venerdì 31 gennaio 2020

L'avvocata della piccola borghesia kotoniera

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Il neo-maccartismo

Sono consapevole di espormi a dei rischi ma non riesco più a tacere davanti all'ondata di neo-maccartismo che sta investendo l'opinione pubblica. L'ultimo caso è quello di una collega insegnante di Firenze posta sotto accusa perché ha detto ai suoi studenti "Liliana Segre non la sopporto, vi prende in giro". Apriti cielo! Pare addirittura che la collega abbia tessuto in qualche occasione le lodi di Mussolini.

Firenze, prof agli alunni: Liliana Segre non la sopporto, vi prende in giro. È bufera


Ora la cosa che mi sconcerta è che la collega venga attaccata non per il fatto di aver espresso idee non attinenti la sua materia a ragazzini di meno di 12 anni, un rilievo che avrebbe un qualche fondamento pedagogico e sul quale la riflessione è aperta, ma per il merito delle opinioni che ha espresso. Liberiamoci dunque della circostanza che il fatto è avvenuto in una scuola media inferiore e immaginiamo che esso si sia verificato in una classe di un liceo degli ultimi anni, per porre la seguente domanda: può un docente esprimere il suo punto di vista, anche al fine di stimolare una discussione, ai suoi studenti, nell'ambito del principio della libertà di insegnamento?

La sgradevole sensazione che provo è che la risposta dipende dalle opinioni, per cui sì, si può sostenere la tesi che l'orientamento sessuale è fluido, ma non che l'omosessualità sia una forma di disagio psichico; che Mussolini è stato un dittatore ma non un uomo di Stato espressione degli interessi della borghesia agraria e industriale; che l'esistenza dello Stato di Israele deve essere difesa dalle democrazie occidentali ma non che a farsene carico debbano i suoi cittadini, verso i quali le democrazie occidentali non hanno nessun obbligo particolare; che Hitler è stato un mostro assassino ma non - come il suo omologo Mussolini - espressione degli interessi della borghesia industriale tedesca e addirittura di parti di quella inglese e americana!

Infine ci si deve adeguare alla vulgata per cui Liliana Segre sarebbe stata oggetto di 200 dicasi 200 attacchi anti semiti al giorno quando la verità è che, nel momento in cui il suo nome è assurto agli onori della cronaca, il numero corretto era stato di 200 in un anno.

NON ESISTEVANO I 200 MESSAGGI QUOTIDIANI CONTRO LA SEGRE.
Lo stesso ente ebraico che ha spacciato la bufala, ha pubblicato, retrodatato, un report, che non riassume altro che dati noti del 2018.
Si tratta di 197 affermazioni che l'ente ha giudicato "antisemite" IN UN ANNO, e non contro la Segre, ma in generale.


Questa falsificazione dei dati fattuali è stata propalata, tra gli altri, anche da Repubblica, che il 26 ottobre 2019 così scriveva: "Di messaggi come quelli qui riportati contro Liliana Segre, superstite dell'Olocausto, testimone del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau, ogni giorno ne partono duecento".

Un dettaglio importante perché è la prova provata di una menzogna utilizzata da centrali di disinformazione, ed è lecito coltivare il sospetto che ciò sia avvenuto per stimolare reazioni anti semite sui social, a fini politici interni. La qual cosa è poi effettivamente avvenuta, per di più manifestandosi attraverso un ampio utilizzo di nicknames dei quali non v'è prova alcuna che corrispondano a individui reali e non siano, invece, dei bot programmati come quelli che sono stati utilizzati per sostenere l'ascesa di Salvini con la cosiddetta bestia di Morisi.

La differenza tra 200 attacchi all'anno, per altro riferiti al 2018 dopo la nomina di Segre a senatrice a vita, e 200 al giorno è enorme e quindi sostanziale. Nel primo caso si può sostenere che si tratta al più di qualche centinaio di esaltati psicolabili, che hanno accesso ai social ma senza alcun seguito; nel secondo che il fenomeno corrisponde a un sentimento con una sua pur piccola diffusione, e in tal caso sarebbe giusto interrogarsi su di esso ma senza indulgere in sensazionalismi stante la sua comunque irrisoria dimensione. Per chiarirvi il concetto che anche il (falso) numero di 200 attacchi al giorno alla Segre sarebbe comunque una cifra irrisoria, vi invito a seguire questo breve ragionamento a spanne.

Anche fossero stati (ma non è così) 200 al giorno, cioè 73.000 l'anno, questo numero dovrebbe essere contestualizzato confrontandolo col numero di post pubblicati sui principali social ogni anno. Per dare un ordine di grandezza, solo su FB vengono pubblicati 41.000 nuovi contenuti al secondo in tutto il mondo, dei quali (ipotesi spannometrica) ascriverne un mezzo migliaio ai soli utenti italiani è una stima prudenziale. Ebbene, in tal caso vengono postati in Italia, e solo su FB, oltre 15 miliardi di nuovi contenuti l'anno, rispetto ai quali i 73.000 di presunti attacchi alla Segre costituirebbero lo 0,00046% (assumendo l'ipotesi, ulteriormente conservativa, che in questo calcolo li si attribuisce solo a FB e non a tutte le piattaforme social).

Eppure un numero così piccolo di contenuti, postati da un manipolo di spostati che fanno spesso grossolani errori grammaticali, è stato improvvisamente utilizzato dalle grandi centrali dell'informazione italiana per montare un clima di allarme e di caccia alle streghe, con l'obiettivo, io credo voluto, di amplificarlo. Accade così che la collega di Firenze, avendo ben compreso la strumentalità dell'operazione, sia incorsa nello scivolone per il quale si trova adesso sotto accusa. Ma a ben vedere è come se avesse detto ai suoi studenti quello che io stesso, in genere con maggior accortezza, ripeto ogni giorno, e cioè che non devono fidarsi ciecamente della grande informazione prendendo per oro colato tutto quello che viene veicolato.

Per altro ci tengo a precisare che nutro grande stima per Liliana Segre, della quale sarei onorato di essere amico, perché si percepisce chiaramente, dalle interviste che rilascia, che si tratta di una persona dalla grande intelligenza e finezza di ragionamento che ella, lecitamente sia ben chiaro, pone al servizio, con slancio patriottico, dell'esistenza di uno Stato che le sta molto a cuore. Certo, non l'avrei nominata senatrice a vita, perché un così evidente e forte slancio patriottico ella dovrebbe riservarlo a difesa dello Stato di cui è cittadina, e non di una potenza straniera seppur alleata come è Israele, ma non sono io che faccio le nomine.

Prenderei volentieri il thè con la signora Liliana Segre, e volentieri converserei con lei sapendo di avere molte cose da imparare, come pure di trovarmi di fronte a una persona di grandissimo spessore intellettuale che ha lucidamente accettato di svolgere un ruolo politico nell'interesse dello Stato di Israele, alla quale però, con la nomina a senatrice a vita, è stato improvvidamente consentito di entrare nel cuore delle Istituzioni democratiche del nostro Stato. Mi auguro, a questo proposito, che la signora Segre sappia limitare il suo ruolo alla sola propaganda, come pure che i nostri servizi di sicurezza interni tengano alta la guardia tenendola lontana dai dossier più sensibili.

In merito all'ultimo punto devo dire che non ho, al momento, ragioni di dubitare, ma è evidente che l'attuale governo, come i precedenti e le opposizioni, prosegue un orientamento di politica estera nel quale l'alleanza con lo Stato di Israele è considerata centrale, e questo in un momento di forti tensioni in tutta l'area foriere di avvenimenti ancora più gravi. L'ondata di neo-maccartismo è a mio parere funzionale a blindare l'opinione pubblica in vista di possibili ulteriori tensioni, come fu negli anni cinquanta negli Stati Uniti. All'epoca l'Unione Sovietica era al culmine della sua avanzata, dall'Europa dell'est all'estremo oriente, ragion per cui si incaricò un oscuro senatore repubblicano, Joseph McCarthy, di montare il clima psicologico che è passato alla storia col termine "maccartismo", salvo fermarlo quando, raggiunto un accordo coi sovietici, quello sciocco individuo si prese talmente sul serio da attaccare addirittura gli alti vertici dell'esercito americano.

Bisogna infine rilevare come le opposizioni, cioè la destra sgangherata che contende il governo del paese alla sinistra compassionevole, stiano approfittando del clima lanciando esse stesse operazioni psicologiche della stessa natura, ma a fini interni. Gli esempi da fare sarebbero molti, mi limito a ricordare l'indegna campagna su Bibbiano e un recente episodio, piccola cosa rispetto a molto di più, che tuttavia mi ha colpito e considero significativo: la campagna di disinformazione sull'Università di Yale che avrebbe deciso, secondo la solita svergognata propaganda, di cancellare il corso di storia dell'arte perché troppo eurocentrico. Vi invito a seguire il link per una conoscenza veritiera della vicenda, sulla quale schiere di dementi ignoranti esaltati hanno intinto il biscottino social.

Il neo-maccartismo dilaga, sta diventando l'aria stessa che respiriamo, e a farne le spese siamo, molto spesso, noi insegnanti che eroicamente e legittimamente insistiamo sull'importanza di coltivare lo spirito critico e di non adeguarsi supinamente alle idee dominanti. In un caldo  pomeriggio della scorsa estate ho prolissamente (e alcolicamente) affrontato alcuni di questi temi, è un po' lunghetto ma ve lo ripropongo. Chi ha fretta può partire da questo minuto.



Tornando alla collega di Firenze, alla quale ribadisco la mia solidarietà, sapeste quante volte, rientrando a casa dopo una lezione nella quale mi è magari sfuggita un'espressione un po' forte, vengo preso dal timore che qualcuno dei miei studenti possa ripeterla, e soltanto questa, senza essere capace di riportare il senso generale del mio insegnamento! Che è sempre quello di imparare a pensare con la propria testa. Ultimamente mi sforzo di essere più attento, faccio sempre più esempi, sottolineo costantemente che quello che dico potrebbe essere sbagliato e che sono loro che devono ascoltare tutte le opinioni prima di farsi la loro, e anche questo è un segno dei tempi di minore libertà che stiamo vivendo. Non è paradossale che, mentre il linguaggio più volgare, irrazionale, superficiale viene sdoganato sui media mainstream e sui social, debba preoccuparsi chi trasmette dialetticamente tutti i punti di vista?

Ma in fondo è normale che sia così. Tanti genitori sono stati educati nella neo-scuola, quella che ha privato noi insegnanti di autorità e autorevolezza, quella nella quale i presidi manager si preoccupano di tutto meno che della qualità dell'insegnamento e della selezione, anzi la selezione non deve esserci proprio più. Sapete, i loro pargoli sono tutti geni incompresi, noi insegnanti tutti dei frustrati repressi con disturbi della personalità, e poi la scuola deve insegnare un lavoro! Una volta uno di costoro, a proposito di una giovane e timida quanto colta collega, bullizzata da una classe di 28 giovani barbari, mi disse: "se io sarei un professore stai sicuro che i piedi in testa ce li metto io". Mestiere ingrato.

giovedì 30 gennaio 2020

I francesi ce spicciano casa

Dopo vent'anni di chiacchiere: tra berluschini, piddini, grillini, leghisti e atrejumani, la vogliamo tirare una linea o no? Se ci vogliono le mazzate, come sempre e da sempre, allora a primavera si balla.



Ah, incidentalmente ricordo che domani ci sarà la brexit, una scemenzuola di cui non si parla molto da noi salvo accennare qualcosa all'ultimo momento, quel tanto che basta per fare la parte di quelli che l'informazione è un valore fondativo della santa Unione Europea. Ma quanto credete che possa durare un modello di non-Stato che costringe i giovani ad essere disoccupati e i vecchi a lavorare? Bene che vada 30 anni, e lo so che sono tanti per un'esistenza umana, ma sono anche uno sputo per la storia. E non vogliamo far niente per evitare 'sto scataracchio?

mercoledì 29 gennaio 2020

Al 29 gennaio 2020 voi tutti...

Come un artigliere folle continuo a sparare i miei colpi contro il nemico che avanza. Non sono i proiettili che mancano, ma le bocche da fuoco; il rischio è che quando saremo accerchiati salteremo in aria come una santabarbara. Ma le bocche da fuoco che dovrebbero supportarci hanno puntato la mira contro falsi bersagli, e sparano nella nebbia. Per non parlare delle postazioni che si sono vendute: riferimento noto quanto voluto, che è d'uopo sempre rimembrar.

Il video di oggi è tratto dalla trasmissione radiofonica "Chi comanda in Italia, storia della classe dirigente italiana - alle otto di sera" da cui estrarrò nei prossimi giorni ulteriori spunti. Se avrete voglia di seguire le cinque dicasi cinque ore di trasmissione potrete verificare con mano quanto detto: non sono i colpi gli argomenti che mancano, ma le bocche di fuoco teste pensanti. La domanda che dovete porvi è: siete uomini o amodei?

Honni soit qui mal y pense

Link: Il discorso di Draghi sul Britannia

E' stato reso pubblico il discorso di Mario Draghi in occasione della crociera del Britannia il 2 giugno 1992. In questo articolo, oltre a commentarne alcuni passaggi, cosa che altri e meglio di me hanno fatto, vorrei attirare la vostra attenzione su altri aspetti di colore, non meno importanti.

Cominciamo dalla copertura che, all'evento, dedicò il quotidiano Repubblica: inviata a bordo l'allora giovane giornalista Laura Laurenzi «una delle più celebri giornaliste di costume in Italia. Ha pubblicato libri di successo, tra cui Liberi di amare (Rizzoli 2006), Il giorno più bello (Rizzoli 2008) ed è coautrice dell’autobiografia bestseller di Marta Marzotto Smeraldi a colazione (Cairo 2016)». L'articolo della Laurenzi, tratto dall'archivio, merita di essere letto. In alcuni passaggi esso è rivelatore:

1) «La regina non c' è: ha lasciato la sua nave a Palermo ed è ripartita per Londra in aereo, ma si è detta ben lieta di ospitare a bordo del suo panfilo reale, la sua dimora sull' acqua, un centinaio di invitati eccellenti di nazionalità italiana, manager di stato, economisti, banchieri, vertici del Tesoro venuti a seguire un austero seminario sottocoperta sul tema delle privatizzazioni. Privatizzazioni? Vi spieghiamo come si fa, si sono offerti soccorrevoli e certamente interessati a concludere eventuali accordi gli esperti inglesi, come i presidenti di due fra le più antiche banche d' affari del mondo, la Baring e la Warburg, che era la banca di Bismark. "E' delizioso questo utilizzo dei simboli della regalità per azioni promozionali", sorride fumando il sigaro Beniamino Andreatta. Giovanni Bazoli, presidente del Banco Ambroveneto, ha voluto indossare una cravatta in tema, a bandierine marinare. Il presidente dell' Eni Gabriele Cagliari scruta l' orizzonte, oltre l' Argentario. Sorride impeccabile e assolutamente a suo agio Luigi Spaventa: il suo intervento, in tarda mattinata, è stato come sempre in un inglese perfetto, lieve accento di Cambridge.»
2) «Anche l' Italia dunque ha avuto il suo sea day sul Britannia, una di quelle rare giornate commerciali che spesso servono poi a coprire le spese di manutenzione del panfilo durante il resto dell' anno. Sono volutamente assai poco numerose, affinché risultino ancora più ambite e selezionate: ce ne sono state sei complessivamente nel ' 91 in giro per il mondo, e tre in tutto, non di più, se ne svolgeranno quest' anno. Una, con imbarco a Civitavecchia, gita al largo fin quasi all' Argentario ed esercitazione militare della fregata di scorta "Battleaxe", è toccata all' Italia che conta: un summit del potere, fra salatini, Bloody Mary e caffé lunghi, con decine e decine di auto blindate in attesa sulla banchina numero 12 del porto, accanto al Forte Michelangelo, e ingorgo di Lance Thema e Croma ministeriali al casello. Imbarco alle otto e trenta; alle quattro e mezzo del pomeriggio è tutto finito.»

In sintesi: la Regina non c'era (visto che l'affitto del panfilo aveva finalità commerciali) ma c'erano tanti italiani, quasi tutti quelli che contavano, e un paio di grossi banchieri inglesi. Il che significa, per uno spirito come il mio poco incline al complottismo, che le privatizzazioni sono state un progetto della borghesia cotoniera italiana, al più col supporto finanziario di qualche amichetto interessato all'affare, anzi all'arraffare. Eppure, a livello di opinione social, è passata l'idea che nel 1992 l'Italia sia stata vittima di un attacco delle potenze plutocratiche guidate dalla perfida Albione, con lo scopo di impoverirci perché noi eravamo diventati troppo forti e dunque costituivamo una minaccia bla bla bla bla... citofonare Amodeo!

En passant vi segnalo la presenza a bordo del keynesiano Luigi Spaventa, laureato in giurisprudenza ma docente di economia, che dapprima si distinse «tra le altre cose per essere, in linea col PCI, un oppositore della Moneta Unica Europea, contrapponendosi decisamente al compagno di partito Altiero Spinelli ed al radicale Marco Pannella» per essere poi nel 1989 «titolare della cattedra intitolata a Luigi Einaudi presso la Cornell University negli Usa, cattedra creata nel 1986 con fondi principalmente dello Stato Italiano stesso» e infine relatore al convegno del Britannia «come sempre in un inglese perfetto, lieve accento di Cambridge». Non provate una straniante sensazione di deja vu?

Veniamo al discorso di Mario Draghi, definito da Francesco Cossiga "un vile affarista. Il liquidatore dell'industria pubblica italiana". Ma qui, prima di continuare, voglio lanciare una provocazione. Alzi la mano chi, già maggiorenne nel 1977, non ha gridato "Kossiga boia" dopo la tragica morte di Giorgiana Masi. Bè io quel giorno c'ero, avevo 21 anni ed ero da poco scappato da casa e dai miei doveri, ai quali sarei tornato un anno più tardi. C'ero! Come il caso ha voluto che fossi presente come atomo tra atomi, quindi senza alcun ruolo salvo il fatto di far parte di quell'Italia che da sempre cerca un riscatto per essere regolarmente tradita dai suoi "salvatori"; c'ero come il giorno delle monetine a Craxi (che non lanciai grazie a un amico che riuscì a farmi ragionare in extremis con argomentazioni che non ho mai dimenticato), come c'ero l'8 settembre 2007 al primo Vaffa-day, o il 22/23 ottobre 2011 al convegno che aprì la stagione no-€uro (per una parziale ricostruzione si veda qui), come ci sono stato in tante altre occasioni nelle quali ho avuto sentore di un tentativo dal basso. I quali non solo sono tutti miseramente falliti, ma si sono trasformati, nel tempo, fino a diventare assi nella manica della maledetta borghesia cotoniera, qui magistralmente raffigurata dal genio di Bernardo Bertolucci:



Ebbene la provocazione è questa: come è possibile che Francesco Cossiga sia stato un boia e un difensore dello Stato? Come è possibile che sia passata, nel 1977, la narrazione di un ministro dell'interno che "commissionava" l'esecuzione di un'anonima giovane cittadina italiana al fine di difendere... cosa? Uno Stato democratico che, di lì a qualche anno, sarebbe stato oggetto dell'esproprio da parte dei gruppi privatistici della maledetta borghesia cotoniera italiana? Io quel giorno ero lì, a poche centinaia di metri, ma non era contro Cossiga che stavo manifestando, bensì perché ero parte (inconsapevolmente) di una generazione figlia del baby boom che voleva affermare la sua esistenza e si ribellava, con giovanilistica esuberanza, ai vincoli di un mondo che tardava a cambiare. Ebbene, chi ha manipolato la realtà costruendo una narrazione di quei fatti che ha condotto l'opinione pubblica a identificare la liberà col libero mercato e l'assenza di libertà col socialismo? Lo ha fatto, senza dubbio alcuno, chi aveva i mezzi per farlo.

Veniamo al discorso sulle privatizzazioni che Draghi descrive come «una grande – direi straordinaria – decisione politica, che scuote le fondamenta dell’ordine socio-economico, riscrive confini tra pubblico e privato che non sono stati messi in discussione per quasi cinquant’anni».

Una questione sulla quale, e come si potrebbe giammai negarlo!!! c'è stato un ampio e democratico dibattito! Se sbalio mi corigerete.

E infatti il processo delle privatizzazioni «indebolisce un sistema economico in cui i sussidi alle famiglie e alle imprese hanno ancora un ruolo importante. In altre parole, la decisione sulla privatizzazione è un’importante decisione politica che va oltre le decisioni sui singoli enti da privatizzare. Pertanto, può essere presa solo da un esecutivo che ha ricevuto un mandato preciso e stabile».  

Ah ecco! «un mandato preciso e stabile»!

Continua Draghi: «La privatizzazione implica un cambiamento nella composizione della ricchezza finanziaria privata dal debito pubblico alle azioni. L’effetto di riduzione del debito pubblico può implicare una discesa dei tassi di interesse. Ma l’impatto sui mercati finanziari può essere molto più importante, quando vediamo che la quantità di ricchezza privata in forma di azioni è piccola in relazione alla ricchezza privata totale e che con le privatizzazioni può aumentare in modo significativo. In altre parole, i mercati finanziari italiani sono piccoli perché sono istituzionalmente piccoli, ma anche perché – forse in modo connesso – gli investitori italiani vogliono che siano piccoli. Le privatizzazioni porteranno molte nuove azioni in questi mercati.»

E infatti ecco a voi il risultato:


In effetti la ricchezza privata investita in azioni è cresciuta, salvo essere tosata dalla crisi del 2007-2009, per cui oggi i piccoli risparmiatori, come chi scrive, i soldini se li tengono sul conto corrente (sul quale si pagano costi sempre crescenti). Vero è che i tassi nominali sul debito pubblico sono diminuiti, ma stranamente il prelievo fiscale è aumentato a dispetto delle privatizzazioni che avrebbero dovuto spostare i costi dalle tasse alle bollette, e invece sono aumentate entrambe! Insomma le privatizzazioni hanno prodotto ciò che inevitabilmente dovevano produrre, come già sapevamo da Novecento atto I: quando i raccolti sono buoni la paga non aumenta, quando sono cattivi la paga deve diminuire.

Ma tutto ciò, secondo l'amodeismo e teorie affini, sarebbe l'esito di complotti massonici, dei quali la borghesia cotoniera sarebbe, in fin dei conti, essa stessa vittima! In nome dell'italianità, dell'interesse nazionale, come sostengono alcuni economisti sedicenti post keynesiani e pro flat-tax, nonché bibbianologhi di chiara fama! Una menzogna disgustosa e rivoltante che è difficile contrastare, e che, se è ancora possibile farlo nel discorso pubblico, ciò dipende da una considerazione che è necessario fare.

Questo blog, come tanti altri, propugna idee che, in uno Stato autoritario, costerebbero la galera, eppure nulla di tutto ciò avviene. Anzi, grazie a questa libertà di parola un buon numero di paraculi - definizione corretta: i declassé - si è fatto strada nella vita. Come mai in oltre dieci anni nessuno è finito in galera e anzi molti sono finiti in parlamento a 15/20 k€/mese al servizio di forze politiche liberali? Come mai?

Ve lo spiegherò nel prossimo video, ma posso darvi un'anticipazione: immaginate di far parte della classe dirigente di un grande impero e che un piccolo paese sia importante per motivi strategici: ebbene, cosa cambia per voi se in quel piccolo paese la sanità è pubblica o privata? Nulla, se non una sola considerazione: quale gruppo di potere, in quel piccolo paese, può offrirvi la totale fedeltà strategica, cioè la sola cosa che vi interessi veramente?

Il gruppo di potere che ha scambiato la promessa della totale fedeltà strategica all'impero è la borghesia cotoniera, quella che chiudeva i suoi braccianti a chiave al calar del sole. Ancora Novecento di Bertolucci, un regista chissà perché dimenticato:



Ma se le cose stanno come penso, allora deve essere chiaro che il riscatto del popolo lavoratore non passa per l'impossibile lotta contro l'impero americano (o contro qualsiasi altro impero) ma per la lotta nazionale contro la classe dominante nazionale, nella piena compatibilità con gli equilibri globali esistenti, contro i quali non si può fare nulla. E anche se si potesse fare qualcosa, state certi che in tal caso sarebbe la stessa borghesia cotoniera a farsi nazionalista, ma per i suoi interessi, non per quelli del popolo lavoratore. Anzi, ancora e sempre contro di esso.

Nota: perché i padroni del denaro, quelli cioè che possono stamparne quanto ne vogliono, sono così interessati ai nostri piccoli redditi? Non vi passa per la testa l'idea che questo modo di vedere le cose sia una cagata pazzesca?

lunedì 27 gennaio 2020

Riflessione sulle elezioni regionali

Il responsabile di questo blog ha individuato da tempo nel deficit democratico reale il vero problema, sia del nostro paese che più in generale di tutto il mondo. Per quanto riguarda il mondo: come sempre!

Ma siccome l'occidente è, o crede di essere, la culla della democrazia (in particolare lo credono alcune nazioni che ne fanno parte, tra queste l'Italia) il deficit di democrazia che si manifesta in occidente - in particolar modo in Italia - è un tema degno di interesse.

Il movimento dal basso verso l'alto dei venduti
Come vado gridando nel deserto ormai da anni, la democrazia non è un valore ma una conquista (teorema). Ciò significa (lemma) che essa non è una concessione, anzi non deve assolutamente e giammai esserlo. Tuttavia prevale il vittimismo, la lamentela per gli spazi di comunicazione negati, per la menzogna propalata dalle centrali del Potere, quando invece ciò è del tutto normale, direi addirittura "democratico", agli occhi di chi, come me, è consapevole che il diritto di sedersi al tavolo della democrazia deve essere conquistato con la forza. E aggiungo: con le buone o con le cattive.

I metodi "buoni" sono quelli che afferiscono all'organizzazione dei gruppi sociali che sono esclusi dal tavolo della democrazia in ragione della loro incapacità a farlo, quelli "cattivi" all'uso della violenza. I secondi sono stupidi e idioti quando sono utilizzati, anche in buona fede  - e per l'appunto da idioti, come surrogato dell'incapacità di costruire l'organizzazione politica, ma necessari quando, conquistata la forza per sedere al tavolo della democrazia, tale diritto viene negato da chi già vi siede. In sintesi: le sollevazioni di piazza non servono per conquistare il Potere (o un pezzo di esso) ma per sancire pubblicamente il mutato equilibrio politico. En passant: è quello che accadde nella rivoluzione d'ottobre. Ma resta che il mutato equilibrio politico può essere conseguito sempre, inevitabilmente e necessariamente costruendo prima l'organizzazione politica.

Per chi è in grado di comprendere la premessa, io asserisco con assoluta e completa convinzione che la democrazia esiste sempre, in occidente come ovunque e sempre, a patto di avere la forza e la capacità di sedersi a quel tavolo, e che lamentarsi è da fessi, o da donnicciuole, o da frocetti, oppure da venduti o da infiltrati! O una combinazione dei precedenti attributi.

Occorre quindi mettere a tema la domanda: perché in dieci dicasi dieci anni di mobilitazione, di lavoro, di sforzi, di sacrifici, anche di rinunce a fare altro nella vita,  le elezioni in Emilia Romagna ci consegnano il risultato di un dominio completo delle forze di ispirazione liberale, sia pure con il tracollo di una di esse scambiata dai semplici come "tram dei desideri"?

Come saprete finisce così: "Stanley violenterà Blanche, e questo le causerà un forte esaurimento nervoso che la porterà a essere internata in un manicomio. Disperata per il triste destino di Blanche, Stella respingerà il marito e porterà con sé il suo bambino appena nato, giurando di non tornare più a casa da Stanley."

Torniamo a quelli che si lamentano levandoci subito di torno i fessi, le donnicciuole e i frocetti, per concentrare la nostra attenzione sui venduti e sugli infiltrati. I venduti sono quelli che, avendo acquistato, anche per loro meriti, un certo peso nel gruppo sociale di coloro che si sforzano di ampliare il tavolo della democrazia, sono stati sedotti e comprati dal Potere. Gli infiltrati sono quelli che, fin dall'inizio, sono stati inviati dal Potere per monitorare, ed eventualmente porsi a capo, di ogni tentativo dal basso. 

Ora un nucleo che si ponga l'obiettivo di riconquistare il diritto a sedere al tavolo della democrazia, id est far contare una classe sociale esclusa dalla spartizione dei pezzi di carne del plusvalore, non può essere impermeabile per la semplice e ovvia ragione che esso deve crescere numericamente fino a comprendere (parlo sempre dell'Italia) decine di migliaia di militanti. Pertanto il nucleo deve essere al contempo permeabile ma impenetrabile, e qui sta il difficile. D'altra parte, fosse facile, ci sarebbe una rivoluzione al mese!

E come si fa a costruire una base militante che sia allo stesso tempo permeabile ma impenetrabile ai venduti e agli infiltrati? Ebbene servono tempo e metodo. Il tempo, quando il progetto di riconquista del diritto di partecipare al tavolo della democrazia si sviluppa nel corso di molti anni, risolve immediatamente il problema degli infiltrati del Potere. Questi, infatti, sono sommamente necessari in occasione di rapide fiammate, ma sono inutili nel lungo periodo, specialmente nell'odierna società del controllo. Il vero problema, allora, sono i venduti.

Il problema dei venduti lo si risolve col metodo. Occorre cioè stabilire delle regole di partecipazione democratica che rendano impossibile la scalata di pochi pezzi di merda personaggi che, in virtù del loro carisma e del sostegno mediatico del Potere, finiscono con l'essere percepiti come leaders. Il segreto è la segmentazione stratificata del movimento. Mi spiego: immaginate 1000 persone suddivise in sezioni al massimo di 20 iscritti, col divieto di superare questo numero e l'obbligo, quando questo accade, di aprire una nuova sezione. Si avrebbe così un numero di 50 o più sezioni, ognuna delle quali può proporre una sua mozione politica e votare sulle mozioni espresse da altre in occasione di un congresso annuale nel quale sono ammessi come votanti tutti e solo i rappresentanti delle sezioni, con l'ulteriore vincolo che, in occasione dei congressi, le sezioni con meno di 20 iscritti devono eleggere un loro rappresentante collegiale riunendosi fino a costituire una sezione temporanea di non più di 30 iscritti. Una simile articolazione implica che l'eventuale carismatico Kahn iscritto in una sezione potrà anche dominarla, ma poi dovrà fare i conti con i rappresentanti eletti delle altre sezioni, i quali magari sono un po' più sgamati.

Che fa il Potere a quel punto? Minimo se ne deve comprare un bel po', e sarebbe tutta gente che, alle successive elezioni di sezione, non è detto venga rieletta. Anzi, sapete che si può fare? Quando una sezione esprime il suo il suo rappresentante ne seleziona in realtà due, e poi quello veramente eletto viene estratto a sorte. E così il numero di quelli che è necessario comprare raddoppia all'istante.

E adesso, caro Potere, vienici a comprare. Un po' più difficile, non trovate? Va bene, ma che succede se questo metodo ha successo e il movimento cresce, passando da 1000 a 5000 iscritti? Semplice, se ne discute e si trovano democraticamente, sulla base delle regole valide per 1000 iscritti, le modifiche da apportare. E così via, sempre con lo stesso metodo.

Un po' diverso, nevvero, dall'avere 1000 iscritti che ogni anno si riuniscono ed eleggono per acclamazione gli organi dirigenti? E qui ogni riferimento ai simpatici amici è puramente voluto. Simpatici sì, ma io ne sono fuori.

domenica 26 gennaio 2020

Fallimento a 5 stelle


Ultimamente (anzi da un bel po' di tempo) scrivo poco e faccio solo video, molti dei quali non ho nemmeno pubblicato sul blog. Rimedio in questa occasione:








lunedì 20 gennaio 2020

Fondamenti di lotta di classe - la borghesia cotoniera

Della serie: fatevi il vostro cazzo di euro ma a noi ci pagate! Prima vedere denaro poi cammello lavorare!

Perché se tu, maledetto borghese cotoniero, per costruire il tuo cazzo di ponte mi devi dare comunque il 50%, meglio ancora: sempre e comunque 50 pezzi d'oro, a te fare l'accordo col borgomastro per 90 pezzi d'oro non ti conviene più. E l'euro lo smonti tu!!!



In estrema sintesi


sabato 18 gennaio 2020

I salvataggi che ci hanno salvato

Link correlati:
  1. Il bollettino economico di Banca d'Italia - gennaio 2020
  2. Anno 7 dopo Lehman, tre insidie per l’economia - Francesco Lenzi 2015


Addendum:

In risposta ad alcuni commenti postati sul canale Youtube (non qui, dove ci si conosce da anni e anni) ho preparato questo video:



Inoltre, ai fini di una migliore comprensione della faccenduola, agevolo questo ulteriore atomo informativo:

mercoledì 15 gennaio 2020

“Non illudiamoci, la sovranità monetaria non basta e a ben vedere, quando c’era, non è servita ai lavoratori”. - Simone Garilli FSI

Per il video cliccare qui.

Fronte Sovranista Italiano - Mantova Mi piace

“BASTA SALARI DA FAME”? SÌ, MA COME?

Sabato scorso, in una saletta della Biblioteca Gino Baratta di Mantova, si è svolto un bell’evento organizzato dagli amici di eQual - Potere al Popolo, nel quale Simone Fana ha presentato il libro scritto a quattro mani con la sorella Marta Fana, dal titolo “Basta salari da fame!” (edizione Laterza)

Il FSI Mantova ha partecipato con una sua delegazione e dopo aver ascoltato con attenzione la presentazione, moderata da Emanuele Bellintani (candidato Sindaco con Mantova in Comune) e Michele Orezzi (sindacalista Filctem Cgil Mantova), è intervenuto con una domanda di Simone Garilli, che abbiamo ripreso nel *video sotto*. Il video con la risposta dell'autore verrà pubblicato solo con il suo consenso.

Siccome sabato non c’è stato modo e tempo per una successiva replica del nostro Simone Garilli, abbiamo deciso di pubblicarla qui sotto, sperando di stimolare un confronto costruttivo con l’autore e magari anche con gli amici di eQual - Potere al Popolo.

La premessa a questa replica è doverosa: condividiamo largamente l’analisi di Simone Fana, siamo incuriositi dal libro, che leggeremo, e abbiamo molto apprezzato il tono politico che l’autore ha voluto imprimere alla presentazione, perché come lui anche noi siamo convinti che all’analisi teorica vada fatta seguire l’azione e che in Italia, oggi, esistano grandi potenzialità per riunire in una proposta politica organica la grande maggioranza dei lavoratori.

Segue quindi la replica di Simone Garilli:


“Caro Simone,

la domanda che ho deciso di rivolgerti sabato, come militante del FSI Mantova, deriva da una convinzione personale maturata nel tempo. Credo di poter dire, da osservatore esterno, che in una parte del variegato mondo della sinistra radicale italiana sia in atto un tentativo di rinnovamento teorico finalizzato ad una proposta politica nuova; una proposta libera dai lacci ideologici della Seconda Repubblica e quindi, auspicabilmente, dagli errori politici che ne sono seguiti, a partire dagli infelici esperimenti di governo con quel centro-sinistra che nel frattempo ha espulso la sua tradizionale componente socialista trasformandosi in un soggetto liberale compiuto.

Mi pare di poter dire anche che tu e Marta, tramite la vostra attività di ricerca, divulgazione e militanza, siate due delle avanguardie di questo ammirevole tentativo di rinnovamento, ed è per tale ragione che come FSI Mantova abbiamo deciso di partecipare alla presentazione di sabato, quale occasione di incontro e di arricchimento reciproco.

Essendo il Fronte Sovranista Italiano un partito relativamente giovane, nato nel 2016 dopo cinque anni di esperienza associativa con l’ARS (Associazione Riconquistare la Sovranità), mi pare corretto innanzitutto presentarci.

FSI è un partito che si pone come obiettivo la riconquista della sovranità nazionale in ogni sua forma, attraverso il ricollocamento della Costituzione al vertice dell’ordinamento. Pensiamo che il contrasto insanabile fra la nostra Carta e i Trattati Europei, la natura antidemocratica dell’Unione Europea e la sua irriformabilità, rendano necessario il recesso dell’Italia dai Trattati Europei, così da liberarci dai vincoli che ci impediscono di realizzare politiche sociali e per il lavoro.

È stato il nostro Presidente, Stefano D’Andrea, in un articolo apparso nel 2011 sulla rivista online Appello al Popolo, ad aver utilizzato per la prima volta la parola “sovranista”, oggi entrata in circolo nel dibattito pubblico ma utilizzata con estrema superficialità, per indicare tra gli altri un partito federal-secessionista come la Lega.

Per noi la sovranità da riconquistare, al contrario, è esclusivamente quella che consentirà all’Italia di dare forma alla Costituzione del 1948, come in parte è stato fatto durante la Prima Repubblica.

Ecco spiegato, attraverso questa breve presentazione del FSI, il mio intervento di sabato, che si concludeva con una domanda a te rivolta:

“…non pensi che la questione dell’Unione Europea e della sua irriformabilità, quindi la questione - la dico brutalmente - sovranista, dal nostro punto di vista però, cioè recuperare la sovranità per rimettere al centro dell’ordinamento giuridico la Costituzione italiana del 1948, non sia la questione decisiva?”

Se dovessi racchiudere la tua risposta in una sola frase, sceglierei questa:

non illudiamoci, la sovranità monetaria non basta e a ben vedere, quando c’era, non è servita ai lavoratori”.

Che non basti la sovranità monetaria al FSI è evidente, tanto è vero che nel mio intervento ho parlato di “sovranità”, senza aggettivi, intendendo con essa il potere dello Stato di disciplinare l’attività economica ed indirizzarla secondo fini sociali, come richiede la Costituzione.

Ma essendo il punto assolutamente decisivo, credo sia utile sviscerarlo: in cosa consiste concretamente, oggi, la sovranità di uno Stato?

Limitandoci in questa sede alla politica economica, direi che la sovranità è il potere di:

1) CONTROLLARE LA POLITICA VALUTARIA

perché attraverso la manipolazione del valore esterno della moneta è possibile allentare il vincolo della bilancia dei pagamenti, che altrimenti imporrebbe a qualsiasi Paese, e tanto più ad un Paese che ha perso terreno negli ultimi decenni, di reprimere la crescita dei salari così da contenere i prezzi e provare a competere sui mercati internazionali.

La leva valutaria è stata utilizzata in più occasioni durante la Prima Repubblica per consentire alle imprese di recuperare i margini di profitto minacciati dagli incrementi salariali. La svalutazione della lira, tanto vituperata dagli “intellettuali” revisionisti della Seconda Repubblica, è stata in passato anche uno strumento di mediazione democratica del conflitto tra Capitale e Lavoro: salivano i salari e nel contempo si manteneva la competitività esterna delle imprese esportatrici.

Inutile dire che nel recinto unionista, a causa della presenza di una moneta unica, è scomparsa la politica valutaria nazionale, e non c’è di conseguenza la possibilità di mediare il conflitto sociale per quella via.

Le imprese, come hai ricordato sabato, usavano anche l'inflazione per recuperare i margini di profitto sottratti dalla crescita dei salari nominali. Tuttavia anche questo secondo sbocco, sebbene formalmente a disposizione, è precluso dentro l'euro e l'Unione Europea, perché minerebbe anch’esso quella competitività esterna che si gioca ormai esclusivamente sui prezzi relativi dei beni

2) CONTROLLARE LE POLITICHE MONETARIA E FISCALE, CONGIUNTAMENTE

perché senza di esse non è possibile l’intervento diretto dello Stato nell’economia e, in particolare, non è pensabile una politica industriale, la quale richiede massici investimenti pubblici nei settori considerati strategici e nei cosiddetti monopoli naturali, per loro natura inadatti ad un regime concorrenziale.

Come noto, se la Banca Centrale, che esercita la politica monetaria, non risponde in alcun modo al potere esecutivo, la politica fiscale del governo non potrà essere autonoma. Saranno i mercati finanziari a fissare il tasso di interesse a cui lo Stato finanzia la sua spesa in deficit e spetterà ad un organismo tecnico, slegato da qualsiasi vincolo popolare, decidere se perseguire gli interessi degli investitori privati o quelli dello Stato.

La Banca Centrale Europea ci indica chiaramente che l’indipendenza della politica monetaria dal potere esecutivo è uno strumento di disciplina dello Stato, condannato così ad applicare l’agenda riformatrice che gli investitori e le stesse istituzioni europee gli richiedono.

Allo stesso tempo il Trattato di Maastricht e le sue successive articolazioni, fra le quali il Fiscal Compact, riducono sempre più lo spazio legale del deficit pubblico, sterilizzando anche per quella via la politica fiscale

3) CONTROLLARE IL MOVIMENTO IN ENTRATA E IN USCITA DEI CAPITALI

perché il libero flusso inter-nazionale dei capitali condanna lo Stato, i sindacati e i lavoratori a sottostare alla legge del massimo profitto privato. Se il capitale è libero di circolare dove il costo del lavoro, i diritti, la sicurezza e la salute dei lavoratori sono meno tutelati e se nel frattempo lo Stato non può fare politica industriale, i livelli di occupazione e di sviluppo interni dipenderanno dall’attrattività del Paese nei confronti delle imprese multinazionali. Inizierà così un meccanismo di competizione al ribasso tra lavoratori dei diversi Stati e persino tra aree interne ad uno stesso Stato, con effetti distruttivi sulla quantità e la qualità del lavoro.

È la storia degli ultimi decenni.

Ma c’è di più: il libero movimento inter-nazionale dei capitali sancisce l’impossibilità di qualsiasi politica fiscale redistributiva o di welfare, perché le imposte e i contributi sociali pagati dalle imprese fanno parte a pieno titolo del costo del lavoro complessivo e un capitale a briglia sciolta avrà gioco facile a ricattare lo Stato che voglia incrementare il prelievo sui redditi più alti minacciandolo di espatriare. Il dibattito ormai quotidiano sul taglio del cuneo fiscale e sulla necessità di sgravare le imprese da un eccessivo costo del lavoro ne è testimonianza diretta

Così definita la sovranità, e chiarito come essa sia scientificamente erosa dalle istituzioni e dai trattati europei, permettimi Simone una piccola parentesi sulla politica industriale.

Nella presentazione di sabato nei hai parlato diffusamente e con merito, toccando in particolare il tema della produttività, un parametro decisivo che da alcuni decenni nel nostro Paese ristagna. La teoria neoliberale in merito è fallace ed è assodato che la produttività dipenda in prima istanza dalla domanda aggregata e più nello specifico dalla dinamica salariale. Se i salari crescono le imprese sono incentivate ad “efficientare” il processo produttivo attraverso investimenti in capitale, altrimenti no. Siamo ovviamente d'accordo con l’analisi, e concordiamo amaramente sul fatto che l'Italia si collochi ormai quasi soltanto nei settori a basso o medio valore aggiunto, come testimoniato dal fatto che l'occupazione cresce da tempo esclusivamente nei servizi e attraverso l’uso indiscriminato dei part-time involontari. Un Paese di camerieri, come hai concluso, è un orizzonte disastroso per i salari e per le classi lavoratrici.

E allora come non considerare, nel momento della proposta politica, che il recinto istituzionale della prima Repubblica, dentro il quale come detto si poteva finanziare un'industria pubblica piuttosto agevolmente, era una condicio sine qua non per la lotta salariale?

Solo in quel contesto di alti livelli occupazionali e di crescita della produttività i lavoratori potevano contendere al capitale una quota dell’incremento produttivo e, sebbene a fasi alterne, durante la Prima Repubblica la quota salari guadagnò effettivamente terreno rispetto ai profitti, con un picco intorno alla metà degli anni Settanta. Il declino senza appello della quota salari è visibile non a caso, dal nostro punto di vista, da quando il processo di integrazione europea prende definitivamente slancio, a partire dal Sistema Monetario Europeo nel quale l’Italia entra per la prima volta nel 1979, e a cui seguiranno il divorzio Banca d’Italia-Tesoro (1981), l’Atto Unico Europeo (1986), la restrizione della banda di oscillazione della lira all’interno dello SME (1987), il Trattato di Maastricht (1992), l’aggancio definitivo al marco (1996), il Patto di Stabilità e Crescita (1997), l’euro (1999-2002) e il Fiscal Compact (2012), per limitarci ai vincoli principali.

È indubbio che nella contesa tra salari e profitti degli anni ’60 e ’70 grande merito va riconosciuto ai lavoratori e ai sindacati che li sostenevano, ma i fattori che hanno reso quelle lotte possibili e talvolta vittoriose sono in ultima istanza due, tra loro correlati:

1) come detto, la produttività complessiva del sistema cresceva a ritmi elevati, consentendo almeno in teoria margini di miglioramento per entrambe le parti in conflitto, o quantomeno un compromesso dignitoso

2) ma soprattutto, per quelle lotte c’era uno sbocco politico, perché le istituzioni democratiche e i corpi intermedi, nel loro complesso, erano relativamente autonomi nelle decisioni di politica economica e quindi anche responsabili primi davanti agli elettori della direzione e dell’intensità dello sviluppo

Entrambi i fattori, come è evidente, sono stati sterilizzati dall’Unione Europea, che in questo senso è l’assicurazione per il grande capitale che la lotta di classe si giochi sempre in casa, invece che in campo neutro.

Non si tratta perciò di riprendersi la sovranità monetaria, ma la sovranità punto e basta, e nessuno ha mai sostenuto che sia sufficiente la sovranità per realizzare automaticamente il socialismo. Ho parlato non a caso, nel mio intervento di sabato, di “condizione necessaria, anche se evidentemente non sufficiente”. La riconquista della sovranità, con il recesso dall’Unione Europea, è una battaglia di portata epocale, ma se vista con freddo distacco è solo l’obiettivo minimo per ripristinare condizioni conflittuali equilibrate tra il Capitale e il Lavoro, all’interno del quale il FSI ricomprende anche i lavoratori autonomi, i dipendenti pubblici e le piccole imprese private che devono la loro sopravvivenza alla domanda interna (e cioè ai salari). In questo senso siamo frontisti o, con le parole del presidente Stefano D’Andrea, siamo un partito non certo inter-classista, ma sicuramente “pluri-classista”.

Infine, il tema dell’irriformabilità dell’Unione Europea.

Agganciandomi alla tua sacrosanta apologia della Storia, già sabato ti ho ricordato che l'Unione, storicamente, è un progetto principalmente francese che la Germania ha accettato alle sue condizioni. La matrice è quella e non è previsto che possa essere sostituita. Non lo dice il FSI, lo dicono i Trattati Europei, che prevedono un'“economia sociale di mercato fortemente competitiva” (un chiaro richiamo al modello economico tedesco) e che possono essere modificati solo con l'unanimità nel Consiglio Europeo. Questo significa che i Trattati che ci legano alla Germania e alla Francia sono di fatto immodificabili.

È qui che la tua risposta mi ha lasciato particolarmente perplesso.

Sono pronto ad essere smentito, e ne sarei felice, ma a me pare che tu abbia detto in sostanza che è inutile parlare di Europa, che non aggrega consenso, che bisogna parlare piuttosto delle battaglie concrete, fra le quali il salario minimo, e che poi si vedrà, una volta raccolti i consensi necessari si affronterà il problema europeo e saranno i rapporti di forza a decidere chi la spunterà, se un’altra Europa è possibile o se toccherà pensare ad altro.

La questione, a volerla vedere con rigore, è di natura democratica. Noi del FSI crediamo che al popolo vada detta tutta la verità, non una parte sola. Nei documenti programmatici che abbiamo approvato nel corso degli anni il Lavoro è sempre al centro perché siamo convinti che “la democrazia sono i diritti sociali”, come ha ricordato con dono della sintesi Luciano Canfora. Ma le classi popolari vanno rese coscienti di ciò che di strutturale impedisce in questa fase storica le riforme progressive che noi, come te e lo stesso Potere al Popolo, abbiamo in mente. Promettere il socialismo quando in queste condizioni istituzionali non si può ottenere altro che le briciole, e spesso nemmeno quelle, non è una strategia per guadagnare consenso, ma per perderlo al momento giusto. Ed il momento giusto è quello dello scontro frontale con l'Unione Europea e con l'establishment che se ne serve in patria per disciplinare il Lavoro.

Davvero qui mi chiedo, e ci chiediamo come FSI, se Tsipras abbia insegnato qualcosa. Forse, visti i tuoi riferimenti tutto sommato positivi a Pablo Iglesias, a Podemos, al nascituro governo spagnolo di centro-sinistra e al governo portoghese, ha insegnato meno di quello che avrebbe dovuto.

Attraverso Syriza Alexis Tsipras è riuscito nel 2015 ad aggregare consenso su una piattaforma radicalmente anti austerità e oggi infligge in prima persona le politiche di austerità al suo popolo. Il referendum contro quelle politiche, peraltro incidentalmente vinto, è stato archiviato per una ragione molto semplice: il popolo greco non era stato preparato allo scontro. Rispettare quel referendum voleva dire essere pronti ad uscire dall’Unione Europea (e quindi anche dall’euro). Sfortunatamente, però, Syriza aveva preparato il suo popolo a detestare l'austerità e il suo popolo detestava l'austerità, non l'euro e non l'Unione Europea che quell'austerità rendono necessaria.

Senza affrontare il nodo europeo ai lavoratori possiamo promettere solo menzogne, questo è il punto strategico decisivo, che non può essere eluso pena un’altra fase storica di brucianti fallimenti per le forze popolari.

In definitiva, se abbiamo paura della democrazia e della verità, dove vogliamo andare?

Mi scuserai per la lunghezza e per la franchezza di questa replica. Inutile dire che se come FSI Mantova abbiamo rivolto a te questa riflessione è perché pensiamo che la parte della barricata dalla quale ci troviamo a lottare sia la stessa. Grazie del libro, della presentazione di sabato e della eventuale risposta che vorrai darci”.

Un saluto,

Simone Garilli, FSI Mantova

Revisionista

mercoledì 8 gennaio 2020

Il tradimento dei Somaristi - 1

Il primo episodio della serie "IL TRADIMENTO DEI SOMARISTI".



Il 13 ottobre 2012 i Magazzini Popolari di Casalbertone organizzarono un dibattito tra Alberto Bagnai, al tempo economista e autore del libro "Il Tramonto dell'euro", Alfonso Gianni (referente economico di SEL), e Paolo Ferrero (segretario nazionale di Rifondazione Comunista). Titolo: "La crisi spiegata a chi la paga!".
Dal momento che la Storia, come canta la Mannoia, dà torto e dà ragione, ho pensato di realizzare una rilettura di uno dei video che girai quel giorno. C'è chi ha vinto e chi ha perso, come pure chi ha avuto ragione e chi torto, e in questo caso l'intersezione dell'insieme dei vincitori di oggi con quello di chi aveva ragione quel giorno è l'insieme vuoto. Una circostanza drammatica, che dà conto dell'altrettanto drammatica situazione in cui versa l'Italia.
Ripartire da ciò che è accaduto in questi ultimi anni durante i quali ha preso forma un bisogno profondo di ritorno alla politica, che è stato, ancora una volta, intercettato e deviato in direzioni sbagliate e funzionali al gattopardesco fine di cambiare le apparenze per mantenere la sostanza del dominio di classe, è un dovere e un piacere.

Presto il secondo episodio della serie.

sabato 4 gennaio 2020

Gangsters



«L'Attesa.

Difficile davvero prevedere cosa possa accadere in Medio Oriente dopo l'uccisione del generale iraniano Soulimani. Certamente è credibile la notizia che già ieri Trump abbia mandato degli emissari a parlare con gli iraniani e a dire - in sostanza così dicono le cronache - che accetterebbe una rappresaglia limitata. Una cosa del genere abbiamo scoperto l'ha fatta anche durante il tentativo di rovesciamento di Maduro in Venezuela: mentre Trump pubblicamente appoggiava i rivoltosi, in via privata mandava Rudy Giuliani a trattare con Maduro. Probabilmente - ma questo ce lo diranno gli storici quando sarà tolto il segreto di stato - Trump in Venezuela ha ottenuto ciò che voleva e con buona pace dei rivoltosi la rivoluzione è stata stoppata. L'uomo è questo, apparentemente grossolano, ma in realtà cinico e spregiudicato come devono essere tutti i politici di levatura.

Il fatto è che in questa grana dell'Iran le cose rischiano di non essere facilmente aggiustabili: l'Iran è una teocrazia sciita, dove dunque la religione s'è fatta stato ed ordinamento giuridico. E che religione! Lo sciismo che ha nel culto del martirio uno dei suoi massimi fondamenti. Certo, si può sempre sperare che la parte più moderata della gerarchia iraniana prenda il sopravvento e quindi si abbia una rappresaglia limitata ma certo non sarà facile. Inoltre la morte di Soulimani rischia di essere esattamente come la morte dell'arciduca Francesco Ferdinando d'Asburgo per mano di Gavrilo Princip: l'occasione per regolare i conti tra potenze allora europee e ora mediorientali.

Oggi il Ministro degli Esteri qatariota è volato (con tanto di bandiera qatariota dove l'amaranto è sostituito dal nero in segno di lutto) a Tehran a parlare con gli iraniani (manco a farlo apposta il Qatar è nemico dell'Arabia Saudita che è alleata degli americani) e per giunta gli iraniani fanno appello alla Turchia per combattere gli americani. Insomma si stanno creando schieramenti contrapposti.

Nel frattempo gli iraniani hanno elevato la bandiera del martire Hussein nella loro più sacra moschea di Qom a significare che ci sarà la Battaglia Suprema. Messianesimo e scacchiera diplomatica che si intrecciano. Davvero gli americani stavolta hanno tirato un candelotto di dinamite in una polveriera. Speriamo non abbiano sbagliato i conti.»

Opa sul M5S



mercoledì 1 gennaio 2020

I fondamentali

Al baretto di Castro dei Volsci si insegna e si impara, gramscianamente.

p.s. Paride, Parideeeee, Parideeeeeeeee (cose nostre, di noi paesani di Castro dei Volsci). A proposito, l'estate prossima, andando in vacanza, fermatevi da noi e chiedete del baretto di Castro dei Volsci. Vi offrirò un cicchetto, se siete colonizzati uno shottino, oppure un mojito se siete pure scemi.