domenica 31 gennaio 2016

Il "Trilemma di Rodrik" e la "Matrice di Fraioli"


Sono venuto a conoscenza dell'interessante congettura di Dani Rodrik, nota come "Trilemma di Rodrik", grazie al blog di Quarantotto (ad esempio qui e qui).

Secondo la congettura non è possibile la coesistenza di globalizzazione, sovranità nazionale e democrazia: è necessario rinunciare ad una di esse.
  • Nell'epoca del Gold Standard (l'ottocento) si rinunciò prioritariamente alla democrazia. Con gli esiti ben noti.
  • Dopo la seconda guerra mondiale (in realtà fin dal 1934, sotto i colpi della crisi mondiale conseguente al crollo di Wall street) si rinunciò prioritariamente alla globalizzazione, attraverso una serie di scelte e provvedimenti cui ci si riferisce talvolta con l'espressione "accordi di Bretton Woods", tal altra con quella di "regime di repressione finanziaria".
  • Oggi, ad essere sacrificata, è priotariamente la sovranità nazionale.

Se analizziamo il trilemma alla luce della dialettica destra-sinistra, possiamo fare qualche interessante considerazione. Una prima, a mio parere parziale lettura, può essere la seguente: Nell'epoca del Gold Standard, essendo sacrificata la democrazia, il luogo del conflitto politico era la sua riconquista. Nell'epoca di Bretton Woods, essendo sacrificata la globalizzazione, il luogo del conflitto politico è stato il processo di riapertura dei mercati. Nell'epoca attuale, essendo sacrificata la sovranità nazionale, il luogo del conflitto politico è diventato la difesa di questa.

Questa lettura è parziale, prima di tutto perché presenta le tre opzioni come se fossero equivalenti in termini di giudizi di valore: al tempo del gold standard si sarebbe sacrificata la democrazia, nell'epoca di Bretton Woods la globalizzazione, oggi la sovranità nazionale. Così raccontata sembra quasi che, in ogni epoca, si sia fatta una scelta in qualche modo razionale, o quanto meno dettata dalle circostanze oggettive. In effetti, se accettassimo un'equivalenza in termini di giudizi di valore dei tre principi, la cosa potrebbe avere qualche plausibilità. Tuttavia il trilemma di Rodrik ci rivela che, in ogni epoca, la scelta ha riguardato una coppia di giudizi di valori, un "due su tre" che non può essere facilmente derubricato a necessità storica determinata dalle circostanze oggettive. Forse vi è stata intenzionalità politica.

Se analizziamo la questione dal punto di vista dell'intenzionalità politica, la prima questione da porsi è quale sia, dei tre principi, quello più desiderabile, e quale il meno importante.

Indichiamoli con tre lettere: G per Globalizzazione, S per Sovranità nazionale, D per Democrazia. Le combinazioni possibili sono:

Globalization First
(le élites)
Sovereignty First
(i nazionalisti)
Democracy First
(il popolo)

destra
sinistra
destra
sinistra
destra
sinistra
1
G
G
S
S
D
D
2
S
D
G
D
S
G
3
D
S
D
G
G
S

La tabella va letta così. Se, ad esempio, il giudizio di valore che si pone al primo posto (si vedano le prime due colonne) è la globalizzazione (G), allora la dialettica destra-sinistra si riproduce nel confronto tra quelli che pongono al secondo posto la sovranità nazionale (destra) e quelli che le antepongono la democrazia (sinistra).

Messa così la questione è più complessa, ma anche più interessante. Dovesse piacervi, vi pregherei di chiamarla "Matrice di Fraioli". Yeah!

Introducendo giudizi di valore nel trilemma di Rodrik la dialettica destra-sinistra assume configurazioni che possono ben spiegare la confusione del dibattito su questo tema. In effetti, dalla "Matrice di Fraioli" si evince immediatamente che esso è condizionato da una doppia scelta: quale sia il primo giudizio di valore, e quale il secondo (o l'ultimo). Inoltre, viene messa in evidenza l'esistenza di tre diversi interessi prioritari: quelli delle élites (globalizzare), dei poteri forti nazionali (comandare in casa), e del popolo (partecipare). I primi privilegiano, ovviamente, soluzioni di natura globalista, i secondi soluzioni nazionali, infine il popolo desidera prima di tutto la democrazia.

In questa sede, lasciando ad altri (dopo il sicuro successo della "Matrice di Fraioli") il piacere di continuare ad elucubrare sullo schema interpretativo proposto, procederò ad una sua breve disamina.

Cominciamo dalla terza coppia di colonne, in cui la scelta prioritaria è posta in capo al valore della democrazia. Questa coppia descrive la contraddizione che divide il campo della sinistra cosiddetta radicale italiana. Infatti, posto che tutti coloro che si definiscono confusamente "di sinistra" pongono al primo posto il valore della democrazia, e non potrebbero certo fare diversamente, ciò che crea divisione è la scelta del secondo valore: la sovranità nazionale o l'apertura dei mercati?

Credo sia impossibile non convenire sul fatto che, ad esempio, un partito come SEL opti per l'apertura dei mercati (il "più Europa"), e con esso gli tsiprioti di ogni longitudine e latitudine, mentre la scelta della sovranità nazionale, come secondo valore dopo la democrazia, sia quella fatta da ancora piccole ma vivaci e combattive forze politiche, che possiamo etichettare come "sinistra sovranista". Tra esse l'iniziativa Programma-101, alla quale ho aderito con grandi speranze.

E i nazionalisti? Usiamo ancora la "Matrice di Fraioli" ed esaminiamo la seconda coppia di colonne. Il "nazionalismo di destra" è sicuramente quello di Salvini, Borghi, Meloni e compagnia cantando (Bagnai?), per i quali, dopo la scelta prioritaria della sovranità nazionale, il secondo valore è comunque l'apertura dei mercati, mentre il "nazionalismo di sinistra" è, a mio parere (ci sono stato, so di cosa parlo) quello dell'ARS.

Infine i globalisti. Anche in questo campo è possibile rilevare la presenza dell'immarcescibile dialettica destra/sinistra. Posto che la scelta di valore prioritaria è posta in capo all'apertura dei mercati, anche in questo caso, in base alla seconda, è possibile discriminare i globalisti di destra da quelli di sinistra. Solo che, in Italia, non v'è traccia apparente dei primi, essendo i secondi ottimamente rappresentati dai piddini e, scusate se insisto, dal vertice occulto del M5S. Obama è stato il loro idolo, ora stanno scegliendo il successore. Chi sono, dunque, i globalisti di destra? E dove è possibile trovarli? Mi permettete di essere banale? I globalisti di destra sono i neocon americani, le loro propaggini anglosassoni, il complesso militar-industriale che sta mettendo a ferro e fuoco il mondo. In Italia, per fortuna, non hanno rappresentanza politica, ma solo complici infiltrati nelle nostre forze armate e nei servizi di sicurezza. (E con questa battuta conclusiva la probabilità che non sia schedato diventa zero!).

sabato 30 gennaio 2016

Quando Orïon dal cielo declinando imperversa, e pioggia e nevi e gelo sopra la terra ottenebrata versa

Link correlato: Parini/La caduta

O, se tu sai, più astuto
i cupi sentier trova
colà dove nel muto
aere il destin de' popoli si cova;
e fingendo nova esca
al pubblico guadagno
l'onda sommovi e pesca
insidioso nel turbato stagno.

Ho acceso la televisione e mi è apparso Matteo Salvini.

"Non sono io che lo dico" ha profferito, "ma ben sette economisti: l'euro è una moneta sbagliata".

E meno male che ce lo dice Salvini, perché noi non l'avevamo capito! Poi ha aggiunto: "noi siamo per un euro a due velocità, o per monete diverse per diverse aree geografiche".

venerdì 29 gennaio 2016

Il reddito di #quelchevipare

Avviso: post aperto ai commenti dei vituperati anonimi


La discussione sul reddito di dignità, alias di cittadinanza, alias minimo universale, alias #quelchevipare, è difficile perché le soluzioni proposte sembrano ovvie e umane: cosa volete che sia, rispetto al pil nazionale, assicurare un reddito di 500/mese euro a tre milioni di disoccupati? I conti sono facili:

Costo = 500*12*3.000.000=18.000.000.000=18 mld di euro

Cioè all'incirca l'1,2% del pil annuale.

E volete che non si possa spendere l'1,2% del pil annuale onde por fine a tante sofferenze e umiliazioni? In fondo, si argomenta, se in media ognuno rinunciasse all'1,2% del suo reddito, l'obiettivo sarebbe centrato. A me, che sono un insegnante, costerebbe a spanne un 500 euro l'anno. E che, non potrei rinunciarci?

Se poi si considera che la ricchezza non è equamente distribuita, il carico sulle mie spalle potrebbe essere addirittura minore. Ma allora, perché sono contrario?

Ovviamente non sono contrario all'idea che tutti abbiano un reddito! Sono contrario all'idea che si possa avere un reddito senza un lavoro. L'obiezione standard è che il lavoro è una merce scarsa. Ohibò!

Ma come, io devo lavorare fino a settant'anni e il lavoro è una merce scarsa? Se fosse vero, allora perché mi tengono a lavorare fin quando non schiatto? Scusate, non potremmo fare, che so, che io vado in pensione e, invece di dare l'1,2% del mio reddito attuale per i prossimi dieci anni, verso il 5% da subito e me ne vado in pensione all'istante? Mi starebbe bene anche il 10%! Invece di una pensione di 1500 euro ne prendo una di 1350, vado in pensione, e con la differenza si fa entrare in classe un giovane laureato! Lo capite che basterebbe interrompere subito il blocco del turn-over nella P.A. per riassorbire almeno la metà della disoccupazione? E lo capite che per fare una legge del genere non ci vorrebbe più tempo che per farne una sul reddito di #quelchevipare?

Poniamo che si metta fine al blocco del turn-over nella Pubblica Amministrazione: è così difficile capire che ci sarebbe un aumento della produttività? Volete mettere l'energia e l'entusiasmo di un trentenne, con la mia voglia di entrare in classe, alla mia età? Non è forse vero che i giovani sanno usare le nuove tecnologie meglio di noi vecchi? Non ne deriverebbe un aumento della produttività?

Ma allora, perché in tanti insistono sul reddito di dignità? Che cosa affascina tanto gli apologeti di questa soluzione? Quali recondite e inconfessabili ragioni si nascondono dietro questo profluvio di lacrimevoli argomentazioni in favore dei poveri che non hanno un lavoro, e quindi dignità? Costoro sarebbero buoni, e io uno stupido vecchio egoista? Davvero preferirei continuare a lavorare per altri dieci anni per un centinaio di euro in più al mese?

Io un'idea me la sono fatta. Tolti gli scemi che sono favorevoli al reddito di #quelchevipare perché così dice il loro partito (velo pietoso), gli altri li divido in due categorie:
  1. quelli che pensano che con i 500 euro al mese, un qualche altro reddito nascosto, e un minimo di frugalità, possono campare facendo quel che gli piace
  2. quelli che pensano che il "sistema" sia troppo forte per combatterlo, e dunque tanto vale allungare la mano per un'elemosina
Né gli uni, né gli altri, li sentirete mai chiedere a gran voce la fine del blocco del turn-over. I primi perché non gli conviene, i secondi perché capiscono bene che questa richiesta è contraria agli interessi del "sistema" e dunque sarebbe respinta, ragion per cui meglio tendere la mano: perché se combatti non otterrai nulla (e i poveri resteranno senza reddito) mentre, se accetti l'elemosina, avranno almeno il minimo vitale.

Dei primi non voglio nemmeno parlare, e mi rifiuterò di farlo anche nell'eventuale discussione. Siete avvertiti.

Dei secondi si può discutere. Magari hanno ragione: il "sistema" potrebbe essere così forte, così invincibile, che non ci resta altro che accettare le sue condizioni.

Poniamo che sia vero. Secondo voi il "sistema", una volta che sia passata l'idea che grandi masse di disoccupati possono essere tenuti buoni con l'elemosina, si fermerà? Oppure cercherà di aumentare il numero di coloro che vivono di elemosina, magari abbassandone tendenzialmente il valore? Considerate un altro elemento: aumentando il numero di coloro che vivono di elemosina si ottengono ulteriori obiettivi, tra cui:
  1. una diminuzione dell'impronta ecologica sul pianeta
  2. un più facile controllo politico
Insomma, una decrescita infelice, anzi infelicissima, e il rafforzamento della piramide sociale. 

L'alternativa, dunque, non è tra l'essere buoni o egoisti, ma tra il combattere adesso o domani. Che si debba combattere, prima o poi, è fuori discussione. Chi vuole il reddito di #quelchevipare è un vile, ma si potrebbe ribattere che chi non lo vuole ha il culo al caldo e fa il frocio con il culo degli altri.

La discussione è aperta. Però ricordate: prima o poi si dovrà combattere!

giovedì 28 gennaio 2016

“European Monetary Balanced Agreement” (EMBA) - di E. Brancaccio

la mia traduzione del post, sul blog di Emiliano Brancaccio, dal titolo:

"Back to the old European Monetary System? A comment on Lafontaine"

Incontro per un piano B in Europa - Parigi, 23-24 gennaio 2016

Intervento di Emiliano Brancaccio


Oskar Lafontaine invoca un ritorno al vecchio Sistema Monetario Europeo (SME). Affinché questa soluzione sia praticabile è necessario imporre sanzioni ai paesi che adottano politiche deflazionistiche per accumulare surplus di bilancia dei pagamenti. Un realistico sistema sanzionatorio potrebbe essere fondato alcuni limiti alla indiscriminata libertà di circolazione dei capitali da e verso questi paesi. In nome del realismo politico, questa soluzione potrebbe essere adottata immediatamente e indipendentemente da un singolo paese, e successivamente estesa passo dopo passo in seguito a ulteriori accordi con altri paesi.

1. Il monito degli economisti: il destino dell'euro è segnato


Nel settembre 2013 il Financial Times pubblicò il cosiddetto "Monito degli economisti", una lettera sottoscritta da molti membri influenti della comunità accademica internazionale appartenenti a diverse scuole di pensiero: Dani Rodrik, James Galbraith, Wendy Carlin, Jan Kregel, Mauro Gallegati e molti altri. [1]

Il punto di vista condiviso nel Monito degli economisti era il seguente. La continuazione di politiche asteritarie e deflazioniste nell'Unione Monetaria Europea (UME) avrà l'effetto di accrescere gli squilibri tra i paesi creditori e quelli debitori, con una conseguente intensificazione della centralizzazione dei capitali dai paesi del sud Europa in quelli del nord, e ulteriori crisi bancarie. In conseguenza di questo processo, il destino dell'euro sarà segnato. L'UME, almeno come la conosciamo, si avvierà alla deflagrazione e ai decisori politici resterà solo la scelta tra alternative di uscita dall'euro, ognuna con effetti diversi sulle classi sociali.

Queste erano le conclusioni del nostro monito, più di due anni fa. Abbiamo ragione di credere che le sue tesi fondamentali siano ancora valide e potranno restare tali in futuro. Se le accettiamo, allora devono essere considerate due conclusioni. Prima di tutto, un "Piano B per l'Europa" diventerà, presto o tardi, necessario, per ragioni obiettive. Disporre di un "Piano B" non sarà un'opzione politica minoritaria. Essa diventerà una necessità storica. In secondo luogo, non vi è un solo tipo di "Piano B". La storia delle ultime crisi monetarie mostra che le opzioni per l'uscita da un regime monetario sono varie e molto diverse l'una dall'altra, e che ognuna di esse ha conseguenze diverse per i diversi gruppi sociali coinvolti.  [2]

2. La proposta di Schauble: il piano B perfetto per i creditori


Consideriamo, ad esempio, il piano B suggerito alla Grecia dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble. Ad oggi, la proposta di Grexit di Schäuble è il solo piano B esplicitamente citato nei documenti ufficiali dell'UE, per la precisione nei lavori dell'eurogruppo. [3]

La proposta di Schäuble merita di essere definitta il perfetto piano B per i creditori. Il motivo è semplice: ciò che realmente spaventa i creditori è che il debito venga ridenominato. La proposta di Schäuble avrebbe sì permesso alla Grecia di uscire dall'euro, ma essa era congegnata in modo da sterilizzare il rischio che il debito greco venisse ridenominato in dracme svalutate. La Storia ha qualcosa da insegnarci su questo punto: posti di fronte alla minaccia di ridenominazione del debito, i creditori non possono essere protetti da meri obblighi contrattuali. Rispetto a ciò, Schäuble aveva una soluzione per proteggere i creditori. Egli sapeva che se la Grecia avesse lasciato l'euro, si sarebbe ritrovata con un eccesso di importazioni rispetto alle sue esportazioni, e dunque con un deficit da coprire con denaro fresco. Dovrebbe essere notato che questo deficit non sarebbe stato ridotto dalla svalutazione, almeno non subito. Pertanto Schäuble offriva al governo greco il supporto finanziario necessario a sostenere il deficit esterno dopo l'uscita, eventualmente con una parziale ristrutturazione del debito, a condizione però che il debito greco rimanesse denominato in euro.

Il Piano B di Schäuble riecheggia il tema del Gattopardo, un famoso romanzo italiano: tutto deve cambiare, affinché ogni cosa resti uguale. Nel caso del piano di Schäuble, tutto deve essere cambiato, anche la moneta, affinché le politiche economiche e gli equilibri di potere tra debitori e creditori e le classi sociali restino essenzialmente inalterati. Questo tipo di piano B sarebbe stato catastrofico. Il peggio del mantenere l'euro combinato con il peggio dell'uscirne.

Dobbiamo affermarlo con chiarezza: nelle condizioni date degli attuali equilibri di potere in Europa, e dell'enorme ritardo delle forze di sinistra su questo tema, in caso di crisi dell'eurozona la proposta di Schäuble rischia di essere il solo piano B sul tavolo dei futuri negoziati, non solo per la Grecia ma anche per altri paesi.

3. La proposta di Lafontaine: un ritorno al vecchio SME


Fortunatamente esistono altre soluzioni. Ad esempio il piano B consistente nella possibilità di tornare  al vecchio Sistema Monetario Europeo (SME). Questa opzione è stata proposta da molte parti. Oskar Lafontaine, per quanto ne sappiamo, è uno dei suoi sostenitori.  [4]

Uno dei meriti della proposta di Lafontaine, a mio avviso, consiste nel fatto di chiarire che lasciare i tassi di cambio in balia delle forze del mercato non è la soluzione ottimale. I tassi di cambio variabili favorirebbero la speculazione e agirebbero in favore del peggiore capitalismo finanziario. Neanche sarebbe garantito che essi possano essere d'aiuto nel risolvere gli squilibri strutturali e nel mitigare il processo di centralizzazione dei capitali nell'attuale eurozona.  [5]

A mio parere, tuttavia, la proposta di Lafontaine non è sufficiente da sola. Essa ha bisogno di essere rafforzata. L'idea di un ritorno al vecchio SME può essere vista come un'ipotesi iniziale, ma non come un punto d'arrivo della nostra analisi. Il limite di un ritorno allo SME risiede nel fatto che esso si scontra con un problema che è stato ampiamente studiato nella letteratura economica, ed è noto con il nome di "impossibile trinità" o di "quartetto inconsistente" dell'economia internazionale. In breve, questo problema consiste nella difficoltà per qualsiasi paese di assicurare margini di autonomia della politica economica nazionale in condizioni di completa libertà di movimento dei capitali e, in una certa misura, delle merci. Ad esempio, in una situazione di perfetta mobilità di capitali e merci un paese che tende ad accumulare disavanzi delle partite correnti non riesce a perseguire politiche economiche volte ad aumentare l'occupazione. 

E' necessario sottolineare che il fatto che i tassi di cambio fossero aggiustabili, nello SME, non bastava a risolvere questo problema. Le politiche economiche dei paesi con la tendenza a sviluppare un deficit estero erano fortemente influenzate dalle politiche economiche della Germania, il paese leader che tendeva ad accumulare surplus.  Ed è precisamente per questa constatazione che all'inizio degli anni '90, soprattutto in Francia, fu introdotta l'idea di una banca centrale europea. Il punto di vista francese era che lo SME fosse dominato dalla politica economica tedesca, e che una banca centrale europea avrebbe favorito una maggiore condivisione delle scelte. Se non teniamo a mente i termini del passaggio dallo SME all'euro, corriamo il rischio di trascurare questi aspetti cruciali della storia dell'unificazione europea.

Questo è il motivo per cui penso che, sebbene la proposta di Lafontaine di discutere un ritorno allo SME sia benvenuta, al fine di fare un ulteriore passo avanti sia probabilmente necessario trovare un modo per limitare l'egemonia dei paesi con surplus di bilancia dei pagamenti, che esistono oggi ma sono esistiti anche nello SME. Per essere chiari, un ritorno allo SME non sarebbe sufficiente a risolvere gli enormi squilibri alimentati dalla svalutazione salariale relativa in Germania, dove tra il 1999 e il 2013 i salari nominali sono aumentati della metà rispetto alla media dell'eurozona.

4. Controlli sui Capital invece che pressioni deflazionistiche


Gli economisti sanno che vi è una sola soluzione logica a questo problema: imporre qualche tipo di sanzioni a quei paesi che usano la deflazione per aumentare il loro surplus esterno.

Nella prospettiva di un piano A di riforma dei trattati europei, può essere ovviamente presa in considerazione l'idea di sanzioni monetarie simili a quelle attualmente imposte ai paesi con deficit dei bilanci statali. Si tratterebbe, in pratica, di rendere l'attuale "Six pack" più ampio e più vincolante. Il problema è che un piano A non sembra realistico, almeno in questo periodo storico.

E allora, nella più realistica prospettiva di un piano B, in cui i trattati non sono rinegoziati e l'eurozona tende a disintegrarsi, quali sanzioni dovrebbero essere imposte ai paesi che, nonostante abbiano grandi surplus di bilancia dei pagamenti, continuano tuttavia ad adottare politiche deflazionistiche? Credo che vi sia una sola risposta logica: deve essere possibile introdurre limiti alla libera circolazione dei capitali, e forse anche delle merci, verso e da questi paesi.

A mio avviso, questo significa che un ritorno a una sorta di SME dovrebbe essere combinato con la possibilità di imporre controlli sui flussi di capitali da e verso i paesi che adottano politiche deflattive per accumulare surplus di bilancia dei pagamenti. E' bene sottolineare che questo tipo di soluzione gode di autorevoli referenze. Essa si basa sul contributo dell'International Labour Organisation (ILO) in merito all'idea di “labour standards", come pure sull'articolo VII degli "Articles of Agreement" del Fondo MOnetario Internazionale. Chiamo questa proposta “European Monetary Balanced Agreement” (EMBA), ma il nome non è realmente importante. [6] 

Quello che conta veramente è che questa soluzione potrebbe essere adottata immediatamente e indipendentemente da un singolo paese, e successivamente estesa passo dopo passo in seguito a ulteriori accordi con altri paesi. Questa è una delle ragioni per considerarla più realistica di altre.


5. Contro l'onda nera della xenofobia


Il piano fin qui descritto implica una critica progressiva a una globalizzazione indiscriminata. Secondo me, questa critica rappresenta un modo di contrastare l'onda nera dei neofascismi contemporanei.

Consentitemi un esempio chiaro. Mentre i nazionalisti xenofobi si battono solo per ulteriori controlli sull'immigrazione, una sinistra rinnovata dovrebbe contrastare quest'onda nera con una richiesta alternativa di controlli sulla mobilità indiscriminata dei capitali da e verso i paesi che perseguono politiche deflattive e di competizione salariale verso il basso. Le forze politiche di destra raccolgono consensi con una battaglia semplicistica contro l'immigrazione. E' tempo di proporre un'alternativa razionale e progressista: fermare i movimenti indiscriminati e deflazionistici dei capitali.


6. Una critica agli aspetti più estremi del mercato unico europeo


Per concludere, ritengo che sia giunto il tempo di superare un equivoco la cui origine può essere rintracciata in interpretazioni ingenue dell'internazionalismo del lavoro. Dobbiamo chiarire a noi stessi che sostenere l'internazionalismo del lavoro non significa accettare un'indiscriminata globalizzazione. Questa richiede, piuttosto, la continua organizzazione di lotte sociali per uno sviluppo equilibrato e pacifico delle relazioni economiche tra le nazioni.

A tal proposito, la proposta di Lafontaine e altri di un ritorno allo SME è benvenuta. Ma se realmente intendiamo suggerire un "piano B per l'Europa" che sia consistente, allora dobbiamo parlare con chiarezza: dobbiamo discutere non solo il problema della moneta unica, ma anche quello del mercato unico europeo, a partire dai movimenti di capitale da e verso i paesi che adottano comportamenti deflazionistici.

La globalizzazione capitalista non è terminata, ma sta andando incontro a una crisi storica. I partiti di destra hanno colto questa tendenza, e la sfruttano a loro vantaggio. I partiti di sinistra dovrebbero por fine al ritardo e suggerire proposte originali, internazionaliste e critiche all'attuale complessa fase storica. Un ritorno ad una sorta di SME, con controlli sui capitali per contrastare le politiche deflazionistiche, può essere un'opzione consistente e razionale, nell'interesse dei lavoratori e della pace, in Europa e nel resto del mondo. Grazie a tutti.

Bibliography
[*] Professor of Political Economy and International Economics, University of Sannio, Italy. Email: emiliano.brancaccio@unisannio.it. Website: www.emilianobrancaccio.it.
[1] Brancaccio, E. et al. (2013). The Economists’ Warning: European governments repeat mistakes of the Treaty of Versailles, Financial Times, 23 September; www.theeconomistswarning.com.
[2] Brancaccio, E., Garbellini, N. (2015). Currency regime crises, real wages, functional income distribution and production. European Journal of Economics and Economic Policies: Intervention, vol. 12, 3.
[3] “[…] In case no agreement could be reached, Greece should be offered swift negotiations on a time-out from the euro area, with possible debt restructuring.[…]”, The Eurogroup, 12 July 2015, 4 pm.
[4] Lafontaine, O. (2015). The European Monetary System (EMS): Let’s Develop a Plan B for Europe!, Global Research, September 23.
[5] On this point, see Brancaccio, E., Fontana, G. (2015). ‘Solvency rule’ and capital centralisation in a monetary union, Cambridge Journal of Economics, advance access online, 29 October.
[6] The idea of a EMBA could be seen as a generalization of an earlier proposal for a “European wage standard”: Brancaccio, E. (2012). Current account imbalances, the Eurozone crisis and a proposal for a ‘European wage standard’. International Journal of Political Economy, vol. 41, Number 1.

lunedì 25 gennaio 2016

Il neoevergetismo

Dopo la battaglia di Alesia, che sancì la conquista della Gallia, Giulio Cesare annotò sul suo blog (De bello gallico): "Pone il suo seggio sulle fortificazioni, dinnanzi all’accampamento: qui gli vengono condotti i comandanti galli, Vercingetorige si arrende, le armi vengono gettate ai suoi piedi. A eccezione degli Edui e degli Arverni, tutelati nella speranza di poter riguadagnare, tramite loro, le altre genti, Cesare distribuisce, a titolo di preda, i prigionieri dei rimanenti popoli a tutto
l’esercito, uno a testa."

Uno schiavo a testa, dunque. Il che significa che arrivarono a Roma, solo in seguito alla battaglia di Alesia, più o meno 80.000 schiavi. In realtà, in seguito ai successi delle sue guerre espansionistiche, a Roma arrivarono centinaia di migliaia di schiavi, il cui effetto fu quello di rendere superflua la forza lavoro del ceto agricolo, che infatti cominciò ad inurbarsi. Una situazione politicamente pericolosissima, che sarebbe durata secoli, ma alla quale si pose rimedio con...

... un bel reddito di cittadinanza.


La cui forma furono le distribuzioni di grano a spese dell'erario. A queste si aggiunsero, dopo un po', misure di natura keynesiana: i giochi del circo e la pratica dell'evergetismo (l'equivalente dell'intervento dello Stato nell'economia). Naturalmente, anche le spese per il lusso, e non solo le donazioni "al popolo romano", contribuirono alla circolazione della ricchezza. Il sistema funzionò, tanto da assicurare oltre due secoli di pace sociale.

L'unico prezzo da pagare fu la fine della repubblica e l'avvento dell'impero. Il perimetro all'interno del quale il potere effettivo veniva esercitato si ridusse progressivamente, fino al punto di essere la causa sistemica della seconda guerra civile romana, che esplose sul finire del II secolo ed ebbe conseguenze drammatiche per la stabilità dello Stato romano. Il potere si era talmente concentrato in poche mani che vennero a mancare i contrappesi necessari ad impedire che le ambizioni personali prendessero il sopravvento sull'interesse dello Stato.

Credo che una dinamica simile sia in opera anche oggi, nel ricco e potente occidente, sia per effetto del suo imperialismo, sia, e in misura sempre più veloce, come conseguenza dei progressi tecnologici. Il cui effetto non è diverso da quello prodotto dall'introduzione degli schiavi nell'economia romana, fatta salva ogni considerazione morale. Sebbene, a ben pensarci, la tecnologia è un prodotto non solo dell'innovazione, ma anche degli atti predatori posti in essere per accaparrarsi le materie prime necessarie ad alimentarne la pervasiva diffusione in ogni aspetto della vita organizzata.

L'espulsione dal ciclo produttivo di centinaia di milioni di lavoratori, come conseguenza dell'innovazione tecnologica, pone il duplice problema, politico ed economico, di gestire la riduzione del perimetro al cui interno si esercita il potere effettivo, come pure di assicurare il minimo di circolazione della ricchezza necessario ad evitare l'implosione del sistema.

Il prezzo di una soluzione basata su qualche forma di reddito di cittadinanza, comunque questa verrà architettata, non può che essere la fine della democrazia come l'abbiamo conosciuta, insieme ad una progressiva concentrazione del potere effettivo. Un neoevergetismo si imporrà, prendendo le forme di generose elargizioni della classe dei proprietari al fine di stabilizzare una dinamica che, lasciata a sé stessa, causerebbe troppo rapidamente ingestibili aumenti delle disuguaglianze di ricchezza.

Purtroppo tale processo difficilmente potrà raggiungere uno stato stazionario, per l'ottenimento del quale è necessario un equilibrio di forza politica tra la classe dei proprietari e quella dei lavoratori. In mancanza di ciò la concorrenza, che è quel principio in base al quale "vincere cambia tutto", cioè chi comincia a vincere è avvantaggiato e continua a vincere, produrrà disuguaglianze crescenti e, alla fine, una crisi di civiltà. Che non sarà, tuttavia, la riscossa del proletariato mondiale, come sognano i negriani, bensì una situazione di conflitti crescenti tra i grandi centri di potere, cui seguirà una guerra civile capitalistica e la fine del nostro mondo.

Qualche giorno fa discutevo con un amico liberista, al quale dissi di essere statalista. Nel senso cioè che considero essenziale, per il mantenimento della stabilità sociale, la presenza di uno Stato che svolga una funzione redistributrice, governata democraticamente e non lasciata al buon cuore dei proprietari. Apriti cielo! Il mio amico cominciò a sostenere con veemenza che lo Stato deve essere "minimo", che tutto deve essere lasciato alla mano invisibile del mercato, che eventualmente per i più poveri (ma solo per i più poveri, mica per i fannulloni) ci devono essere delle forme di tutela, e naturalmente che sono un comunista. Inutilmente cercai di argomentare che l'unica vera funzione economica dello Stato è quella redistributiva, necessaria e indispensabile anche solo per conservare stabilmente un determinato assetto della ripartizione della ricchezza, sia pure ingiusto. Perché senza di ciò si andrebbe necessariamente incontro non solo a un aumento accelerato delle disuguaglianze, ma soprattutto a una riduzione progressiva del perimetro al cui interno si esercita il potere effettivo, cioè il potere politico.

Ed è questa la vera deriva che occorre contrastare, contro la quale qualsiasi reddito di cittadinanza non ha alcun effetto, anzi è controproducente. Ma non è una battaglia facile. Ve li immaginate i legionari di Cesare rinunciare al loro schiavo gallo, dopo anni di guerra? Una guerra privata, peraltro, condotta da Cesare indebitandosi! Allo stesso modo, riuscite a immaginare i cittadini del ricco occidente che rifiutano i meravigliosi giocattoli tecnologici? Li compreremo, magari a rate, e per quelli che non potranno ci sarà il reddito di cittadinanza. Con il quale potranno permettersi, sempre a rate, di acquistare i giocattoli tecnologici della generazione precedente.

Se ci pensate, è già così: una volta i nostri padri compravano automobili nuove, oggi le compriamo usate. Certo, sono pur sempre migliori di quelle nuove dei nostri padri, ma a troppi sfugge un dettaglio: i nostri padri erano all'interno del perimetro, noi cominciamo ad esserne fuori.

domenica 24 gennaio 2016

La peste dell'anonimato

Ricevo il seguente commento:

«Non è un blog per anonimi, e con i dati del mio profilo puoi verificarlo facilmente, chi c'è dietro il nucleare. Ma per semplificare la cosa, ecco qua: mario yyyyy,nato a zzzzzz il 00/00/0000, residente a &&&& in via ^^^^^^^^^^^. Ovviamente, sono dati che ti prego di non pubblicare (a parte il nome, ovviamente). Un'ultima cosa: non era il primo commento, e se per te le informazioni del profilo erano insufficienti, bastava non pubblicare il primo commento e avrei capito. Mi asterrò da ogni contatto,in ogni caso, salvo diversa indicazione da parte tua. Cortesemente,
Mario»

Caro Mario, un soggetto è non anonimo quando si presenta a tutti con le proprie generalità. Nel tuo caso, seguendo il link dell'autore del commento, si arriva a una pagina in cui le uniche informazioni consistono nel fatto che vivi a &&&&.

Le generalità devono essere verificabili, ed è cura della persona interessata fornire le informazioni necessarie, di volta in volta e a seconda dei casi, affinché ciò sia possibile. Ovviamente quello che valuto è, prima di tutto, la sincera intenzione di non essere anonimi, ovvero il desiderio che chi scrive ed esprime i suoi punti di vista nutre di vederli associati alla sua persona reale. Ciò costituisce, a mio parere, una piccola garanzia di serietà, perché ci si assume la responsabilità delle proprie opinioni e dei propri atti.

Non vale l'obiezione tecnica (non so come si fa a inserire i dati nel profilo) né altra giustificazione: chi desidera veramente partecipare con nome e cognome a un dibattito pubblico non può sopportare di essere anonimo. Non è neanche sufficiente che il gestore di un sito di pubblica discussione conosca i commentatori: ogni partecipante deve essere riconoscibile a tutti gli altri, come pure ai semplici visitatori del blog.

Non ho nulla contro i siti e blog che ammettono ai commenti soggetti coperti da nicknames, ma non è questa la mia scelta. E' vero che ci sono delle semi-eccezioni, cioè commentatori per identificare i quali è necessario fare qualche ricerca su Internet e incrociare i risultati, perché in passato la politica era diversa. Tutto questo è cambiato, e anzi in futuro sarò sempre più selettivo.

Non chiedo a nessuno di venire sul mio blog, ma nessuno può pretendere che io accetti quello che non mi piace: il dialogo con gli anonimi.

Se vorrai palesarti, potremo continuare questa discussione nei commenti a questo post. In caso contrario, e senza offesa, è inutile ogni tuo ulteriore intervento, dal momento che lo cestinerò. Un cordiale saluto, e spero che non ti senta offeso.

Fiorenzo Fraioli - Castro dei Volsci (FR)

sabato 23 gennaio 2016

Sintesi perfetta


Lo strazio di Giuliano da Empoli

Tal Giuliano da Empoli pubblica sul messaggero online (22-01-2016) un articolo straziante: Le frontiere/Quel triste ritorno all’Europa dei nonni. Come restare insensibili a tale grido di dolore?

"La più importante conquista di sessant’anni di storia comune, la libera circolazione delle persone nell’ambito dell’Unione, è ormai poco più di un ricordo. Torneranno i passaporti, le garitte, le gimcane in macchina e le code in aeroporto, le espressioni arcigne dei controllori e quell’impercettibile ansia che accompagna tutti i passaggi di frontiera, anche quando si hanno le carte in regola. Sembravano residui del passato, destinati a rimanere confinati nel regno della nostalgia e dei documentari storici. Eccoli invece di nuovo parte della nostra vita. Forse solo il primo passo nella direzione di un futuro sempre più tracciabile e monitorato."

Però non ho capito una cosa: io ho attraversato decine di frontiere in gioventù, quando viaggiavo con mezzi di fortuna (autostop) vestito da fuggiasco e senza una lira in tasca, però quest'ansia di cui parla il buon Giuliano da Empoli non me la ricordo. Più che altro era una scocciatura, ma neanche troppo grande. Anzi, una volta che avevo dimenticato la carta d'identità, passai la frontiera con la Germania nascosto nella cabina di un tir. Ci fermarono e l'unico fastidio furono un paio di casse di arance scaricate e subito inquattate dai doganieri, tedeschi peraltro. Poi una settimana a Monaco di Baviera, ospite di cinque bionde, le quali mi raccontarono di essere state tutte violentate. Non da marocchini o tunisini, che avete capito? dai loro connazionali, dei quali dissero che il fine settimana si ubriacavano come bestie e poi davano fuori di testa.

"Per i ragazzi, invece, le cose stanno diversamente. L’Europa unita per loro non vuol dire pace, come per i nonni: quella è scontata, gli sembra (erroneamente) parte dell’ordine naturale delle cose. E neppure vuol dire crescita economica, come è apparsa a lungo alla generazione dei padri: quella l’hanno vista solo in fotografia e hanno già capito da tempo che nessun pasto è gratis."

E nemmeno questa l'ho capita. Dunque: i "nonni" hanno conosciuto la guerra, immagino per colpa delle frontiere, anzi sicuramente sì: come avrebbero fatto i tedeschi a passare la frontiera polacca se non ci fosse stata? Dunque, è lapalissiano, la causa della guerra sono le frontiere! Dio mio, come ho fatto a non pensarci prima? I "padri", invece, secondo Giulianuzzo nostro, se la sarebbero spassata. Poiché appartengo, almeno anagraficamente, alla classe dei padri, il riferimento a questa "crescita economica" che mi sarebbe "apparsa" mi intriga assai. Dunque, vediamo un po', forse Giuliano vuole dire che ho fatto la bella vita spendendo i soldini di quelli che non erano ancora nati? Che nella mia vita ci sono stati tanti "pasti gratis" che a lui, poverino, sono invece negati? In effetti devo dire che da giovane, forse perché ero un bravo studente e poi un laureato, non mi sono mai posto il problema di cercare un lavoro, casomai di evitarlo, e nemmeno ci sono riuscito: mai stato disoccupato, nemmeno un giorno. Evidentemente mi pagavano per non fare niente, con i soldini presi a prestito da quelli che ancora dovevano nascere, come Giulianino da Empoli, poverino. E così adesso i giulianini di oggi sono senza lavoro! Però scusa, Giuliano, intanto tu un lavoretto ce l'hai, forse meglio pagato del mio, e poi Draghi non sta stampando un sacco di soldini? Anche lui lo fa a spese di quelli che nasceranno, i giulianinini del futuro? Draghi deve stamparne di più? Sicuramente hai ragione! Pensa, ai miei tempi ne stampavano talmente tanti che l'inflazione era del 20%, mentre oggi il povero Draghi arriva appena allo 0,2%: 100 volte di meno! Eppure le stampanti di oggi sono migliori di quelle dei miei anni dorati, si potrebbe fare di più. Pensa, per distribuirli non servirebbero nemmeno gli elicotteri, oggi c'è Internet!

"No, per chiunque abbia meno di trent’anni, l’Europa unita vuol dire prima di tutto mobilità. Saranno anche cresciuti in un continente in declino, con tassi di disoccupazione a doppia cifra e tassi di crescita da prefisso telefonico, ma l’Unione ha regalato loro l’ebbrezza dei voli low-cost e l’avventura dell’Interrail, l’esperienza dell’Erasmus e la possibilità, per lo meno teorica, di salire in macchina e guidare da Lisbona a Tallinn senza attraversare neppure una frontiera. Interrogato su cosa significhi l’Europa unita, il 57% dei giovani tra i 15 e i 24 anni cita per prima la libertà di viaggiare e di vivere dove gli pare."

Bè, io veramente viaggiavo come una trottola. E ti dirò una cosa: avevo una pupa in ogni città, altrimenti non avrei potuto mangiare. Sai, nonostante i soldini presi a prestito dai giulianini di oggi, in verità non avevo una lira in tasca, mi salvavo grazie alla morbidezza della mia bionda chioma e a una cosa che non ti dico ma che puoi immaginare. Una domanda, Giuliano da Empoli: anche le ragazze ti ho zottato, oppure quelle erano mie e non accampi rivendicazioni? Nel caso te le posso restituire, a me non servono più. Anzi, ti propongo uno scambio: dieci delle mie per una delle tue, un affare!

"Ora, tutto questo rischia di finire. Il fallimento dell’Europa dei padri, quella dell’economia e della finanza che non riesce a uscire dalla crisi, trascina con sé l’Europa dei figli, quella dello scambio e della mobilità senza confini. Resta in piedi, sempre più sbiadito, l’ideale remoto dell’Europa dei nonni: mai più le armi, mai più la guerra sul continente che è stato per secoli un unico immenso campo di battaglia. È un richiamo lontano, quasi incomprensibile per chi oggi si affaccia all’età adulta.
Eppure forse è da lì che dovrà ripartire, domani, chiunque vorrà iniziare a ricostruire sulle macerie dell’Europa di oggi."

Giuliano scusa, ma io non ti capisco mica. Vuoi dire che a fallire è l'Europa dei padri, cioè la mia Europa, quella con le frontiere, oppure intendi la vostra, quella dei figli e senza frontiere? O vuoi dire che l'Europa di oggi fallisce per colpa del terribile lascito dell'Europa dei padri, cioè la mia Europa? Non ti capisco sai, perché va bene che me la sono spassata a tue spese, ma che c'entra questo con il ritorno delle frontiere? Cosa c'entra il fatto che viaggiavo in autostop a tue spese con i milioni di profughi che arrivano nella tua Europa? Poi parli di guerra. Perdonami Giuliano, ma guerra contro chi? Gli americani? Non credo. I russi? Chissà! Non dirmi. Contro la Cina? Eh già, oggi c'è la Cina! Oppure contro la Germania? Ma questo è impossibile, Giulanuzzo bello, come si fa a fare la guerra con la Germania se non c'è più una frontiera?

Non ti capisco, Giuliano Da Empoli, non ti capisco proprio.

Ah, un'ultima cosa: sei tu questo qua sotto?


Frankly i don't care (il marginalismo e i "novelli teorici del valore-lavoro")

Moreno Pasquinelli ha dedicato un nuovo post al simpatico Alberto Bagnai (se fa pe' di') dal titolo "ALBERTO BAGNAI E LO SPETTRO DI MARX".

Alberto Bagnai fa er vago e nun se lo fila, poi però ci infila un riferimento in un post del suo VI (a partire dal 2011) corso di fondamenti economici per masse piccolo borghesi: "e così facciamo contenti anche i novelli teorici del valore-lavoro".

Io ho passato la sera con l'amico Claudio a guardare filmati vetero comunisti da propinare agli inconsapevoli futuri soci di "Godere Agricolo". Torno a casa brillo e su di giri, e mi passa per la cabeza di intromettermi in siffatta diatriba. Ahò, sia ben chiaro! Non penso mica che Bagnai sia "marginalista" (al massimo sarà "marginale"... uahuahuahuahuah!!! battuta giustamente censurata sul blog "Sollevazione"). No, è che sono brillo e allora, sapete, il flusso di coscienza...

Sarò breve. Io, che sono ingegngngniere, non sono portato per le finezze teoriche, per cui vi dico papale papale quel che penso della diatriba tra marginalisti e teorici del valore lavoro. Chi ha raggione? Frankly i don't care. Dico solo che, se sei uno che per vivere deve lavorare, allora ti conviene fare il tifo per la teoria del valore-lavoro; se invece puoi vivere alla grande, allora il marginalismo sia la tua religione. Punto.

Mi dite perché uno che lavora tutto il giorno, e magari per fare quel lavoro ha dovuto investire anni della sua vita, vuoi perché è un operaio specializzato, o un bravo professionista, o un piccolo imprenditore, dovrebbe accettare il fatto che, siccome il mercato ha deciso che quello che lui fa ha perso valore, con ciò deve rassegnarsi a non contare una beneamata fava? Perché il mercato è sovrano?

E 'sti gran cazzi?

E che, il "mercato" è un'entità metafisica? Una cosa esogena rispetto alla storia, alla politica, alla dialettica dei rapporti di forza? E dunque l'operaio, o il professionista, o il piccolo imprenditore, dovrebbero arrendersi senza combattere per i loro interessi? Perché mai ciò che è più efficiente, o crede di essere tale in base a non si sa quale metrica, dovrebbe avere partita vinta ex-ante?

Mercato che fai, me provochi? E io me te magno!

Domani ho cinque ore di scuola. Prima ora: idraulica (equazione di Bernoulli); seconda ora: informatica (sistemi operativi); terza ora: informatica (html); quarta ora: telecomunicazioni (modulazioni); quinta ora: elettrotecnica (circuiti con reattanze a tizi che non conoscono i numeri complessi, gli esponenziali e la trigonometria). Pare che il valore marginale delle mie prestazioni stia calando. Chi lo ha deciso? In base a quale gerarchia di valori? Che faccio, mi piego al mercato, come dicono i marginalisti, oppure mi batto per favorire uno "stato delle cose" che sia funzionale ai miei interessi? Posso sperare che le regole del mercato siano determinate, ex-post, dalla mia azione politica? Cioè che il mercato sia una cosa endogena?

Buona notte.

giovedì 21 gennaio 2016

Sostiene Timpone

Sostiene Giuseppe Timpone, in un articolo di oggi 21/01/2016 su investireoggi.it, che Renzi cadrà, e che sarà sostituito da un governo tecnico guidato, forse, da Tito Boeri.

Secondo Timpone, il rapporto di fiducia tra la Commissione Europea e Matteo Renzi è irrimediabilmente incrinato, al punto che sarebbero già iniziate le manovre per la sua rimozione nonché le contromisure di Renzi. A riprova, Timpone evidenzia alcuni fatti, ad esempio "il crollo dei titoli bancari e alcuni scricchioli avvertiti ieri persino dai BTp", e la sostituzione del nostro ambasciatore a Bruxelles, Stefano Sannino, con un fedelissimo del premier, Carlo Calenda.

Ma ascoltiamo Timpone: «La vera novità delle prossime settimane sarà questa: il governo Renzi dovrà recarsi a Bruxelles con il cappello in mano, altrimenti non arriveranno dalla Commissione quei segnali distensivi su "bad bank", conti pubblici e Ilva, necessari ad evitare uno scontro ancora più duro e dalle conseguenze potenzialmente nefaste per la nostra economia. Tuttavia, arrivati a questo punto, sembra abbastanza improbabile che l'Europa, alias la Germania, abbia intenzione di sedersi al tavolo delle trattative con Renzi. Il premier italiano è ormai "morto" per Berlino, anche se chiaramente arriveranno nei prossimi giorni smentite e parole di stima e di rispetto per le sue posizioni e per l'Italia

Il quadro delineato da Timpone sembra credibile, ma trascura un particolare: il referendum costituzionale del prossimo settembre. Un'eventuale caduta di Renzi può rappresentare un rischio notevole per i sostenitori della riforma costituzionale. Al contrario, se il confronto tra Renzi e la Commissione dovesse prolungarsi, senza però giungere alle estreme conseguenze, ciò avrebbe l'effetto di rafforzare Matteo Renzi e, di conseguenza, la probabilità che la riforma costituzionale passi.

Proprio questa combinazione, io credo, è la carta migliore nelle mani di Matteo Renzi, il quale non per caso ricorda, ogni due per tre, che "l'Italia ha fatto le riforme".

Tutto dipende dall'Europa, "alias la Germania" come scrive Timpone. Ovvero, mi permetto di aggiungere, da come questa sarà capace di intendere il suo ruolo di guida dell'UE. La mia convinzione profonda è che a prevalere, in Germania, sarà una concezione di sapore imperiale, e a riprova cito la richiesta di fondi da devolvere alla Turchia per fronteggiare (ci dicono) l'emergenza immigrati, ben tre miliardi di euro. Cosa c'è, in questa richiesta e nel modo in cui viene posta, di diverso dalle pretese di fornire truppe all'impero, che un tempo si rivolgevano agli Stati vassalli? Certo, non vengono chieste truppe, ma soldi, visto che l'occidente le guerre le fa con i soldati degli altri, ma la sostanza è la stessa: la Germania (il centro) decide la politica estera, gli Stati vassalli (tra cui l'Italia) forniscono, pro quota, le risorse.

Se le cose stanno così, allora Renzi avrà bisogno di ben altro che non il consenso interno che gli deriverebbe da una decisa opposizione alle richieste dell'Europa, sebbene questo lo aiuterebbe molto nel portare a casa la riforma costituzionale. Ma è proprio la definitiva approvazione della riforma costituzionale la dote che egli potrebbe offrire a un eventuale potente alleato in funzione anti tedesca!

E infatti, intervistato dal direttore del Sole24ore  Roberto Napolitano, alla domanda:

«Pretendere un cambiamento di politica europea in favore della crescita è giusto. Ma lei ha le alleanze per poter alzare la voce?»

Matteo Renzi risponde così:

«Io non alzo la voce. Alzo la mano. E faccio domande. È giusto un approccio tutto incentrato sull'austerity quando i populismi sono più forti nelle zone svantaggiate e di crisi economica? È giusto avere due pesi e due misure sull'energia? È giusto procedere a zig-zag sull'immigrazione? Mai alzato la voce a Bruxelles. Su questi punti in tanti pensano che le cose debbano cambiare. La sfida oggi è costruire una serie di proposte, come l'Italia – ritornata grande grazie alle riforme – può e deve fare. Nessuna polemica, solo proposte. Gli alleati non mancano, glielo garantisco.»

La domanda è: chi sono questi alleati, che possono appoggiarlo nel tener testa alla Commissione Europea?

Purché porti a casa il risultato sulla riforma costituzionale, per la quale, nella stessa intervista, Matteo Renzi giunge a dichiarare: "per il referendum andremo casa per casa"!

mercoledì 20 gennaio 2016

Renzi sarà Badoglio?

Mi ha colpito un passaggio di un articolo di Maurizio Blondet, dal titolo "Budapest con Varsavia contro la UE: veto alle sanzioni", nel quale si parla di «un progetto di legge (del nuovo governo uscito dalle elezioni - n.d.r.) per liberare i poveri debitori polacchi dal peso dei mutui in franchi svizzeri: una geniale idea di banche straniere (fra cui Unicredit): “Così pagherete meno interessi, dicevano ai polacchi quando i mutui in zloty esigevano, che so, il 12 per cento. Peccato che siccome il franco svizzero s’è rivalutato dell’85%  sulla moneta nazionale, di altrettanto è cresciuto il capitale da restituire dai debitori. Il ministro competente ha proposto: benissimo, le banche accettino il pagamento in FrCH, ma al valore che avevano al momento della contrazione del mutuo…Da quel momento S&P ha trovato che “il nuovo governo polacco indebolisce l’indipendenza di istituzioni-chiave come la corte costituzionale e le emittenti pubbliche”».

Questo vuol dire, se quanto affermato da Blondet corrisponde al vero, che le banche straniere (fra cui Unicredit) dipendono dalla forza politica della Germania per contrastare questo provvedimento del governo polacco in difesa degli interessi dei suoi cittadini. Temo che questo sia esemplificativo della condizione in cui si trovano i capitali dei paesi periferici, presi nella stretta tra il subire i diktat, accettando così i tagli ai bilanci pubblici e l'austerità che generano recessione e crescita delle sofferenze bancarie, e la necessità dell'aiuto e della protezione del grande capitale tedesco, senza il quale andrebbero incontro a perdite immediate e catastrofiche. In pratica il capitale dei paesi periferici, primo su tutti quello italiano, è ostaggio del suo "alleato", il grande capitale renano. Il solo che ha (forse) la forza di impedire che inizi la corsa alla rinegoziazione dei crediti elargiti negli anni in cui internazionalizzarsi era cosa buona e giusta.

Siamo, ancora una volta, alleati della Germania. A quando l'otto settembre? Renzi sarà Badoglio?

martedì 19 gennaio 2016

Sovranità nazionale, Potere popolare, Giustizia sociale. Metti la tua firma! Mettici la faccia!

Nota del curatore del blog


Ho aderito al progetto P101 (vedi anche post precedente) perché sono convinto della necessità di una risposta politica popolare, che nasca dal basso, agli attentati alla Costituzione italiana e alla nostra sovranità nazionale, minacciate dal cosiddetto processo di unificazione europea che è, in realtà, un progetto volto a disciplinare il mondo del lavoro e a costruire un modello sociale non democratico, funzionale agli interessi delle classi dominanti degli Stati più forti. Constato, con favore, che anche alcuni settori dei ceti dominanti nazionali, come pure della cultura accademica e del mondo politico, cominciano a manifestare insofferenza, ma è altresì vero che, in troppi casi, lo fanno ancora con cautela, quasi con il il timore di un risveglio delle forze popolari. E' necessario, invece, che questo sia formidabile, quanto genuinamente democratico e ispirato alle tradizioni profonde incise nella lunga storia che ha formato la nostra identità di popolo. Viva l'Italia!


APPELLO

Sovranità nazionale, Potere popolare, Giustizia sociale: questi i tre principi, contenuti nella Costituzione repubblicana, che difendiamo e che poniamo a fondamento del nostro movimento e che sono in antitesi ai tre dogmi del neoliberismo: globalizzazione, tirannide oligarchica e ingiustizia generalizzata.

Se i partiti tradizionali, di sinistra e di destra, si sono venduti all’oligarchia capitalistica predatrice che detiene tutte le leve di comando, quelli nuovi che hanno momentaneamente raccolto la speranza di cambiamento, sono del tutto inadeguati a vincere la sfida. Confusionari sul piano dei principi, ingannano gli italiani quando sostengono che basti un governo nuovo che faccia qualche rattoppo per salvare il nostro Paese dalla morte lenta a cui lo condanna il tumore maligno neoliberista. No, non guarirà, come suggeriscono certi medici alle prime armi, con delle aspirine. E’ necessario un intervento chirurgico di asportazione.

Il momento della decisione e del coraggio, inesorabile, verrà, e dovremo farci trovare pronti, vigili, ben organizzati. Dovremo già avere costruito un blocco di unità popolare che liberi il nostro Paese dalla gabbia dell’Unione europea e dell’euro prendendo nelle sue mani le sorti del Paese e realizzando senza tentennamenti le grandi trasformazioni di cui esso ha bisogno.

Di questo blocco, faranno parte, in rappresentanza delle diverse classi sociali che hanno interesse a liberarsi dal giogo dell’oligarchia capitalista e predatrice e dei suoi politicanti corrotti, le diverse componenti politiche democratiche e antiliberiste.

Sarà quindi un fronte molto ampio, la cui forza propulsiva sarà tuttavia costituita dai milioni d’italiani che col loro onesto lavoro tengono ancora in vita questo Paese, e dai tanti, giovani anzitutto, che questo sistema condanna come “scarti sociali”, alla disoccupazione, alla precarietà a vita e all’esclusione sociale.

Ci rivolgiamo a coloro che non vogliono che si ripeta la solita storia, che l’universo dei lavoratori e degli esclusi sia usato da trasformisti e gattopardi i quali, per la loro sete di potere, vorranno mettersi alla testa del movimento popolare promettendo di cambiare tutto affinché tutto resti come prima. Chi comanda sta già preparando i suoi fantocci di riserva.

Il nostro è un appello accorato a tutti coloro che vogliono porre fine al doppio regime di protettorato eurocratico ed atlantista evitando così che il Paese sia trascinato dalla Nato in una nuova guerra neocolonialista;
ci rivolgiamo ai patrioti antifascisti che non scambiano la sovranità nazionale col nazionalismo;
ci rivolgiamo ai democratici sinceri che respingono ogni Stato autoritario e oligarchico e immaginano possibile un potere popolare paladino dei diritti e delle libertà civili e individuali;
ci rivolgiamo ai cittadini che non hanno smarrito l’ideale dell’eguaglianza sociale e che sanno che i discorsi neoliberisti sull’equità e le pari opportunità, sono solo dei paraventi per giustificare disparità sociali indegne e disumane;
ci rivolgiamo ai giovani ribelli che hanno compreso che chi comanda, usando ogni diavoleria tecnologica e immaginifica, li vuole ridurre in uno stato catatonico di docilità e impotenza;
ci rivolgiamo ai credenti che non si limitano a pregare, ma prendono sul serio la loro fede come messaggio di fratellanza, pace e di liberazione per i poveri.

Restare alla finestra oggi sarà considerato una colpa domani. Diventa con noi protagonista del cambiamento. C’è bisogno di ognuno di voi affinché l’Italia non naufraghi e il popolo non sia ridotto in schiavitù! Questo è un appello ai tanti che condividono le nostre idee a darci una mano, ad aiutarci a costruire una nuova, grande e solida casa del popolo.

Comincia con una firma e poi col metterci anche tu la faccia!
Partecipa al processo costituente di Programma 101 – Movimento di Liberazione Popolare

Comunica la tua adesione scrivendo a appello@programma101.org


PRIMI FIRMATARI

Angela Matteucci - Funzionario pubblico – Roma; Tony Manigrasso - libero professionista – Torino; Giuliana Nerla - consigliere comunale – Montegiorgio (FM); Giuseppe Amini - imprenditore – Rozzano (MI); Maria Ingrosso – insegnante – Lecce; Barrale Maria Luisa – sociologa – Palermo; Federico Pederzolli - geometra – Trentino; Isabella Massamba - libera professionista – Montefiorino (MO); Carlo Candi - dipendente pubblico – Signa (FI); Norberto Fragiacomo - funzionario pubblico – Trieste; Nino Galloni - economista – Roma; Giorgio Menon [Tonguessy] - tecnico elettronico – Padova; Luigi Plos – lavoratore autonomo – Roma; Simone Boemio - libero professionista – Perugia; Sabino Maurelli – pensionato – Livorno; Ino Cecchinelli – commerciante – Castelnuovo Magra (SP); Michele Luscia - avvocato – Trentino; Nello De Bellis - docente di storia e filosofia – Salerno; Silvia Pennazzi - responsabile commerciale – Firenze; Natascha Cambria Zurro - educatrice disoccupata – Cremona; Matteo Innocenti – operaio – Empoli (FI); Gianluigi Maddalena – pensionato – Schio (VI); Leandro Cioffi - operatore bancario – Salerno; Franco Maggio - docente di italiano e storia – Salerno; Moreno Pasquinelli – giornalista – Foligno (PG); Pier Paolo Filippini - educatore – Pescaglia (LU); Piero Filippone – disoccupato – Palermo; Daniela Di Marco – lavoratrice autonoma – Foligno (PG); Marcello Teti, medico, Perugia; Leonardo Mazzei – pensionato – Castelnuovo di Garfagnana (LU); Emanuele Di Giampaolo - archeologo – Bompietro (PA); Maria Grazia Da Costa – infermiera – Borgo a Mozzano (LU); Enrico Sodacci – sviluppatore software – Perugia; Elena Rappazzo – insegnante – Pisa; Innocenzo Graziuso – insegnante – Lecce; Gianna Poli – impiegata – Castelnuovo di Garfagnana (LU); Anna Paola Azzi – pensionata – Pieve Fosciana (LU); Paolo Loconte - Direttore Formazione professionale – Palermo; Claudia Castangia - impiegata – Foligno (PG); Edoardo Biancalana – artigiano – Viareggio; Emanuele Fanesi - operaio – Perugia; Roberto Grienti – pensionato – Noto (SR); Vittorio Paiotta – insegnante – Pisa; Maurizio Leonardi – esodato – Narni (TR); Daniele D’Arliano – consulente finanziario – Massarosa (LU); Giancarlo D’Andrea - libero professionista – Roma; Graziano Bianchi – operaio – Capannori (LU); Sergio Starace – psicoterapeuta – Lecce; Rodolfo Monacelli - libero professionista – Roma; Beppe De Santis, Programmatore economico libero professionista, Palermo; Fiorenzo Fraioli - insegnante – Frosinone; Rossana Nardini – imprenditrice - Campi B. Firenze; Robero Caggia - Operatore dei Beni culturali e Esperto CNR - Belmonte Mezzagno (PA); Renzo Scalia - Dipendente comunale - Piana degli Albanesi (PA); Mauro Moretti – pensionato – Montecarlo (LU); Filippo Abbate - consulente finanziario - Siena; Maurizio Del Grippo - docente di storia e filosofia – Salerno; Antonino Adamo - piccolo imprenditore – Ciminna (PA); Letizia Natale – pensionata – Livorno; Matteo Bortolon – saggista – Firenze; Angelo Sicilia - saggista, formatore e promotore della cultura immateriale siciliana – Palermo; Francesca Faienza - tutor di master – Firenze; Roberto Debiasi – architetto – Trentino; Salvatore Mannina - artigiano e esperto di sviluppo locale – Ciminna (PA); Fabio Massimo Frati - Segreteria Nazionale C.U.B - Trasporti – Roma; Marco Incardone – scrittore – Firenze; Giacomo Bandini, libero professionista, Firenze; Umberto Puccinelli – Architetto – Viareggio; Giovanna Ubaldeschi - insegnante – Milano; Pietro Attinasi - Preside Dirigente scolastico - Geraci Siculo (PA); Luciano Nardini – imprenditore - Campi B. Firenze; Vanna Logi - insegnante – Roma; Enea Boria - dipendente pubblico – Dairago (MI); Manuel Valter de Palma - studente universitario – Milano; Ruggero Arenella - video operatore – Torino; Jacopo Brogi - impiegato università – Siena; Giuseppe Di Martino - Sindaco Comune di Castellana sicula (PA); Laura Dalle Molle – pensionata – Schio (VI); Antonio Giovanni Minutella - architetto – Cefalù (PA); Michele Berti - ingegnere-ristoratore – Trentino; Massimiliano Del Carlo – artigiano – Castelnuovo di Garfagnana (LU); Claudia Ceccatelli Chesi - impiegata – Montespertoli (FI); Anna Saiani - psicologa-animatrice RSA – Trentino; Francesco Sutera - dirigente servizio sociosanitario territoriale - Piana degli Albanesi (PA); Lucio Dallaserra - dirigente d'azienda settore serramenti – Trentino; Rosana Patti – insegnante – Roma; Vincenzo Barbarulli – impiegato – Milano;  Compagno Antonella - medico chirurgo d'emergenza – Palermo; Andrea Gasparini  - operatore alberghiero – Vaglia (FI); Nina Tòlstikova - dottoressa in pedagogia – Salerno; Patrizia Mazzei – pensionata – Castelnuovo di Garfagnana (LU);

Aderisci anche tu scrivendo a appello@programma101.org

domenica 17 gennaio 2016

Il guelfo

Dunque Matteo Renzi ha alzato la voce: «Le idi di gennaio tra Matteo Renzi e Jean-Claude Juncker: "Non mi faccio intimidire, l'Italia non è telecomandata dall'Ue

Si tratta di una novità importante, da analizzare con attenzione. Badate, non è uno dei tanti siparietti cui l'informazione ha abituato i cittadini, questa è veramente una cosa grossa, a prescindere dai risultati che Renzi otterrà. Se non otterrà niente, ciò significherà che non ha la forza di opporsi, ma capire perché ci stia provando, cosa c'è dietro, è fondamentale.

L'euro è uno strumento per disciplinare i lavoratori, su questo siamo d'accordo. Chi non lo è può esimersi dal commentare. Per i corsi di recupero si rivolga qui, quo e qua.

Il capitalismo italico ha fatto buon uso di questo strumento (ultima riprova), ha incassato il risultato ma comincia a sospettare che un'ulteriore compressione dei salari gli si possa ritorcere contro. Anche perché la vera posta in gioco, prima ancora del contenimento della dinamica salariale, è, ed è sempre stata, una partita politica, fin dai tempi del "chi comanda in fabbrica" negli anni settanta. Ora i "padroni italici" comandano in fabbrica, eccome! Ci sono riusciti grazie all'alacre lavoro svolto dall'internazionale del Capitalismo, con la quale hanno stretto un patto d'acciaio di cui l'euro è il suggello.

C'è però un piccolo problema: gli "alleati" adesso presentano il conto. Hai voluto la libertà di circolazione? Hai voluto l'euro? Hai voluto il Trattato di Lisbona sovraordinato - de facto - alla Costituzione? E adesso queste sono le regole del gioco, per cui se le tue banche falliscono arrivano i giusti e virtuosi che se le pappano, e tu non conti più una beneamata fava.

E' una partita politica, solo politica, perché gli squilibri di bilancio causati dall'euro sono stati sistemati dall'uomo in loden, i lavoratori hanno abbassato la cresta e, meraviglia delle meraviglie, non riescono a darsi una rappresentanza, pertanto la partita politica si gioca senza di loro, che è come se non esistessero. Cosa vuoi di più?

Per capire come può evolvere la situazione occorre porsi una domanda: riusciranno i nostri eroi, i "padroni italici", a strappare condizioni accettabili? Lo scenario che gli si prospetta è agghiacciante, ed è questo: essere il proletariato del Capitalismo globalizzato! Privatisi, per loro scelta, del controllo sullo Stato nazionale, entro i cui confini dovevano sopportare la fastidiosa democrazia, i "padroni italici" non controllano più un territorio all'interno del quale potevano estrarre valore in tutta tranquillità, potendosi difendere dalla concorrenza internazionale con le frontiere, ma devono fare i conti con forze di mercato enormemente più grandi di loro. Per di più, beffa finale, ben protette da Stati nazionali che, o non hanno mai devoluto la sovranità ad entità globali (USA, Russia, Cina...), oppure hanno finto di farlo e adesso vengono a dettargli legge in casa (Germania).

Matteo detto "il guelfo" protesta, ma la risposta, a muso duro, gli arriva a stretto giro di posta: «Pierre Moscovici duro con l'Italia: "Ha avuto più di tutti sulla flessibilità ma critica la Ue"».

Servono alleati, sia esterni che interni. Quelli esterni non possono che essere gli USA, cioè la grande finanza anglosassone; quelli interni non possono essere, ovvio, i lavoratori (che non esistono), ma è ormai problematico costruire un blocco sociale imperniato sulle PMI, massacrate dalla difesa a oltranza della moneta unica. Non resta che il bluff, cioè una mobilitazione delle masse giocata su due fronti: la Lega di Salvini (l'istanza islamofoba) e il M5S (l'istanza civica), la cui alleanza "per cambiare le cose" viene spesso invocata sui social dagli umili&fessi. Ma è una strada in salita, perché all'orizzonte si staglia il referendum confermativo che rischia di far saltare i giochi e naufragare, di conseguenza, il Partito della Nazione. Cioè la carta su cui punta il guelfo per avere un saldo controllo del paese con opposizioni che continuino a tenere i lavoratori in scacco e, forte di ciò, sedersi al tavolo delle trattative per offrirsi al miglior offerente tra la finanza anglosassone e i padroni dell'Europa di oggi, quel capitalismo renano che tanto piacque a Romano Prodi.

venerdì 15 gennaio 2016

Melody 5 stars (M5S)

Link correlati:


Los Calimeros parlano del M5S. Il quale ci dice che il problema è la disonestà. Noi, che da anni ci occupiamo della crisi dell'euro, dell'UE, del liberismo, sappiamo (o siamo convinti) che ben altro sia il problema! Ma il M5S insiste: il problema è la disonestà!

Se noi siamo certi che il problema sia ben altro che la disonestà, ci troviamo davanti a un bivio: o il M5S è stupido, oppure il M5S ci tratta da stupidi.

Che fare?

Se il M5S è stupido, allora non dobbiamo dargli retta.

Se il M5S ci tratta da stupidi, allora non dobbiamo dargli retta.

E siccome non ci facciamo mancare gnente, abbiamo un Matteo Salvini (similes cum similibus congregantur) che, dopo aver letto "Il tramonto dell'euro", trovato sul comodino perché lasciato lì da un suo collaboratore, se la prende con gli immigrati. 

Che fare?

Io, che sono "beato" perché non capisco un caxxo, dico che dobbiamo fare er movimento da 'r basso. E scusate se è poco.

giovedì 14 gennaio 2016

Anch'io voglio festeggiare il 40° anniversario di "Repubblica"!

Lo faccio ripubblicando il capitolo 6 del mio saggio breve "La resilienza dell'€uro". Enjoy boys.

Il conflitto tra capitale e lavoro, e la mandrakata del vincolo esterno


Il problema era costituito dal fatto che, nel conflitto tra capitale e lavoro, quest’ultimo stava prendendo il sopravvento. Le conquiste dell’autunno caldo, la scala mobile, un clima generale caratterizzato da continue e crescenti rivendicazioni, tutto ciò suggeriva l’idea che gli equilibri di classe della società italiana potessero essere scossi dalle fondamenta.  Era possibile che il capitale accettasse l’idea che chi estraeva il suo reddito dal lavoro vedesse il suo benessere crescere, mentre chi lo estraeva dal possesso di capitali vedesse la sua ricchezza diminuire, quanto meno in termini relativi? La risposta è dentro di voi, ed è quella giusta... [Continua]

lunedì 11 gennaio 2016

Inganni

Guardate questa foto:


 A cosa pensate? Magari all'IS.

Ora quest'altra:


A cosa pensate? Magari a un evento estivo.

Adesso mettiamole insieme:


A cosa pensate?

Ne vogliamo parlare?

Inganni

Oggi un amico mi ha mostrato questa foto...


... ed è partito in quarta con una filippica contro la corruzzzione dei politici. Il discorso era iniziato dalle banche ed io avevo tentato, senza successo, di spiegargli che la crisi delle quattro banchette non è dovuta alla corruzzzione, e quindi ai prestiti facili agli amici degli amici, ma alla deflazzzione.

Ho postato la foto in una discussione tra renziani e civatiani su FB, facendo finta di credere che fosse vera. Subito un renziano mi ha sgamato e ne ha denunciato la falsità, cosa che ho immediatamente riconosciuto. Sembra che anche la foto della Boschi con l'Unità a rovescio sia un fake:


E questa non la sapevo! O non è vero che è un fake?

A chi devo credere? Ai renziani o agli antirenziani? Ma poi, è così importante sapere qual è la verità in un universo in cui ogni cosa può essere vera o falsa, e quel che conta è la potenza degli altoparlanti che ripetono una versione? Come se ne esce?

Io mi regolo così: ogni informazione che mi arriva dai media, mainstream o social, per me è falsa; anche quando è vera perché, se così è, mi viene fornita in quanto ciò fa comodo a chi li controlla.

Il che implica la rinuncia alla possibilità di una rappresentazione oggettiva della realtà. Il che è una conseguenza, inevitabile, dell'asimmetria informativa tra chi detiene il potere e chi lo subisce. Il che implica che chi il potere lo subisce ha un sola difesa: l'ideologia. Cioè una lettura pregiudiziale della realtà.

Il che implica che stiamo correndo come pazzi verso la guerra. Cioè il disastro.

Mi perdonerete se mi tolgo un sassolino dalla scarpa: con buona pace della fiducia nella razionalità delle scelte economiche...

martedì 5 gennaio 2016

La guerra delle due rose

Una discussione, innescata dal post "La crisi sola igiene del mondo (riserva frazionaria, Mario Monti e bail-in 4 piddummies)" e sviluppatasi anche su FB, merita un post ad hoc. Piatto ricco mi ci ficco.

Sembra che, parlando di riserva frazionaria, abbia toccato un tasto sensibile. Subito se ne è dedotto che io sia un sostenitore della teoria della moneta esogena, quella creata e controllata dalle Banche Centrali. In particolare, il commentatore Ansel mi ha segnalato un post di Alberto Bagnai che riassume il meccanismo. Bagnai fa giustamente osservare che il $agace e $olerte banchiere centrale non controlla una beneamata fava, perché le effettive decisioni di erogare o meno un prestito sono distribuite in tutto il sistema bancario. Al massimo, il $agace&$olerte può "strozzare il credito", ma il potere di espanderlo non è nelle sue effettive possibilità. Insomma, non si può costringere il cavallo a bere, oppure, se preferite, una corda può essere tirata ma non può essere spinta.

La domanda è: perché, non appena ho citato il coefficiente di riserva frazionaria, se ne è dedotto che io sia un sostenitore della teoria della moneta esogena? Risposta: perché si è smesso di pensare! Ormai si ragiona, anche tra noi, per appartenenza.

Vedete, nel post in oggetto, "La crisi sola igiene del mondo (riserva frazionaria, Mario Monti e bail-in 4 piddummies)", mi sono limitato a dire una cosa semplice semplice: le banche operano all'interno di un sistema di vincoli legali, in particolare il rapporto tra patrimonializzazione e impieghi, e a quelle regole devono adeguare il loro operato (o almeno dovrebbero). Certo, "nell'accordare un prestito il funzionario di banca non controlla la quantità di riserve disponibili presso il suo istituto, esattamente come nel fissare il prezzo il bancarellaro non controlla la quantità di M3 in circolazione in quel giorno - cit. Bagnai", ma a fine periodo si deve stare dentro i limiti fissati dalle regole. E siccome il coefficiente di riserva frazionario, deciso dalla BC, è legato alla moneta bancaria dal moltiplicatore monetario, ne ho brevemente riassunto il funzionamento. Esattamente come ha fatto Bagnai nel post segnalatomi da Ansel, senza che a nessuno sia venuto in mente di gridare "Bagnai è per la moneta esogena! Bagnai è mainstream!". Con me, invece, è successo. Ci vuole tanta pazienza.

Affrontiamo il cuore della discussione: è vero o no che, fissando il coefficiente di riserva frazionaria, si determina la quantità di moneta bancaria? Orbene, io penso che la relazione tra la quantità di moneta bancaria e il coefficiente di riserva frazionaria sia lievemente più complicato, perché la determinazione della quantità di moneta bancaria è un fatto sostanzialmente politico. A che serve allora il coefficiente di riserva frazionaria? Serve, io penso, a nascondere una decisione politica ammantandola di tecnicismo. Punto.

Tuttavia, a prescindere dal fatto che la quantità di moneta circolante sia il risultato di una scelta autonoma del $&$ banchiere centrale, oppure un scelta endogena al sistema creditizio nel suo complesso, oppure ancora la risultante sia di decisioni di natura tecnica che fiscale e politica, e cioè a prescindere dalla questione "chi crea la moneta?", resta il fatto che, ad un dato istante to, esiste una data quantità di moneta bancaria, cioè prestiti erogati dalle banche garantiti da assets reali, e se in questa situazione sopravviene una imponente decisione di politica fiscale, come quella posta in essere dal governo Monti, qualcosa di grosso succede. Nel mio post ho cercato di mettere in evidenza tali conseguenze, senza pormi la questione metafisica "chi crea la moneta".

L'ho fatto perché non considero importante la questione metafisica? Francamente sì, non la ritengo importante perché, per me, in economia politica non esistono fatti tecnici, ma ideologie, la cui funzione è quella di supportare e legittimare interessi di parte, esattamente come, nella guerra delle due rose, le ragioni dinastiche servivano a coprire corposi interessi di clan. Purtroppo in molti, in troppi, continuano a baloccarsi con le teorie del tutto, applicando le quali tutti sarebbero liberi, ricchi e felici. Ho inteso, fin dal titolo, denunciare questa deriva intellettuale, che sta facendo molti danni, parafrasando il detto "la guerra sola igiene del mondo", ma evidentemente ciò non è stato compreso perché è subito scattato il riflesso pavloviano, al solo sentir parlare di riserva frazionaria, "Fraioli è mainstream".

E allora consentitemi di essere brutalmente chiaro: me ne impippo della questione metafisica "chi crea la moneta", perché "il problema è politico", ovvero, per citare uno che di queste cose se ne intendeva,  è inerente alla capacità di mobilitare e organizzare la coalizione degli interessi contrari ("Il divorzio non ebbe allora il consenso politico, ne' lo avrebbe avuto negli anni seguenti; nato come 'congiura aperta' tra il ministro e il governatore divenne, prima che la coalizione degli interessi contrari potesse organizzarsi, un fatto della vita che sarebbe stato troppo costoso - soprattutto sul mercato dei cambi - abolire per ritornare alle piu' confortevoli abitudini del passato - cit. Beniamino Andreatta").

Mai avrei pensato, riassumendo l'aritmetica della riserva frazionaria, che questa avrebbe completamente posto in ombra la questione centrale, che le banche stanno fallendo non a causa della corruzione, ma perché si è tirata la corda! Tra l'altro, nemmeno con una scelta tecnica del $&S banchiere centrale di strozzare il credito, come pure è in suo potere (anzi! il $&$ sta facendo l'opposto, con i QE, gli LTRO etc.), bensì con una manovra di politica fiscale, di un governo (vedi alla voce Mario Monti) non eletto, che ci è stato imposto dall'esterno. Questo sì è un fatto esogeno!