domenica 30 aprile 2017

Ammenda


Nel febbraio 2016 Marco Mori scrisse le seguenti parole, alle quali non credetti. Faccio ammenda.

«Voglio dire un'amara verità ai tanti movimenti e partiti "sovranisti" che sono nati in questi anni. Lo sapete, vi ammiro, dunque da me potete accettare quello che sto per dirvi.
So che ciascuno è geloso della propria identità, c'è chi addirittura pretende l'esclusiva. Ma sapete quando tutte le sigle sovraniste ed a difesa della Costituzione si uniranno realmente? Accadrà solo quando una singola persona acquisirà una grande visibilità nazionale. Solo allora tutti salteranno sul carro del vincitore.
Prima di tale evento nessuno si unirà a nessuno, la triste verità per cui perderemo anche nel 2018 è solo questa. Chi salverà il Paese, se esiste, sarà solo colui che grazie al suo protagonismo personale riuscirà a prendersi tutto il palcoscenico. A quel punto e solo a quel punto riunirà tutti gli altri.
Incontri, riunioni, adunate, assemblee di persone che nessuno conosce in Italia continueranno solo ad essere movimenti da zero virgola...
Utilissimi per l'attività che porto avanti anche io, quella di informare su certi temi nel territorio, ma inutili a livello politico.
Per vincere nel 2018 serve un leader carismatico, non perforza capace, ma che abbia visibilità pubblica.
Solo un fenomeno mediatico potrebbe portarci alla vittoria.»

martedì 25 aprile 2017

Discorso sul sovranismo-populismo (1)

Post correlato: La fase 2

Con alcuni amici abbiamo avviato una riflessione sulla battaglia politica per la riconquista della sovranità nazionale, nella quale siamo impegnati da anni insieme a tanti in tutta Italia. Decidemmo, ben cinque anni fa, di chiamarci "sovranisti", un termine che non fu accolto in modo convinto da alcuni che pure condividevano le nostre idee, e che oggi preferiscono definirsi "populisti" avendo scelto di adottare un termine coniato dai nostri comuni avversari. E' accaduto che la parola "sovranismo" ci è stata sfilata di mano, ed oggi viene usata da forze politiche che ne riducono il significato politico alla sola uscita dall'euro o poco più, mentre il termine "populismo" è usato, a seconda delle convenienze, da quella fabbrica del falso sistematico che è il M5S. Di ciò non dobbiamo stupirci: ci fossimo chiamati "apriscatole", oggi Alemanno e Starace, per dire, sarebbero "apriscatolisti". E' la politica, cari, che come sappiamo è fondata sull'inganno, come la guerra di cui è la continuazione con altri mezzi; solo apparentemente più pacifici.

Dunque è un fatto: il fronte che si pone l'obiettivo di riconquistare la sovranità nazionale, aka ristabilire la legalità costituzionale, è formato da due rami: i sovranisti propriamente detti, e i populisti. Né gli uni né gli altri professano le idee deformi che il mainstream mediatico, nella compulsiva produzione di fake-news che lo caratterizza, gli ascrive. E' inutile indignarsi per questo, è un dato di fatto: il nemico, se può, bombarda, e noi sovranisti e populisti siamo sotto bombardamento mediatico, come pure oggetto di infiltrazioni ideologiche.

Personalmente non ho mai condiviso la scelta degli amici populisti di adottare questo termine, tirato fuori dal nemico liberista e globalista contro cui ci battiamo, ma questa discussione è ormai superata. Conviene piuttosto domandarsi se questa divisione di fatto delle esigue forze anti liberiste e anti globaliste abbia una sostanza politica di fondo, come io ritengo, o sia frutto di divisioni di altro tipo, magari meno nobili. E' molto probabile, per altro, che se riusciremo a crescere assisteremo a ulteriori ramificazioni dal tronco centrale, il quale, lo ripeto, è costituito dall'obiettivo comune della riconquista della piena sovranità nazionale, aka ripristino della legalità costituzionale.

Un primo passo della riflessione sul sovranismo/populismo sarà un incontro che si terrà nella seconda metà di maggio a Castro dei Volsci. Poiché si tratta di una riflessione, e non di un incontro per organizzare nuovi movimenti, future manifestazioni, coordinamenti e quant'altro, abbiamo scelto di coinvolgere nella discussione un numero ridotto di persone, tutte accomunate da alcune caratteristiche che ci sembrano indispensabili per un dialogo proficuo. Esse sono:

1) Avere una esperienza di impegno e militanza politica sufficientemente lunga. L'incontro, quindi, non sarà di natura divulgativa.
2) Provenire da organizzazioni politiche sia "sovraniste" che "populiste" e non ricoprire, in queste, ruoli di vertice. Ciò al fine di evitare che chi partecipa si senta obbligato a esprimere le posizioni del gruppo di appartenenza piuttosto che il proprio pensiero.
3) Non essere personaggi che, in qualche modo, siano già caduti nella trappola della cooptazione mediatica. Ciò al fine di evitare che l'attenzione e la cura per la propria "immagine pubblica" possano costituire un ostacolo.

Ovviamente la questione principale cui saranno chiamati a riflettere i convenuti è la fase di stallo in cui versa, in Italia, l'istanza politica di riconquista della sovranità, sebbene il dibattito nel nostro paese si sia sviluppato prima e con maggiore profondità rispetto ad altri. L'intenzione è quella di riflettere sia sugli ostacoli oggettivi, costituiti dallo strapotere del fake-flow mediatico e dal controllo algoritmico sui social media, sia su quelli soggettivi, intimamente connessi con la natura e i limiti degli esseri umani. Un elemento, quest'ultimo, che ci pare di rilevante importanza e che dovrebbe essere ben compreso soprattutto dai "populisti", i quali sono in larga maggioranza eredi di quel pensiero politico che ha predicato, per decenni, la possibilità di un sistema socialista di forgiare un "homo novus". La qual cosa, se fosse vera, spiegherebbe perché tanti rivoluzionari cadano così facilmente vittime delle lusinghe dell'individualismo, dopo che per tanto tempo questo "homo novus" è stato forgiato, ahimè, dal liberismo.

Seguiranno, nei prossimi giorni, ulteriori post sul tema, anche a firma di altri che vorranno contribuire al dibattito. Nel frattempo l'organizzazione dell'incontro (20-21 maggio 2017) andrà avanti, e anche di questo sarete informati da questo blog e da altri.

Il 25 aprile nell'anno XIX dell'era €urista


Si festeggia oggi l'anniversario della sconfitta del secondo tentativo della Germania di sottomettere l'intera Europa.

Emersa dalle nebbie della guerra dei trent'anni, questa nazione è dapprima assurta al rango di grande potenza con la vittoria di Sedan, per essere poi sconfitta e umiliata dall'Inghilterra e dalla Francia nella prima guerra mondiale. Nella seconda guerra mondiale il compito di contenere la Germania è stato sostenuto principalmente dall'Unione Sovietica e, in misura minore, dagli anglo-americani, mentre la Francia, sconfitta, ha potuto salvare l'onore politico solo grazie a De Gaulle. Le altre due potenze europee (e mediterranee) oltre alla Francia, ovvero la Spagna e l'Italia, sono state: la prima neutrale in entrambi i confronti; la seconda schierata nella prima guerra mondiale con gli inglesi e i francesi (dopo essere stata alleata della Germania), e  nella seconda guerra mondiale con la Germania (dopo essere stata alleata con l'Inghilterra e la Francia).

Il Brexit e l'elezione di Trump segnalano in modo chiaro che la classica contrapposizione tra la Germania e l'impero anglo-americano si sta riproponendo. Anche il ruolo delle nazioni comprimarie si sta riproducendo: alla Spagna vengono concesse condizioni di deficit negate agli altri paesi dell'eurozona, nel chiaro tentativo di carpirne la neutralità; l'Italia è trattata come un alleato che deve ottemperare alle richieste senza discutere; infine la Russia è un avversaria le cui risorse sono indispensabili per tenere il fronte principale, che resta quello del confronto con l'impero anglo-americano.

Noi italiani siamo chiamati a scegliere. Possiamo restare alleati della Germania sostenendo il terzo tentativo di questa nazione di assumere il controllo economico, e quindi politico e militare, dell'Europa attraverso l'euro e i trattati, con la prospettiva di diventarne i camerieri se questa dovesse prevalere; oppure cambiare alleanza e schierarci con l'impero anglo-americano sperando che la Russia non scelga, questa volta, di accettare il dominio tedesco sull'Europa, sentendosi forte della propria deterrenza nucleare.

In Francia la battaglia infuria già. Può darsi che si formi la figura omotetica della prima battaglia della Marna, oppure che i tedeschi conquistino Parigi.

Certo, quando la storia si ripete lo fa in forma di farsa - che fa rima con moneta scarsa. Ma la guerra è sempre la guerra.

Io, che desidero innanzi tutto che la mia Patria riconquisti la propria sovranità e indipendenza, voterei per Marine Le Pen. Penso cioè che sia meglio, per noi italiani, puntare sulla vittoria dell'impero anglo-americano piuttosto che sulla Germania. Magari mi sbaglio, non ho la pretesa di avere la sfera di cristallo, ma credo che il nostro interesse nazionale sia intrinsecamente contrapposto a quello della Germania (e della repubblica di Vichy).

martedì 18 aprile 2017

La fase 2

Dopo almeno sei anni di sforzi divulgativi, e sebbene molto sia stato fatto, tuttavia occorre introdurre delle novità, almeno sul piano operativo. Continuare con convegni, e attivismo sul web, non può produrre risultati molto maggiori di quanto fin qui ottenuto, che non è poco ma non basta. Affinché nasca un vero movimento di popolo per il ripristino della sovranità costituzionale, è necessario che entrino in gioco moltissimi soggetti a livello locale. Il successo divulgativo di alcuni sovranisti e anti-euro costituisce, oggi, un ostacolo all'ulteriore diffusione di tali idee. Si staglia all'orizzonte il pericolo di una deriva leaderistica che è opportuno mitigare.

Per essere chiari, non è che i leaders non siano necessari, anzi, ma urge un chiarimento su questa figura politica. Si è leader per almeno tre ragioni: prestigio personale, capacità organizzative, peso elettorale. I veri leaders dovrebbero coniugare, con pesi diversi, queste tre caratteristiche, mentre in questa fase solo la prima delle su elencate è rappresentata tra coloro che si propongono come tali.

La fase 1 è andata come è andata, e non poteva andare meglio. Dobbiamo dare atto a coloro che, per loro contingenze esistenziali, avevano alcuni anni fa le competenze necessarie per emergere nella critica al criminale progetto eurista, di aver dato molto. Di ciò gli siamo grati, e ci auguriamo che molti di essi possano, con il prosieguo degli eventi, svolgere ancora un ruolo di primo piano. E' necessario, però, che irrompano nel protagonismo politico nuove forze. Serve una fase 2 nella quale un numero ben maggiore di soggetti, formatisi alle scuole di quanti hanno dato vita alla fase 1, si mettano in gioco.

Quello che era necessario sapere, e capire, del criminale progetto eurista è ormai patrimonio comune, ma siamo davanti al pericolo che le idee contrarie siano addirittura rappresentate da emanazioni degli stessi interessi che lo hanno voluto. La vicenda del M5S è esemplare.

Un vero movimento politico dal basso antieurista, sovranista e costituzionale potrà nascere soltanto se migliaia di persone, da ogni luogo d'Italia, si metteranno in gioco autonomamente spendendo sé stesse nelle loro realtà locali, amplificando e dando concretezza organizzativa ed elettorale alle idee apprese grazie allo sforzo prometeico dei protagonisti della fase 1. Il tempo passa per tutti e la vita, come la lotta di classe, continua.

venerdì 14 aprile 2017

L'economia del pickero

L'ultimo giorno di scuola, all'ultima ora, gli studentelli non hanno voglia di far nulla. Entro in classe e gli dico "oggi facciamola strana", sottinteso la lezione. Entusiasmo! I pargoli sanno bene che quando la facciamo strana, la lezione, si divertono molto. Li faccio avvicinare alla cattedra (sono in pochi) e gli introduco la questione.

Facciamo conto di vivere sulla lontana isola di Pick, che non ha scambi commerciali con l'esterno, governata da un consiglio degli anziani. Sull'isola di Pick gli scambi economici avvengono usando una moneta, il pickero, controllata dal consiglio degli anziani (cda nel seguito). Il governo, ovviamente, deve tassare i pickettiani. Chiedo agli studenti se una tassazione pari al 50% della ricchezza prodotta ogni anno vada bene, facendogli notare che in Italia siamo anche oltre questa percentuale. Acconsentono. Supponiamo, proseguo, che nell'anno zero (ai pischelli insegno informatica, quindi sono abituati al fatto che le grandezze con indice partono da zero) la ricchezza prodotta (pil) sia di 200 mln di pickeri; allora una tassazione del 50% significa un prelievo fiscale di 100 mln di pickeri. Gli chiedo: il cda deve spenderli tutti, oppure è bene che ne metta un po' da parte?

Tutti concordano sul fatto che il cda debba metterne un po' da parte. Perché? gli chiedo. Per i tempi difficili, mi risponde uno dei più svegli. Lo incalzo: quanto deve mettere da parte il cda? Il giovincello, con l'impeto e la "generosità" tipica dell'età risponde d'impulso: la metà.

La sceneggiata della lezione strana prevede che il prof reagisca con enfasi alle risposte assurde del pischellame, per cui mi alzo, mi avvicino allo spigolo di una colonna e comincio a fingere di sbatterci contro la fronte. Gli chiedo di fare due conti. Allora: se nell'anno zero il cda preleva il 50% del pil e ne spende solo la metà (cioè il 25% del pil) quanti pickeri rimangono in circolazione all'inizio dell'anno 1? Rispondono tutti all'unisono: 150. La gallina canta, faccio io, vi sembra una cosa di buon senso? Uno si fa coraggio e dice "però ce ne stanno 50 in cassa, se servono". "E lì stanno bene", gli dico, "ma in tasca a voi pickettiani ce ne stanno di meno, o sbaglio?".

Sentite, gli dico, i prezzi nell'anno 1 che fanno, scendono o salgono? Tutti concordano sul fatto che scendono, al che il tipo sveglio di prima fa "ecco, appunto, ci stanno meno soldi ma i prezzi scendono, e quindi è lo stesso; in più ci sono 25 pickeri in cassa per i tempi difficili".

Lo guardo fisso. Taccio e lo guardo fisso. Silenzio nella classe. Lo guardo fisso, mi alzo e lo prendo per il bavero. "Tuo padre ha un'attività, se non sbaglio. L'anno scorso ha speso per qualche miglioria?" Lui mi fa cenno di sì (conosco i miei polli, lo sapevo) per cui ho gioco facile: "e tuo padre, dopo aver speso soldi in migliorie, è contento che i prezzi scendono?"

Capisco di aver vinto, si chiama plagio della gioventù, una cosa per cui un tipo fu condannato a bere la cicuta. Li invito allora a prendere in considerazione un'ipotesi meno estrema, cioè che ogni anno il cda risparmi il 5% del prelievo fiscale, e non il 50%, e gli chiedo di organizzare una tabella per calcolare la progressiva diminuzione di circolante sull'isola di Pick. Per qualche minuto mi rilasso, mentre i pargoli fanno i calcoli. Ovviamente si incartano ai primi passaggi e passo il resto del tempo a correggere gli errori. Al termine gli dico: "certo, avessimo una lim funzionante (quella che c'è non funge perché la lampada si è rotta da due anni e non ci sono i soldi per sostituirla) potremmo effettuare i calcoli usando un foglio elettronico e avere in un attimo il risultato a 20 anni, ma potete farlo a casa: questo è il compito per le vacanze".

Suona la campanella e i pickettiani sciamano con la velocità della luce. Resto da solo e la tabella al 5% (di surplus primario) me la faccio io, al volo. Eccola:


Adesso mi faccio un caffè, che è meglio della cicuta.

mercoledì 12 aprile 2017

Il sovranismo è statalista e antiliberista

Francesco Maimone ha pubblicato un commento a un post di Orizzonte48 nel quale riporta questo testo di Luigi Einaudi:

«Quando l’uomo socialista (o laburista o, nelle sue sottospecie deteriori, giustizionalista e simigliante varietà in ista) pensa ai monopolisti, il pensiero è ristretto ai monopoli detti capitalistici. Non si ha, invero, notizia di disegni di legge o di proposte o di campagne promosse dai socialisti contro i monopoli operai; non cadendo in mente ad essi che le leghe, o sindacati di lavoratori possano dar luogo a monopoli degni di essere controllati od osservati, al par dei monopoli detti capitalistici, per il danno che possono recare alla collettività.

Eppure non v’ha ragione di escludere che leghe, sindacati od associazioni di lavoratori possano formare monopoli… Gli istituti della assicurazione contro la disoccupazione e della piena occupazione, quando superino il punto critico, sono invero arma potentissima per creare e saldare monopoli operai; ed in primo luogo l’assicurazione contro la disoccupazione. Se l’ammontare del sussidio contro la disoccupazione è tale che il lavoratore preferisca l’ozio al lavoro od il lavoro nascosto, o per frode non denunciato e non smascherato, al lavoro ufficialmente noto, quale probabilità vi è che il salario degli occupati sia quello di mercato, che si verificherebbe se non esistesse il sussidio artificioso dato a coloro che prediligono vivere senza faticare?

Quale limite vi è all’aumento delle remunerazioni, se esiste un meccanismo grazie al quale le leghe operaie possono affrontare i rischi dello sciopero senza svuotare normalmente le loro casse di resistenza, perché l’onere di mantenere gli scioperanti è posto a carico delle casse di disoccupazione?...

Se poi, in virtù della politica della piena occupazione la percentuale dei disoccupati scende all’1 per cento, ossia al disotto di quel 3 o 4 per cento della popolazione lavoratrice per l’esperienza dimostra necessaria per assicurare la mobilità del lavoro, ossia il trasferimento dei lavoratori dalle industrie decadenti a quelle progressive, qual limite vi è alle richieste delle leghe monopoliste? Se la legislazione sui minimi di salario fissa minimi siffatti da cancellare l’interesse dei lavoratori, contenti della sorte garantita dal minimo, a mutare stato, a cercare nuove e migliori occupazioni; non si provoca la cristallizzazione sociale e non si distruggono gli incitamenti a salire ed a migliorare?

Ma, nel mondo degli uomini socialisti, esistono idoli che si chiamano unità della classe lavoratrice, conquiste di orario unico, conquista di diritti all’organico, vincoli alle migrazioni interne, diritto al posto, diritto alla occupazione, divieti di licenziamento, che in linguaggio volgare, equivalgono a monopolio di coloro che sono forniti di occupazione ed obbligo dello stato di sussidiare e dar mezzo di vita a coloro che dalle leggi e dall’opera delle leghe sono privati di occupazione. Tutto ciò vuol dire aumenti inutili di costo, diminuzione della produzione, riduzione della capacità di esportare, difficoltà di importare; creazione di miseria. Ma l’uomo socialista adora gli idoli popolari e l’uomo liberale è peritante nel denunciare monopoli supposti vantaggiosi ai lavoratori.
In verità la lotta contro i monopoli dei lavoratori è ardua forse più di quella contro i monopoli degli imprenditori; ma la difficoltà di affrontare il problema non toglie il dovere di affermare la esistenza…” [L. EINAUDI, Intervento statale nell’economia e lotta ai monopoli secondo “l’uomo liberale” e secondo “l’uomo socialista”, in La Tribuna, 5 maggio 1957, 10-19].»

Consiglio di leggerlo con estrema attenzione, soprattutto sforzandosi di inquadrare la visione sottesa. Che è questa: i lavoratori sono cittadini politicamente subordinati. Essi possono sì partecipare alla vita democratica, ma solo restando confinati all'interno di un recinto di compatibilità economiche tali da non compromettere la valorizzazione del capitale in un regime di concorrenza internazionale. La qual cosa implica che l'obiettivo primario debba essere la stabilità dei prezzi, o addirittura la deflazione salariale quando il sistema paese, delimitato dalla contabilità nazionale, è perdente in termini concorrenziali. In sintesi: quando le cose vanno bene - ovvero il sistema paese è vincente - i prezzi e i salari devono restare stabili, e diminuire quando si è perdenti.

Ora, se i lavoratori sono cittadini subordinati, ciò implica che esistono cittadini sovraordinati: tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri! La logica del dominio di classi sociali su altre è sempre all'opera, che si tratti della degenerazione di una rivoluzione socialista o del modello liberista al culmine del suo potere. Attenzione! Non sto parlando del fatto che vi sono sempre, quale che sia l'architettura istituzionale vigente, individui con maggiori responsabilità e ruoli più importanti che costituiscono una élite con redditi più alti - un fenomeno che ha afflitto tutti i tentativi di costruzione del socialismo - ma del fatto puro e semplice che quando la proprietà collettiva è distribuita in modo diseguale, e nella misura in cui questa disuguaglianza cresce, allora la società è divisa in classi destinate ad essere in lotta. Orbene, la lotta di classe conduce, prima o poi, al predominio di alcune su altre, al limite una sola su tutte le altre, e questo è pacifico. Meno pacifico, e affatto compreso dai più, a mio modesto avviso, è che gli avverbi temporali "prima o poi" non devono essere sottovalutati, perché l'intervallo entro il quale il "prima o poi" non si è ancora avverato è esattamente lo spazio di vita nel quale una civiltà riesce ad esprimersi.

Occorre dunque che il conflitto di classe venga riconosciuto, non già sterilizzato attraverso una dittatura che, dietro una facciata interclassista, finirebbe con il comprimere le libertà politiche e la vitalità sociale, e regolato. Questo miracolo è stato compiuto dalla nostra Costituzione, ed esso è alla base del successivo miracolo economico italiano. L'obiettivo fondamentale è già chiaro dal primo articolo: "l'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione", ed è confermato in tutto l'impianto, ad esempio dall'articolo 47 che recita "La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese."

L'articolo 47 della Costituzione sottolinea ed enfatizza il legame profondo che esiste tra democrazia e proprietà privata diffusa, nella forma di risparmio, proprietà dell'abitazione, della terra coltivata e della partecipazione azionaria all'industria, da perseguire attraverso la disciplina, il coordinamento e il controllo dell'attività creditizia.

L'articolo 47 sostanzia l'affermazione di carattere generale contenuta nell'articolo 3 comma 2 ("E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese") perché la qualifica nel senso del dovere della repubblica di promuovere la proprietà diffusa, e non in quello, caritatevole, del dovere di correre in soccorso di quanti sono in condizioni di bisogno per ragioni economiche. L'idea di proprietà diffusa, non già della collettivizzazione, è l'asse portante della Costituzione del 1948. Una proprietà diffusa che, per realizzarsi, necessita del controllo dell'attività creditizia, dell'intervento diretto dello Stato nell'economia, e, in particolare, di un'azione costante di promozione e ampliamento del welfare, poiché questo è un meccanismo fondamentale attraverso il quale è arginata la tendenza alla concentrazione della proprietà: quando frazioni rilevanti del reddito nazionale sono utilizzate per garantire prestazioni pensionistiche, sanità, assicurazione contro gli infortuni, scuola pubblica, trasporti, energia, telecomunicazioni, gestione del territorio, sicurezza dei cittadini, difesa, tutela della maternità, sicurezza sociale, anche una tendenza all'accentramento della frazione residua del reddito nazionale risulta più facilmente controllabile politicamente. In altre parole, il welfare diffuso costituisce una forma di proprietà, sebbene diffusa, grazie alla quale nessun cittadino è realmente un nullatenente.

Al contrario, un regime economico fondato sull'esaltazione della proprietà privata, oltre ad essere manifestamente contrario alla lettera e allo spirito della Costituzione del 1948, produce masse crescenti di nullatenenti, cittadini al limite della sopravvivenza perché privi delle più elementari tutele. La conseguenza di ciò è, in primo luogo, la fine dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini, e dunque la morte della democrazia. Ed è a questa massa di cittadini non proprietari che si applicano le sprezzanti riflessioni di Luigi Einaudi quando afferma "quale probabilità vi è che il salario degli occupati sia quello di mercato, che si verificherebbe se non esistesse il sussidio artificioso dato a coloro che prediligono vivere senza faticare?"; laddove per "sussidio artificioso" egli intende l'insieme dei diritti conquistati dai cittadini lavoratori grazie alla loro capacità di organizzarsi politicamente. Da qui a pensare di sostituire il suddetto "sussidio artificioso" con un'elemosina benevolmente calata dall'alto, quel tanto che basti per tenerli in vita (hai visto mai che potrebbero servire?) il passo è breve, anzi immediato: e fu il reddito della gleba. Ma anche "reddito di inclusione", per la pudicizia piddina. E naturalmente "reddito di cittadinanza" per gli àscari grillini del liberismo.

I sovranisti, che sono antiliberisti, si distinguono dai socialisti, e ancor più dai comunisti, perché pongono l'accento sulla necessità di promuovere la proprietà diffusa facendo leva sull'interventismo statale. Il cuore dell'idea sovranista consiste nell'affermare che la proprietà diffusa è un bene, e che nessun privato, o gruppo di privati, debba diventare così ricco e influente da condizionare e distorcere l'azione dello Stato per la promozione e difesa di una sua ripartizione che sia la più uniforme possibile.

Coloro che confondono l'idea di proprietà diffusa con i modelli collettivistici fanno opera di disinformazione. Coloro che derubricano il sovranismo alla sola sfera monetaria fanno opera di disinformazione. Sia che si tratti dei sostenitori dei modelli collettivistici, i quali magari sperano di poter sussumere, in un secondo tempo, la spinta sovranista, sia che si tratti di liberisti desiderosi di stemperare gli effetti più nefasti della concorrenza, in ogni caso deve essere chiaro che il sovranismo non è riducibile né agli uni né agli altri. Il sovranismo è costituzionale.
 

martedì 4 aprile 2017

In viaggio con Scardovelli

Densità. La parola giusta è "densità". Un'intervista di quasi un'ora e mezza da seguire con attenzione e concentrazione. Non per tutti, perché oggi, in troppi, non dispongono dei concetti fondamentali per capire, ma per molti. L'augurio è che i molti, col tempo, diventino la maggioranza. Di una cosa sono certo: morirò prima che l'aberrazione del neoliberismo sarà sconfitta, ma alla fine il neoliberismo sarà sconfitto. Quando l'umanità avrà vinto, il neoliberismo sarà ricordato come una cosa peggiore del nazismo.