giovedì 28 giugno 2018

Se la democrazia italiana fosse esposta a gravi attacchi speculativi sul nostro debito pubblico

"Se nonostante ciò la democrazia italiana fosse esposta, come già accaduto, a gravi attacchi speculativi sul nostro debito pubblico, non sarebbe effetto delle condizioni di sua sostenibilità, ma di un'architettura europea con gravi lacune, la più grave delle quali è che non dispone degli strumenti consueti di una banca centrale"

Queste parole non sono state pronunciate da un blogger qualsiasi, ma dal ministro Paolo Savona alla vigilia della riunione del consiglio europeo che si apre oggi 28 giugno 2018. Non solo immigrazione, ben altro è in gioco.
 

Intervento alla Camera dei Deputati del Primo Ministro (agli affari europei) Paolo Savona.

Ubi maior minores cessant

mercoledì 27 giugno 2018

Odio allo stato puro


Ho letto quest'intervista a Marco Revelli, che ha prodotto in me un'ondata di odio puro. Scrivo nel tentativo di sfogarmi, per evitare che questa scarica emotiva possa danneggiare il mio organismo, ma vi garantisco che mi si torcono le viscere e, se adesso lo avessi tra le mani, non potrei garantirvi che a prevalere sarebbe il mio IO civilizzato. Credo che un paio di zampate ai coglioni gliele darei, e non credo che mi pentirei nel vederlo rantolare. Odio puro, è odio puro e basta. Domani mi passerà, forse, ma soprattutto è una fortuna che non ce l'abbia tra le mani.

Già il modo in cui è presentata l'intervista mi ha provocato un sussulto. Giudicate voi.

«Il nostro paese è investito dall’onda nera del sovranismo. Un’onda che destabilizza i valori politici di fondo della nostra Repubblica. Quali sono le cause?
E’ possibile una “contronarrazione “civile alle urla sovraniste? Ne parliamo con Marco Revelli, professore di Scienza Politica all’Università del Piemonte Orientale.»

Dunque io, che sono un sovranista, secondo il ceffo che ha fatto l'intervista sarei parte di un'onda nera! Ma come si permette questo vile ceffo? Cosa c'è di "nero" nella semplice, normale pretesa che un popolo, in particolare quello italiano, si governi da sé, senza devolvere questo diritto a enti sovranazionali espressione di concentrazioni di ricchezza e potere privati? E soprattutto, mi spiegate per quale ragione non dovrei desiderare, con tutto il mio cuore, con tutta la mia passionalità, di prendere anche questo ceffo tra le mani e sbattergli la zucca contro un muro? Non che il ceffo non abbia diritto a tifare per i poteri privatistici globali, sono letteralmente cazzi suoi, ma come si permette di dire di me che faccio parte di un'onda nera? Ma chi cazzo è? Ma chi crede di essere, l'arcangelo Gabriele mentre io sarei il diavolo?

La prima domanda è questa:

«Professor Revelli, tira una gran brutta aria nell’Occidente. Il “sovranismo”, termine aggiornato di nazionalismo spinto, e il populismo stanno dilagando. Un’onda lunga che parte da Trump e arriva fino a Salvini. Un’onda destabilizzante che travolge i valori universali di “liberté egalité fraternité”. Un mostruoso inganno. Le domando: perché la “ricetta” sovranista, con le sue varianti, seduce l’Occidente?»

Dunque, secondo il ceffo, il "sovranismo" sarebbe l'equivalente di nazionalismo spinto, per di più lo confonde col populismo, e lo ascrive a Salvini (un liberista) e a Trump (il capo del più grande impero mondiale). Posso dire che il ceffo è un perfetto ignorante? Si, posso dirlo. Oppure, più sicuramente, è un mestatore prezzolato. Perché definire il sovranismo "nazionalismo spinto" è una scemenza che si può dire solo se si è ignoranti o pagati per mentire. O entrambe le cose.

Marco Revelli risponde(rebbe) così:

«Effettivamente è avvenuto un cedimento strutturale dei valori dell’Occidente o quantomeno dei valori che si erano affermati immediatamente dopo la fine della Guerra mondiale. L’effetto morale dell’orrore, che il mondo aveva dovuto vedere e testimoniare in quel periodo, aveva prodotto un contraccolpo: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; la nascita del concetto di crimini contro l’umanità. Tutto questo è durato una settantina d’anni e oggi stiamo assistendo ad un’inversione di quei valori, che dilaga come una sorta di “onda nera” sulle due sponde dell’Atlantico che ha un suo baricentro negli Stati Uniti, che nel conflitto mondiale avevano rappresentato la bandiera della libertà ma anche dell’umanità, e che ritorna in quell’Europa orientale testimone di molti orrori, dove c’era Auschwitz. Anche paesi come la Germania vacillano con un populismo di estrema destra aggressivo. L’Italia anche è caduta in questo vortice, gli italiani “brava gente”, denominazione di cui ci gloriavamo, non è più così.»

Revelli, che non è ignorante come il ceffo, risponde in modo più sottile, ragione per cui mi fa incazzare ancora di più. Parla della nascita della dichiarazione dei diritti dell'uomo, un prodotto della cultura occidentale, meglio dire il "chiacchiere e distintivo" della cultura occidentale, cosa che Revelli sa benissimo ma fa finta di non sapere. Se c'è un testo che non ha avuto alcun effetto, ebbene questo è la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Chiedete ai vietnamiti, ai cambogiani, iracheni, afghani, palestinesi, africani, tedeschi dell'est, ai greci. Tutte tragedie causate dalla proiezione imperiale e globalista dell'occidente. Ebbene, secondo il Revelli, «oggi stiamo assistendo ad un’inversione di quei valori, che dilaga come una sorta di “onda nera” sulle due sponde dell’Atlantico che ha un suo baricentro negli Stati Uniti, che nel conflitto mondiale avevano rappresentato la bandiera della libertà ma anche dell’umanità, e che ritorna in quell’Europa orientale testimone di molti orrori, dove c’era Auschwitz».

Voi dite che non dovrei menarlo se l'avessi tra le mani? Io vi rispondo che non credo ci riuscirei.

Andiamo avanti. Alla domanda «Dove sta l’inganno “sovranista”?» Revelli risponde:

«Molti di questi sentimenti si alimentano nella sensazione che le diverse società siano esposte a venti cattivi che provengono dall’esterno, che cancellano vecchie identità e anche sistemi di protezione sociale. Si diffonde l’idea falsa che il cedimento dei diritti sociali, del lavoro, l’idea che tutto ciò che è accaduto in questi due decenni sia colpa di chi è venuto dall’esterno. È una rappresentazione totalmente infondata: la sconfitta del lavoro, che è stata durissima e che ha determinato un forte arretramento in termini di diritti del lavoro, si è consumata ben prima che si consumassero i flussi migratori. Si è consumata alla fine degli anni ’70 e inizio degli anni ’80. Ha come causa la crescente importanza che il capitale finanziario e la finanza hanno acquisito, il salto tecnologico, l’informatica, l’elettronica, le telecomunicazioni veloci che permettono la delocalizzazione . Non sono i poveri di fuori che ci tolgono i diritti, sono i nostri ricchi che ci tolgono i diritti, ma con quelli il populismo non se la vede molto, li contesta di essere più tolleranti con i poveri. Questa è una narrazione micidiale perché ci rende impotenti di fronte ai veri meccanismi che stanno distruggendo le nostre società.»

Dunque, secondo il Revelli, «Molti di questi sentimenti si alimentano nella sensazione che le diverse società siano esposte a venti cattivi che provengono dall’esterno» e «Si diffonde l’idea falsa che il cedimento dei diritti sociali, del lavoro, l’idea che tutto ciò che è accaduto in questi due decenni sia colpa di chi è venuto dall’esterno».

Ma, secondo il Revelli, questa è «una rappresentazione totalmente infondata: la sconfitta del lavoro, che è stata durissima e che ha determinato un forte arretramento in termini di diritti del lavoro, si è consumata ben prima che si consumassero i flussi migratori».

Bravo Marco Revelli! Ma scusami, prima che ti sbatta la capoccia contro uno spigolo, mi sai dire se, secondo te, tra la sconfitta durissima del lavoro e l'insorgere dei flussi migratori c'è un qualche nesso? Sai, a sentirti sembra che sì, sembra che tu dica: è vero che il mondo del lavoro è stato sconfitto, ma le migrazioni sono come la meteorologia, la pioggia arriva quando capita. Sicuro bel vecchietto che non ci sia alcun nesso? Sicuro che questi migranti arrivano in milioni alle nostre porte perché hanno visto la televisione? E meno male che insegni "Scienza politica" (sic) all'orientale del Piemonte! Posso dirti una cosa? Ho l'assoluta certezza che, se fossi stato coerente con quello che sai ma hai scelto di non dire, oggi al massimo insegneresti alle medie.

Continui affermando che «Non sono i poveri di fuori che ci tolgono i diritti, sono i nostri ricchi che ci tolgono i diritti, ma con quelli il populismo non se la vede molto, li contesta di essere più tolleranti con i poveri. Questa è una narrazione micidiale perché ci rende impotenti di fronte ai veri meccanismi che stanno distruggendo le nostre società». Qui dimostri di essere falso ma anche furbo, perché improvvisamente ti metti a parlare di "populismi". Scusami, ma non stavamo parlando di "sovranismo"? Perché tiri fuori la categoria dei "populismi", i quali sono l'inevitabile e disordinata reazione di chi patisce i danni del globalismo ma non sono una categoria politica? Cioè scusami bel vecchietto, cominci con una polemica contro una controparte politica e argomenti tirando in ballo fenomeni sociali? E sei pure professore di "Scienza Politica" all'orientale del Piemonte? Annamo bene!

L'intervistatore, alias il ceffo, domanda: «Professore, siamo nell’età della rabbia, come la definisce Pankaj Mishra (editorialista del “Guardian”), in cui “i ritardatari della modernità”, gli esclusi dai benefici del “progresso”, si rivoltano contro la globalizzazione. Ma è davvero tutta colpa della globalizzazione? Eppure, con i suoi grossi limiti, la globalizzazione ha portato alla “società aperta”. La sfida vera è tra “globalisti” e “sovranisti”? Oppure è una sfida finta?»

Sorvoliamo sulla capziosità del chiedere «Ma è davvero tutta colpa della globalizzazione?» che nel contesto potrebbe alludere alla tesi secondo cui gli sconfitti sono tali per colpa loro, perché sono «ritardatari della modernità». Sorvoliamo perché si dovrebbe aprire un bel discorsetto sul retroterra di sostanziale razzismo di questi fighetti di blogger della Rai, cosa che non mi va e perché questa gente non merita troppa attenzione. Meglio parlare del Revelli, che così risponde:

«...Dentro questo grande sconvolgimento la tentazione è quella di ritornare a chiudersi dentro i confini perché quando si è chiusi dentro i confini si sta meglio, ma non è così, perché chiudendosi si starà peggio. Gli imprenditori della paura sono i veri nemici di tutti. La sfida oggi è tra umano e disumano, stiamo perdendo qualcosa di noi stessi che è quella risorsa salvifica che ha permesso alla specie umana di sopravvivere e la capacità di com-patire, cioè di soffrire insieme. La capacità di vedere sé negli altri. Se perdiamo questo la società si decomporrà.»

Che è davvero un capolavoro di ipocrisia e/o inconsistenza logica. Il Revelli ammette che:

1) c'è stato un grande sconvolgimento, la globalizzazione, che ha causato...
2) ma chiudendosi alla globalizzazione si starà peggio

poi, con un triplo salto carpiato conclude:

3) «La sfida oggi è tra umano e disumano, stiamo perdendo qualcosa di noi stessi che è quella risorsa salvifica che ha permesso alla specie umana di sopravvivere e la capacità di com-patire, cioè di soffrire insieme. La capacità di vedere sé negli altri»

Ma che c'azzecca? Io capisco che con l'età le connessioni neuronali preposte al pensiero logico si danneggino, ma questo mi sembra davvero troppo. Ora, se la demenza senile del bel vecchietto è arrivata a questo punto, allora ritiro quanto ho detto poc'anzi e chiedo scusa, ma se devo ancora considerarlo un essere pensante, anzi un grande intellettuale visto che insegna "Scienza Politica" (sic) all'orientale del Piemonte, allora ho il totale e assoluto diritto di chiedergli: ma dove cazzo sta il nesso tra i primi due punti e il terzo? Dove cazzo sta?

Sorvolo sul paragrafo successivo in cui il ceffo gli chiede di Salvini e dei 5 stelle, domanda fuori tema visto che l'intervista era centrata sul sovranismo e tali Salvini e i 5 stelle non sono, ma evidentemente tutto fa brodo. Passo quindi all'ultima domanda: «E’ possibile creare una “contronarrazione” solidale efficace a quella sovranista? Su quali basi?»

Godetevi la risposta in perfetto stile "pensiero illusorio":

«Io credo che sarebbe suicida tenere separata la questione enorme dei diritti umani dalla questione dei diritti sociali. Queste forme virulente di populismo si alimentano della rabbia per il tradimento nei confronti dei diritti sociali e quindi dei bisogni economici e sociali della gente e risarcisce questa perdita creando capri espiatori nei confronti dei quali ci si può risarcire del proprio declassamento. Ci vuole una intransigente difesa dei diritti sociali di tutti, italiani e non, e dei diritti umani universali. Se noi non difendiamo gli abitanti delle nostre periferie dal degrado economico e sociale non possiamo nemmeno chiedergli di essere accoglienti e generosi nei confronti dei migranti.»

Dunque «sarebbe suicida tenere separata la questione enorme dei diritti umani dalla questione dei diritti sociali». Qualcuno può informare il docente di "Scienza Politica" (sic) all'orientale del Piemonte che questo è proprio l'obiettivo principe di noi sovranisti? Una cosa, tra l'altro, che sta scritta in Costituzione, che per noi sovranisti è la carta di riferimento? Ma già, il bel vecchietto, complice la degenerazione neuronale, confonde noi sovranisti con Salvini e i 5 stelle.

Ma anche basta no!

martedì 26 giugno 2018

La teoria "Fases de un proyecto" applicata ai sovranisti.


Vi ricordo le Fases de un proyecto


  1. Optimismo general.
  2. Fase de desorientación.
  3. Desconcierto general.
  4. Periodo de cachondeo incontrolado.
  5. Búsqueda implacable de culpables.
  6. iSálvese quien pueda.
  7. Castigo ejemplar a los inocentes.
  8. Recuperación del optimismo perdido.
  9. Terminación inexplicable del proyecto.
  10. Condecoraciones y premios a los NO participantes.
Questo pattern è valido anche per l'avventura di noi sovranisti? Proviamo a rifletterci, individuando le corrispondenze tra le diverse fasi e il nostro percorso. Mentre per l'euro siamo già alla fase 5, ma d'altra parte quel proyecto è partito molto prima, l'avventura di noi sovranisti mi pare attualmente alla fase 3: Desconcierto general.

La prima fase - Optimismo general - l'abbiamo vissuta tra il 2011 e il 2012, seguita dalla Fase de desorientación. Questa è stata abbastanza lunga e caratterizzata da molti eventi: la prima polemica con Bagnai innescata da Sollevazione, le discussioni sull'uscita da destra o da sinistra, il tentativo di spingere la base del m5s su posizioni sovraniste, l'irruzione nella discussione delle tematiche proposte dalla mmt, l'arrivo di proposte di monete parallele tra cui quella fiscale, la crescita di prestigio del blog di 48, l'azione disordinata seppur massiva del sito Scenari Economici, la crescita lenta ma costante del FSI, l'estremo tentativo di costruire con la CLN una lista per le elezioni, e molto altro che potrete suggerire nei commenti.

Direi che ci siamo, almeno nelle prime due fasi il pattern funonzia! Altro che l'omotetia suggerita da LBC, questa signori è una correlazione molto più intrigante. Possiamo porci la domanda se, con le elezioni, non siamo per caso entrati nella terza fase, Desconcierto general. Credo di sì, in quale altro modo si può definire il momento attuale? Desconcierto general, ovvio.

Siamo tutti come sospesi e in preda al desconcierto perché non sappiamo cosa farà di serio il governo gialloverde e, ancor più, che senso abbia che alcuni dei più noti personaggi del nostro mondo (anche se uno di essi non si considera tale) stiano in questo governo, e cosa ci stiano a fare. La botta finale, diciamocelo con la massima franchezza, ce l'ha data LBC accettando la sua nuova "proiezione professionale" in qualità di sottosegretario ai rapporti con l'Unione Europea e ponendo di conseguenza il suo blog in stato di animazione sospesa.

Il punto non è solo la domanda se questo governo farà qualcosa di serio, anche perché non voglio sottostimare la nuova postura adottata sulla questione dei migranti e, notizia di ieri, sull'assenza dell'Italia dal processo di costituzione di una forza militare europea di pronto intervento (qui e qui). Una questione, quest'ultima, che deve essere approfondita allargando lo sguardo verso l'orizzonte geopolitico, il cui merito dunque non può essere ascritto, tout court, all'azione del governo gialloverde, ma è comunque un dato rassicurante.

Che il desconcierto sia grande lo dimostrano i siti sovranisti, che appaiono indecisi nell'attaccare con forza il nuovo governo sulla base delle dichiarazioni rese sul futuro della partecipazione dell'Italia all'euro e all'UE, perché la speranza (ma anche il timore dei sovranisti duri e puri, alla Marco Mori per intenderci) è che tali dichiarazioni facciano parte di una precisa strategia di italexit da implementare, ovviamente e necessariamente, nella più assoluta segretezza. Si va dalle opinioni più becere - i nostri eroi si sono acchiappati la cadrèga e basta - a quelle più speranzose, passando per i contorsionismi arditi degli amici di Sollevazione i quali, anche loro, in realtà non sanno che pesci prendere. Nel frattempo ci si dedica alla stesura di articoli polemici verso i soliti piddini, ma ormai è come sparare sulla croce rossa, o a discussioni fantapolitiche sul rossobrunismo. Per fortuna che c'è Calenda, verrebbe da dire, che almeno ci tira d'impaccio strologando cazzate esoteriche su una costituente anti sovranista. Un ossimoro che poteva uscire solo dalla bocca di un confindustriale.

Staremo a vedere. La mia idea è che, per prevedere il futuro, si possa far conto sul nostro pattern, il quale, nella quarta fase, prevede un Periodo de cachondeo incontrolado, cioè un periodo di chiacchiere incontrollato. Dal che si potrebbe evincere che questo governo farà cose contraddittorie, senza fornire una chiara indicazione della direzione strategica su cui si muove. Ci consoli il fatto che tra un po', censura europea permettendo, avremo molti fatti di cui discutere, e dunque i siti e i blog sovranisti riprenderanno fiato. Poi, non dimentichiamolo, c'è Calenda da perculare, con quel nome da detersivo e quella faccia da rappresentante di prodotti per l'igiene domestica.

Se il pattern è valido, e ne avremo presto una conferma o una smentita, si arriverà alla quinta fase - Búsqueda implacable de culpables - che sarà anche quella più divertente. Per i nostri amici, ma anche per noi sovranisti duri e puri, l'esito sarà il trionfo o la gogna. That's all folk.

lunedì 25 giugno 2018

Le aporie di Mario Draghi

Sostiene Mario Draghi che, per ridurre il rischio di gravi crisi finanziarie, occorre aumentare la fiducia nella stabilità del sistema predisponendo regole ex-ante invece di prevederne che agiscano ex-post. Sarà, ma a me sembra che, se un sistema appare più stabile, ci sarà una maggiore tendenza ad assumere rischi, per cui si torna daccapo. La soluzione, per noi sovranisti, è, è stata e sempre sarà, quella di ridurre il perimetro del sistema finanziario dando maggior spazio al ruolo dello Stato nel governo dell'economia. 

Nel video l'intervento di Mario Draghi all'European University Institute l'11 maggio 2018, con l'audio ricavato dalla traduzione automatica di google. A seguire il testo tradotto.

Link correlati:

  1. Risk-reducing and risk-sharing in our Monetary Union (testo dell'intervento in inglese)
  2. Per l’Unione monetaria ecco la ricetta di Draghi (Andrea Terzi su lavoce.info)
  3. I keynesiani del VII giorno, o “too much finance” (un Bagnai d'antan)

Discorso di Mario Draghi, Presidente della BCE, presso l'Istituto universitario europeo, Firenze, 11 maggio 2018


È per me un grande piacere essere invitato dall'Istituto universitario europeo, che per molti versi rispecchia il motivo del progetto europeo. È stato fondato per incoraggiare lo scambio, la cooperazione e una visione europea comune.

Da allora, l'università ha fatto innumerevoli contributi nei campi dell'economia, del diritto, della scienza politica e della storia. È stato spesso il punto d'incontro in cui la ricerca accademica aiuta a rispondere alle urgenti questioni politiche dell'UE.

Un decennio dopo la grande crisi finanziaria, l'area dell'euro sembra destinata a uscire più resiliente di quanto non sia entrata in essa. Gran parte del danno causato dalla recessione economica è stato ora invertito da un consistente periodo di crescita. E alcuni dei fattori istituzionali e strutturali che hanno esacerbato la crisi sono stati affrontati.

Ma sappiamo che la nostra unione monetaria non è completa. La crisi ha rivelato alcune specifiche fragilità nella costruzione dell'area dell'euro che finora non sono state risolte.

Per rendere la nostra unione monetaria più solida contro le sfide future, dobbiamo affrontare queste fragilità.

1. La storia della crisi nell'area dell'euro


La crisi si è svolta in cinque fasi principali.

La prima fase era simile nelle economie avanzate. La maggior parte aveva un settore finanziario caratterizzato da scarsa gestione del rischio, basso capitale e liquidità, governance aziendale inadeguata, supervisione e regolamentazione deboli, diluito da molti anni di eccessivo ottimismo nel potere di autoriparazione dei mercati.

Quando la scossa di Lehman ha colpito, le banche esposte a beni tossici statunitensi hanno incontrato difficoltà e alcuni sono stati salvati dai loro governi.

Nell'area dell'euro, queste banche erano situate principalmente in Germania, Francia e Paesi Bassi. I salvataggi bancari sono avvenuti su una scala impressionante. Nel 2009, essi rappresentavano circa l'8% del PIL in Germania, il 5% in Francia e il 12% nei Paesi Bassi. Questi salvataggi non hanno inciso pesantemente sui costi dei prestiti sovrani, tuttavia, grazie soprattutto alle posizioni fiscali relativamente solide dei governi che li implementano.

Nella seconda fase, la crisi si è estesa alle banche in Spagna e in Irlanda che avevano debolezze simili, ma erano invece sovraesposte al crollo del mercato immobiliare domestico. Seguì un'altra ondata di salvataggi bancari e alcuni segnali di tensioni sui mercati del debito sovrano iniziarono a manifestarsi.

Queste tensioni sono state aggravate dalla terza fase, iniziata quando la crisi greca ha spezzato l'impressione che il debito pubblico fosse privo di rischi, innescando una rapida rivalutazione del rischio sovrano. Per coloro che hanno visto la crisi come una conseguenza dell'azzardo morale, ciò ha rappresentato un necessario ritorno della disciplina di mercato nei confronti dei sovrani - un punto di vista che si è riflesso nell'accordo di Deauville nell'ottobre 2010.

Questi eventi hanno diffuso il contagio a tutti i sovrani ora percepiti come vulnerabili dai mercati finanziari. Ma hanno colpito soprattutto quelli con alti livelli di debito pubblico, mancanza di spazio fiscale, fragile accesso al mercato e, soprattutto, bassa crescita. Il rischio sovrano è stato quindi trasmesso al settore bancario nazionale attraverso due canali.

Il primo era attraverso le esposizioni dirette delle banche verso i titoli dei propri governi.

Tra gennaio 2010 e luglio 2012, le banche in Grecia, Italia e Portogallo hanno subito perdite aggregate su titoli sovrani di paesi vulnerabili pari rispettivamente al 161%, al 22% e al 36% del loro capitale di base di classe 1. Indipendentemente dal fatto che queste perdite abbiano direttamente interessato il capitale regolamentare, hanno avuto un effetto negativo sulla percezione di solvibilità in quei sistemi bancari nazionali.

Il secondo canale era tramite effetti di confidenza negativi.

Poiché il settore pubblico rappresenta circa la metà dell'economia in molti paesi dell'area dell'euro, e a causa delle dinamiche del rating del credito, il timore di possibili inadempienze sovrane ha avuto un effetto drammatico sulla fiducia nel settore privato domestico. Qualsiasi distinzione tra imprese e banche, e tra banche con e senza elevate esposizioni sovrane, è scomparsa. La generale perdita di fiducia nelle prospettive di questi paesi si è riverberata attraverso il settore bancario attraverso un ulteriore calo della crescita.

In questo modo, la crisi si è estesa alle banche che non avevano esposizioni significative né ai patrimoni subprime statunitensi né agli immobili domestici, e quindi fino ad allora non avevano bisogno di essere salvate. Tuttavia, i governi di questi paesi si sono trovati incapaci di rispondere in modo sostanziale alla crisi emergente con fondi pubblici per il settore bancario e la politica fiscale anticiclica, a causa della mancanza di spazio fiscale e di un elevato debito.

I mercati finanziari hanno quindi iniziato a frammentarsi lungo le linee nazionali e il finanziamento transfrontaliero si è prosciugato, esacerbato dalla gestione del rischio difensiva da parte delle banche e dalla separazione della liquidità da parte delle autorità di vigilanza nei paesi core. La mancanza di liquidità, unita all'esaurimento del capitale delle perdite interne, ha accelerato una nuova stretta creditizia.

I paesi erano intrappolati in un "cattivo equilibrio" causato dal collegamento a tre vie tra sovrani, banche e imprese domestiche e famiglie.

Il credito in calo ha aggravato la recessione in corso, l'aumento delle perdite sui prestiti e l'ulteriore indebolimento dei bilanci bancari, che a loro volta hanno spinto i costi dei prestiti sovrani più elevati. La politica fiscale, sotto la pressione di perdere del tutto l'accesso al mercato, ha preso principalmente la via più opportuna delle tasse più elevate, il che ha portato invece a una minore crescita e quindi a un nuovo nervosismo del mercato, vanificando un po 'il suo scopo originario.

La quarta fase della crisi è stata avviata dagli investitori sia in Europa che nel resto del mondo. Di fronte a una spirale di crescita al ribasso, molti investitori sono giunti alla conclusione che l'unica via d'uscita per i paesi colpiti dalla crisi, data la struttura istituzionale dell'area dell'euro, era la loro uscita. Questo, si credeva, avrebbe permesso loro di svalutare le loro valute e riguadagnare la sovranità monetaria.

Temendo la ridenominazione in valute di valore inferiore, gli investitori hanno venduto il debito pubblico e privato nazionale, allargando ulteriormente gli spread ed esacerbando i cattivi equilibri all'interno delle economie vulnerabili. Nel 2012, gli spread rispetto ai titoli di stato decennali tedeschi hanno raggiunto i 500 punti base in Italia e 600 punti base in Spagna, con spread ancora più ampi in Grecia, Portogallo e Irlanda.

Segue la quinta fase della crisi: la ripartizione della trasmissione della politica monetaria in tutta l'area dell'euro. I tassi di interesse affrontati dalle imprese e dalle famiglie nei paesi vulnerabili sono diventati sempre più divorziati dai tassi delle banche centrali a breve termine. Poiché queste economie rappresentavano un terzo del PIL dell'area dell'euro, ciò rappresentava una grave minaccia per la stabilità dei prezzi.

La BCE ha risposto con l'annuncio di Outright Monetary Transactions (OMT), che ha ripristinato la fiducia nei mercati dei titoli di Stato, ha contribuito a riparare il meccanismo di trasmissione della politica monetaria e ha rotto la spirale al ribasso. Con meno di un impatto diretto sul mercato, ma fondamentale per confermare al mondo la forza dell'impegno dei nostri leader verso l'euro, è stata la precedente decisione di creare l'unione bancaria e il Meccanismo europeo di stabilità (ESM).

Il lungo viaggio di ritorno alla crescita era iniziato.

Lo svolgersi della crisi dell'area dell'euro ha prodotto insegnamenti per il settore finanziario, per i singoli paesi e per l'Unione nel suo insieme. Ma il tema unificante era l'incapacità di ciascuno di questi attori di assorbire efficacemente gli shock. In alcuni casi, a causa delle loro debolezze, hanno addirittura amplificato quegli shock.

In effetti, le banche hanno alimentato l'accumulo di squilibri e poi hanno esacerbato il conseguente incidente. I paesi avevano un potenziale di crescita troppo basso, flessibilità limitata per riprendersi dalla crisi e troppo poco spazio fiscale per stabilizzare le loro economie. E l'area dell'euro nel suo insieme ha dimostrato di non avere una condivisione del rischio pubblica e molto poco privata.

2. Condivisione dei rischi all'interno delle unioni monetarie.


Nella letteratura classica sull'ottima area valutaria (OCA), ciò che rende l'appartenenza di un'unione monetaria a tutti i suoi membri è un trade-off: ciò che perdono in termini di strumenti di stabilizzazione nazionale è controbilanciato da nuovi meccanismi di aggiustamento all'interno dell'area valutaria. Questi meccanismi sono tipicamente considerati come la mobilità del lavoro e del capitale, così come i trasferimenti fiscali tra le diverse parti dell'Unione.

In altre parole, sono ex post e si svolgono dopo che una recessione si è instaurata.

Negli Stati Uniti, che è un'unione monetaria relativamente ben funzionante, l'aggiustamento ex post svolge un ruolo importante. Si stima che i trasferimenti fiscali attraverso il bilancio federale degli Stati Uniti assorbano circa il 10% degli shock, mentre circa la metà della risposta di lungo periodo a un aumento della disoccupazione avviene attraverso la mobilità del lavoro. Ma i risultati raggiunti negli Stati Uniti non sono sostanzialmente diversi da quelli dell'area dell'euro.

Sebbene l'area dell'euro non disponga di un ampio bilancio centrale, le politiche fiscali nazionali possono ancora fornire una stabilizzazione significativa, a condizione che i paesi possano utilizzare liberamente la politica fiscale. Si stima che il 49% di uno shock di disoccupazione sia assorbito dagli stabilizzatori automatici nell'area dell'euro, mentre il dato per gli Stati Uniti è del 32%.

E gli studi hanno trovato una graduale convergenza nella mobilità del lavoro tra Europa e Stati Uniti, riflettendo sia il calo della migrazione interstatale negli Stati Uniti sia un aumento del ruolo della migrazione in Europa.

Dove l'area dell'euro e gli Stati Uniti differiscono di più è in termini di ripartizione del rischio ex ante, vale a dire assicurazione contro gli shock attraverso i mercati finanziari. Questo era un concetto che è apparso solo più tardi nella letteratura sulle aree valutarie ottimali. Ma svolge un ruolo chiave nello stabilizzare le economie locali in un'unione monetaria, in due modi.

Il primo consiste nel separare il consumo e il reddito a livello locale, cosa che avviene attraverso i mercati dei capitali integrati.

Se il reddito da lavoro diminuisce durante una recessione, ma il settore privato detiene un portafoglio finanziario diversificato, le persone possono appianare i loro consumi con i rendimenti finanziari che ricevono sui beni in parti migliori del sindacato.

Il secondo modo è di sganciare il capitale delle banche locali dal volume dell'offerta di credito locale, che avviene attraverso l'integrazione del retail banking.

Poiché le banche locali sono in genere fortemente esposte all'economia locale, una recessione nella loro regione d'origine porterà a ingenti perdite e li spingerà a tagliare i prestiti a tutti i settori. Ma se ci sono banche transfrontaliere che operano in tutte le parti del sindacato, possono compensare eventuali perdite fatte nella regione colpita dalla recessione con guadagni in un'altra, e possono continuare a fornire credito a debitori sani.

Negli Stati Uniti, l'integrazione del credito e del mercato dei capitali ha svolto un ruolo sempre più importante nel levigare gli shock locali negli ultimi decenni.

Ad esempio, in seguito al crollo dei prezzi del petrolio a metà degli anni '80, quasi tutte le banche del Texas non hanno funzionato, creando una crisi creditizia a livello statale. Una delle ragioni era che le banche fuori dallo stato erano bandite dal mercato del Texas, quindi i bilanci delle banche locali erano completamente concentrati sul loro stato d'origine.

Ma da allora c'è stata un'importante integrazione nel settore bancario al dettaglio, con il numero di banche multistato che aumentano da circa 100 all'inizio degli anni '90 ad oltre 700 oggi. Ciò ha significativamente indebolito la relazione tra capitale locale e offerta di credito locale. Di conseguenza, la volatilità degli shock del ciclo economico negli Stati Uniti si è ridotta.

Complessivamente, si stima che circa il 70% degli shock locali sia attenuato dai mercati finanziari negli Stati Uniti, con i mercati dei capitali che assorbono circa il 45% e i mercati del credito il 25%. Nell'area dell'euro, invece, la cifra totale è solo del 25%.

Naturalmente la condivisione del rischio privata ha i suoi limiti. Di fronte a forti shock comuni che colpiscono l'intera unione monetaria, i benefici della diversificazione possono crollare, come accaduto in certa misura negli Stati Uniti durante la crisi. Uno studio rileva che la condivisione del rischio nel mercato dei capitali negli Stati Uniti è diminuita di quasi la metà nel periodo di crisi.

Ma ciò non modifica la conclusione secondo cui l'approfondimento della condivisione del rischio privato nell'area dell'euro sarebbe vantaggioso per la stabilità macroeconomica. Quindi, come possiamo ottenerlo?

L'esperienza di altre unioni monetarie, e la nostra fino ad ora, suggerisce che non accade da solo. Piuttosto, la condivisione del rischio privato deve essere abilitata dalle politiche del settore pubblico a livello nazionale e sindacale.

In questo senso, la condivisione del rischio privato non può essere vista come un sostituto per l'ulteriore sviluppo dell'UEM. È un complemento di esso e ne deriva.

Le politiche di cui abbiamo bisogno rientrano in due categorie principali.

3. Creare un settore finanziario più stabile.


Innanzitutto, abbiamo bisogno di politiche che rendano il sistema finanziario più stabile, sia aumentando la resilienza delle banche sia completando l'unione bancaria e l'unione dei mercati dei capitali.

L'area dell'euro ha già compiuto buoni progressi su questi fronti. Le riforme normative successive alla crisi hanno notevolmente rafforzato il settore bancario. Il Common Equity Tier 1 ratio delle banche significative è passato dall'8,7% del 2008 al 14,5% di oggi. Nello stesso periodo i rapporti di leva finanziaria sono passati dal 3,7% al 5,8%. E le banche hanno liquidità e finanziamenti molto più stabili.

La creazione della vigilanza bancaria europea ha anche determinato un approccio più uniforme al modo in cui le banche sono controllate. E il nuovo quadro di risoluzione dell'UE ha spostato il costo dei fallimenti bancari dai regimi sovrani e al settore finanziario, creando così un altro canale di condivisione del rischio privato.

Senza entrare nella discussione sulla quale potrebbero essere necessari ulteriori regolamenti per il settore bancario ombra, dobbiamo riconoscere che l'unione bancaria e l'unione dei mercati dei capitali non sono ancora completi.

Manca una vera parità di condizioni per le banche e gli investitori transfrontalieri, e questo ostacola una profonda integrazione finanziaria. Un singolo mercato finanziario dovrebbe avere una serie di regole e tutti i partecipanti al mercato dovrebbero essere in grado di operare liberamente al suo interno. Eppure non è il caso al momento.

Per quanto riguarda i mercati dei capitali, esistono norme e pratiche di mercato diverse per i prodotti finanziari tra i vari paesi e i sistemi di insolvenza e giudiziari variano notevolmente.

Ciò è importante perché un quadro coerente ed efficiente per perseguire i contratti falliti è essenziale per ridurre l'incertezza per gli investitori transfrontalieri. L'analisi della BCE rileva che laddove l'insolvenza e le strutture giudiziarie sono più efficienti, la condivisione del rischio attraverso i mercati sia del capitale sia del credito è più elevata.

Per le banche, il mercato unico è ancora frammentato su scala nazionale. Innanzitutto, le discrepanze nel quadro normativo riducono le economie di scala per le banche che operano a livello transfrontaliero.

In secondo luogo, un quadro incompleto per la risoluzione delle banche scoraggia anche l'integrazione transfrontaliera. Quando la risoluzione non è pienamente credibile, può creare incentivi affinché le autorità nazionali limitino i flussi di capitale e di liquidità in modo da avvantaggiare i loro depositanti in caso di fallimento di una banca. Ma quando il nuovo quadro di risoluzione dell'UE sarà completato e funzionerà correttamente, tali preoccupazioni sui depositanti dovrebbero essere dissipate.

La direttiva sulla riscossione e risoluzione delle banche pone già i depositanti in cima alla gerarchia dei creditori in risoluzione. E i nuovi requisiti minimi per i fondi propri e le passività ammissibili dovrebbero garantire che vi sia un buffer sufficiente di capacità di assorbimento delle perdite per rendere estremamente difficile il bail-in del depositante.

Ciò che manca ancora, tuttavia, è un backstop per il Fondo di risoluzione unico.

La risoluzione necessita di finanziamenti e il Fondo di risoluzione, finanziato dalle banche, garantirà che sia pagato dal settore privato. Ma in una crisi molto profonda, le risorse di tali fondi possono essere esaurite. Questo è il motivo per cui in tutte le altre grandi giurisdizioni, come gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Giappone, i fondi per le risoluzioni sono sostenuti dall'autorità fiscale.

Lo scopo di tali "backstop" non è quello di mettere in salvo le banche: ogni fondo preso in prestito viene ripagato nel tempo dal settore privato. Piuttosto, l'obiettivo è quello di creare la fiducia che la risoluzione bancaria possa sempre essere attuata in modo efficiente, il che ha un effetto stabilizzante in una crisi e impedisce a più banche di essere trascinate in difficoltà.

In altre parole, le politiche che riducono i rischi per il sistema bancario nel suo insieme porteranno anche a una maggiore riduzione del rischio per le singole banche.

Un buon esempio di ciò è la Federal Deposit Insurance Corporation (FDIC) negli Stati Uniti, che è anche l'autorità di risoluzione, ed è sostenuta da una linea di credito con il Tesoro degli Stati Uniti. Durante la crisi, circa 500 banche sono state risolte negli Stati Uniti senza innescare l'instabilità finanziaria. Al contrario, una stima mette il numero totale di banche risolte nell'area dell'euro in quel periodo a circa 50.

Una risoluzione ordinata di questa portata era possibile negli Stati Uniti grazie alla fiducia in un quadro di risoluzione ben funzionante. E la presenza del backstop del Tesoro era fondamentale per creare questa fiducia.

In effetti, la FDIC alla fine non ha dovuto attingere alla sua linea di credito, ma era chiaramente rassicurante per i mercati e per i depositanti che aveva questa opzione come ultima risorsa. In effetti, la FDIC ha preso in prestito dal Tesoro solo una volta, durante la crisi dei risparmi e dei prestiti nei primi anni '90, e lo ha ripagato interamente pochi anni dopo.

Questo esempio sottolinea che la dicotomia tra la riduzione del rischio e la condivisione del rischio che caratterizza il dibattito di oggi è, per molti aspetti, artificiale. Con il giusto quadro politico, questi due obiettivi si rafforzano a vicenda.

La condivisione del rischio pubblico attraverso i backstop aiuta a ridurre i rischi all'interno del sistema, contenendo i panici del mercato quando si verifica una crisi. E un solido quadro di risoluzione garantisce che, quando i fallimenti bancari avvengono, sia effettivamente necessaria una scarsa condivisione del rischio pubblico in quanto i costi sono interamente a carico del settore privato.

Quindi dobbiamo prima mettere le cose in primo piano e completare la struttura della risoluzione in tutte le sue dimensioni. E creare un sistema europeo di assicurazione dei depositi adeguatamente progettato sarebbe un ulteriore elemento che potrebbe ridurre ulteriormente il rischio di corse bancarie.

Tutto sommato, un quadro coerente di regolamenti, leggi, applicazione giudiziaria e risoluzione è essenziale per un'integrazione finanziaria profonda e resiliente. Il completamento dell'unione bancaria e dell'unione dei mercati dei capitali è quindi una condizione necessaria per l'espansione della condivisione del rischio privata nell'area dell'euro.

Eppure non è una condizione sufficiente. E questo mi porta alla seconda area in cui le politiche del settore pubblico possono integrare la condivisione del rischio privato: aumentando la convergenza economica e creando così fiducia tra gli investitori transfrontalieri.

4. Accrescere la convergenza economica.


La crisi ha mostrato chiaramente il potenziale di alcune economie della zona euro intrappolate in cattivi equilibri. E chiaramente, finché esiste questo rischio, fungerà da deterrente all'integrazione transfrontaliera, specialmente per le banche al dettaglio che non possono "tagliare e scappare" non appena si verifica una recessione. In parole semplici, non saremo in grado di promuovere la condivisione del rischio privata nella nostra unione se le crisi possono mettere in discussione la sua stessa integrità.

Quindi, se vogliamo approfondire la condivisione del rischio privato, il rischio di coda di equilibri negativi deve essere rimosso e sostituito da politiche che portano a una convergenza sostenibile. Ciò richiede un'azione a livello nazionale e dell'area dell'euro.

Agli occhi di molti osservatori, tre caratteristiche hanno reso i paesi vulnerabili alle spirali discendenti: banche deboli, mancanza di spazio fiscale e bassa crescita. Stabilizzare il settore finanziario nei modi che ho appena descritto riguarderebbe una parte del problema. Ma il fattore comune che unisce tutti e tre è stata la crescita. I tassi di crescita molto bassi hanno ridotto lo spazio fiscale e danneggiato i bilanci bancari.

A livello nazionale, le riforme strutturali rimangono quindi una priorità.

Sappiamo che le riforme strutturali stimolano la crescita: osservando gli ultimi 15-20 anni, i paesi dell'area dell'euro con solide strutture economiche all'inizio hanno mostrato una crescita reale a lungo termine molto più elevata. E sappiamo che aiutano i paesi a riprendersi più rapidamente dagli shock, il che impedisce alle recessioni di lasciare cicatrici durature.

Detto questo, mentre le solide politiche interne sono fondamentali per proteggere i paesi dalle pressioni del mercato, la crisi ha dimostrato che, a certe condizioni, potrebbero non essere sufficienti. I mercati tendono a essere prociclici e possono penalizzare i sovrani che sono percepiti come vulnerabili, al di là di quanto potrebbe essere necessario per ripristinare un percorso fiscale sostenibile. E questo superamento può danneggiare la crescita e in definitiva peggiorare la sostenibilità fiscale.

Ciò crea la necessità di una qualche forma di funzione di stabilizzazione comune per impedire ai paesi di divergere troppo durante le crisi, come è già stato riconosciuto con la creazione di due strutture europee per affrontare i cattivi equilibri.

Uno è l'OMT della BCE, che può essere usato quando c'è una minaccia alla stabilità dei prezzi nell'area dell'euro e viene fornito con un programma ESM. L'altro è l'ESM stesso. Ma la condizionalità associata ai suoi programmi in generale implica anche un restringimento fiscale prociclico.

Quindi, abbiamo bisogno di uno strumento fiscale aggiuntivo per mantenere la convergenza durante i grandi shock, senza dover sovraccaricare la politica monetaria. Il suo obiettivo sarebbe quello di fornire un ulteriore livello di stabilizzazione, rafforzando in tal modo la fiducia nelle politiche nazionali.

Non è concettualmente semplice progettare uno strumento del genere, dal momento che non dovrebbe, tra molte altre complessità, compensare le debolezze che possono e dovrebbero essere affrontate da politiche e riforme. Non è giuridicamente semplice in quanto tale strumento dovrebbe essere coerente con il trattato.

E, come abbiamo visto nelle nostre discussioni di vecchia data, non è certamente politicamente semplice, indipendentemente dalla forma che un tale strumento potrebbe assumere: dalla fornitura di beni pubblici sovranazionali - come la sicurezza, la difesa o la migrazione - a un bilancio fiscale completo capacità.

Ma l'argomento per cui la condivisione del rischio può aiutare a ridurre notevolmente il rischio, o laddove la solidarietà, in alcune circostanze specifiche, contribuisce ad una riduzione del rischio efficiente, è convincente anche in questo caso, e il nostro lavoro sulla progettazione e sui tempi adeguati per tale lo strumento dovrebbe continuare.

Quest'anno la BCE festeggia il suo 20 ° compleanno e il prossimo anno potremo segnare vent'anni di euro. In questi due decenni l'euro è diventato una caratteristica delle nostre vite e un simbolo della nostra identità europea.

Tre quarti dei cittadini dell'area dell'euro ora supportano la moneta unica. E quando alla gente viene chiesto di nominare gli elementi più importanti dell'identità europea, l'euro è il secondo elemento citato, dopo i valori della democrazia e della libertà.

I cittadini europei hanno imparato a conoscere l'euro e si fidano dell'euro. Ma si aspettano anche che l'euro mantenga la stabilità e la prosperità promesse.

Quindi il nostro dovere, in quanto responsabili delle politiche, è di restituire la loro fiducia e di affrontare le aree della nostra unione che tutti sappiamo essere incomplete.

domenica 24 giugno 2018

L'euro è un emulatore di gold standard (3 di 3)

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Come preannunciato al termine della prima parte, in questa terza ed ultima parleremo di supremazia militare, la vera posta in gioco in un'area a moneta unica senza uno Stato. La tesi di chi scrive, da verificare nel corso degli eventi, è che siamo già in presenza di forti tensioni tra gli Stati europei, per altro già sfociate in una guerra in Libia, destinate ad acuirsi vieppiù. Sempre a parere di chi scrive, l'esito non sarà il predominio dell'asse franco-tedesco (più l'Olanda) bensì un frazionamento dell'Europa in tre blocchi: l'asse franco-tedesco (più l'Olanda), l'Europa mediterranea, i paesi del gruppo di Visegrad. Questi ultimi ricopriranno il ruolo di fascia di Stati cuscinetto con la Russia, ottenendo così l'obiettivo di separare quest'ultima dall'asse franco-tedesco, mantenendola tuttavia sotto pressione per l'ovvio interesse di questi Stati, fortemente nazionalisti, a rimanere sotto l'ombrello protettivo angloamericano.

Al momento tutto ciò deve ancora accadere, mentre in questa fase l'asse franco-tedesco sta ancora giocando la carta dell'egemonia su tutta l'Europa. Per spiegare la ragione per cui l'esito della partita, in un'area a moneta unica in assenza di uno Stato, non può che essere la competizione per l'egemonia assoluta, farò ricorso a un'analogia.

Immaginate una serie di partite a poker tra amici, in cui all'inizio si distribuiscono le fiches tra tutti. Chi distribuisce le fiches è il banco, cioè un soggetto che non partecipa al gioco ma ha il compito, oltre a riempire i bicchieri e svuotare il portacenere, di vigilare sul rispetto delle regole del poker. L'idea è che, se una sera vince Tizio, quella successiva vincerà Caio, per cui sul lungo periodo si resta amici e non succede nulla di grave. Ma cosa accade se uno dei giocatori comincia a vincere sempre e tutti gli altri a perdere? L'ideale sarebbe chiuderla lì e dire "ragazzi è stato un gioco, facciamoci una bevuta e paga il vincitore". Tuttavia, se tutti sono schiavi del vizio del gioco (l'euro è irreversibile) allora bisogna che i giocatori perdenti siano riforniti di nuove fiches, ma così facendo il gioco perderebbe la sua principale attrattiva: essere rischioso in quanto basato su vincite e perdite reali. Certo, il banco può convincere il giocatore vincente ad accettare una distribuzione straordinaria di nuove fiches, ma alla lunga non può funzionare. Quello che il giocatore vincente vuole sono garanzie vere: l'orologio, la casa, la firma di cambiali, insomma cessioni di proprietà.

Oggi si accusa la Germania, e in subordine la Francia, ma riflettiamo: se a vincere fosse stata l'Italia, le cose sarebbero andate diversamente? Certo, si potrà obiettare che noi non siamo ottusi come i tedeschi (vero) che non siamo caghini come i francesi (vero) che noi abbiamo la sapientia del potere (Scientia potentia est) ma tutti noi sappiamo che non è così. Quello che il paese vincitore e il suo principale alleato (quello che ogni paese vincitore e i suoi alleati) vogliono è passare all'incasso dei beni reali, così come è già accaduto con la Grecia. Solo le anime candide possono illudersi che non sia così, solo queste possono limitarsi all'esame delle sole condizioni di vita dei cittadini greci e non capire che, tra qualche anno, costoro staranno sicuramente meglio di oggi perché, una volta vinta la guerra (e i franco-tedeschi la guerra di Grecia l'hanno vinta, anche col nostro aiuto) non è più necessario far mancare alla popolazione anche le bende negli ospedali! I greci, tra qualche anno, staranno meglio, ma saranno finiti come popolo libero. Laddove, con l'espressione "popolo libero", si intende il combinato disposto del capitale di un paese e delle sue classi lavoratrici. Ah certo, le belle anime idiotizzate obietteranno che non c'è differenza, per un lavoratore, tra l'essere sfruttato dal capitale interno o dal capitale estero! Hanno ragione? Sì, hanno ragione, a patto di intendere come "popolo" solo i lavoratori, e non anche i capitalisti nazionali, cioè le élites nazionali. 

L'élite capitalistica greca è stata sconfitta, ha dovuto cedere le sue proprietà e si è trasformata in capitale vassallo del capitale vittorioso franco-tedesco. Potrà conservare parte dei suoi privilegi, ma ha perso il suo potere, e pertanto la classe lavoratrice greca ha perso la sua controparte nazionale: da ora in poi dovrà trattare con i vincitori esteri, il capitale franco-tedesco.

Il fronte si è spostato, ora è l'Italia ad essere in prima linea. Una parte rilevante del nostro capitalismo nazionale, politicamente rappresentata dal PD e da LeU, è già alleata col capitale franco-tedesco, mentre una frazione minoritaria sta tentando una resistenza e si è alleata con il capitale angloamericano. Abbiamo il governo giallo-verde, Credo Militante e Lega dei credenti in Salvini, i primi sono il risultato di un'operazione politica di interferenza di altissimo livello (Scientia potentia est) gestita dagli angloamericani, i secondi sono espressione di ciò che resta del capitalismo industriale italiano, irrobustito da contributi di una frazione del deep state nostrano. E' una partita di una sporcizia nauseante, nella quale entrambe le parti non si risparmiano nulla. E sicuramente non è affare per anime candide.

Quello che è importante capire, e stamparselo bene in mente, è che l'oggetto del contendere non è il debito pubblico, non sono i saldi Target2, ma la pura e semplice proprietà dei beni reali di cui il capitalismo italiano è ancora titolare. La deflazione impostaci dall'€uropa, cioè dall'asse franco-tedesco, è lo strumento, non è il fine. Anzi, se e quando il capitale nazionale dovesse arrendersi, e dunque la guerra finire, è assai probabile che si assisterà a un miglioramento, seppur relativo, delle condizioni della cittadinanza. 

La partita si gioca su due piani: quello delle regole giuridico-contabili e quello del consenso elettorale. E' il paradosso dei sistemi cosiddetti democratici, nei quali il risultato elettorale equivale all'esito di un confronto militare sul campo. Le anime candide questo non lo capiscono, credono che tra la guerra guerreggiata e la politica ci sia soluzione di continuità, e noi non possiamo che compatirle.

Ceto, sarebbe bellissimo

sarebbe bellissimo

che ci fosse in gioco un fronte popolare del mondo del lavoro, ma così non è. Forse ci sarà, un giorno, e chi scrive si è preso la sua buona dose di derisione per essere stato un fautore del #famoelpartitismo, tuttavia è necessario fare i conti con la realtà. Questo fronte non c'è, sebbene le idee ci siano e siano quelle giuste. Che fare dunque?

Il vostro #famoerpartitista vi dice che la scelta è quella tra il tanto peggio tanto meglio, che mi sembra sia al momento l'opzione del FSI, e il continuare, anzi intensificare, l'azione nel campo in cui abbiamo dimostrato le nostre migliori e forse uniche capacità: la divulgazione. Su questo blog sub-divulgazione.

Dunque la partita in corso è quella per l'egemonia nel vecchio continente, la quale implica la supremazia militare. La crisi dei migranti è, in questo momento, l'occasione per far passare l'idea di un controllo comune delle frontiere, da rigettare con la massima fermezza. E' il punto dirimente dei colloqui in sede europea, ancor più delle frazioni di decimali di deficit che Bruxelles, bontà sua, vorrà concederci

Tornando all'esempio del lavoratore, che potrebbe addirittura star meglio in un'Europa franco-tedesca piuttosto che in un'Italia libera e sovrana, voglio chiarirvi un semplice concetto.

Preferirei essere giudicato, e condannato a morte, da un'élite nazionale, piuttosto che giudicato e graziato da un potere imperiale. Nel primo caso le mie ultime parole sarebbero "mi dispiace di morire ma son contento", nel secondo farfuglierei un miserabile "son contace di morire ma mi dispiento" prima di suicidarmi ingurgitando una dose letale di alcool

Qualcuno potrebbe obiettare che anche gli angloamericani sono un potere imperiale. Vero, ma domando a mia volta: avremmo più libertà interna nell'ambito di un progetto egemonico franco-tedesco, oppure come contrappeso nel mediterraneo all'egemonia dell'asse Parigi-Berlino? Io penso: la seconda che ho detto.

In conclusione da queste parti, pur nella consapevolezza che il governo attuale è il frutto dell'alleanza tra una mucillagine peristaltica eterodiretta e una frazione del capitalismo italiano, questo verrà appoggiato finché possibile. Nel frattempo si continuerà a dire la verità, la prima delle quali è così sintetizzabile: prendete il vostro portafoglio, tirate fuori una moneta da cinquanta euro e guardate la vostra casa, poi domandatevi: cosa posseggo io, questo pezzo di carta o quella casa?

venerdì 22 giugno 2018

La Búsqueda implacable de culpables

Post correlato: Fases de un proyecto

Fases de todo €-proyecto



Le riporto qui, in formato testo (e nella versione originale con "cachondeo" al posto di "sarcasmo" ), per vostra comodità:

  1. Optimismo general.
  2. Fase de desorientación.
  3. Desconcierto general.
  4. Periodo de cachondeo incontrolado.
  5. Búsqueda implacable de culpables.
  6. iSálvese quien pueda.
  7. Castigo ejemplar a los inocentes.
  8. Recuperación del optimismo perdido.
  9. Terminación inexplicable del proyecto.
  10. Condecoraciones y premios a los NO participantes.
In tutta evidenza siamo alla fine della fase 4 - periodo de cachondeo incontrolado - e all'inizio della fase 5 - i sálvese quien pueda. Che tempi straordinari ragazzi!

Tuttavia gli effetti del periodo de cachondeo incontrolado fanno sì che il dibattito sull'Unione Europea sia ancora confuso, molti ancora si attardano a difendere el proyecto sulla base di argomentazioni wishful thinking. La fase successiva li metterà a tacere.

Se lo schema è corretto - l'ipotesi quanto meno dovrebbe essere presa in considerazione visto che le prime 4 fasi si adattano perfettamente all'evoluzione del proyecto - allora l'isteria con cui si parla, sui media e sui social, del problema immigrazione potrebbe essere determinata non tanto e non solo dalla volontà di deviare l'attenzione su questo problema, quanto piuttosto essere l'inizio del tentativo di giustificare el fracaso del proyecto ascrivendone la colpa a un evento eccezionale: le migrazioni bibliche.

Un gioco che non può durare a lungo
Menti raffinatissime.

Pensateci, davvero credete che il problema dei migranti possa essere gonfiato al punto di nascondere sine die le reali contraddizioni del proyecto? La cosa può funzionare per un po', ma il gioco sarebbe fin troppo scoperto. Non è più semplice sposare la tesi che sì, el proyecto era una cosa meravigliosa ma, purtroppo, siamo incappati in un evento epocale e per questo, ma solo per questo, le magnifiche sorti e progressive del proyecto dovranno essere dilazionate?

Migrano, governo ladro!

Due piccioni con una fava: el proyecto viene solo dilazionato in attesa di tempi migliori, ma soprattutto, dando la colpa alle migrazioni, sarà possibile deviare, questa volta sì con grande efficacia, l'attenzione dell'opinione pubblica dalla sua natura di classe e dalle sue folli disfunzionalità verso un capro espiatorio di cui nessuno, ci diranno, è responsabile. Insomma: migrano, governo ladro!

Che fare?

Non so voi, ma io sono tranquillo. Abbiamo in commissione bilancio alla Camera, e in commissione finanze al Senato, due nocchieri di prim'ordine. Non serve fare alcunché, anzi bisogna stare fermi perché pensano loro a tutto. Daje a ride.

mercoledì 20 giugno 2018

La mucillagine peristaltica

Link: Un giorno da pecora - Puntata del 20/06/2018

Giulio Sapelli (5'20''): "La Lega è un partito serio, i 5stelle rappresentano il popolo degli abissi, cioè gli ultimi, gli umili, ma sono una mucillagine peristaltica, eterodiretta"



Addendum: a scanso di equivoci dichiaro ufficialmente di essere completamente d'accordo. Io li chiamo "Credo Militante". Poi c'è la "Lega dei credenti in Salvini".

Io sono un sovranista, serve aggiungere "costituzionale"? Sarebbe una ridondanza.

martedì 19 giugno 2018

De gonzo italico

Gonzi italici divisi sunt in partes tres: piddini, padani atque ortotteri


le tre "etnie" sono comunque accomunate da un substrato antropologico comune, consistente nella tendenza a focalizzare l'attenzione su temi secondari, talvolta in senso onirico - specialità della tribù piddina e in parte di quella ortottera - tal altra costruendo e amplificando incubi, mentre al contempo dimenticano del tutto le questioni fondamentali.

Ne abbiamo una riprova in questi giorni in cui, dovendo affrontare (finalmente) la questione dei trattati europei che ci sono costati il 25% di produzione industriale, un aumento catastrofico dell'indebitamento privato anche estero, e la riduzione dei diritti del mondo del lavoro spinto in condizioni simili a quella schiavile - in alcuni casi anche ben oltre - l'attenzione di queste "etnie" è tutta concentrata sulla questione migranti.

Che non è una questione marginale ma è tuttavia subordinata alla prima!

A scanso di equivoci, vista l'attenzione isterica su questo tema, vi espongo la mia posizione sui migranti. Io credo che ci siano due possibili atteggiamenti:

1) governare il fenomeno, ovviamente riducendo i flussi
2) adottare una politica di laissez faire e attendere che il problema si risolva da solo

Tanto, spero vi sia chiaro, non è nemmeno lontanamente immaginabile che la percentuale di immigrati in Italia possa passare dal 10% attuale al 20% in venti anni senza che vi sia una sollevazione popolare di proporzioni gigantesche. Ognuno è libero di pensarla come vuole, ognuno è libero di anteporre a tutto i propri scrupoli morali, però questo esito deve essere ben presente e stampato nelle vostre menti: sarebbe il popolo, in massa, a insorgere e a dare il via a un pogrom.

Francamente io, di quello che accadrà, me ne impippo, perché tanto ci saranno dei morti, molti morti, sia nel primo che nel secondo scenario. Non lo capisce solo chi pensa, o si immagina, che quello in cui viviamo sia un mondo di gommapiuma.

Nel frattempo...


...la questione attuale è il confronto sui trattati europei. Non saranno 100.000 immigrati in più o in meno nei prossimi sei mesi a cambiare la composizione etnica e culturale italiana, mentre quello che si deciderà sull'Europa, da ora alla fine dell'anno, sarà fondamentale. Perdonatemi dunque se non parteciperò al dibattito sull'immigrazione, per concentrarmi invece sul tema della revisione dei trattati o, meglio, dell'uscita dall'Unione Europea.

Cosa sa il gonzo italico dei trattati europei?


Per le tribù gonziche, almeno ai piani bassi, la risposta è identica: una beneamata mazza! Basta parlare con qualche piddino, grillino o leghista di strada per rendersene conto: l'ignoranza assoluta regna sovrana. E non si tratta, si badi bene, di un'ignoranza conseguenza solo del fatto di non conoscere i termini, il significato e le conseguenze dei trattati - fosse così si potrebbe porre rimedio sia pure con molta fatica - ma della pregiudiziale, direi antropologica rinuncia ad affrontare il problema nei suoi termini reali, che sono culturali, politici ed economici. In ordine di importanza, ammesso che sia lecito assumere un tale ordine.

In questi anni molti si sono spesi nel tentativo di spiegare i termini del problema alle tribù gonziche, ma i risultati sono stati desolanti. Colpa dei media, certamente, che costruiscono continuamente frames interpretativi fallaci; ovviamente colpa della scuola (in particolare di noi insegnanti.... al rogo!); ma anche, se mi permettete, colpa di alcuni di coloro che, a torto o a ragione, e col senno di poi a torto, sono stati accreditati come portavoce dei movimenti eurocritici. Un errore, consentitemi di levarmi un sassolino dalla scarpa, che noi sovranisti siamo stati i soli a non commettere!

In effetti abbiamo assistito, almeno dal 2011 in poi, alla costruzione di una folle idolatria nei confronti di personaggi, dei quali non faccio il nome per decenza, nei confronti dei quali la suburra degli eurocritici ha adottato una postura genuflessa e adorante, trasformandosi in tifoseria. E' così nata una quarta tribù gonzica la quale, davanti agli spostamenti progressivi su posizioni dapprima concilianti, poi apertamente collaborative dei guru, ha trovato come unica forma di difesa psichica, ancor prima che politica, quella di rifugiarsi nel sonno della ragione. Ed ecco allora che, a dispetto delle intenzioni dichiarate del governo gialloverde, costoro sono ora costretti, pena la disarticolazione profonda delle loro personalità costruitesi in questi anni con migliaia e migliaia di post e twits di derisione verso i piddini, gli ortotteri e i leghisti che volevano la regionalizzazione d'Europa, a immaginare, letteralmente immaginare, che non è vero quel che appare perché, dietro le quinte, si starebbe preparando l'italexit.

Non è possibile eludere la domanda sul perché ciò sia accaduto, e la risposta è tutto sommato semplice: tutto ciò è accaduto perché gli italiani della quarta tribù gonzica hanno preferito essere fans piuttosto che militanti impegnati nella costruzione di partiti dal basso. Ora la differenza tra un gruppo di guru, e i quadri dirigenti di partiti dal basso, consiste soprattutto nel numero, che differisce per qualche ordine di grandezza, con la conseguenza che, se è relativamente facile comprare, minacciare, sedurre o al limite eliminare un ristretto numero di guru, lo stesso non può farsi con classi dirigenti formate da migliaia e migliaia di militanti. Sto forse dicendo che i guru sono stati comprati, o minacciati, o sedotti? Sì. E aggiungo che, se non ne è stato eliminato nessuno, è perché non c'è stata resistenza!

Ovviamente, vista l'importanza cruciale del tema della necessaria rimodulazione delle regole europee, è bene che l'attenzione delle masse venga distolta da esso, e quale argomento migliore di quello dei migranti? Ripeto per i deboli di comprendonio: non è una questione secondaria che possa essere affrontata con metodo piddinico (non viviamo in un mondo di gommapiuma), ma la vera battaglia oggi si combatte sul fronte della rimodulazione dei trattati! Attenzione: ho detto rimodulazione, ahimé non denuncia dei trattati, il cui fine primario è, è stato e sarà quello di disciplinare i lavoratori in un quadro di rapporti economici fra sistemi bancari privati nazionali che siano in grado di superare le contraddizioni che si sono manifestate. In summa res: sempre in culo agli operai!

La quarta tribù gonzica oggi tace, al massimo mormora sotto traccia per timore di essere scacciata dal paradiso dei circoletti esclusivi che i guru hanno costruito, nei quali sono finiti in trappola quelle migliaia e migliaia di potenziali militanti sovranisti che io, nella mia immensa ingenuità paesana, credevo essere pronti a mobilitarsi per costruire una proposta elettorale alla ultime elezioni politiche. Così non è stato, ma almeno cerchiamo di capire perché.

domenica 17 giugno 2018

I sovranisti al bivio

La domanda che passa nella testa di tutti noi sovranisti è, ammettiamolo, "che fare nell'immediato?". Un'accorta politica comunicativa, che ha fatto leva sulla questione dei migranti, sta spingendo in alto i consensi del governo gialloverde, e questo sarà un patrimonio spendibile nelle prossime fasi di discussione sui trattati con l'€uropa perché consentirà di bilanciare eventuali cedimenti su quel piano con i successi, almeno d'immagine, finora conseguiti. Per sovrappiù, tre noti esponenti dell'area eurocritica sono entrati nella compagine governativa, mentre altri, non meno noti, ne appoggiano l'azione stando nelle retrovie. Il dilemma che ci arrovella è se ciò preluda a un reale irrigidimento in difesa degli interessi nazionali, il cui esito non potrebbe che essere la dissoluzione - almeno - dell'eurozona, oppure, al contrario, si intenda ottenere il massimo possibile senza però rinunciare al progetto europeo.

L'ipotesi più probabile appare la seconda, almeno stando alle posizioni ripetutamente espresse dal più titolato dei tre, Paolo Savona. Questi, il 7 settembre 2017, dalle pagine del sole24ore scriveva:

«A questo punto della storia esistono due soluzioni:
1. una europea che consenta alla BCE di far confluire in un Fondo appositamente costituito gli eccessi di debito rispetto al parametro del 60% rispetto al PIL, previa rinegoziazione dei termini di rimborso (con tassi ufficiali senza spread e date di scadenza lunghe) e impegno da parte dei paesi di rispettare il pareggio di bilancio; questa soluzione non impedirebbe la crescita della spesa pubblica – spero per investimenti, ma è un altro problema – purché essa resti nei limiti dei maggiori incassi e, quindi, della crescita nominale del PIL;
2. una nazionale che attui una conversione del debito in essere entro i limiti dell’eccesso esistente allungando le scadenze e offrendo rendimenti pari all’inflazione, dando in contropartita una garanzia su tutti i beni dello Stato mobili e immobili, anche artistici e ambientali, escutibili con procedure rapide da stabilire anticipatamente nel caso di insolvenza (peraltro assai improbabile dati i livelli di risparmio del Paese).»

La prima soluzione equivale a una monetizzazione ad opera della BCE della parte eccedente il 60% sul PIL del debito pubblico italiano, dietro garanzia di rispettare il pareggio di bilancio. La seconda consiste in una ristrutturazione della parte eccedente il 60% sul PIL del debito pubblico italiano posta in carico al Tesoro, a dire di Savona dando in garanzia beni pubblici e assets nazionali.

A parere di chi scrive la prima soluzione sarà respinta. La seconda, per effetto delle Clausole di Azione Collettiva, darà il via a un'ondata di privatizzazioni come non si è mai vista. Infatti l'Italia ha un debito pubblico di circa il 130% del PIL, quindi il 70% di esso sarebbe soggetto a ristrutturazione. L'allungamento delle scadenze e l'abbattimento dei rendimenti all'inflazione avrebbe l'effetto di far scattare le Clausole di Azione Collettiva su una parte di questo 70%, con l'obbligo per il Tesoro di riacquistare quei titoli alle condizioni di emissione e la conseguente esigenza di reperire i fondi necessari all'operazione.

E poiché non abbiamo a che fare con dei fessacchiotti, forse è il caso di andare a vedere quando sono entrate in vigore le Clausole di Azione Collettiva:

Comunicato Stampa N° 186 del 19/12/2012
E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 18 dicembre 2012 il decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze del 7 dicembre 2012, con il quale è stabilito che, a partire dal 1° gennaio 2013, le nuove emissioni di titoli di Stato aventi scadenza superiore ad un anno saranno soggette alle clausole di azione collettiva (CACs). Il decreto precisa che per nuove emissioni si intendono quelle la cui prima tranche è emessa a partire dal 1° gennaio 2013.
L’introduzione delle CACs nei titoli di Stato, obbligatoria ai sensi del Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità segue lo schema approvato dal Comitato Economico e Finanziario dell’Unione Europea.
Fanno parte integrante del decreto due allegati, il primo dei quali (allegato A) riporta le clausole per tutti i tipi esistenti di Buoni del Tesoro Poliennali, inclusi quelli indicizzati all’inflazione (BTP€i e BTP Italia), e di Certificati di Credito del Tesoro, inclusi quelli zero-coupon (CTZ). L’allegato B, invece, riguarda eventuali emissioni di titoli aventi caratteristiche differenti o di diversa tipologia rispetto a quelli citati,. Le CACs saranno introdotte anche per le emissioni sui mercati internazionali.
Le CACs hanno impatto anche sull’attività di stripping così come prevista nel nuovo decreto ministeriale, anch’esso del 7 dicembre 2012, in quanto non vi sarà fungibilità tra componenti separate di titoli soggetti alle CACs e componenti separate di titoli non soggetti alle dette clausole.

Non so a voi, ma a me la data del 18 dicembre 2012 ricorda qualcosa. Stiamo parlando di una sommetta che dovrebbe aggirarsi intorno ai 300mld di beni da privatizzare, sui quali (a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca) qualcuno, ben addentro ai meccanismi di intermediazione, potrebbe aver messo gli occhi con largo anticipo, mentre noi ingenui sovranisti ci si affannava a costruire il partito. Naturalmente è solo una volgare illazione, diciamo la parte disgustosa dello scenario, possibile ma di cui ci parleranno, eventualmente, gli storici del futuro. Mi taccio perché, se avessi ragione, rischierei di grosso e io, se mi dicono "forse ti torturiamo", mi sto zitto e bbòno.

D'altra parte non possiamo escludere a priori l'ipotesi opposta, cioè che a pensar male si venga smentiti dai fatti. Questa è, in effetti, la speranza che alberga nei cuori di molti, pochi i sovranisti in realtà, i quali coltivano la speranza (io dico illusione) che, mentre si tratta con l'€uropa, si stia preparando il salto della quaglia fuori dall'eurozona. Zac! E marameo.

La sola possibilità che ciò possa avvenire basta a paralizzarci, perché nessuno vuol correre il rischio di vedersi additato come colui che, magari per invidia, avrà fatto fuoco amico sugli eroi eponimi che ci avranno tirato fuori dall'euro. Il non detto che circola negli ambienti sovranisti è così l'invito alla cautela, cui ben pochi si stanno sottraendo. Ed io, che gestisco un blogghettino di campagna, mi adeguo, sia pure con qualche illazione. Ma che posso farci? Andreotti era di razza ciociara.

sabato 16 giugno 2018

Rischio il licenziamento?


Io sono un insegnante. Vorrei preliminarmente precisare che non condivido la natura aggressiva e teppistica delle manifestazioni organizzate dai cosiddetti antagonisti per protestare contro analoghe manifestazioni dei loro nemici del cuore di CasaPound. Considero entrambe le fazioni inquinate da condizionamenti esterni che hanno interesse ad impedire un sano, dialettico e democratico confronto, condizionamenti che purtroppo hanno successo a causa della natura emotiva di una parte rilevante della popolazione. Magari mi sbaglio perché, essendo per natura una persona razionale, tendo a dare poca importanza, quando non a sottovalutare, il ruolo dell'intelligenza emotiva, la quale pure ha la sua profonda ragion d'essere e utilità nel dispiegarsi degli eventi. Tuttavia anch'io, ogni tanto, do la stura all'emotività, come vedrete poco innanzi.

Ciò detto e premesso, non posso esimermi dall'esternare la mia totale solidarietà nei confronti della professoressa licenziata per aver offeso verbalmente le forze dell'ordine nel corso di scontri di piazza. In primo luogo vorrei sottolineare il fatto che si è trattato solo ed esclusivamente di invettive verbali, profferite per di più in un momento concitato al termine di una carica, probabilmente difensiva, posta in essere dalle forze dell'ordine con modalità alquanto energiche, che hanno visto anche l'uso di idranti. In secondo luogo, e questo è un aspetto che ritengo di fondamentale importanza, vorrei richiamare l'attenzione di tutti sul fatto che l'accaduto è divenuto di pubblico dominio per la presenza di telecamere sul luogo del tafferuglio. Un fatto che deve essere ben ponderato, vista la crescita esponenziale di dispositivi di ripresa in ogni angolo delle nostre città, presto anche nei salotti delle nostre abitazioni. Questo significa che gli spazi al riparo dall'invadenza dei moderni strumenti di registrazione audiovisiva si vanno sempre più riducendo, e con essi la possibilità di esprimere, sia pur solo emotivamente, il proprio dissenso.

Se la professoressa fosse stata immortalata nell'atto di scagliare un oggetto contundente contro le forze dell'ordine, invece che subire passivamente la loro reazione per poi reagire verbalmente, ebbene potrei anche comprendere un atteggiamento di condanna, il quale tuttavia non dovrebbe mai arrivare al licenziamento in tronco senza che ciò fosse deciso in un tribunale, in seguito all'accertamento della rilevanza penale del gesto e sanzionato con la pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici. Invece il licenziamento è arrivato per decisione dell'ufficio regionale della Pubblica Istruzione, senza alcuna condanna in tribunale e senza che vi siano atti di natura non verbale di rilevanza penale.

Trovo che tutto ciò sia scandaloso. Do la stura alla mia emotività... (sarò licenziato?)

Ma ancor più scandalosa è la reazione, sui social, di una parte dell'opinione pubblica. Non esito a definire queste persone come mentecatti, dominate dall'emotività e irragionevoli. La tesi dominante, francamente vomitevole, è quella per cui, essendo Lavinia Flavia Cassaro un'insegnante, le sarebbe proibito manifestare ostilità, in forma verbale, nei confronti della polizia, anche dopo aver subito una carica. La giustificazione addotta da molti di questi mentecatti è che Lavinia Flavia Cassaro, essendo insegnante, appartiene ad una categoria particolare di dipendenti pubblici, vincolati al rispetto di norme di comportamento onorevoli anche fuori dell'orario di lavoro. Mi domando se tale pretesa debba applicarsi anche agli insegnanti delle scuole private.

In subordine, una parte dell'opinione pubblica si spinge a sostenere che l'obbligo di mantenere una condotta onorevole, pena il licenziamento, debba essere esteso a tutti i dipendenti pubblici. Con il che si verrebbe a suddividere la platea dei dipendenti in due distinte categorie, alle quali spetterebbero diversi codici di comportamento al di fuori dell'orario di lavoro: quelli pubblici e quelli privati. Ma poiché i dipendenti privati potrebbero essere licenziati dai loro datori di lavoro, una volta venuti a conoscenza di comportamenti verbali non onorevoli grazie alla pervasiva presenza di dispositivi di registrazione audiovisiva, ecco che gli unici, per così dire al sicuro, dalla sanzione del licenziamento sarebbero i liberi professionisti e gli imprenditori.

Faccio un esempio: in un club per scambisti vengono beccati dalle telecamere di sorveglianza, a tirare cocaina, un imprenditore, un dipendente privato e una professoressa, e il video finisce in rete. Quali conseguenze per i tre? Il primo dovrà vedersela solo con sua moglie, il secondo può inginocchiarsi davanti al datore di lavoro implorando pietà, la professoressa sarebbe licenziata a furor di popolo perché i bambiiiniii i bambiiiiniiii i bambiiiiniiii!!!!!

E il principio di uguaglianza dei cittadini davanti alla legge? E il diritto alla privacy? E il diritto di perdere la scoppola e uscirsene, come nel caso della professoressa Lavinia, con qualche invettiva? Tutto secondario, la professoressa Lavinia Flavia Cassaro deve essere licenziata in tronco! Se questo non è fascismo, ditemi voi cos'è.

Resta da domandarsi il perché di tanta ostilità, in un'epoca in cui gli insegnanti sono i meno pagati nel pubblico impiego (insieme con i dipendenti comunali), soggetti a continue aggressioni da parte di alunni e familiari, ripagati con un miserabile aumento di 50 euro al mese dopo dieci anni di blocco della retribuzione, costretti a promuovere tutti per non rischiare ricorsi onerosi per il minimo cavillo formale, oberati di incombenze demenziali, sottoposti alla frusta di presidi manager molti dei quali approfittano dei loro esorbitanti poteri comportandosi da kapò.

Già, perché?

Io una risposta ce l'ho. Basta guardare il video e fare attenzione alla proprietà di linguaggio della professoressa Lavinia Flavia Cassaro, per poi confrontarla con la povertà di linguaggio mediamente riscontrabile in giro, nonché con il modo di esprimersi sui social della maggioranza degli utenti. Questo, amici miei, è l'odio degli ignoranti, delle capre, delle bestie sottomesse al principio della mercificazione dell'esistenza, che odiano la figura dell'insegnante perché sanno, oh se lo sanno, che sono persone molto migliori di loro. Ci odiano perché sanno di essere delle bestie ignoranti, e allora gridano "i bambiiiiniiii i bambiiiniiii i bambiiiiniiii", quando sono essi stessi i primi responsabili della cattiva educazione dei bambiiiiniii, che sono i loro, per di più! Pretendono da noi la perfezione, così da potersi scaricare la coscienza e sprofondare lietamente nell'abisso della bestialità. Mio figlio? E' a scuola, sono tranquillo/a....

Certo che potete stare tranquille, bestie capriformi! Tra una ventina di anni noi insegnanti saremo sostituiti da robot con intelligenza artificiale - ovviamente saremo licenziati in massa - e voi potrete abbandonarvi a tutte le perversioni possibili, senza timore che tra i prof ce ne sia uno che, non sia mai, urla contro la polizia! Capre!

È ARRIVATO IL MOMENTO: ECCO PERCHÉ