martedì 12 dicembre 2023

Un vuoto archetipico

ARCHETIPI - Eleonora Pulcinella Due


Piaccia o meno, bisogna sapere che "non è possibile riscrivere gli archetipi", in modo arbitrario o ideologico, fosse anche per le migliori ragioni del mondo.

Un archetipo non risponde ai nostri bisogni personali, non si crea dal nulla, esiste da prima che l'umanità ne scopra la forza di influenza nella vita terrestre, è una realtà dello spirito che agisce in noi.

L'innocente, l'orfano, il guerriero, il creatore, l'angelo custode, il cercatore, il distruttore, l'amante, il sovrano, il mago, il saggio, il folle, non dipendono da nessuna ideologia umana, ma dalla saggia direzione delle grandi guide dell'umanità, che agiscono di concerto con i mondi dello spirito.

La "scoperta" di Jung, già ben nota da sempre alle vere scuole spirituali, che "nei sogni dei pazienti, affrontato un archetipo, si passava sempre al successivo", con un ordine preciso, non arbitrario o personale, ci dice tutto di questa realtà. Lui la chiamò inconscio collettivo, per evitare un approccio spirituale alla questione.

Ora, bisogna saperlo dire, è inutile che la Disney, o Netflix, o il World Economic Forum, o la politica, o le università, la scienza, o chi volete voi, tentino di riscrivere questa realtà vivente degli archetipi. Essa esiste da sempre e non verrà mai neppure scalfita dallo strepitare del potere del nostro tempo.

È certo possibile che non se ne parli, che venga messa a tacere questa esistenza nel mondo spirituale di realtà archetipiche che "informano" il mondo della coscienza umana, ma il silenzio imposto non farà che tappare un vulcano pronto a riesplodere in un secondo momento.

La realtà delle forze spirituali, dei concetti viventi, delle figure degli archetipi, vive comunque accanto e dentro all'umanità, indipendentemente dal corso della storia. Non ci sono Cabala, o Tarocchi, o Astrologia, Poesia di Amore o Danza Sufi, Meditazione Sacra o Scienza dello Spirito, che non ritornino alla luce "per forza propria" in ogni epoca.

Il futuro viene scritto dal presente, ma chi sale o chi scende dalla guida del mondo è del tutto ininfluente. Quando l'uomo va contro la natura degli archetipi, ovvero contro i retroscena spirituali, fa impazzire il mondo e crea disastri, orrori, dolori, malattie, morti, del tutto inevitabilmente.

Per questo motivo ad ogni ondata di oscurità, sempre più, seguono ondate gigantesche di risvegli, dopo l'orrore l'umanità capisce e si ritrova, dopo la morte ritorna la vita, perché questo è l'incessante ritmo della evoluzione dello spirito che si fa piena coscienza.

Se Biancaneve è "bianca come la neve" non è per discriminazione di chi ha la pelle di un altro colore, è così sciocco solo pensarlo, ma è perché tutti noi abbiamo "una parte della nostra anima" che è pura come la neve appena caduta dal cielo.

Per questo non ha nessun senso riscrivere "la zona bianca dell'anima umana" e credere perfino che sia giusto "renderla nera". Nessuno spirito umano ritrova l'archetipo in questa manipolazione ideologica. E il film, spontaneamente, per forza degli archetipi resi inattivi e spenti, diventa un "flop".

martedì 24 ottobre 2023

Libertà e partecipazione

Libertà e Partecipazione: prototipo di una possibile architettura democratica

Libertà e Partecipazione: prototipo di una possibile architettura democratica
Dalla protesta spontanea all'organizzazione politica

Il Comitato Centrale

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Premessa. 2

La costruzione del partito. 4

Manifesto. 4

Programma. 4

Statuto, Democrazia interna, Modello di organizzazione. 5

Una questione cruciale. 6

Il modello federativo. 7

A - Da qualche decina a 100 iscritti.. 7

B - La soglia dei 100 iscritti.. 8

C - La creatura politica. 9

Esempio aritmetico. 9

L’organizzazione per sezioni 10

Gli organi del partito. 10

Assemblea ordinaria. 10

Assemblea straordinaria. 11

Elezione del Comitato Centrale. 12

I poteri del Comitato Centrale. 13

Le sezioni 13

Conclusioni 14

 


 

Premessa

Questo documento nasce dalla volontà di un gruppo di persone di varia ed eclettica provenienza, riunitesi sotto la sigla Prototipo, di affrontare il problema della negletta democrazia interna nei partiti afferenti all’area cosiddetta del dissenso. Tale area è oggi rappresentata da organizzazioni che, riunendo una galassia di piccoli gruppi e sigle talvolta esistenti solo sui social, hanno tentato “l’assalto al cielo” in occasione delle elezioni politiche del settembre 2022, fallendo tuttavia nell’impresa di entrare in Parlamento.

Si tratta di un’area che si è parzialmente innestata su una precedente lunga mobilitazione di forze dal basso contro l’adesione del nostro paese all’Unione Europea e all’euro, che tuttavia è stata ripetutamente tradita nell’ingenua fiducia in alcuni partiti, segnatamente la Lega e il M5S, che ne avevano apparentemente raccolto le istanze a fini puramente di consenso elettorale.

Un’ulteriore radice dell’area del dissenso è costituita dai movimenti organizzati contro gli obblighi vaccinali imposti dalla Legge Lorenzin, anche questi traditi dai successivi comportamenti del M5S che li aveva fatti propri per poi disconoscerli del tutto durante il periodo degli obblighi vaccinali covid.

Inoltre, la cosiddetta “area del dissenso” è oggi inquinata dalla presenza, egemonica al suo interno, di un grande numero di personaggi e sigle di varia origine, prevalentemente di destra secondo l’accezione tradizionale di questo termine, nonché dal sospetto di pesanti infiltrazioni dell’intelligence politica filo-atlantica.

Gli estensori di questo documento ritengono che questo sia stato favorito dall’affermarsi di due idee antidemocratiche:

1.      La tecnocrazia e lo scientismo come nuove religioni atee

2.      Il concetto di voto utile

Entrambe queste idee, profondamente antidemocratiche e favorevoli allo statu quo, sono state sostenute dal sistema culturale e dei media espressioni delle classi dominanti, e presto sussunte dalle false opposizioni impersonate dalla Lega e dal M5S, finendo così con l’imporsi nell’opinione pubblica. La stessa possibilità di costruire movimenti di opposizione è stata così compromessa, come è testimoniato dal deplorevole stato di salute, aldilà delle declamazioni propagandistiche sui social, di tutte le iniziative di opposizione dal basso.

La radice principale ma non unica di questi mali, secondo gli estensori di questo documento, risiede nel carattere non democratico di tutti i gruppi, senza esclusione alcuna, che hanno alimentato l’opposizione allo stato presente delle cose attraverso i tentativi di aggregazione politica: sia quando hanno scelto di affidare le loro speranze a partiti come la Lega o il M5S e, più recentemente, FdI, sia quando si sono mossi in relativa autonomia, la loro guida è sempre rimasta nelle mani di gruppi dirigenti autoreferenziali e/o di personaggi ambigui, senza che in essi operasse alcun meccanismo di democrazia interna.

La misura è colma, occorre ribadire con la massima forza che è impensabile proporsi come interpreti dell’opposizione a un sistema che sempre più appare totalitario, agisce in modo totalitario, si esprime in modo totalitario, e dunque è totalitario, attraverso la costituzione di opposizioni guidate da congreghe di personaggi che rispondono solo a sé stessi ma chiedono al popolo di mobilitarsi obbedendo alle loro direttive come un soggetto passivo. La misura è colma!

Una circostanza che si incontra, nell’esame delle possibili forme organizzative di un partito egualitario e democratico, consiste nel fatto che i proclami di democraticità, pur rivendicati nei manifesti politici e ribaditi ad ogni piè sospinto, nei fatti sono spesso e spregiudicatamente disattesi sia nella stesura degli statuti che nella realtà. Ne è indizio importante il fatto che, negli sforzi cui abbiamo assistito di dar vita a nuovi partiti, le difficili problematiche connesse a una sana quanto efficace prassi democratica sono state sistematicamente poste in ombra, nel mentre molte energie venivano investite quasi esclusivamente in approfondite e pur pregevoli discussioni di ordine ideologico.

La mancata risoluzione delle questioni attinenti alla democrazia interna ha il triplice effetto di favorire l’emersione di un ristretto circolo di dirigenti che tendono a procedere per cooptazione, favorire le scissioni come metodo di risoluzione dei contrasti, addivenire a forme di competizione fra i vari gruppi nelle quali lo scopo ultimo è quello di sottrarre militanti ai concorrenti. A conferma di ciò, è sotto gli occhi di chiunque sia dotato di un minimo di onestà intellettuale l’esito disastroso di un quindicennio di mobilitazioni: prima nella forma di denuncia dei mali dell’euro e dell’UE, poi contro le politiche sanitarie e, più recentemente, per contestare la collocazione dell’Italia nelle guerre contemporanee, in particolare quella tra la Nato e la Russia, in totale e assoluto spregio del dettato costituzionale. Nessuno dei nuovi partiti che si sono proposti all’attenzione degli elettori è riuscito a ottenere un consenso elettorale significativo e, cosa ancor più grave, a mettere radici. Solo in occasione delle elezioni del 25 settembre 2022 si è manifestato un segnale di sostegno popolare nella forma dello sforzo diffuso per raccogliere le firme, onde assicurare la partecipazione alle elezioni di tre liste in rappresentanza di quella che è stata definita “area del dissenso”, ma ciò è accaduto più come reazione spontanea alle modalità di convocazione anticipata delle elezioni piuttosto che come il risultato dell’elaborazione di una visione collettiva capace di mobilitare le energie. Per sovrappiù, a elezioni svoltesi, tutte e tre le liste sono incorse in scissioni e polemiche reciproche, alimentando così una rinnovata fuga dall’impegno politico.

Non mancano inoltre i sospetti di pericolose collusioni, che sono alimentati dalla constatazione della natura verticistica di tutti i partiti del cosiddetto dissenso, nei quali troppo spesso si è offerta la ribalta a dirigenti auto nominatisi a discapito dei militanti che si spendevano sul territorio. I rappresentanti di vertice, fondatori di queste formazioni, affermano di praticare metodi democratici, ma in realtà ve sono soltanto tracce, che nella visione del collettivo Prototipo sono insufficienti.

L’ambizione di questo lavoro collettivo è quello di cominciare a porre il problema, tentando altresì di delineare una possibile soluzione pratica che possa costituire un punto di partenza nella costruzione delle procedure di democrazia interna di futuri partiti di opposizione, partendo dalla loro nascita come minuscoli gruppi fino a compiere i primi passi nell’agire politico. Nel fare ciò abbiamo operato alcune scelte preliminari, tra cui quella di un’architettura dell’organizzazione basata sulle sezioni o collettivi territoriali piuttosto che sui singoli iscritti. Pur motivandola, ci preme tuttavia sottolineare che l’architettura proposta non è l’unica possibile e che altre possono essere indagate. Inoltre, nelle discussioni interne a Prototipo, sono emerse in più occasioni diversità di vedute che, in qualche caso, sono state risolte, in altri si è preferito indicare il punto di dissenso, lasciando liberi coloro che volessero utilizzare questo documento come traccia per un’implementazione concreta di operare le loro scelte. Due esempi di ciò sono la questione dell’intangibilità del manifesto politico/escatologico, che è stata oggetto di accese quanto irrisolte discussioni, e il perimetro dei poteri del Comitato Centrale (CC). In quest’ultimo caso l’oggetto del contendere è stato il principio della totale discrezionalità del CC nell’ambito delle prerogative assegnate, tra cui il potere di non informare le sezioni e gli iscritti di eventuali contatti e trattative riservate con altri partiti politici. Coerentemente con l’assunto che il CC è l’organo nel quale risiede la sovranità collettiva dell’organizzazione, è possibile adottare la linea di concedere questa libertà d’azione. Questa scelta implica la conseguenza, che è bene evidenziare, che il CC, nell’ambito dei limiti temporali di permanenza in carica e del suo raggio d’azione è, a tutti gli effetti, il Partito. Un correttivo ai possibili abusi da parte del CC è costituito dall’obbligo, che dovrebbe essere statutariamente imposto, di verbalizzare le deliberazioni riservate, e che tali verbali siano nella disponibilità dei CC successivamente eletti. La scelta opposta, ovvero non consentire al CC di adottare deliberazioni riservate, è anch’essa praticabile purché si abbia consapevolezza del fatto che, a fronte di una evidente maggiore trasparenza, si corre tuttavia il rischio che la realtà concreta obblighi il CC o una sua parte a compiere azioni “segrete”, le quali non sarebbero nemmeno verbalizzate. Come in altre circostanze, anche questi dilemmi saranno risolti da quanti vorranno tentare di “rovesciare nella prassi” le idee esposte in questo documento.

La costruzione del partito

In linea generale, e per fissare le idee, la costituzione di un partito presuppone i seguenti passi:

·        Manifesto

·        Programma

·        Statuto, Democrazia interna, Modello di organizzazione

Manifesto

Vi sono, da sempre, due orientamenti fondamentali e diametralmente opposti, uno che afferma che il Potere debba discendere dall’alto verso il basso e un altro che esso debba procedere in senso opposto, dal basso verso l’alto. In entrambi i casi si tratta di una visione escatologica di fondo che opera una prima separazione tra ciò che è bene e ciò che è male, individuando due Principi che confliggono da sempre nella storia dell’uomo.

Citando Simone Weil: «C'è nell'intimo di ogni essere umano, dalla prima infanzia sino alla tomba e nonostante tutta l'esperienza dei crimini commessi, sofferti e osservati, qualcosa che ci si aspetta invincibilmente che gli faccia del bene e non del male. È questo, prima di tutto, che è sacro in ogni essere umano. Il bene è l'unica fonte del sacro»

Se accettiamo l’analogia tra la costituzione di un partito e la fondazione di una nuova città, il manifesto rappresenta l’atto di tracciare il confine sacro e inviolabile, il Pomerium.

La stesura del Manifesto, che è compito dei fondatori, è dunque di natura ideologica/escatologica. Il Manifesto delinea una visione del mondo che può essere del tutto nuova ovvero riferirsi ad una già esistente, eventualmente arricchita e/o corretta. Il manifesto, stabilendo ciò che è bene, lo separa e lo sacralizza. Può sembrare un compito improbo, tale da aprire ad infinite discussioni, eppure esso dovrebbe essere concordato d’impeto, come cosa che fuoriesca dall’animo dei fondatori come verità evidente in sé.

Nota: se proprio vogliamo utilizzare l’ormai logora dicotomia destra/sinistra non v’è dubbio che la destra impersoni il Principio elitistico mentre la sinistra quello egualitario. Tuttavia, poiché l’uso della dicotomia destra/sinistra in questa fase storica è foriero di fraintendimenti, nel seguito ci riferiremo a tali principii coi termini elitista/egualitario. Inoltre, poiché ai fini di questo documento non è rilevante approfondire le possibili forme organizzative dei partiti elitisti, in esso prenderemo in esame solo quelle dei partiti egualitari.

Esula dagli scopi di questo documento ogni ulteriore considerazione sui contenuti del manifesto, la cui stesura è del tutto in capo ai fondatori.

Programma

Il programma è sempre una collezione di obiettivi di fase, sebbene ancorati ai valori custoditi nel Manifesto. Il programma si cala nella realtà imperfetta di ciò che è possibile realizzare nell’azione politica concreta, anche in termini di alleanze scandalose e compromessi inevitabili, in definitiva quelli che Simone Weil chiama “crimini commessi, sofferti e osservati”. Il programma è dinamico, del tutto nella disponibilità delle scelte del partito attraverso i suoi organi statutari, può essere modificato, anche radicalmente, in presenza di situazioni eccezionali, né deve preoccupare l’emergere di contraddizioni nel tempo.
Nel corso della vita del partito, dalla nascita auspicata fino all’inevitabile estinzione, le innumerevoli trasformazioni del programma tracciano il percorso dell’agire di cui si fa carico la sua classe dirigente, con i suoi successi ma anche i più drammatici errori, l’unico limite essendo ciò che è stabilito come sacro, dunque separato e non disponibile, sancito nel Pomerium.

Statuto, Democrazia interna, Modello di organizzazione

La custodia di ciò che è sacro non può che essere affidata, inizialmente, ai fondatori, e mantenuta da questi fino alla stesura e approvazione dello statuto, nel quale vengono stabilite le regole ordinarie di elezione e decadenza degli organi del partito nonché, eventualmente, quelle molto più severe di modifica dello statuto e, se ciò sarà considerato opportuno, dello stesso Manifesto ideologico/escatologico. Quest’ultima possibilità, che è una contraddizione in termini a fronte dell’uso del termine “escatologico”, può rivelarsi utile come compromesso di extrema ratio prima di addivenire a una scissione.

In definitiva il compito dei fondatori, all’atto della nascita del partito, presuppone l’assunzione di una sovranità assoluta, la quale sarà successivamente distribuita nella misura prevista dallo stesso. La stesura dello statuto coincide con la definizione del grado di democraticità interna che i fondatori decideranno di adottare. Dal punto di vista della vita del partito si tratta di una biforcazione fondamentale (dalla quale derivano a cascata le scelte successive) che è strettamente collegata ai contenuti del Manifesto.

Le ragioni della democrazia interna in un partito politico sono due:

1.      Impedire che il partito si trasformi in un’organizzazione verticistica al servizio delle ambizioni dei dirigenti.

2.      Liberare le energie politiche degli iscritti incanalandole nella direzione degli scopi che il partito si prefigge.

Allo stesso tempo, qualsiasi forma di democrazia interna deve preservare il partito da infiltrazioni esterne, situazioni di caos che conducano allo stallo, derive ideologiche. Il problema delle derive ideologiche è particolarmente insidioso perché il loro contenimento confligge con l’idea stessa di democrazia interna ed è probabilmente irrisolvibile in modo definitivo, sebbene sia possibile costruire organismi di controllo che le tengano parzialmente a bada.

In ogni caso, posto che in un partito, come in qualsiasi comunità politica, la democrazia interna ha lo scopo primario, ma non esclusivo, di impedire che chiunque possa farsi “Proprietario del partito”, ci concentreremo su questo evitando di indulgere in altre considerazioni, ad esempio quelle relative alla ricchezza e alla potenza della democrazia che potrebbero essere percepite come aspirazioni ireniche di un gruppo di persone animate da grandi ideali ma distaccate dalla durezza del vivere. Il richiamo all’espressione “durezza del vivere”, che è il cavallo di battaglia di quanti nutrono sfiducia nei confronti della democrazia, è chiaramente provocatorio, essendo questo documento esclusivamente indirizzato a coloro che, non accettando di essere guidati dall’arbitrio di pochi, sono tuttavia pronti a rispettare la disciplina organizzativa necessaria a preservare la libertà. Gli uomini liberi non accettano di essere guidati da capi che non siano sotto il loro controllo, ma sanno anche che ogni forma di controllo dal basso deve essere intelligentemente e realisticamente procedurizzata, rifuggendo sia dalle seduzioni della democrazia diretta che da eccessive concentrazioni di attribuzioni che, la Storia lo insegna, sfociano sempre nello stato di eccezione permanente.


L’idea di base consiste nel fatto che la sovranità, all’interno di una comunità politica, deve risiedere in un organismo collettivo, a sua volta regolarmente e frequentemente eletto da una base più ampia. Una volta che tale principio sia stato assunto si pongono numerosi problemi determinati dall’ampiezza della comunità politica, poiché è del tutto evidente che una cosa è l’elezione di un Comitato Centrale di 30 membri in un partito con mille iscritti reali, altro se il partito ne conta 10.000. Altri elementi di cruciale importanza sono la durata della delega all’organo nel quale risiede la sovranità collettiva (nel seguito “Comitato Centrale” - CC) e i suoi poteri, come ad esempio la definizione del tipo di maggioranza necessaria per deliberare: relativa, assoluta, qualificata o unanimità; e naturalmente la forza che tali deliberazioni avranno in funzione del tipo di maggioranza che le abbia determinate. Sono, questi, solo alcuni dei problemi che si pongono nel processo di costruzione di una comunità politica che pratichi la democrazia interna, ma tutti rappresentano potenziali punti di vulnerabilità utilizzabili da quanti, al crescere dell’importanza e del peso politico del partito, fossero tentati di assumerne il controllo. Il problema è di tale complessità da non poter essere affrontato in modo esaustivo in questo documento, anche perché ogni scelta in tal senso rappresenta una biforcazione che apre a cascata a successive ulteriori biforcazioni, in un processo infinito che solo il processo storico reale e concreto può determinare.

Per uscire da questa impasse in questo documento si prenderà come riferimento l’ipotesi di una proposta di organizzazione che parta da alcune decine di fondatori che redigano uno statuto di democrazia interna, nonché il suo percorso di sviluppo, valido fino a circa 500 iscritti reali non uniformemente distribuiti sul territorio nazionale. Superate queste dimensioni, alcune delle soluzioni proposte diverranno man mano inadeguate, ma i correttivi necessari esulano dagli scopi di questo documento mentre l’auspicio è che un tale problema di relativa abbondanza, in verità ancora ben misera, sarà intelligentemente risolto da questa nascente quanto indispensabile comunità politica.

Al momento della redazione di questo documento esistono già alcune embrionali comunità politiche riferibili all’area che abbiamo convenuto di chiamare egualitaria; esse sono costituite da alcune decine di militanti reali, sebbene nella loro comunicazione ne venga millantato un numero ben maggiore quanto indefinito. Quest’ultimo è un primo errore che ci permettiamo di biasimare con forza. Il punto non risiede tanto nell’efficacia comunicativa (è a tutti noto l’effetto sondaggistico di apparire più grandi di quanto si sia) bensì morale. Il vulnus consiste nel mentire a coloro che potrebbero scegliere di diventare militanti ingenerando attese che presto sarebbero deluse, con la grave conseguenza di perdere credibilità. La credibilità politica, da non confondere ovviamente con quella finanziaria tanto cara agli stramboidi liberali, è un bene prezioso, una gemma da custodire con la dedizione delle antiche vestali al fuoco sacro.

Una questione cruciale

Come già detto, sono i fondatori che devono proporre il Manifesto ideologico/escatologico, il Pomerium, e l’insieme delle prime regole di partecipazione democratica tracciandone altresì il percorso evolutivo.

Si pone, a tal proposito, una questione di cruciale importanza che impone una scelta obbligata a quanti, anche ispirati da questo lavoro collettivo, desiderassero procedere alla fondazione di un nuovo partito, ovvero al riesame della costituzione di uno già esistente: il manifesto ideologico/escatologico, o Pomerium, è modificabile? E, in caso affermativo, attraverso quali procedure?

La discussione su questo punto è stata molto vivace, all’interno del collettivo Prototipo, con alcuni schierati a favore dell’immutabilità del manifesto, anche in ragione dell’uso dell’aggettivo “escatologico”, e altri che hanno sostenuto il principio della sovranità assoluta del Partito anche in questo ambito, qualora la volontà di apportare modifiche al Manifesto ideologico/escatologico fosse sostenuta da un ampio consenso. Non si tratta di una questione meramente numerica, tale da poter essere risolta imponendo maggioranze ampie se non addirittura l’unanimità degli iscritti, bensì di principio. Due possibili soluzioni potrebbero consistere nell’eliminare l’aggettivo “escatologico” oppure nel dividere il Manifesto in una parte “escatologica” immodificabile e una parte “ideologica” modificabile ma ad ampia maggioranza, tuttavia nemmeno questo risolve il problema di fondo. Esso, tuttavia, esula dagli scopi di questo documento, che non ha il fine di dettare una forma di democrazia interna bensì quello di enucleare alcune problematiche di massima e di indicare una bozza di forma democratica, applicabile nella fase di passaggio tra l’impulso iniziale dei fondatori e il raggiungimento di una soglia massima di 500 iscritti.

Essendosi stabilito che il principio di riferimento è quello per cui la sovranità deve appartenere a un organo collettivo eletto, fin dall’inizio si deve rifuggire ogni tentazione assemblearista che diverrebbe impraticabile al crescere dell’organizzazione, fatte salve le eventuali deliberazioni di fondamentale importanza relative alla eventuale modifica del Manifesto ideologico/escatologico o per la modifica dello statuto. Si tratta di assumere un rigoroso metodo di delega democratica, che dovrà essere l’impronta genetica della comunità politica. Se dunque i fondatori saranno, ipotizziamo, una trentina, il CC sarà costituito, tanto per fissare le idee, da 5 eletti dall’assemblea plenaria, mentre al crescere degli iscritti, poniamo un centinaio, tale numero passerà a 10 o 15, e così via. Nello statuto fondativo si stabilirà il numero di partecipanti affinché l’assemblea plenaria sia valida, e tutti gli altri dispositivi che gli esperti di questioni giuridiche sapranno suggerire, ma è fondamentale che questo piccolo gruppo di fondatori sia all’unisono fedele al principio per cui, stabiliti gli obiettivi ideologici/escatologici, la prassi politica procederà, fin dall’inizio dell’avventura, nel pieno rispetto delle procedure democratiche interne che sono man mano stabilite e, sempre, confermate dall’assemblea plenaria.

Il modello federativo

La crescita del numero degli iscritti di un partito che pratica la democrazia interna è una conseguenza, oltre che dell’adesione ai valori sanciti nel manifesto, del coinvolgimento nella sua vita a tutti i livelli. Molti esseri umani, in particolare coloro che si appassionano di politica, amano discutere, confrontarsi, in una parola combattere per proprie idee, in questo distinguendosi da altri che preferiscono seguire un capo o, comunque, un’organizzazione alla quale delegano il potere di fare le scelte e alla quale obbedire.
La democrazia risponde alla necessità, in ultima analisi, di attrarre il primo tipo di persone, fornendo al contempo un habitat nel quale la naturale tendenza al conflitto di questo tipo speciale di umanità sia incanalata nella direzione del perseguimento degli obiettivi comuni. A tal fine, oltre alle pratiche di democrazia interna, occorre ragionare sul modello generale dell’organizzazione, che può essere maggiormente orientato al centralismo ovvero di natura federativa. In un modello centralizzato la tendenza naturale degli iscritti più capaci e intraprendenti è quella di aspirare ad essere eletti negli organismi dirigenti, con la conseguenza di attrarre verso il centro dell’organizzazione le migliori energie e di sguarnire le unità di base.

Un elemento che può aggravare o stemperare questa deriva è il meccanismo di elezione del CC, che può essere incentrato sui singoli iscritti o sulle sezioni. Nel primo caso, i meccanismi elettorali prevedono la presentazione di liste in competizione tra loro, il voto dei singoli iscritti indipendentemente dalla sezione o collettivo territoriale di appartenenza, e la successiva proclamazione degli eletti secondo criteri proporzionali o variamente corretti in senso maggioritario. Nei modelli organizzativi maggiormente centralizzati gli iscritti non eleggono soltanto i membri del CC ma spesso anche le cariche apicali. Tali meccanismi elettorali favoriscono la nascita di correnti ideologiche, o addirittura semplici cordate di potere, che possono spaccare l’organizzazione, e inoltre favoriscono l’emergere di una tipologia umana più abile dal punto di vista della dialettica piuttosto che della concretezza nel saper organizzare il lavoro politico sul territorio.

Di converso, un modello organizzativo incentrato sulle sezioni, per cui sono queste che eleggono i loro rappresentanti nel CC, il quale a sua volta provvede a scegliere al suo interno le cariche apicali nonché ad assegnare compiti esecutivi/organizzativi agli iscritti scegliendoli tra i più adatti, tende a disattivare le motivazioni sottese alla nascita delle correnti e/o cordate di potere, per di più promuovendo i militanti più attivi sul territorio.

Nel seguito di questo documento si procederà partendo dall’assunto che il modello organizzativo scelto sia quello federativo; anche perché non mancano esempi di modelli organizzativi centralizzati che hanno manifestato i problemi su esposti.

A - Da qualche decina a 100 iscritti

Sia dunque conclusa la fase nella quale i fondatori, fino a qualche decina, abbiano costituito il primo nucleo, con tanto di manifesto e una bozza di statuto da offrire ai successivi iscritti. Questa è la fase in cui tutti i partecipanti si conoscono personalmente, ma è già necessario, non fosse altro che per ragioni di pedagogia democratica, superare l’assemblearismo. Si procederà quindi ad eleggere il primo Comitato Centrale, in numero di 5, a partire dalle candidature presentate. Si stabilirà che il primo CC resterà in carica per 6 mesi e che eleggerà un Presidente. Non sono necessarie altre cariche, stante il fatto che, con un numero così piccolo di iscritti, il partito è, e può restare ancora a lungo, un’organizzazione informale. Coloro che fanno parte del CC dovranno altresì garantire, finché sono in carica, un impegno più intenso di quello richiesto ai semplici iscritti. Questo rappresenta un vulnus rispetto al diritto di partecipazione piena alla vita del partito, ma è bene ricordare che far parte del CC rappresenta un’attività di servizio, e dunque eleggere a questa carica chi non è in grado di ottemperare agli obblighi richiesti costituirebbe un danno per tutto il partito. I componenti del CC avranno l’obbligo, nei 6 mesi di durata in carica, di incontrarsi almeno due volte in presenza, di garantire la loro partecipazione, per quanto possibile, alle riunioni virtuali, di convocare nel corso del loro mandato l’assemblea plenaria che, oltre a confrontarsi su tutti i temi politici di ordine generale, eleggerà il nuovo CC che entrerà in carica al termine dei 6 mesi. È bene che la durata in carica semestrale del CC permanga per tutto il tempo necessario a verificare la fattibilità del progetto proposto dai fondatori, sia dal punto di vista del numero di iscritti che, soprattutto, della verifica della validità politica dell’iniziativa.

Non potendo fare ipotesi su quest’ultimo cruciale aspetto, in questo documento si assumerà che, al raggiungimento di un numero di iscritti di circa 100, la verifica della validità politica dell’iniziativa dia esito positivo, per cui si procederà alla definizione di un più dettagliato statuto democratico, che sarà oggetto delle successive riflessioni.

Si pone infine il problema della possibilità di candidarsi al CC di iscritti che abitano in luoghi remoti. Nella fase iniziale, ed eroica, della fondazione del partito, questo problema non ha soluzioni, ma potrà essere stemperato allorché, al crescere del numero degli iscritti, verranno istituzionalizzati livelli intermedi di partecipazione segmentando gli iscritti in base alla provenienza geografica, ad esempio: Nord-Centro-Sud-Sardegna-Sicilia.

La prima fase di crescita, da qualche decina a un centinaio, sarà probabilmente rapida, a patto ovviamente di chiarire il valore aggiunto della democrazia interna come caposaldo irrinunciabile della prassi politica. Pur tuttavia l’ammissione di nuovi iscritti, in questa fase iniziale, dovrà essere sottoposta a un vaglio rigoroso, chiarendo fin da subito che la richiesta può essere respinta. Vi è infatti la necessità di selezionare un nucleo, più ampio del ristretto circolo dei fondatori, che sia costituito da militanti di grande qualità: dotati di capacità di analisi politica, moralmente motivati quanto in possesso di strumenti razionali, disposti al dialogo e scevri da disturbi caratteriali. Per questa ragione si suggerisce che gli aspiranti siano presentati da almeno un iscritto, per essere poi conosciuti in un incontro online aperto a tutti, e che una commissione di cinque, estratti a sorte al termine dell’incontro, siano chiamati a esprimere un parere di ammissione in prova. In ogni caso, anche se il parere della commissione dei cinque desse parere favorevole, gli aspiranti sarebbero in prova per tre mesi, per essere definitivamente ammessi previo parere favorevole di una diversa commissione di cinque iscritti, questa volta selezionati dal CC. Successivamente, col procedere della crescita del partito, la commissione esaminatrice sarà meglio strutturata e i suoi compiti delegati a livello di sezioni.

B - La soglia dei 100 iscritti

Il numero di 100 iscritti dovrebbe essere raggiunto nei primi sei/dodici mesi a partire dall’elezione del primo CC ad opera delle poche decine di militanti che danno impulso al progetto, i cosiddetti fondatori. Qualora tale obiettivo non fosse raggiunto, o risultasse ancora lontano, si dovrebbe prendere atto dello stato delle cose e riconsiderare seriamente l’intero progetto, non escludendo la scelta di terminarlo.

Pur rimanendo il partito allo stato “informale”, al raggiungimento della soglia di circa 100 iscritti (se i militanti saranno reali in quanto selezionati secondo le modalità su descritte) esso rappresenterebbe già una realtà non secondaria nell’attuale dissestato campo del cosiddetto dissenso. La sua esistenza sarebbe riconosciuta, ma esso dovrebbe continuare ad evitare rapporti con gli altri gruppi per continuare a rivolgersi solo ed esclusivamente agli aspiranti iscritti, da ricercare, in gran parte, tra coloro che non militano già in altri partiti. Questa è una ricetta essenziale, sia per evitare di importare, nel partito allo stato nascente, le polemiche dell’attualità politica, ma soprattutto per coinvolgere nell’impegno politico le migliaia di soggetti pensanti che si sono auto-marginalizzati a causa dell’indecoroso spettacolo al quale abbiamo assistito in questi ultimi anni.

Prima di procedere alla ristrutturazione del nucleo iniziale sarà importante esaminare la distribuzione geografica degli iscritti, promuovere la nascita di sezioni o collettivi composti da iscritti contigui e riflettere su una diversa articolazione del partito basata non più sull’adesione di singoli (modello inevitabilmente centralistico) quanto piuttosto sulle sezioni presenti sul territorio, da mettere al centro del processo decisionale democratico. L’architettura organizzativa del partito sarà profondamente rivista al fine di affrontare la successiva auspicata fase di crescita. Si dovranno definire criteri di partecipazione democratica che tengano conto sia delle dimensioni territoriali delle sezioni/collettivi in cui il partito viene suddiviso che del numero di iscritti in ognuno, il tutto in una situazione di incertezza perché esso è ancora molto piccolo. Per fissare le idee si supponga di voler disegnare un’architettura che possa rimanere valida fino alla soglia dei 500 iscritti, distribuiti in circa 20 sezioni di grandezza diversa. Resteranno comunque molti iscritti che, vivendo in territori lontani e isolati (ad esempio la Sardegna) non saranno in numero sufficiente per formare una sezione/collettivo territoriale. Una proposta potrebbe essere quella di riunirli in una sezione a-territoriale, in attesa che in ognuno dei territori di pertinenza sia possibile farne nascere una. La chiameremmo “sezione apolide” o “sezione dei lupi solitari”. In alternativa, ai lupi solitari potrebbe essere lasciata la scelta di aderire a una delle sezioni già esistenti, secondo le loro preferenze. Si sottolinea che la costituzione di una sezione apolide, in questa fase della crescita del partito, potrebbe essere un elemento di coesione tale da stemperare un’eccessiva regionalizzazione, lasciando altresì a ogni iscritto la libertà, qualora lo desideri, di iscriversi nella sezione apolide piuttosto che in quella territoriale di pertinenza.

Un ulteriore problema sarà costituito dal fatto che alcune sezioni potranno essere particolarmente numerose, ad esempio quelle che incidono su grandi conurbazioni, per cui si dovrà riflettere su un meccanismo di elezione del CC che tenda a limitare il peso delle sezioni più grandi e ad aumentare quello delle sezioni più piccole. Il problema è di natura algoritmica, oltre che ovviamente politico, ed è francamente impossibile affrontarlo senza i necessari dati di input, ovvero la conoscenza della vera distribuzione degli iscritti nel periodo che va dai 100 ai 500 iscritti. A fini esplicativi tenteremo lo stesso, assumendo qualche ipotesi semplificativa.

C - La creatura politica

Intanto va precisato che, raggiunti i 100 iscritti, dovrebbe essere messa da parte l’ipotesi di terminare il partito sulla base della semplice constatazione del fallimento numerico. Questo sarebbe un errore politico, stante il fatto che un partito, anche di soli 100 iscritti reali e organizzati in una struttura democratica, è già un soggetto che merita di continuare a vivere, per essere eventualmente terminato sulla base di sole considerazioni politiche. Per essere ancora più chiari, un partito di 100 iscritti organizzati su base democratica equivale a un parto fortunato che dà vita a un bambino politico nato vivo: la pratica dell’aborto non sarebbe più accettabile, configurandosi il delitto di eutanasia. Conservando l’analogia, il problema diventa quello di superare la fase dominata dalla mortalità infantile: il bambino politico è nato, non cammina sulle sue gambe, non sa ancora parlare ma deve essere accudito con amore. La famiglia degli iscritti deve quindi riorganizzarsi, in funzione delle nuove esigenze.

Esempio aritmetico

In questo paragrafo sono svolte, a fini esclusivamente esemplificativi, alcune considerazioni di natura aritmetica basate su scenari del tutto arbitrari. Non è importante concentrarsi sui numeri scelti per descrivere i possibili stati della nascente organizzazione politica, bensì cogliere lo spirito sotteso agli esempi numerici proposti.

L’organizzazione per sezioni

Se fino a 100 iscritti il CC è stato composto da 5 membri, per mantenere la proporzionalità con 500 iscritti esso dovrebbe averne 25, ma ragionare in questo modo significa ignorare il fatto che non si passa da 100 a 500 iscritti in un baleno. Molto più ragionevolmente si può ipotizzare un numero intermedio che tenga conto anche del fatto che le sezioni dovrebbero aumentare di numero. Ipotizziamo che la scelta sia quella di un CC di 15 membri eletti da 10 sezioni, di cui una apolide. Per fissare ulteriormente le idee condurremo il ragionamento ipotizzando un numero di iscritti intermedio di 250, e che le 9 sezioni territoriali siano formate in media da circa 20 iscritti, con la sezione apolide di circa 50. In questa situazione quelle più numerose avrebbero un peso proporzionalmente superiore nell’elezione dei membri del CC. Se immaginiamo che vi sia una sezione di 60 iscritti, ad esempio in Emilia Romagna, questa dovrebbe eleggere proporzionalmente un numero di membri di 3,6. In che modo gestire una situazione del genere? È il problema dei resti, per il quale esistono due diversi approcci: favorire le sezioni più numerose, oppure quelle meno numerose, anche tenendo conto dell’esistenza della sezione apolide. Si tratta di un dettaglio, ma è bene porlo in evidenza.
Nel momento in cui la creatura politica comincia ad essere organizzata per sezioni si pone un ulteriore problema perché ogni sezione ha sì diritto ad esprimere almeno un membro del CC, ma la sua attività non si limita a questo. Pertanto non è detto che il segretario di sezione debba necessariamente coincidere con il membro delegato nel CC, anzi! La soluzione più immediata a questo problema consiste nel lasciare ad ogni sezione la scelta se consentire o meno la somma delle cariche di membro del CC e di segretario, fermo restando che il segretario ha competenza solo ed esclusivamente sulle questioni inerenti al territorio di riferimento della sezione. Nel caso della sezione apolide non avrebbe senso parlare di segretario della sezione, per cui questa eleggerà il numero di membri del CC che le competono in base alle sue dimensioni.

Gli organi del partito

Le considerazioni sommariamente esposte, che costituiscono la base minima di un meccanismo elettorale, sarebbero tuttavia monche in assenza di scelte relative ai poteri che vengono assunti dagli organismi eletti. Finora abbiamo definito 4 livelli:

1.      L’assemblea degli iscritti.

2.      Il CC.

3.      Il Presidente del CC.

4.      I segretari di sezione.

Di questi, l’assemblea degli iscritti e il CC godono, in ambiti differenti, dell’attributo della sovranità. Gli altri due, ovvero il Presidente del CC e i segretari di sezione, hanno poteri esclusivamente esecutivi, con il Presidente del CC che risponde a quest’ultimo e il segretario di sezione che risponde agli iscritti alla stessa. A sua volta, il CC risponde solo all’assemblea degli iscritti, con modalità che andremo a definire. Le modalità di elezione del CC sono esposte nell’ultimo paragrafo di questo capitolo.

L’assemblea degli iscritti ha il massimo grado di sovranità, pur con alcune limitazioni stabilite dai criteri di convocazione ordinaria o straordinaria.

Assemblea ordinaria

L’assemblea ordinaria degli iscritti sarà convocata secondo i tempi e le modalità stabilite statutariamente. Nella fase di crescita del partito da 100 fino a 500 iscritti si suggerisce una cadenza annuale. L’assemblea ordinaria non potrà deliberare su modifiche del manifesto ideologico/escatologico né su modifiche dello statuto, per le quali è richiesta la convocazione di un’assemblea straordinaria secondo modalità descritte nel seguito. Essa potrà deliberare su tutte le questioni di natura politica, organizzativa o di altro genere.

L’assemblea ordinaria si svolgerà in presenza, pur ammettendosi la possibilità per gli iscritti di affidare una delega di rappresentanza a un altro iscritto, della stessa sezione o di altra. Nessuno potrà raccogliere più di una delega.

L’assemblea sarà valida se i partecipanti effettivi, comprese le deleghe, saranno almeno il 50%+1 degli iscritti, deliberando sempre a maggioranza assoluta (50%+1) dei presenti e delle deleghe, indipendentemente dal numero di voti nulli o di astenuti.

L’assemblea ordinaria sarà organizzata dal CC in carica e presieduta dal suo Presidente. Nel caso di mancato raggiungimento del numero legale, dopo l’elezione del nuovo CC essa sarà riconvocata con gli stessi criteri di validità. In caso di ulteriore non raggiungimento del numero legale il CC provvederà a dichiarare lo stato di crisi dell’organizzazione e ad aprire una riflessione politica e organizzativa a tutto campo.

Assemblea straordinaria

In questo paragrafo assumeremo, per chiarezza espositiva, che il numero degli iscritti sia esattamente di 100. Qualora essi fossero in numero maggiore, ad esempio il triplo, basterà moltiplicare per tre per ottenere in numero cui ogni ragionamento si riferisce.

L’assemblea degli iscritti avrà il potere di autoconvocarsi quando almeno i 2/3 degli iscritti ne facciano richiesta; il CC dovrà accogliere la richiesta e procedere, con funzioni esclusivamente esecutive, all’organizzazione della seduta. L’assemblea straordinaria degli iscritti avrà competenza per esprimersi su qualsiasi tema posto in discussione, sebbene con maggioranze diverse a seconda che si tratti di deliberazioni relative al manifesto ideologico/escatologico, lo statuto o questioni politiche contingenti.

La modifica del manifesto

Si suggerisce il criterio per cui il numero di voti favorevoli a una modifica del manifesto dovrà, in ogni caso, essere pari al 50%+1 dei presenti e delle deleghe (nel seguito: i partecipanti). Pertanto, avendo stabilito che la soglia necessaria per l’autoconvocazione sia di 2/3 degli iscritti, l’aritmetica ci dice che ogni modifica del manifesto dovrà essere approvata con almeno il 72% di voti favorevoli dei partecipanti, che arrotonderemo al 75%. Facciamo un esempio: siano esattamente 100 gli iscritti al partito, dei quali 67 chiedono la convocazione dell’assemblea plenaria. Nella discussione sulla modifica del manifesto si richiederà il voto favorevole di 51 partecipanti, ovvero del 75% di 67 (50,25 arrotondato a 51). Qualora i partecipanti alla votazione siano più dei 67, si applicherà comunque il criterio del 75% dei partecipanti, e dunque se all’assemblea partecipassero tutti e 100 gli iscritti una modifica del manifesto richiederebbe il voto favorevole di 75 partecipanti. Nel caso i partecipanti fossero meno di 67, la maggioranza di voti per apportare una modifica al manifesto resterebbe di 51 voti favorevoli. Va da sé che, qualora i partecipanti effettivi all’assemblea fossero meno di 51, questa non sarebbe valida. La sua eventuale riconvocazione dovrebbe sottostare agli identici criteri testé descritti, e comunque svolgersi dopo il rinnovo del CC. Le schede nulle o le astensioni saranno conteggiate come voti contrari alla proposta di modifica.

La modifica dello statuto

Ovviamente i criteri per apportare modifiche allo statuto saranno meno rigidi. In tal caso si suggerisce l’adozione di una maggioranza qualificata di 2/3 di coloro che hanno sottoscritto la richiesta di autoconvocazione, mantenendo inalterati gli altri criteri. La scelta del criterio di maggioranza dei 2/3 dei richiedenti l’assemblea straordinaria potrebbe sembrare più vincolante rispetto al criterio suggerito per la modifica del manifesto, ma in quel caso si parla del 50%+1 degli iscritti. In realtà, aritmetica alla mano, il criterio di maggioranza proposto per deliberazioni inerenti allo statuto è appena più lieve di quello necessario per la modifica del manifesto. Nell’esempio di 100 iscritti, essendo le deliberazioni di modifica dello statuto dell’assemblea autoconvocata valide col voto favorevole di almeno i 2/3 di coloro che hanno sottoscritto la richiesta di autoconvocazione, cioè di almeno 67 iscritti, la maggioranza sarà di 44,8 partecipanti arrotondato a 45. Anche in questo caso, qualora i partecipanti fossero meno di 67, resterebbe valida la soglia minima di 45 voti favorevoli alla modifica, mentre se essi fossero di più si applicherebbe comunque il criterio dei 2/3 dei votanti. Le schede nulle o le astensioni saranno conteggiate come voti contrari alla proposta di modifica.

Nota: le due soglie, apparentemente molto vicine, hanno un significato politico diverso. Si pensi a due distinte assemblee straordinarie per la modifica del manifesto, una poco contrastata e l’altra che lo sia molto. Nel primo caso è presumibile che la partecipazione all’assemblea sarà ridotta, con il che la maggioranza sarebbe di 51 voti a favore (in ogni caso il 50%+1 degli iscritti). Nel secondo caso, con una partecipazione presumibilmente più alta, al limite totale, la maggioranza sarebbe di 75 voti a favore. Lo stesso range, nel caso di un’assemblea straordinaria per la modifica dello statuto, il range sarebbe compreso nell’intervallo tra 45 e 67.

Altre deliberazioni

Per tutti gli altri tipi di deliberazioni si applicherà il meccanismo testé descritto abbassando tuttavia la soglia di validità dell’assemblea al 51% dei 2/3 che hanno fatto richiesta di convocazione dell’assemblea, la quale tuttavia delibererà a maggioranza semplice dei partecipanti (51%+1). Sempre nell’esempio di 100 iscritti, si supponga che sia posta all’ordine del giorno la questione di partecipare a una tornata elettorale aderendo ad una lista di sigle. In tal caso, fermo restando che l’assemblea è valida se i partecipanti sono almeno 35 (50%+1 dei richiedenti) la soglia minima per approvare la deliberazione varierà da 18 a 26 a seconda del numero di partecipanti all’assemblea.

Elezione del Comitato Centrale

Il CC viene eletto dalle sezioni/gruppi territoriali attraverso votazioni che saranno indette al termine dell’assemblea ordinaria annuale. Tali elezioni si svolgeranno, in presenza, in ogni sezione/comitato territoriale secondo modalità scelte dai medesimi, e comunque con la partecipazione al voto di almeno il 50%+1 degli iscritti ed entro il termine massimo di un mese dalla chiusura dell’assemblea ordinaria annuale. Il risultato della votazione sarà trasmesso al CC in carica e reso pubblico a tutti gli iscritti di tutte le sezioni. Il CC in carica, preso atto dei risultati, si scioglierà per essere sostituito dal nuovo, che eleggerà il suo nuovo Presidente.

Il meccanismo di elezione del CC dovrebbe adottare algoritmi, che saranno aggiornati al crescere delle sezioni e degli iscritti, che siano sempre improntati al criterio di massimizzare, per quanto possibile, la possibilità per ogni sezione o gruppo territoriale di esprimere un suo rappresentante. Stante la presumibile differenza di iscritti in ogni sezione, nonché il numero variabile delle stesse, non è possibile fornire indicazioni dettagliate, ma solo enunciare un principio e accennare a mo’ di esempio a una ipotetica soluzione algoritmica del problema. Per fissare le idee si supponga di avere un numero S di iscritti distribuiti su N sezioni e che si voglia eleggere, indicativamente, un CC di M membri. Si potrebbe procedere nel seguente modo:

1.      Si calcola il quorum S/M, che rappresenta il numero di voti necessari, in media, per eleggere un membro.

2.      Per ogni sezione, in base al suo numero di iscritti, si calcola quanti membri questa potrà esprimere come multipli di S/M. Ad esempio, se S/M fosse 16, una sezione di 34 iscritti potrebbe esprimere 2 membri, mentre per averne 3 dovrebbe essere composta da almeno 48 iscritti.

3.      Si assegna, in ogni caso, un membro alle sezioni rimanenti, a condizione che superino un numero minimo di iscritti, sempre tenendo conto che il numero di membri eleggibili dovrà essere quello stabilito di M, componente in più o in meno per gestire qualche singolarità algoritmica.

Questo meccanismo ha l’evidente difetto di essere molto sensibile al numero di sezioni e alla loro distribuzione numerica, ragion per cui necessiterà di essere aggiustato ad ogni votazione. In compenso garantisce una rappresentanza anche alle sezioni più piccole pur riconoscendo a quelle più grandi un peso maggiore. Si sorvola, per il momento, sul problema della commissione elettorale che, di volta in volta, dovrà aggiustarlo. Tuttavia il meccanismo proposto, esaltando il ruolo delle sezioni, è un forte argine alla nascita di correnti interne che si manifesterebbero ben presto qualora si adottasse un metodo basato sulla presentazione di liste in competizione, come normalmente viene fatto.

I poteri del Comitato Centrale

Il CC è l’organo collettivo nel quale risiede la sovranità del partito, fatte salve le circostanze in cui viene convocata, con i criteri su descritti, l’assemblea straordinaria degli iscritti. Il CC viene eletto dalle sezioni con i criteri di rappresentanza su esposti e che verranno approfonditi nel seguito, e ha la responsabilità della guida politica del partito. Delibera sempre a maggioranza semplice (50%+1 dei votanti), purché sia presente il numero legale. Le astensioni sono considerate voti contrari, mentre il voto nullo non è previsto e, se reiterato, è conteggiato come astensione. Il numero legale è costituito da tutti i suoi membri fintantoché esso è costituito da 5 eletti, e da 11 nella fase in cui sarà costituito da 15. Il CC eleggerà, a sua volta, un Presidente, scegliendolo al suo interno, che nella prima fase resterà in carica inizialmente per 6 mesi e, successivamente al raggiungimento di circa 100 iscritti, per un anno. Il Presidente sarà una figura con funzioni di mera rappresentanza, e opererà con soli poteri esecutivi della volontà del CC. Il Presidente non potrà essere rieletto alla carica prima che siano trascorsi 5 anni dalla precedente investitura. Il CC può sfiduciare il Presidente in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione, eleggendone uno nuovo. In tal caso la regola dell’impossibilità di rielezione prima di 5 anni si applica a entrambi.

Al CC spetta, oltre la guida politica del partito, il compito di individuare i soggetti, scelti anche al suo esterno e comunque sempre tra gli iscritti, incaricati di gestire la comunicazione politica nonché i rapporti con altre forze politiche. Nessuno dei soggetti incaricati per svolgere queste funzioni avrà alcuna autonomia, e tutti potranno essere revocati dall’incarico in qualsiasi momento e per qualsiasi ragione, anche senza spiegazioni, dal CC.

Non è ammessa la possibilità di sfiduciale l’operato del CC da parte delle sezioni, nemmeno con la richiesta di convocazione di un’assemblea straordinaria, essendo esso già sottoposto al vaglio del suo operato in occasione della sua elezione da parte delle sezioni ogni 6 mesi (nella fase fino a 100 iscritti) e ogni anno in seguito.

Si è già accennato, in premessa, alla questione dei margini di discrezionalità nell’operato del CC, ovvero se esso abbia o meno “il dovere di rendicontare all’assemblea degli iscritti ogni singola minuzia che emerga dai rapporti con l’esterno, potendosi verificare situazioni, in tali rapporti, nelle quali è necessario mantenere il riserbo”. Questa scelta travalica gli scopi di questo documento, nel quale si ribadisce tuttavia la possibilità di concedere discrezionalità al CC pur tuttavia imponendo, come correttivo, l’obbligo di “verbalizzare le deliberazioni riservate, e che tali verbali siano nella disponibilità dei CC successivamente eletti”.

Tra i poteri del CC, è bene ribadirlo, non ci sono quelli di modifica del manifesto ideologico/escatologico, dello statuto, come pure quello di interferire in alcun modo con l’elezione dei segretari scelti a livello delle sezioni.

Le sezioni

Dopo aver affrontato la questione delle modalità di elezione del CC è necessario parlare delle sezioni, o collettivi territoriali. Queste sono realtà politiche locali che godono di ampi margini di azione territoriale e non sono sottoposte, in questo ambito, ad interferenze da parte del CC, ivi compresa l’elezione del segretario. Tuttavia il CC ha facoltà di intervenire quando le iniziative di una sezione confliggono con l’indirizzo politico generale stabilito, ad esempio se una sezione intesse rapporti politici con altri soggetti il cui indirizzo politico non sia quello stabilito dal CC. Per essere concreti, si immagina la situazione in cui una sezione allacci rapporti con una forza politica che il CC ritenga inopportuni. In tal caso il CC ha la facoltà di sospendere l’appartenenza della sezione al partito, ma è obbligato ad aprire una procedura di infrazione politica chiamando le altre sezioni ad eleggere un comitato di valutazione, con gli stessi criteri elettorali in base ai quali è stato eletto il CC ma con membri diversi, che avrà ampi poteri di sanzione, dal semplice richiamo fino all’espulsione. In nessun caso, prima che il comitato di valutazione si sia espresso, l’eventuale membro in seno al CC espresso dalla sezione in oggetto perderà il suo status. Al termine della procedura, se la sezione viene espulsa, anche il suo membro in seno al CC decadrà, senza essere sostituito prima della decadenza ordinaria del CC.

La circostanza testé portata ad esempio è un caso limite perché, in situazioni non eccezionali, ovvero quando l’eventuale dialogo con realtà politiche non gradite al CC è tollerabile, è bene far prevalere il principio dell’autonomia politica delle sezioni o collettivi locali, stante il fatto che questa circostanza costituisce un elemento di apertura e di potenziale crescita del partito.

Le sezioni o collettivi territoriali sono le unità di base. Si pone il problema delle loro dimensioni minime e massime, soprattutto le seconde. Si suggerisce, anche riferendosi alle ricerche dell’antropologo Robin Dunbar, che ha valutato in 150 il numero di relazioni interpersonali che gli esseri umani sono mediamente in grado di mantenere, di adottare proprio questo numero come dimensione massima. L’idea è che i rapporti interpersonali all’interno di ogni gruppo territoriale siano di fondamentale importanza, sia al fine di cementare le connessioni affettive che, soprattutto, per favorire la selezione dei delegati e di tutti i soggetti che ricopriranno incarichi a partire dalla conoscenza reciproca. La nascita di sezioni o gruppi territoriali di dimensioni maggiori, anche in una fase di ulteriore crescita dell’organizzazione politica, quando vi fossero migliaia di iscritti, dovrebbe essere frenata e si dovrebbe invece lavorare nella direzione di una moltiplicazione delle unità di base piuttosto che della crescita numerica di alcune di loro. Al crescere del numero delle sezioni sarà necessario studiare forme di rappresentanza di gruppi di sezioni, ma questo problema esula dagli scopi di questo documento che si occupa della fase di crescita dell’organizzazione fino a un massimo di 500 iscritti. Questo problema di (ancora) relativa abbondanza sarà preso in carica dall’organizzazione, quando si presenterà.

Proprio per le dimensioni ridotte le unità di base, o sezioni o collettivi territoriali che dir si voglia, favoriranno frequenti incontri in presenza, sia in occasione di mobilitazioni che, più spesso, di natura conviviale a sfondo culturale o politico. A tal fine è necessario introdurre il principio dell’autofinanziamento, la cui gestione contabile viene assunta dal segretario di sezione. Le sezioni si organizzeranno in modo assolutamente autonomo al fine di reperire le risorse necessarie per la loro attività sul territorio, e saranno assolutamente libere di disporne. Eventuali necessità di finanziamento di attività che travalicano l’ambito territoriale, ad esempio i fondi necessari per organizzare assemblee nazionali, saranno sempre coperte su base volontaria e in capo ai singoli soci. Il CC potrà, quando necessario, lanciare campagne di sottoscrizione per la raccolta dei fondi necessari per iniziative comuni, ma né in capo agli iscritti né alle sezioni incombe l’obbligo di ottemperare a tali richieste. Così facendo, la vita economica dell’organizzazione resta fortemente dipendente dal vincolo di coesione interna, che sarà interesse comune rafforzare tendenzialmente.

Le sezioni o collettivi territoriali potranno coordinarsi tra loro per promuovere iniziative comuni a due o più di essi, senza che il CC possa interferire, fatte salve quelle, passibili di censura politica, il cui controllo ricade già tra i compiti di vigilanza del CC.

Le sezioni o collettivi territoriali potranno autonomamente fondersi o scindersi, fermo restando il criterio relativo al numero massimo di iscritti ad ogni collettivo territoriale. L’eventuale superamento di tale limite dovrà essere autorizzato dal CC.

Conclusioni

Alla stesura di questo documento hanno contribuito, ognuno secondo le sue possibilità, persone di età, provenienza, esperienze diverse, tutte accomunate dalla consapevolezza che la democrazia non la si ottiene per grazia ricevuta ma col lavoro e il confronto su un canovaccio condiviso. Il prodotto di questo sforzo è una cassetta degli attrezzi utile ad una costruzione comune: uno strumento per misurare il grado di democrazia presente nelle organizzazioni che si frequentano o per crearne di nuove. Parafrasando un noto revisionista, potremmo concludere che in politica le parole non contano, conta la musica. Questo è uno spartito su cui diversi strumenti, ognuno con la sua particolare individualità, possono suonare insieme e con reciproca soddisfazione la sinfonia della partecipazione democratica, dividendosi se è necessario, unendosi quando è possibile.

Un cordiale e affettuoso saluto a tutti i lettori dal Collettivo informale Prototipo.

venerdì 20 ottobre 2023

giovedì 12 ottobre 2023

La Palestina (di Paolo Barnard)


CAPIRE LA PALESTINA

• Com’era la Palestina prima del 1948?
• Quali erano in quella zona i rapporti tra arabi ed ebrei?
• Chi sono gli ideologi dello Stato di Israele?
• Quali altre zone del mondo furono vagliate per ospitare uno Stato di Israele, prima della Palestina?
• Sapevate che è in atto da decenni una pulizia etnica in Palestina?
• Perché nel 1948 Albert Einstein e Hannah Arendt definirono il partito del primo premier dello stato di Israele apparentato ai nazisti?

A queste e altre domande troverete risposta in questo video.

Chiunque voglia capire gli antefatti di ciò che accade oggi, dovrebbe guardare questo video in cui Barnard parte dalla Conferenza di Berlino del 1884 organizzata da Otto Von Bismark (quella con cui i potenti si spartirono anche l’Africa, per capirci) per arrivare alla creazione dello stato di Israele nel 1948.

lunedì 28 agosto 2023

All'ultimo respiro


Credo che si debba cominciare a pensare a forme di resistenza efficaci. Una prima idea è quella di boicottare l'intero settore del lusso: basta acquistare vestiti il cui valore reale è poche decine di euro ma sono venduti a prezzi altissimi perché hanno l'etichetta di una marca dell'alta moda per poracci.
Se qualche milione di italiani partecipasse a questa mobilitazione potremmo infliggere un danno economico enorme con minime ricadute sull'occupazione, perché questi prodotti sono realizzati in paesi del terzo mondo e gli enormi guadagni finiscono tutti in barche di lusso, macchinoni, vita da nababbi. Si tratta di liberarci dal condizionamento a indossare i marchi di lusso, la nostra vita ne guadagnerebbe dal punto di vista economico e, ne sono certo, anche da quello dell'eleganza. Vestiamoci nei mercatini e nei piccoli negozi!
Pensateci.

domenica 27 agosto 2023

Esegesi di "Il mondo al contrario" del gen. Vannacci (parte IV)

 Links: 

Riprendiamo l'esame della recluta Vannacci ai fini della sua ammissione nel Battaglione Folgorati del dibattito. La commissione, costituita dallo scrivente Re del Ciociaristan meridionale e dal maresciallo Piddukov, entrambi nazionalisti arcaici, ricorda che i criteri di valutazione non riguardano le posizioni culturali e politiche dell'aspirante recluta bensì la sua capacità potenziale nel combattimento intellettuale, dunque la logicità dei ragionamenti, la loro corretta esposizione e tutte le qualità che sono necessarie per scendere nella violenta e spietata arena del dibattito. Non dissimilmente da ciò che accade nella fase di esame di un'aspirante recluta che intenda superare il corso di ammissione in un corpo speciale delle FFAA; fatte salve alcune ovvie preclusioni - ad esempio non essere un pacifista o un agente infiltrato da servizi segreti di altri paesi.

Il capitolo oggetto della presente prova è il quarto, intitolato: “LA SOCIETÀ MULTICULTURALE
E MULTIETNICA”. La tesi sostenuta è già compresa nella citazione iniziale, che riportiamo:

«Un Paese composto di più civiltà è un Paese che non appartiene a nessuna civiltà ed è privo di un suo nucleo culturale costitutivo. La storia dimostra che nessuna nazione così costituita può durare a lungo come nazione coesa. (Samuel P. Huntington)»

Una breve nota metodologica: si può non essere d'accordo con la tesi (non è il caso della commissione d'esame) tuttavia è bene che, sia nel sostenerla che nel combatterla, ciò avvenga utilizzando categorie di pensiero ben fondate e non invenzioni e dati di realtà falsi, posti al servizio dei propri desideri. La commissione potrebbe promuovere o respinge anche la tesi opposta, ma sempre ispirandosi ai criteri di validità e consistenza dei ragionamenti proposti. Vi anticipiamo che, nel caso della prova della recluta Vannacci la commissione, pur condividendo il nucleo della tesi proposta, non ha potuto non rilevare alcune incongruenze, contraddizioni e omissioni che non le hanno permesso di ottenere un voto pieno, pur risultando la prova sufficiente.

Allo stesso tempo, la commissione ricorda e sottopone alla vostra attenzione la sconcertante debolezza argomentativa di molti osservatori che, assistendo alla prova, hanno espresso giudizi completamente negativi. A mo' di esempio citiamo: «Fu nel 1975, quando con tutta la famiglia ci trasferimmo a Parigi che, per la prima volta, cominciai a venire a contatto quotidianamente con persone di colore. Mi ricordo nitidamente quanto suscitassero la mia curiosità tanto che, nel metrò, fingevo di perdere l’equilibrio per poggiare accidentalmente la mia mano sopra la loro, mentre si reggevano al tientibene dei vagoni, per capire se la loro pelle fosse al tatto più o meno dura e rugosa della nostra.»

Questo passaggio è stato rilanciato dai critici sui social, e pubblicato perfino sulla grande stampa, credendo di dimostrare chissà cosa o, forse, per ottenere un risultato nascosto, vale a dire promuovere l'immagine del Vannacci nel mentre si finge di attaccarlo. Se così fosse, allora si dovrebbe non solo apprezzare l'abilità delle menti raffinatissime che hanno concepito questo stratagemma, ma anche restare sorpresi dalla facilità con cui i bersagli di questo tranello ci sono caduti. La commissione d'esame del Battaglione Folgorati del dibattito è ovviamente ben allenata a riconoscere questi, e ben più elaborati tranelli, che un guerriero incontra in battaglia.

Tornando all'esame, la recluta parte immediatamente all'attacco: «L’elogio della società multiculturale e multietnica e l’ineluttabilità dei flussi migratori rientrano appieno tra questi filoni ideologici e rappresentano uno degli ambiti in cui il mondo ci appare veramente al contrario.»

L'obiettivo dell'attacco è immediatamente esplicitato, una tattica che presenta vantaggi e svantaggi; tutto dipende da chi ci si trova di fronte, cioè dalla platea alla quale sono indirizzate le argomentazioni. Se essa è costituita da lettori semplici, e non da fini intellettuali, il vantaggio è evidente. Immaginate un lettore medio, costantemente bombardato da una promozione del fenomeno migratorio descritto come un fatto positivo, il quale alla fine si è fatto convincere nel mentre è costretto, tutti i giorni, a fare i conti con una realtà fatta di insicurezze, scomodità, senso di estraneità (ad esempio quando viaggia in un vagone della metropolitana o su un autobus)! Per costui entrare in contatto con una scrittura così diretta, che esplicita immediatamente la tesi contraria a quella che è stato indotto a sussumere dalla propaganda, l'effetto può essere dirompente, liberatorio, spingendolo ad esclamare: "è vero!".

Ovviamente è necessario che la diffusione del libro sia ampia, che se ne parli, ed anche che ciò avvenga in un periodo dell'anno in cui il tempo da dedicare alla lettura è maggiore che in altri, come le vacanze estive. Un periodo dell'anno in cui è anche più facile scambiare idee con persone nuove, ad esempio in spiaggia o in un chiosco all'aperto sorseggiando una birra. Se il libro di Vannacci non è solo il frutto di una decisione personale, ma rientra nel quadro di un'operazione più vasta di conquista dell'egemonia culturale, allora chi l'ha ideata merita l'applauso della commissione d'esame!

E' bene ribadire che questa riflessione non equivale ad una critica alla tesi della recluta né implica altro, ma serve a ricordare, ancora una volta, che la battaglia per l'egemonia culturale è violentissima, che in essa si utilizzano tutte le armi a disposizione, compreso l'inganno, e che in democrazia funziona così. 

La recluta Vannacci insiste con foga: «In poco più di quarant’anni la nostra società è cambiata drasticamente e, con essa, hanno iniziato a barcollare molte certezze che davamo per scontate. Quest’affermazione è alquanto banale poiché sono ormai lustri che sentiamo parlare di globalizzazione, di confini permeabili e di perdita della sovranità. Al solito, tuttavia, vi sono stati ampi tentativi di camuffare quello che in realtà stava succedendo, di invertire i ruoli e di capovolgere le prospettive per fare apparire totalmente naturale ciò che in realtà non lo era affatto. L’elogio della società multiculturale e multietnica e l’ineluttabilità dei flussi migratori rientrano appieno tra questi filoni ideologici e rappresentano uno degli ambiti in cui il mondo ci appare veramente al contrario. Il pensiero comune è infatti ultimamente stato orientato a interpretare una società multietnica e multiculturale come un fattore estremamente positivo, un’idea progressista ed inclusiva ed un obiettivo a cui tendere imprescindibilmente poiché segno tangibile di arricchimento culturale e di evoluzione del genere umano.»

La commissione, davanti a questa combinazione di colpi, ha abbandonato per un istante la sua postura austera e ha applaudito. In particolare abbiamo apprezzato l'abile uso, in poche righe, di concetti come "perdita della sovranità", "invertire i ruoli", "mondo al contrario". 

Ci siamo anche domandati, io e il maresciallo Piddukov, quale potrebbe essere la nostra valutazione a valle di una lettura, con gli stessi criteri, di un libro della Murgia: padroneggiava, la scrittrice recentemente scomparsa, con pari abilità le armi della dialettica, oppure si trattava di un personaggio completamente costruito e assurto ad icona grazie alla potenza di fuoco mediatica che l'ha sostenuta? Ai posteri l'ardua sentenza.

Continua la recluta Vannacci (grassetto aggiunto): «La sottaciuta evidenza ci mostra quotidianamente che le società multietniche sono invece il prodotto di necessità alle quali abbiamo dovuto adeguarci gioco forza. Siano esse derivate dal colonialismo, dalla necessità di importare forza lavoro a basso costo, dalla globalizzazione, dalla permeabilità delle frontiere o da leggi e norme internazionali che vietano i respingimenti, il mescolamento di etnie e culture diverse che portano con sé valori e principi differenti e, talvolta, poco conciliabili è un fenomeno che subiamo obtorto collo lungi dal rappresentare quell’Eden che alcuni dissimulatori vorrebbero farci apparire.»

In questo passaggio la recluta Vannacci si espone a un facile contrattacco. Lo vedete il varco in cui un avversario potrebbe insinuarsi per infilzarlo come un tordo? Non lo vedete? Ve lo spiega la commissione!

Il punto è che non si possono citare evidenti atti di violenza, sia verso altri popoli che nei confronti del proprio, come il colonialismo, l'importazione di forza lavoro a basso costo, la globalizzazione, tutte scelte e comportamenti supportati o quanto meno ignorati da gran parte della platea di lettori ai quali è indirizzato il testo, senza che parta il colpo dell'avversario. E colpirebbe nel vivo, a meno che la recluta non possa farsi scudo di una coerente visione socialista, circostanza che non traspare affatto nel personaggio Vannacci. Già, perché è un dato di fatto che molti di coloro che oggi mostrano una crescente insofferenza nei confronti del fenomeno migratorio, al tempo della globalizzazione trionfante hanno invece appoggiato tutte le politiche aggressive, le guerre per "esportare la democrazia", i provvedimenti di politica economica di stampo liberista che hanno spalancato le porte a quei flussi che oggi, in tempo di vacche magre e a valle della distruzione del welfare statale, appaiono per quello che sono: un processo di impoverimento per la maggior parte della popolazione che prelude alla messicanizzazione del Paese!

Continua la recluta Vannacci: «Non vi è autore del nostro Risorgimento che non esalti questo specifico paradigma. Tra le poche poesie studiate a memoria ai tempi della scuola ancora mi sovviene di “Marzo 1821” in cui il Manzoni si lancia in una definizione poetica di Patria come “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie di sangue e di cuor”.»

A questo punto la commissione ha dovuto ricordare alla recluta Vannacci che, così come l'ambientalismo senza socialismo è giardinaggio, il patriottismo senza socialismo è fascismo!


Quando la recluta Vannacci ha compreso l'errore argomentativo il sorriso, che gli si era stampato in faccia dopo l'applauso della commissione, è subitaneamente svanito, sostituito dalla smorfia preoccupata di quanti, respinti all'esame di ammissione nel Battaglione Folgorati del dibattito, non hanno altra scelta che tornare alla vita civile o fare domanda in quello di Pescaracas, guidato dal pelato amico!

Un vero peccato perché fino a quel momento la prova dell'aspirante recluta Vannacci era stata buona. Purtroppo neanche la valutazione della rimanente parte dell'argomentazione esposta nel IV capitolo è valsa a recuperare lo svarione. Al termine, la commissione ha redatto il verbale con un giudizio appena sufficiente. Vedremo, nelle prossime sedute di valutazione, se la recluta Vannacci riuscirà a ottenere un buon punteggio, ovvero dovrà rassegnarsi a entrare, ben che gli vada, in uno dei tanti corpi di propaganda che infestano i canali televisivi.