i partigiani dell’Anpi: «Sono pro euro... Da antifascisti a piddini, il passo è breve, per gli amabili vegliardi». Chiarissimo con un autore tivù: «Stampati bene in testa che a me, se non mi invitate più, non me ne frega un beneamato c@zzo».
Claudio Borghi è meno iracondo, meno volgare.
Un furbacchione con la parlantina del furbacchione (in tivù, nei talk, va fortissimo): ex fattorino, ex agente di cambio, ex broker, ex agente della Deutsche Bank, ex docente a contratto di Economia e mercato dell’arte all’Università Cattolica e, per hobby, a sua volta mercante d’arte. La vita gli cambia una notte. Con il cellulare che inizia a vibrare. Voce leggermente impastata. «Ciao, sono Matteo: hai voglia di spiegarmi queste tue strane idee sull’euro?».
La mattina dopo, Borghi gli tiene una lezioncina. E gli suggerisce: leggiti il libro che ha scritto il mio amico Bagnai. Salvini comincia a fidarsi di Borghi. E Borghi prova a incassare: si candida con il Carroccio alle Europee del 2014, però non ce la fa. Un anno dopo cerca di diventare governatore della Toscana, ma niente: riperde. Nel 2017 si accontenta del consiglio comunale di Como, però poi eccolo subito, finalmente, sbarcare a Montecitorio con il suo mantra: dobbiamo uscire dall’euro.
Che tipi.
Economisti sempre con un pensiero buono per il prossimo. Alle 21.10, Borghi twitta: «Sto vedendo Travaglio che sta per avere un travaso di bile. Sempre meglio. #ottoemezzo».
Bagnai prova invece a farci il gioco delle tre carte (ma quelli bravi li trovate sulla Roma-Napoli, nell’area di servizio Teano): «Draghi? Io e Draghi veniamo dalla stessa scuola... E non ho mai trovato nulla da obiettare sulle sue scelte e analisi di politica economica». Nemmeno mezzo tentativo per nascondere il trucco. Zero. Vogliono quasi convincerci che la sera s’addormentano con la biografia di Altiero Spinelli sul comodino.
Va bene: sono giorni frenetici, complessi, memorabili. La Moleskine è piena di appunti.
Draghi incontra Grillo, Conte con un banchetto davanti a Palazzo Chigi, Renzi che non cambia idea da 48 ore, il silenzio di Bettini, Unterberger delle Autonomie che assicura: «Draghi? È più tedesco dei tedeschi» (pensando di fare una battuta divertente).
Però, davvero: questa storia dei leghisti convertiti. Che storia. Bagnai e Borghi. Meno male che non vi avevamo mai preso sul serio.

venerdì 5 febbraio 2021

Le truppe cammellate

 Link correlato: Covid, il riscaldamento globale ha innescato il virus in Cina: studio Cambridge fa luce definitiva (Il Messaggero 5 febbraio 2021)

giovedì 4 febbraio 2021

C'è sempre un domani

mercoledì 3 febbraio 2021

Un capitano di ventura

Una breve e personale riflessione sull'incarico a Mario Draghi.