martedì 31 marzo 2015

Ce lo chiede la Lega Delio-Attica


A livello di opinione pubblica di medio-basso livello è prevalente la convinzione che la cosiddetta "globalizzazione" sia una conseguenza, necessaria e inevitabile, dei grandi progressi tecnologici degli ultimi decenni, in particolare quelli nel settore delle telecomunicazioni. A mio parere si tratta di un'idea del tutto infondata, come argomenterò in questo post.

Non che i progressi tecnici non abbiano importanza nei processi di globalizzazione, ma il loro peso relativo può essere molto variabile. Prenderò ad esempio tre episodi storici di globalizzazione, e mostrerò come solo in un caso i progressi tecnici abbiano avuto un ruolo rilevante nell'innescarle. I periodi ai quali intendo riferirmi sono quello immediatamente successivo alle guerre persiane nel V secolo a.c., il XIX secolo e il periodo attuale.

La "globalizzazione" del V secolo a.c.


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La "globalizzazione" del V secolo a.c., relativa ovviamente solo al piccolo mondo delimitato dalle sponde del mediterraneo orientale, ebbe origine da un trattato internazionale, la Lega delio-attica, promossa da Atene sul finire della seconda guerra persiana nel 478 a.c., cui aderirono quasi duecento polis greche. La Lega nacque per iniziativa di quella che possiamo considerare la "sinistra" dell'epoca, capeggiata da Temistocle ed espressione dei ceti mercantili e artigiani favorevoli ad una politica di espansione nel mar Egeo, in opposizione alla fazione aristocratica che privilegiava l'alleanza con Sparta in funzione difensiva anti persiana. Dopo un decennio di alterne vicende, durante il quale lo stesso Temistocle dovette cedere il potere al capo della fazione aristocratica Milziade, che riportò una schiacciante e definitiva vittoria navale sui persiani, la fazione democratica (de sinistra) finì con il prevalere. La conseguenza fu l'inizio di un periodo di crescenti contrasti con Sparta, e la trasformazione della Lega, che divenne ben presto strumento delle mire espansionistiche della nuova classe mercantile ateniese. Grazie ai versamenti che le polis della Lega dovevano obbligatoriamente devolvere alle casse del tesoro comune Atene riuscì a rafforzare la sua potenza navale, per di più concentrando le commesse per la costruzione delle navi nel Pireo. I tentativi di alcune polis di sottrarsi a tali obblighi furono repressi militarmente, usando la stessa forza militare che esse avevano conferito ad Atene. Il controllo della navigazione nel mar Egeo, infine, consegnò alla classe mercantile ateniese l'egemonia commerciale. Non vi fu, in occasione di questo episodio di "globalizzazione", alcun decisivo miglioramento tecnologico che possa essere invocato come concausa. Si trattò, in definitiva, di un'operazione di puro imperialismo, originatasi dall'avventata adesione delle polis greche a un "trattato internazionale" che finì con il renderle subordinate agli interessi ateniesi.

Illuminanti sono le parole dello storico greco Tucidite, che così descrive i reali rapporti di forza tra gli ateniesi e le altre polis della federazione:

«Tra i numerosi motivi di defezione, primeggiavano il mancato versamento del "contributo", il rifiuto di consegnare le navi e la renitenza al servizio armato, quando toccava. Gli Ateniesi procedevano con inflessibilità; perciò le loro pretese pesavano intollerabili su gente che, non avvezza e meno disposta a durar fatiche, si vedeva costretta da un'energia ferrea a subire le privazioni e le miserie di una guerra continua. Anche per altri e diversi motivi gli Ateniesi esercitavano il comando non più circondati dal consueto favore. Non partecipavano infatti in parità di condizioni alle campagne: per loro era immensamente più facile piegare i ribelli. Ma di questo stato di cose si rendevano responsabili gli alleati stessi: per la loro renitenza al servizio armato, la maggior parte di essi, per poter restare a casa, si lasciava imporre il pagamento di una somma pari in valore alle navi non corrisposte. In tal modo cresceva la potenza navale degli Ateniesi, che vi impegnavano i fondi derivati dalle varie contribuzioni, e gli alleati quando accennavano a un tentativo di rivolta, si trovavano in guerra senza preparazione né esperienza.» (Tucidide, Guerra del Peloponneso, libro I, 99)

Insomma, un "Ce lo chiede la Lega Delio-Attica" che riecheggia sinistramente un refrain al quale ci stiamo abituando, quel "Ce lo chiede l'Europa" figlio, anch'esso, dell'incauta adesione a dei trattati internazionali.

La "globalizzazione" del V secolo a.c. terminò con le guerre del Peloponneso, che sancirono la breve egemonia spartana prima del ciclone Alessandro Magno e, soprattutto, dell'arrivo della nuova potenza emergente, la Repubblica Romana.

La "globalizzazione" del XIX secolo


Nel XIX secolo le cose andarono diversamente. E' vero, si impose il gold-standard, ma non si può parlare, in questo caso, di un trattato internazionale in senso stretto, perché nulla obbligava gli Stati che ad esso si conformarono al suo rispetto: in questo caso ci troviamo davanti a uno standard de-facto, che si impose con la forza delle convenienze reciproche delle borghesie nazionali che dominavano gli Stati europei. In compenso, quella fu un'epoca di straordinarie innovazioni tecniche. Navigare con la forza del vapore invece che con il vento, e subito dopo con la tecnologia dei motori a combustione interna, rappresentò un cambiamento radicale. La nascita del telegrafo e del telefono, lo sviluppo delle ferrovie, l'industria del ferro e del carbone, la sintesi di nuovi materiali grazie ai progressi della chimica, mutarono radicalmente e velocemente il quadro economico. Il gold-standard, in questo contesto, si impose come una sorta di quadro normativo neutrale nei cui confini la concorrenza tra i nuovi padroni del mondo, i grandi detentori di capitali, si svolgeva senza esclusione di colpi. Nulla era più come prima: questa "globalizzazione" era effettivamente causata e alimentata dagli stupefacenti progressi tecnologici, dei quali era contemporaneamente causa ed effetto.

Anche questa "globalizzazione", come quella del V secolo a.c., terminò con una guerra. Nel 1914 il rapporto tra il valore degli scambi commerciali e il PIL mondiale era dello stesso ordine di grandezza di quello odierno, ma questa cornucopia non solo non rappresentò un ostacolo alla Grande Guerra, ma anzi ne fu la causa scatenante. Nel dopoguerra vi furono tentativi di ricostituire un regime di gold-standard, soprattutto per impulso della Gran Bretagna, ma la crisi del 1929 ne sancì la fine. Da quel momento, e per mezzo secolo, di globalizzazione non si parlò più.

La "globalizzazione" moderna


Nel 1980 le merci viaggiavano ad una velocità non dissimile da quella odierna. Il sistema di telecomunicazioni, come oggi, copriva l'intero pianeta. I computer esistevano già. La velocità degli aerei era simile a quella di oggi. C'erano, come oggi, reti ferroviarie e stradali, e grandi opere di ingegneria. Gli scambi commerciali poggiavano su un sistema bancario che usava una tecnica contabile non dissimile da quella odierna. Le reti televisive, commerciali e non, coprivano tutto il pianeta. Le armi atomiche c'erano allora come oggi. Ci sono stati cambiamenti tecnologici, questo è vero, ma nella continuità, senza nessuna vera innovazione paragonabile a quelle verificatesi nei decenni conclusivi del XIX secolo. Paradossalmente, ci sono stati più cambiamenti tecnologici nei decenni che hanno preceduto questa "globalizzazione", che non da quando essa ha iniziato a dispiegare i suoi effetti nella vita di ognuno di noi! Mancava, per capirci, una "spintarella"... che è arrivata.

Eppure si parla di una "globalizzazione" che sarebbe figlia dei progressi tecnologici! Questa favola, perché di ciò si tratta e di null'altro, è stata data in pasto alle opinioni pubbliche utilizzando, ironia della sorte, proprio l'unica tecnologia che, pur evolvendosi senza soluzione di continuità dalle prime reti telematiche fino all'Internet dei nostri giorni, avrebbe dovuto garantire una maggiore consapevolezza nella partecipazione alla vita pubblica di tutti i cittadini. La favola della "globalizzazione" guidata da Internet si è affermata grazie a un'attenta operazione di natura culturale, alimentata dal contributo di intellettuali sedotti dalla possibilità di emergere propalando la mistica per cui tutto è nella rete e la rete è nel tutto, in ciò ampiamente supportati dall'editoria padronale e dallo spirito di emulazione di milioni e milioni di ignoranti un tanto al chilo che, illusi dal fatto di padroneggiare l'abbiccì di una nuova tecnologia, si sono sentiti, ognuno nel suo piccolo, protagonisti di un cambiamento epocale.

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Il vero driver della "globalizzazione" moderna è stato, come già nel V secolo a.c., la politica, attraverso la ratifica di una serie di trattati internazionali che hanno letteralmente cambiato il mondo. Si è cominciato con l'Uruguay Round del 1986, conclusosi nel 1994, che pose fine all'accordo GATT ratificato nel 1947. Il GATT è stato poi sostituito dal WTO (World Trade Organization - 1995), e nel mezzo ci sono stati l'Atto unico europeo (1986) e il trattato di Maastricht (1992), seguiti dal trattato di Amsterdam(1996) e dall'Unione Monetaria Europea (1999). E adesso si parla di TTIP.

Particolare non trascurabile: la storia inizia nel 1986, tre anni prima della caduta del muro di Berlino. Esattamente come accadde nel V secolo, allorché la Lega Delio-Attica venne costituita in concomitanza con la fine delle guerre persiane!

Nota Illo-style: Ora io non pretendo che dei neo-alfabetizzati digitali, gente che quando il sottoscritto faceva da anni il programmatore sistemista ad alto livello non sapeva nemmeno cosa fosse una memoria ram, non si occupino delle nuove tecnologie, ma da qui a pensare che la rete sia nata con i social ce ne corre! E qui il pensiero corre alle famose picconate del grullo...


Se Historia magistra vitae, come può finire secondo voi questa "globalizzazione" moderna? La prima di quelle cui ho brevemente accennato è finita con una guerra. La seconda è finita con una guerra. La terza? Per non parlare delle altre: nihil sub sole novi.

Eppure il mondo è pieno di imbecilli che pensano che oggi c'è Internet... che le nuove tecnologie... che non si può fermare il progresso... piccoli scemi che credono di partecipare ad una nuova era di democrazia digitale, illusi da un grande scemo cui è stata spianata la strada verso un effimero successo proprio perché non tocca i fili ad alta tensione della politica vera. 

lunedì 30 marzo 2015

La Sovranità non è una pubblicità ingannevole!

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Antefatto


Glauco Benigni e Claudio Messora
Un lettore mi segnala, in un commento sul blog, la pubblicazione di un articolo a firma di Glauco Benigni (La Sovranità? Pubblicità ingannevole!) sul sito byoblu curato da Claudio Messora.

La lettura dell'articolo di Benigni mi ha molto irritato, ma non avrei dato soverchia importanza alla cosa se esso fosse apparso su un sito qualunque, e non su byoblu. Non mancano, infatti, esempi continui di critica all'idea di sovranità per mezzo di analisi che seguono approcci diversi. Per dire: l'idea di sovranità viene descritta come fantasiosa da quelli che "oggi c'è la Cina", ma anche come funzionale agli interessi del capitalismo dai fanatici dell'internazionalismo. Avrei quindi potuto bellamente ignorare l'articolo, e limitarmi a rispondere ai commenti che l'autore stesso ha scritto in coda al citato post sul mio blog.

Tuttavia il fatto che l'articolo di Benigni sia stato pubblicato da byoblu ne amplifica l'importanza, a dispetto del fatto che Claudio Messora, in un post di qualche giorno dopo, lo abbia derubricato al rango di "contributo interessante". La ragione di ciò è la contiguità di Messora con il M5S e l'importante ruolo che ha svolto per esso, e forse svolge ancora. Sia come sia, il sito byobly è un punto di riferimento per l'area grillina, e dunque la comparsa di un articolo come quello scritto dal Benigni ha la sua importanza.

L'articolo di Glauco Benigni


Ma cosa ha scritto Benigni di così grave? L'incipit lascia a bocca aperta: «Evocare la Sovranità Repubblicana Nazionale concepita nel secolo scorso, quale facile soluzione al groviglio di problemi che attanagliano il Paese, è un azzardo da valutare con serietà e forse da evitare. Evocare la Sovranità significa infatti lasciar credere al Popolo che il nostro Stato e il nostro futuro Governo possano “ancora” esercitare libere scelte sul proprio territorio. Io, purtroppo, non credo che ciò sia vero. E pertanto lo ritengo un problema che si va ad aggiungere agli esistenti.»

In questa frasetta vengono enunciati due concetti:
  1. La "sovranità" non è una soluzione facile al groviglio di problemi che attanagliano ecc.. ecc..
  2. Farlo è, in sovrappiù, cosa pericolosa che è meglio evitare
Se il primo enunciato è opinabile, il secondo lascia trasecolati. Già, perché delle due l'una: o l'enunciato è vero, e allora lo si dovrebbe pronunciare nel segreto di qualche associazione di resistenti pronti a tutto, oppure è falso e allora scrivere una tal cosa è da disfattisti. Un conto, infatti, è affermare pubblicamente che non c'è più democrazia, altro è scrivere che è meglio tacere perché parlare di sovranità è "un azzardo da evitare con serietà e forse da evitare".

Vengo al primo enunciato. Il Benigni argomenta (sto evidenziando i passaggi salienti dell'articolo): «I limiti a quel sogno di Sovranità – a causa di una serie di accelerazioni e mutazioni della geopolitica che i Media mainstream chiamano “Globalizzazione”- si sono rafforzati ed estesi al punto di mutare l’idea guida originaria di Sovranità formulata nel secolo scorso. In dettaglio: si sono rafforzati i limiti di fatto e i limiti di diritto.»

Più avanti aggiunge: «Vorrei essere chiaro: tutto ciò non è un film dell’horror (anche se talvolta può sembrarlo), si chiama Storia degli Umani in via di evoluzione sul Pianeta Terra. E dunque mi sembra corretto porre la questione alle menti più evolute, lucide e generose : evocare la Sovranità ombrello che non c’è, che non c’è più, che non c’è mai stata, che non potrà esserci così come è stata sognata, è un problema! E’ un problema perchè la semplice evocazione, senza chiarire che è un ombrello colabrodo, seduce e rassicura maldestramente l’anima collettiva. E’ una specie di pubblicità ingannevole, perchè promuove aspettative irreali, perchè l’eventuale battaglia e la stessa organizzazione delle forze vitali per il ritorno a “quella Sovranità” conduce su un binario morto della geopolitica. La Sovranità repubblicana italiana e i suoi annessi e connessi sono pericolosi perchè “finti”: un teatrino con protagonisti reali, eroiche imprese e martiri ma con registi e impresari indefiniti, mascherati.»

Il ragionamento è capzioso, e la cosa appare evidente se si mette per un momento da parte l'idea ingenua di "sovranità" che Benigni sembra voler ascrivere ai sovranisti. E' sufficiente, a tal fine, sostituire il termine "sovranità" con "perseguimento dell'interesse nazionale", che della sovranità, quale che sia la sua più o meno compiuta realizzazione, è l'immediato corollario. L'ultimo capoverso, allora, suonerebbe più o meno così: Il perseguimento dell'interesse nazionale della repubblicana italiana e i suoi annessi e connessi sono pericolosi perchè “finti”: un teatrino con protagonisti reali, eroiche imprese e martiri ma con registi e impresari indefiniti, mascherati. 

Lascio ai lettori il piacere di continuare il gioco con il resto dell'articolo.

Ebbene questa è, ai miei occhi, una resa senza condizioni. La sostanza della narrazione veicolata è che ci sono forze contro le quali combattere è non solo inutile, ma addirittura pericoloso, e che occorre rassegnarsi al fatto che il perseguimento dell'interesse nazionale altro non sia che «un teatrino con protagonisti reali, eroiche imprese e martiri ma con registi e impresari indefiniti, mascherati». E dunque che i sovranisti sono manovrati! Magari inconsapevolmente, aggiungo provando ad interpretare più a fondo il benigni-pensiero, ma comunque manovrati, in definitiva degli utili idioti.

Mi corre l'obbligo di ricordare al Benigni che questa idea ingenua di sovranità non alligna nel campo sovranista. Noi sappiamo benissimo che la sovranità è un valore relativo, condizionato dai rapporti di forza reali, e dunque che essa deve essere intesa come una tensione spirituale e politica costante, non come un dato digitale on/off. Neppure la potenza dominante, gli USA, sono pienamente "sovrani" nel senso on/off veicolato dalle argomentazioni del Benigni. Eppure, mentre gli Stati Uniti non cessano di perseguire l'interesse nazionale, e guai a quel politico che osasse mettere in dubbio tale diritto, qui da noi ci si fa belli nel sostenere che questo è un comportamento inutile, pericoloso, e che addirittura chi ha a cuore l'interesse nazionale in realtà lavora per il re di Prussia!

Il finale dell'articolo del Benigni chiarisce altri aspetti del suo pensiero: «Negli anni, fra l’altro, tale Sovranità Ltd. è entrata a far parte del grande sogno collettivo oggi abortito dalle democrazie costituzionali occidentali, che dopo aver promesso welfare e progresso senza limiti, da 4-5 anni fanno i conti con i limiti strutturali del Pianeta terra e con le piaghe delle crisi finanziarie non risolte.».

Dunque, per il Benigni, la crisi del sogno di sovranità delle democrazie occidentali si sarebbe infranto contro il muro dei "limiti strutturali del pianeta terra e con le piaghe delle crisi finanziarie non risolte". E questa è una tesi veramente fantastica. Lo è perché la crisi che stiamo vivendo non è una crisi da mancanza di risorse bensì da sovrapproduzione, che solo in Europa non è stata superata perché qui i rapporti di debito/credito hanno come principali titolari soprattutto gli Stati nazionali, uniti da una moneta disfunzionale ma divisi, eccome se divisi! dal fatto di aver mantenuto, ognuno di essi, una propria contabilità nazionale.

Aggiungo che le cosiddette "crisi finanziarie", almeno momentaneamente risolte (negli USA e in UK) o non risolte (in Europa) traggono tutte la loro origine nel fatto che, da almeno trent'anni, è stato interrotto il meccanismo redistributivo verso il basso degli aumenti di produttività; e che ciò è avvenuto per il mutamento degli equilibri politici negli USA che le altre nazioni dell'occidente hanno dovuto (o voluto, ad opera delle loro classi dominanti) supinamente subire proprio a causa di un "deficit di sovranità". Nella sostanza quello che è accaduto è che ciò che va bene agli Stati Uniti deve andar bene per tutte le altre nazioni. Si chiama "Washington consensus".

Le proteste, la nota di Messora e la chiosa di Glauco Benigni


Credo che la pubblicazione dell'articolo di Benigni abbia dato la stura a qualche protesta, non solo sul mio piccolo blog. Dalla chiosa del Benigni deduco tuttavia che egli confonde il movimento sovranista con alcune frange del M5S che flirtano con questo concetto, ma che definire effettivamente parte del movimento sovranista è più che arduo. La riprova di ciò è in questo passaggio, laddove egli scrive: «Non credo che Messora – come qualcuno insinua – abbia voluto utilizzare il mio articolo per colpire il progetto sovranista del M5S (ndr messora: qui c’è qualcuno che si fa di sostanze pesanti).».

Al netto della battuta conclusiva, credo sia necessario che il Benigni si scolpisca bene in testa che, allo stato, non esiste alcun progetto sovranista del M5S, a meno di non voler dare inizio al solito trito e disgustoso balletto semantico consistente nell'appropriarsi del linguaggio altrui una volta che questo comincia ad affermarsi nell'immaginario politico. Credo che il Benigni sia in buona fede, ma colgo l'occasione per ribadire, sottolineare, evidenziare, rimarcare, affermare con estremo vigore che il movimento sovranista è nato, si sta sviluppando e continuerà a farlo fuori dal recinto del M5S!

Lo dico in modo più diretto: appropriarsi del termine "sovranismo" da parte del M5S o di chiunque altro, senza una rottura decisa e definitiva con il proprio passato che arrivi, come minimo, all'autoscioglimento e alla nascita di un nuovo movimento che sia una frazione del più vasto movimento sovranista, è un comportamento fascista!

Ciò detto senza offesa per i fascisti, che almeno hanno il buon gusto di definirsi per quello che sono.

Momentanea conclusione


Credo che, per il momento, quanto scritto possa bastare, e resto in attesa di eventuali reazioni da parte di Benigni e Messora. Sul mio piccolo blog si è già sviluppata un'aspra polemica con il Benigni che spero possa continuare su binari meno animosi, a patto che egli voglia por fine a una coppia di comportamenti:
  1. Confondere la realtà del sovranismo italiano con i pur interessanti vagiti provenienti dalla base del M5S.
  2. Parlare con il dovuto rispetto dei sovranisti italiani, che sono una realtà piccola ma ben strutturata e composta da militanti preparati che da anni, talvolta da decenni, vivono la politica con la passione del cuore e la razionalità della mente.
In altre parole, quando si parla di "sovranismo" ci si rivolga ai "sovranisti", e non a quanti si appropriano della parole senza ben comprenderne il significato; Inoltre si metta da parte, una volta e per sempre, la facile e falsa narrazione tendente ad equipararci ad una delle fantasmagoriche sette gombloddisde che popolano il web 2.0. Se queste condizioni saranno rispettate ne guadagnerà la qualità del confronto, anche con coloro che sono affascinati da visioni globaliste, come temo temo che sia per l'ottimo Glauco Benigni. 

Quanto a Messora: usque tandem potrai tenere il piede in due scarpe?

domenica 29 marzo 2015

'A corruZZZione

Link correlato: I promessi sposi (testo integrale)

Fino dall'otto aprile dell'anno 1583, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Carlo d'Aragon, Principe di Castelvetrano, Duca di Terranuova, Marchese d'Avola, Conte di Burgeto, grande Ammiraglio, e gran Contestabile di Sicilia, Governatore di Milano e Capitan Generale di Sua Maestà Cattolica in Italia, pienamente informato della intollerabile miseria in che è vivuta e vive questa città di Milano, per cagione dei bravi e vagabondi, pubblica un bando contro di essi. Dichiara e diffinisce tutti coloro essere compresi in questo bando, e doversi ritenere bravi e vagabondi... i quali, essendo forestieri o del paese, non hanno esercizio alcuno, od avendolo, non lo fanno... ma, senza salario, o pur con esso, s'appoggiano a qualche cavaliere o gentiluomo, officiale o mercante... per fargli spalle e favore, o veramente, come si può presumere, per tendere insidie ad altri... A tutti costoro ordina che, nel termine di giorni sei, abbiano a sgomberare il paese, intima la galera a' renitenti, e dà a tutti gli ufiziali della giustizia le più stranamente ampie e indefinite facoltà, per l'esecuzione dell'ordine. Ma, nell'anno seguente, il 12 aprile, scorgendo il detto signore, che questa Città è tuttavia piena di detti bravi... tornati a vivere come prima vivevano, non punto mutato il costume loro, né scemato il numero, dà fuori un'altra grida, ancor più vigorosa e notabile, nella quale, tra l'altre ordinazioni, prescrive:

Che qualsivoglia persona, così di questa Città, come forestiera, che per due testimonj consterà esser tenuto, e comunemente riputato per bravo, et aver tal nome, ancorché non si verifichi aver fatto delitto alcuno... per questa sola riputazione di bravo, senza altri indizj, possa dai detti giudici e da ognuno di loro esser posto alla corda et al tormento, per processo informativo... et ancorché non confessi delitto alcuno, tuttavia sia mandato alla galea, per detto triennio, per la sola opinione e nome di bravo, come di sopra. Tutto ciò, e il di più che si tralascia, perché Sua Eccellenza è risoluta di voler essere obbedita da ognuno.

All'udir parole d'un tanto signore, così gagliarde e sicure, e accompagnate da tali ordini, viene una gran voglia di credere che, al solo rimbombo di esse, tutti i bravi siano scomparsi per sempre. Ma la testimonianza d'un signore non meno autorevole, né meno dotato di nomi, ci obbliga a credere tutto il contrario. È questi l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signor Juan Fernandez de Velasco, Contestabile di Castiglia, Cameriero maggiore di Sua Maestà, Duca della Città di Frias, Conte di Haro e Castelnovo, Signore della Casa di Velasco, e di quella delli sette Infanti di Lara, Governatore dello Stato di Milano, etc. Il 5 giugno dell'anno 1593, pienamente informato anche lui di quanto danno e rovine sieno... i bravi e vagabondi, e del pessimo effetto che tal sorta di gente, fa contra il ben pubblico, et in delusione della giustizia, intima loro di nuovo che, nel termine di giorni sei, abbiano a sbrattare il paese, ripetendo a un dipresso le prescrizioni e le minacce medesime del suo predecessore. Il 23 maggio poi dell'anno 1598, informato, con non poco dispiacere dell'animo suo, che... ogni dì più in questa Città e Stato va crescendo il numero di questi tali(bravi e vagabondi), né di loro, giorno e notte, altro si sente che ferite appostatamente date, omicidii e ruberie et ogni altra qualità di delitti, ai quali si rendono più facili, confidati essi bravi d'essere aiutati dai capi e fautori loro... prescrive di nuovo gli stessi rimedi, accrescendo la dose, come s'usa nelle malattie ostinate. Ognuno dunque, conchiude poi, onninamente si guardi di contravvenire in parte alcuna alla grida presente, perché, in luogo di provare la clemenza di Sua Eccellenza, proverà il rigore, e l'ira sua... essendo risoluta e determinata che questa sia l'ultima e perentoria monizione.

Non fu però di questo parere l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Pietro Enriquez de Acevedo, Conte di Fuentes, Capitano, e Governatore dello Stato di Milano; non fu di questo parere, e per buone ragioni. Pienamente informato della miseria in che vive questa Città e Stato per cagione del gran numero di bravi che in esso abbonda... e risoluto di totalmente estirpare seme tanto pernizioso, dà fuori, il 5 decembre 1600, una nuova grida piena anch'essa di severissime comminazioni, con fermo proponimento che, con ogni rigore, e senza speranza di remissione, siano onninamente eseguite.

Convien credere però che non ci si mettesse con tutta quella buona voglia che sapeva impiegare nell'ordir cabale, e nel suscitar nemici al suo gran nemico Enrico IV; giacché, per questa parte, la storia attesta come riuscisse ad armare contro quel re il duca di Savoia, a cui fece perder più d'una città; come riuscisse a far congiurare il duca di Biron, a cui fece perder la testa; ma, per ciò che riguarda quel seme tanto pernizioso de' bravi, certo è che esso continuava a germogliare, il 22 settembre dell'anno 1612. In quel giorno l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Giovanni de Mendozza, Marchese de la Hynojosa, Gentiluomo etc., Governatore etc., pensò seriamente ad estirparlo. A quest'effetto, spedì a Pandolfo e Marco Tullio Malatesti, stampatori regii camerali, la solita grida, corretta ed accresciuta, perché la stampassero ad esterminio de' bravi. Ma questi vissero ancora per ricevere, il 24 decembre dell'anno 1618, gli stessi e più forti colpi dall'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Don Gomez Suarez de Figueroa, Duca di Feria, etc., Governatore etc. Però, non essendo essi morti neppur di quelli, l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, il Signor Gonzalo Fernandez di Cordova, sotto il cui governo accadde la passeggiata di don Abbondio, s'era trovato costretto a ricorreggere e ripubblicare la solita grida contro i bravi, il giorno 5 ottobre del 1627, cioè un anno, un mese e due giorni prima di quel memorabile avvenimento.

Né fu questa l'ultima pubblicazione; ma noi delle posteriori non crediamo dover far menzione, come di cosa che esce dal periodo della nostra storia. Ne accenneremo soltanto una del 13 febbraio dell'anno 1632, nella quale l'Illustrissimo ed Eccellentissimo Signore, el Duque de Feria, per la seconda volta governatore, ci avvisa che le maggiori sceleraggini procedono da quelli che chiamano bravi. Questo basta ad assicurarci che, nel tempo di cui noi trattiamo, c'era de' bravi tuttavia.

Blitz sovranista

Il Comitato provinciale in difesa della Costituzione di Frosinone ha organizzato un convegno a San Donato Val Comino (Ciociaria borbonica) per parlare di jobs act. Il comitato, con il quale circa un anno fa l'ARS organizzò a Frosinone un incontro con Luciano Barra Caracciolo, ha invitato questa volta Michele Prospero.

Memore della timidezza con cui il comitato, smentendo la propria impegnativa denominazione, prende posizione contro il golpe costituzionale rappresentato dai trattati europei (mitica la rampogna di Luciano Barra Caracciolo ad uno dei più cauti esponenti del comitato), ho deciso di mettere in atto un piccolo blitz sovranista. Nessun "gesto eclatante", per carità, ma solo un breve e calibrato intervento, di quelli che lasciano il segno.

In effetti Michele Prospero, nel corso della sua relazione (manca la parte iniziale, causa mio ritardo) parlando di jobs act si è ben guardato dal citare l'euro e l'Unione Europea (fatto confermatomi da chi aveva assistito fin dall'inizio). Offro al vostro diletto le riprese del suo intervento e il blitz sovranista che ho messo in atto, coadiuvato dall'amico Gianluigi Leone (socio ARS) colà presente.

Credo che questo genere di azioni, sempre condotte nel più rigoroso rispetto ma con la precisa determinazione di esporre punti di vista basati su dati di fatto incontestabili e, sovente, stranamente sottaciuti, debba diventare una sana abitudine dei sovranisti.







L'intervento di Luciano Granieri, di Aut-Frosinone




Intervista a Michele Prospero di Luciano Granieri (Aut-Frosinone)

venerdì 27 marzo 2015

So' n'omo de chiesa!

Vi faccio inkazzare

La nostra visione del mondo è determinata dalle narrazioni vincenti, quelle che si impongono come "vere". A proposito di nazzazioni vincenti, vi propongo questa lunga playlist youtube (Capire l'economia). Guardatela pure, ma vi anticipo che vi verrà voglia di metter mano alla radeca... per bastonare lo schermo del vostro dispositivo di visualizzazione.

Da quando a decine di migliaia di italiani è tornata la voglia di fare politica, a causa della tragedia dell'euro e dell'UE, molte cose sono cambiate, sebbene non sia passato molto tempo. Di conseguenza sono fiducioso (e per i frequentatori di questo piccolo blog si tratta di una certezza) che saprete cogliere le numerosissime lievi imprecisioni e aporie di questa narrazione... ex vincente.

Nota: osserviamo anche la prosopopea di molti dei relatori. Hanno l'aria di voler dire "Io so' io e voi non siete un cazzo". Per poter continuare a farlo, hanno bisogno che l'istruzione pubblica venga distrutta.

Link correlato: LIBERISMO E LIBERALISMO: LA LIBERTA' NON E' UN BENE IN SE' MA LA INSINDACABILE RAZIONALITA' DEL MERCATO (orizzonte48... e in generale tutto il blog di orizzonte48)

giovedì 26 marzo 2015

Scusate, ma ho un attacco di gombloddismo

Mi è venuto. Mi è venuto l'attacco di gombloddismo perché questa storia del volo 4U9525 della Germanwings precipitato nel sud della Francia mi puzza.

Ho già trovato grazie a una segnalazione su FB questo articolo, nel quale si sostiene che la causa dell'incidente sarebbe da ricercarsi in un test, della US Air Force, di un sistema laser "con il suo High Energy Liquid Laser Area Defense System (HELLADS) nel tentativo di abbattere un veicolo di rientro di un ICBM, ma che invece ha distrutto l’aereo civile uccidendo i 150 passeggeri a bordo". Secondo l'articolo il test avrebbe prodotto disturbi elettromagnetici capaci di mettere fuori combattimento la strumentazione di bordo. Ipotesi possibile, alla luce dei problemi (accertati) causati da cellulari e computer portatili il cui uso è vietato a bordo.

Voi seguite i link segnalati, e io vi spiego perché mi è venuto l'attacchetto di gombloddismo. Alcune circostanze mi appaiono piuttosto strane.
  1. Perché tre capi di Stato europei si precipitano a Seine les Alpes prima ancora che i rottami dell'aereo vengano individuati? Una cosa mai accaduta prima.
  2. Perché, per quale ragione, alcuni equipaggi della Germanwings si sono rifiutati di volare dopo l’incidente? La cosa mi puzza, anche se i giornali hanno riportato che considerano l'incidente legato alle riparazioni dei portelli anteriori del carrello di atterraggio effettuate lunedì 23 marzo.
  3. Come mai un giovane di 28 anni, che "aveva ricevuto nel 2013 il Certificato di Eccellenza della FAA (la Federal Aviation Administration, l'ente che regola l'aviazione Usa) per aver superato, assieme a un gruppo scelto di altri piloti, i test americani dei «più elevati standard medici e di formazione»", descritto dai suoi conoscenti come persona calma e tranquilla, all'improvviso, senza alcun segnale esteriore, impazzisce e fa una cosa orribile come trascinare con se 150 persone nella tomba?
  4. Come mai non si parla, a proposito delle registrazioni della scatola nera, delle voci dei controllori di volo che sicuramente hanno chiamato la cabina di pilotaggio?
  5. Se il primo pilota ha preso a calci la porta della cabina di pilotaggio, come mai i passeggeri e gli stewards non si sono accorti di nulla e non hanno nemmeno provato a fare una telefonata?
  6. Dalle immagini che ho potuto vedere, non mi sembra che vi siano tracce dell'impatto di un oggetto del peso di diverse decine di tonnellate.
Insomma, mi è venuto l'attacchetto di gombloddismo, ma vorrei tanto guarire. Solo che una lettura rapida del sito in cui si descrive il sistema HELLADS mi ha prostrato definitivamente. Il sito mi appare affidabile (per altro una ricerca whois mi riporta che il sito è stato registrato nel 1996, dunque è improbabile che si tratti di un sito di gombloddisti di quelli proliferati con il web 2.0).

Aggiungo che il sito in questione appare collegato ad un altro, strategicdefenceintelligence.com, che ha tutta l'aria di un portale dedicato al business degli armamenti che si descrive così sulla sua home-page: "Strategic Defence Intelligence is a real-time business information platform delivering continuously updated customer and competitor intelligence, as well as detailed industry and competitor reports, enabling you to monitor all key activity in the global defence industry".

Ma quello che mi ha più allarmato è stata la descrizione del sistema HELLADS, che mi appare del tutto plausibile sulla base delle mie pur non eccelse conoscenze (ma sono pur sempre un "ingegniere", ekkekkazzo!). Ho anche trovato un video su YT, che mi ha fatto skizzare il tasso di gombloddismo:


Questa è la descrizione del video: "Pubblicato il 09 mag 2013
The Lockheed Martin Area Defense Anti-munitions (ADAM) prototype laser weapon system successfully destroys a Qassam-like rocket target in an operationally representative free-flyer scenario at a range of 1.5 kilometers on April 22, 2013, replicating similar demonstrations conducted starting in March 2013. For more information, go to: www.lockheedmartin.com/adam".

Per finire guardatevi questo filmato, relativo al sistema ADAM della Lockeedmartin, un po più "vecchio" del più innovativo sistema HELLADS.


Appello!


Voglio guarire da questo attacco di gombloddismo, vi prego aiutatemi!

L'ombra di von Hayek

C'è un filo nero che unisce Silvio Berlusconi, sdoganatore del MSI e storico alleato della Lega, con alcune posizioni di critica "da destra" della moneta unica? La lettura di questo articolo del giornale.it, Euro per tutti? No grazie. Le lezioni di Hayek contro la moneta unica [ilgiornale.it 15-03-2015], suggerisce di sì.

L'articolo, firmato da Carlo Lottieri (cofondatore dell'Istituto Bruno Leoni - qui un elenco dei suoi ultimi articoli), inizia ricordando che «Il grande economista liberale morì prima della creazione della nuova valuta. Ma come dimostrano i suoi scritti l'avrebbe certamente avversata», e che Hayek aveva certamente auspicato «l'unificazione economica dell'Europa occidentale» esprimendo però «seri dubbi sull'utilità di farlo mediante la creazione di una nuova moneta europea gestita da una sorta di autorità sovranazionale».

Una prima osservazione da fare riguarda il fatto che von Hayek parlava di «unificazione economica dell'Europa occidentale», mentre l'UE si è lanciata in una accelerata espansione ad est, per volere soprattutto della Germania.

Nel prosieguo dell'articolo Carlo Lottieri sottolinea come il pensiero di von Hayek sia mutato nel tempo, passando da una visione in cui si sostiene che «un'effettiva politica monetaria razionale possa essere attuata solo da un'autorità monetaria internazionale o tramite, in ogni caso, la più stretta collaborazione delle autorità nazionali» ad una nuova secondo la quale occorre «mettere in concorrenza le valute, suggerendo una soluzione diametralmente opposta a quella della moneta unica».

Scopriamo così che von Hayek era per i cambi flessibili!

Flessibili sì, ma in che senso? Non certo nel senso di favorire quello che Hayek chiama il «nazionalismo economico», che egli considera una conseguenza della visione di Keynes, il quale riteneva che occorresse «ridurre al minimo l'interdipendenza tra le economie e che per conseguire tale risultato si debba garantire alle banche centrali la possibilità di manipolare la moneta di Stato»! Per von Hayek, dunque, vanno evitati sia gli interventi delle banche centrali nazionali, che condurrebbero al «nazionalismo economico», sia gli «interventismi sovranazionali» sul modello della BCE. La soluzione, auspicata da von Hayek, prevede invece che le monete competano tra loro, in un ordine che Lottieri definisce di «free banking».

Il tardo von Hayek immagina allora che «una gestione oculata delle valute non sarebbe affidata a un monopolio chiamato al rispetto di regole predefinite, di ordine costituzionale, ma deriverebbe dalla necessità per ogni moneta di essere apprezzata e godere del credito altrui. La questione monetaria finisce quindi per rinviare al tema degli ordini spontanei e autoregolati: in economia come nel diritto.». Von Hayek propone così che «gli attori economici possano scegliere tra monete di mercato. Ogni Paese dovrebbe consentire la piena circolazione delle valute straniere e anche permettere ai privati di crearne altre.».

Ove per "piena circolazione" si deve intendere, i suppose, anche la libertà di imposizione, da parte dei creditori, del mezzo di pagamento monetario più conveniente, per ESSI, ai fini dell'estinzione degli obblighi dei debitori.

Non so se è chiaro ma, qualora non lo fosse, credo che questa chiosa di Lottieri sia illuminante: «Leggere in Hayek un nemico dell'euro non è quindi un'operazione anacronistica e neppure una forzatura. Ma la sua prospettiva ha poco a che fare con il populismo demagogico di chi vorrebbe tornare alla lira solo per evitare ogni rigore, rinchiuderci entro i confini italiani e portarci entro una spirale inflazionistica perfino più drammatica di quella che l'Europa intera (a causa delle politiche espansive della Bce) sta per conoscere.».

Devo dire che la lettura di questo articolo di Carlo Lottieri è stata, per me, come l'accensione della lampadina di Archimede Pitagorico. Eccola qua, mi sono detto, la famosa "uscita da destra" dall'euro, la cui esistenza viene negata con tanto furore da qualche economista che si dichiara "de sinistra"!

O mi sto sbagliando?

Per capirlo bisognerebbe poter dialogare, ma l'impresa è ardua perché, come noto, né i platelminti, né gli anellidi, e nemmeno i nematelminti, insomma, tutti gli infiniti vermi del terrario nostrano, provinciale, egotista, intellettualmente ed eticamente deficitario, sono in grado di biascicare alcunché al cospetto di persone di "elevatissimo livello scientifico".

Pazienza, ce ne siamo fatti una ragione. Ma un dubbio resta: quando si viene ospitati come blogger sul giornale.it e sul Fatto Quotidiano, si diventa ospiti fissi in televisione, si viene proposti come assessori regionali alle finanze, ciò avviene in omaggio al pluralismo delle opinioni o perché si è funzionali agli interessi dominanti, i quali sono, come abbiamo ben appreso, quelli del "free banking"? Ai contemporanei l'ardua sentenza.

martedì 24 marzo 2015

Oltre l'euro... la geopolitica


Mr Wolf time

D'Alema, Bersani, Cuperlo, Bindi e compagnia di giro, sono nomi di fantasmi. Chi pensa che queste persone possano cambiare qualcosa è un cretino ex-merito, e se ha puntato su di loro ha sbagliato. Costoro non possono cambiare nulla perché non hanno più potere, e non hanno più potere perché hanno distrutto la sorgente su cui, in anni passati, questo era fondato: il legame che li univa al popolo lavoratore.

Quel potere, derivante dalla fiducia, ed ereditato dalle generazioni politiche che li avevano preceduti, costoro lo hanno dissipato per insipienza, prima ancora che per complicità esplicita. La loro effettiva capacità di mobilitazione oggi è zero, e lo sanno. Per questo sono esitanti.

Si aggiunga a ciò il fatto che le loro reali motivazioni non sono fondate su un sentimento di rivolta morale, ma solo sul dispetto per essere stati estromessi da Matteo Renzi, uno più furbo di loro! E il cerchio si chiude.

Il massimo che questi insipidi personaggi possono fare è organizzare esangui convegni, con il supporto per altro del Partito Radicale, cioè dalla formazione più liberista ed eurista che ci sia in circolazione. Che dire? Che la nota asserzione di Mr Wolf, per questa gente, non vale: per loro il momento è arrivato, eccome!


P.s. - Nell'attesa che una nuova generazione di rivoluzionari raccolga il testimone della lotta di classe, la plebaglia si trastulli con il contatore della corruzzzione di Piazza Lercia. Oggi gli italiani si dividono in due categorie: quelli che "è tutta colpa della corruzione" e gli altri. I primi possono mettersi un dito in culo e levarsi dal cazzo! Qui si parla agli altri.

domenica 22 marzo 2015

Brinderò a Brunello di Montalcino!

Nonno Eugenio ne spara una a settimana: quando scrive l'editoriale. Che non è facile commentare, perché le idiozie che sostiene sono tante, ma anche argomentate, e ciò pone il povero blogger nella difficile condizione di doverne scegliere una, oppure passare la mano. Oggi però il compito è più facile. Leggete cosa scrive l'antipatico vegliardo:

«Il direttorio dei sette (Donald Tusk - presidente del Consiglio europeo, Angela Merkel, François Hollande, Mario Draghi, Jeroen Dijsselbloem - presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker -  presidente della Commissione europea - n.d.r.) è un passo avanti di grandissima importanza, è un salto verso gli Stati Uniti d'Europa. La Merkel evidentemente ha reso esecutiva una intenzione che già era nel suo pensiero ma finora rinviata. Ora deve aver capito che quella è una via obbligata in una società globale dove solo gli stati continentali hanno un peso; gli altri sono del tutto marginali.»

Dunque la sola Commissione europea non basta più, ci vuole il direttorio. Nel quale, e di ciò l'Eugenio si lagna, non c'è l'Italia. Ci sono però Francia e Germania, due paesi che da 1300 vengono a farsi gli affari loro in casa nostra ma che adesso, sarà perché c'è l'Unione Europea tanto democratica e progressiva, ci aiuteranno a combattere la corruzione. E il Parlamento europeo, quello che dovrebbe essere il luogo delle decisioni democratiche? Non pervenuto.

Particolarmente toccante il passaggio in cui scrive "La Merkel evidentemente ha reso esecutiva una intenzione che già era nel suo pensiero ma finora rinviata.". Ah, ma allora è la Merkel che decide! Perfino se fare oppure no il Direttorio? E che poteri formali avrà questo Direttorio, oltre a quello banalmente fondato sui rapporti di forza? Nonno Eugenio non lo dice, evidentemente non lo ritiene importante. Quel che conta è che, grazie alla costituzione del Direttorio, "il caso greco si avvia verso una soluzione di compromesso ma comunque tale da salvare quel paese sia dal default sia dall'uscita dall'euro.". Il che significa, detto in soldoni, che invece di un avanzo primario di 7 punti, forse (dico forse) alla Grecia verrà permesso di averlo di "soli" 4 punti, ma pur sempre dentro l'euro. Vale a dire con una moneta sopravvalutata di almeno il 30/40% rispetto alle possibilità dell'economia greca. E inoltre, visto che sono corrotti, subiranno l'imposizione di privatizzazioni e liberalizzazioni ulteriori, non ultima la fine della politica di basse tariffe portuali che consente alla Grecia di essere titolare della più grande flotta commerciale del mondo. Una cosa che farà la gioia e la felicità di qualche nazione del nord Europa.

Ma tutto questo per nonno Eugenio non è importante. Conta, invece, che nella competizione globale la Grande Europa (Heil Jincker!) possa menar pugni alla pari con gli altri grandi imperi contemporanei. E solo un'oligarchia illuminata può avere la forza di imporre, ai riottosi sudditi, la disciplina necessaria per vincere la guerra.

Se questo signore stirerà le zampe prima di me, quel giorno brinderò a Brunello di Montalcino. E' proibito dirlo?

Prendo atto con favore...

Premessa


Prendo atto con favore della scelta di Stefano D'Andrea di sottolineare, su appelloalpopolo.it, la lieve imprecisione del prof. Bagnai che, in un articolo sul giornale.it, sostiene che l'euro sia una sorta di "rivincita del comunismo". A dire il vero D'Andrea giustifica, in qualche modo, l'affermazione del Bagnai perché motivata, a suo dire, da esigenze di comunicazione, onde ottenere consensi da parte dei lettori del giornale.it.

La critica di D'Andrea mi riempie di soddisfazione perché una delle ragioni che mi hanno indotto ad uscire dall'ARS, non la meno importante, è stata l'insistenza con cui questa associazione ha continuato ad organizzare proiezioni del filmato "Il più grande successo dell'euro", nel quale Bagnai interpreta una parte di rilievo nel commentare la vicenda greca (insieme all'incolpevole, ai miei occhi, Giacchè). In questa valutazione hanno un peso sia il modo sconcio in cui il Bagnai si è comportato nei miei confronti(vedi nota a pié pagina*), sia il mio carattere, e ho dovuto purtroppo prendere atto che di ciò gli amici dell'ARS hanno preferito non tener conto. Il tempo è galantuomo ed essi avranno numerose occasioni per comprendere l'importanza, in politica, dei rapporti personali. Un giorno cresceranno, per adesso restano "piccoli".

La "rivincita del comunismo"


Vengo ora al nocciolo della questione. Nell'articolo Bagnai scrive molte cose condivisibili, ma le usa con abilità retorica per altri fini. E' una tecnica ben nota ma sempre efficace: prima si cattura il favore dei lettori usando argomentazioni indiscutibilmente valide (l'esempio di come funziona - dovrebbe funzionare - il mercato), esposte con brillante verve narrativa, poi si piazzano, al momento giusto, i concetti che si intende promuovere. Il punto è che Bagnai, che si definisce "de sinistra", ha gioco facile nel deridere quegli altri, "de sinistra" come lui, che sono passati armi e bagagli nelle file del liberismo più sfrenato (i famosi "piddini"), ma rivolgendosi ai lettori del giornale.it tralascia di ricordar loro cosa sia un mercato "de sinistra". Ha volutamente dimenticato di farlo perché, come sottolinea D'Andrea nel suo post, Bagnai ha "soltanto cercato di avere consensi da parte dei lettori de Il Giornale".

L'antropologia del lettore medio del giornale.it è ben nota a chi abbia avuto anche solo occasione  di sfogliarlo, magari mentre sorseggia il caffè al bar. Per essi la proprietà privata - la robba - è il primo e indiscutibile interesse. E fin qui niente di particolarmente grave: anch'io sono affezionato alla mia robba, come penso la stragrande maggioranza degli esseri umani, ma siccome sono "de sinistra" (IO!) non considero la proprietà privata come un diritto assoluto, inalienabile e scollegato dalla realtà sociale in cui vivo. Per me, che sono "de sinistra" (IO!), la proprietà privata è una concessione dello Stato, quest'ultimo essendo l'unico e vero proprietario di ogni cosa. Ne segue che è di primaria importanza chi controlla lo Stato: se la volontà popolare attraverso libere elezioni, oppure una cricca di banchieri o un partito unico dittatoriale.

Il termine "statalista", indicato dal Bagnai per descrivere la necessità di creare uno Stato sovranazionale europeo che consenta la sopravvivenza dell'euro, ha dunque diverse accezioni, una soltanto delle quali è democratica. Scrive però il Bagnai: "l’unica prospettiva per una sua (dell'euro n.d.r.) stentata sopravvivenza, ormai l’abbiamo capito, è quella di costruirgli sotto, in fretta e furia, uno Stato europeo, cioè di andare nel senso di un accentramento di poteri politici ed economici: qualcosa di non esattamente liberale, direi anzi di sinistramente sovietico (come notava Hans Olaf - vedi qui e qui n.d.r. - l’ultima volta che ci siamo incontrati). Che poi sinistramente sovietico si abbrevia in SS".

L'ambiguità del Bagnai, nel frammento riportato, è manifesta. Egli propone una (falsa) rappresentazione del significato del termine "statalismo" riducendolo alla polarità "comunismo (sovietico) / società liberale" e offrendola ai non fini palati dei lettori del giornale.it. Si tratta di pura propaganda ("comunicazione" la chiama pudicamente il D'Andrea).

La vera contrapposizione, quella reale e non quella viscerale e immaginaria proposta dal Bagnai ai lettori del giornale.it, non è tra comunismo (l'euro e l'UE - sic!) e società liberale, bensì quella tra un "mercato de sinistra" e un "mercato de destra". La differenza sta tutta nel diverso modo in cui viene intesa la proprietà privata, la robba. Se la proprietà privata è, in realtà, una "concessione dello Stato ai cittadini", questi ultimi non ne sono i veri proprietari ma dei semplici "amministratori" che, in quanto tali, devono farne un uso conforme agli indirizzi di politica economica e sociale che lo Stato si pone. Punto.

Ma questo, ai lettori del giornale.it, Bagnai non può dirlo! Lui si spaccia per uomo "de sinistra" (e lo fa in modo dolente) per poi suggerire che quella contro l'euro è l'eterna battaglia dei liberali contro il comunismo, mandandoli in brodo di giuggiole.

Che un uomo così ambiguo sia stato utilizzato per presentare, a quanti si avvicinano all'ARS, le finalità di quell'associazione, mi lascia lievemente perplesso. Che una tal cosa venga reiterata per mesi e mesi, a dispetto delle non poche occasioni in cui il Bagnai ha deriso l'ARS con espressioni diversamente gentili, mi lascia esterrefatto. Il fatto che il D'Andrea in qualche modo lo giustifichi, invece di attaccarlo duramente (sia per le "gentili parole" spese nei confronti dell'ARS, sia soprattutto per l'ideologia che il Bagnai promuove), non ha giustificazioni. Avevo sperato che, con il tempo, le cose sarebbero cambiate, ma devo purtroppo prendere atto che così non è. Il documentario verrà proiettato il 25-3 a Teramo, il 26-3 a Castronno, il 28-3 a Piazza Armerina, il 29-3 a Bari, il 9-4 a Busto Arsizio, l'11-4 a Palermo, il 15-4 a Chieti, il 17-4 a Pescara. Prendo atto e vado per la mia strada. Anche perché non mi convince la spiegazione secondo cui "il documentario è utile per avvicinare nuovi potenziali militanti dell'ARS".

* Una indispensabile precisazione


Sono ben consapevole che mi verrà strumentalmente rimproverato di "parlare sulla base di risentimenti personali", ed è per questo che sono obbligato a chiarire, per l'ennesima volta, i reali termini del dissidio con Bagnai. Tutto nacque perché mi fu chiesto di buttare giù due righe per esporre i modi di una migliore promozione del "Tramonto dell'euro". Attenzione: "mi fu chiesto"! Devo ripeterlo? Mi fu chiesto! Io, che me ne stavo per i cazzi miei a casa mia, produssi un testo che evidentemente non piacque al vate di Pescara. Una persona normale mi avrebbe detto "caro Fraioli, il tuo progetto non è il mio, grazie di tutto e arrivederci". Invece fui dapprima insultato, sia in privato che pubblicamente con parole pesanti, poi addirittura accusato di "furto di dati" (cosa falsa e dimostrabile per tabulas), infine descritto come "l'amante tradita", con l'evidente fine di delegittimarmi e cancellarmi per sempre dalla scena pubblica. Poiché il Bagnai era allo zenit della sua credibilità non potei far altro che tacere, contando sul fatto che delle due l'una: o si era trattato di un episodio transitorio di instabilità psichica, oppure il trattamento a me riservato sarebbe stato reiterato con altri. Fu la seconda che ho detto.

Il tempo è passato (era il dicembre del 2012), molti altri sono stati ingiustamente e pesantemente maltrattati da Bagnai, non ultimi i Dalmata autori de "Il più grande successo dell'euro", e la cifra del personaggio in questione dovrebbe essere nota a tutti. Capisco che, a dispetto di tutto ciò, ci siano ancora molti che lo apprezzano (anch'io ne apprezzo l'intelligenza e la cultura), ma è anche vero che ho tutto il diritto, e lo rivendico con assoluta determinazione, di partecipare al pubblico dibattito senza che qualche imbecille venga a dirmi "ah, tu parli così perché Bagnai ti ha sfanculato". Per altro, ad onor del vero, io ho tenuto fede alle idee che esposi nel testo che mi fu chiesto (MI FU CHIESTO)  di scrivere, cioè sono andato tranquillamente per la mia strada, pertanto chi è stato eventualmente sfanculato è proprio il vate di Pescara.

I "passionisti" frusinati

sabato 21 marzo 2015

L'Innominato

Francesco Hayez - L'Innominato 
«Già da qualche tempo cominciava a provare, se non un rimorso, una cert'uggia delle sue scelleratezze. Quelle tante ch'erano ammontate, se non sulla sua coscienza, almeno nella sua memoria, si risvegliavano ogni volta che ne commettesse una di nuovo, e si presentavano all'animo brutte e troppe: era come il crescere e crescere d'un peso già incomodo. Una certa ripugnanza provata ne' primi delitti, e vinta poi, e scomparsa quasi affatto, tornava ora a farsi sentire. Ma in que' primi tempi, l'immagine d'un avvenire lungo, indeterminato, il sentimento d'una vitalità vigorosa, riempivano l'animo d'una fiducia spensierata: ora all'opposto, i pensieri dell'avvenire eran quelli che rendevano più noioso il passato. "Invecchiare! morire! e poi?" E, cosa notabile! l'immagine della morte, che, in un pericolo vicino, a fronte d'un nemico, soleva raddoppiar gli spiriti di quell'uomo, e infondergli un'ira piena di coraggio, quella stessa immagine, apparendogli nel silenzio della notte, nella sicurezza del suo castello, gli metteva addosso una costernazione repentina. Non era la morte minacciata da un avversario mortale anche lui; non si poteva rispingerla con armi migliori, e con un braccio più pronto; veniva sola, nasceva di dentro; era forse ancor lontana, ma faceva un passo ogni momento; e, intanto che la mente combatteva dolorosamente per allontanarne il pensiero, quella s'avvicinava. Ne' primi tempi, gli esempi così frequenti, lo spettacolo, per dir così, continuo della violenza, della vendetta, dell'omicidio, ispirandogli un'emulazione feroce, gli avevano anche servito come d'una specie d'autorità contro la coscienza: ora, gli rinasceva ogni tanto nell'animo l'idea confusa, ma terribile, d'un giudizio individuale, d'una ragione indipendente dall'esempio; ora, l'essere uscito dalla turba volgare de' malvagi, l'essere innanzi a tutti, gli dava talvolta il sentimento d'una solitudine tremenda. Quel Dio di cui aveva sentito parlare, ma che, da gran tempo, non si curava di negare né di riconoscere, occupato soltanto a vivere come se non ci fosse, ora, in certi momenti d'abbattimento senza motivo, di terrore senza pericolo, gli pareva sentirlo gridar dentro di sé: Io sono però. Nel primo bollor delle passioni, la legge che aveva, se non altro, sentita annunziare in nome di Lui, non gli era parsa che odiosa: ora, quando gli tornava d'improvviso alla mente, la mente, suo malgrado, la concepiva come una cosa che ha il suo adempimento. Ma, non che aprirsi con nessuno su questa sua nuova inquietudine, la copriva anzi profondamente, e la mascherava con l'apparenze d'una più cupa ferocia; e con questo mezzo, cercava anche di nasconderla a se stesso, o di soffogarla. Invidiando (giacché non poteva annientarli né dimenticarli) que' tempi in cui era solito commettere l'iniquità senza rimorso, senz'altro pensiero che della riuscita, faceva ogni sforzo per farli tornare, per ritenere o per riafferrare quell'antica volontà, pronta, superba, imperturbata, per convincer se stesso ch'era ancor quello

Ecco, ai tempi dell'Innominato gli psicofarmaci non esistevano, e la coscienza poteva svolgere il suo compito. Oggi basta 'na pasticchetta e torna l'euforia... ma, come qualcuno sovente rammenta, non ci sono free lunch nella vita.

Giulio Tremonti: Eliogabalo, con il suo set di valori e il suo stile di vita, si troverebbe benissimo a farsi valere alla corte del Lussemburgo.


Legislatura 17ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 412 del 18/03/2015

TREMONTI (GAL (GS, LA-nS, MpA, NPSI, PpI)). Signor Presidente, onorevoli senatori, grazie per questa occasione utile per riflettere insieme sullo stato dell'Unione; utile perché, se oggi in Europa alcune criticità economiche sembrano ridursi, lo stesso non si può dire per quelle politiche. Per catturare la vostra attenzione, inizierò usando l'immagine dell'Europa dinosauro; per conservare la vostra attenzione - se ci riesco - anticipo che terminerò parlando di Grecia.
C'è una teoria secondo cui la caduta sulla terra di un gigantesco asteroide avrebbe bruciato le grandi foreste, così causando la fine dei dinosauri. Sull'Europa, più o meno nell'ultimo quarto di secolo (un tempo che in senso storico è minimo), si è abbattuto, in sequenza fondamentale e a volte micidiale, un conglomerato fatto da quattro fenomeni tutti insieme: l'allargamento, la globalizzazione, l'euro e la crisi. È forse da qui, da questa sequenza, che si deve e si può partire per capire cosa è successo, cosa succede, cosa succederà in Europa.
Quanto all'allargamento, per mezzo secolo l'Europa ha avuto solo una dimensione economica; è stato con la caduta del Muro di Berlino che la storia ha ripreso il suo corso ed è così che l'Europa è uscita dal suo iniziale perimetro economico per entrare in una nuova, seppur sperimentale, per tentativi, e progressiva dimensione ideologica e politica. La dimensione giuridica è sempre fondamentale come marcatore delle dimensioni ideologiche e politiche.
Ancora pochi anni fa, alla domanda se contasse di più la Corte costituzionale nazionale o quella europea, tutti avrebbero risposto: la nazionale. Oggi è chiaro a tutti l'opposto. La nuova piramide costituzionale non è un male in sé, ma pone enormi problemi divisivi sui comuni costituzionali valori base dell'Unione. Sono ancora quelli della nostra tradizione storica o sono quelli che, in velocissima evoluzione, spingendo all'estremo e cercando di traguardare il futuro sulla vita e sul costume, vengono elaborati dalle nostre corti di Lussemburgo e di Strasburgo? In realtà, più che traguardare il futuro, spesso questi ci riportano al passato precristiano e pagano. Voglio essere chiaro: Eliogabalo, con il suo set di valori e il suo stile di vita, si troverebbe benissimo a farsi valere alla corte del Lussemburgo.
Per quanto concerne la globalizzazione, non è l'Europa ad essere entrata nella globalizzazione ma è la globalizzazione che è entrata in Europa, trovandola impreparata. Mentre si costruisce in Europa il mercato perfetto, da fuori preme molto altro e diverso: monopoli perfetti, economie di comando, fondi sovrani e tanti altri strumenti che tendono sistematicamente a spiazzarci. Non dimentichiamo che siamo il 7 per cento della popolazione, il 25 per cento della produzione, ma addirittura il 50 per cento del welfare a debito.
Per quanto riguarda l'euro, per la prima volta nella storia appare una moneta dissociata: tanto dall'oro, quanto dalla sovranità: moneta senza Governi, Governi senza moneta. Si diceva: federati i loro portafogli, federerete i loro cuori. L'effetto che si sta producendo oggi è lievemente diverso da quanto si pensava: stampare moneta come si fa oggi serve solo a comprare tempo. Come è stato saggiamente scritto, una crisi causata dalla finanza non si risolve usando commutatori cartacei della stessa natura di quelli che l'hanno causata.
In ogni caso, se quanto sta succedendo per ora non è male, dobbiamo considerare quanto sta succedendo e può succedere da fuori, a partire dai tassi americani. Non dobbiamo e possiamo dimenticare che loro sono gli Stati Uniti d'America, mentre noi siamo ancora gli Stati divisi d'Europa.
Infine, vi è la crisi. La crisi non era prevista, non era scritta nei trattati, dove non trovate la parola crisi. Tutta l'ideologia è positiva e progressiva, tipicamente europea. I trattati internazionali sono come i matrimoni: di solito nella buona e nella cattiva sorte. I trattati europei sono solo nella buona sorte, dove il bene è la regola, il male - la crisi - l'eccezione non prevista. Questo ci ha portato a tentare di gestire la crisi, negli anni scorsi, in modo empirico e con un tentativo da ultimo anche drammatico, com'è stato per la Grecia.
Il problema non è che la Grecia è entrata in Europa, ma che l'Europa è entrata in Grecia. Le cause della crisi non sono, come alcuni dicono, riferite all'oscuro e opaco bilancio pubblico greco, entité quasi négligeable. Il vero dramma sulla Grecia è venuto dal lato della finanza privata, e a partire dall'euro. In una dimensione di euforia, a partire dal 2002, un enorme flusso di capitali è andato a credito, dalle banche europee alla società greca, così allegramente finanziando Olimpiadi, piscine e auto (queste non precisamente made in Grecia) e varie illusioni. Per un decennio l'allegria è stata bilaterale, dal lato dei debitori ma anche dal lato dei creditori che incassavano enormi flussi di interessi attivi. Fatalmente è venuta la crisi. Vedete, in base alle leggi dell'economia di mercato, se falliscono i debitori falliscono anche i creditori. Nel caso della Grecia è stato l'opposto. È così che gli aiuti alla Grecia, anche aiuti da noi generosamente elargiti, hanno aiutato tutti, in specie hanno aiutato le banche tedesche e francesi creditrici della Grecia, tutti, tranne che i greci. Dopo le cure europee, il debito pubblico greco è salito, il PIL greco è sceso. E ancora, in modo compulsivo, dall'Europa si chiedono alla Grecia più privatizzazioni, più liberalizzazioni; guardando le presenti condizioni del popolo greco, interventi di questo tipo non li chiederebbe neppure Margaret Thatcher!
La Grecia: una regione d'Europa dove, da sempre, si produce più storia di quella che in loco si consuma e perciò la si esporta. Ciò che è successo in questi anni in Grecia, prima come illusione fabbricata in Europa e poi come depressione, non tocca solo la Grecia: riguarda direttamente il resto dell'Europa.
Nel 1955, proprio ad Atene, e pour cause ad Atene, Albert Camus tenne una straordinaria lezione sul futuro della civiltà europea. Oggi l'Europa potrà avere un futuro di civiltà solo se cesserà di esaurirsi sul calcolo dei tassi di interesse. Avrà davvero un futuro, l'Europa, solo se ritroverà l'intensità e la cifra morale che sono state proprie del suo originario spirito politico. (Applausi dai Gruppi GAL (GS, LA-nS, MpA, NPSI, PpI), FI-PdL XVII e LN-Aut e del senatore Casini).

venerdì 20 marzo 2015

La carta igienica c'è...

Post ipercorrelatoAcqua, luce, gas e i cretini della meritocrazia.

Mentre il nostro paese scaracolla verso un disastro epocale nell'incapacità generale di comprendere le dinamiche innescate, a livello mondiale, dalla crisi del 2007, i piccoli uomini che lo governano, anche a livello locale oggi come allora, e coloro che sperano di ripeterne le ingloriose gesta, continuano ad accapigliarsi per un tozzo di pane. Che non c'è più.

Non restano che la satira, l'ironia, il sarcasmo. Tutti dobbiamo morire, la differenza consiste nel come si vive. Nulla resterà di noi, se non il significato delle nostre azioni. E anche quello, non per molto tempo.

giovedì 19 marzo 2015

Acqua, luce, gas e i cretini della meritocrazia.


Torno a casa dopo una dura battaglia con gli imberbi virgulti, che di imparare l'arte di vivere liberi (cioè studiare) non hanno molta voglia, e apro Musoliber [Loco dello internetto ideato et gestito da Marco Saccaroberga. Intro vi si trova la pergamena de Feudalesimo e Libertà attraverso cui lo Imperatore favella alla plebaglia. [Sinonimi]: Voltotomo, Facebook].

E che ti trovo? Una frase che mi fa incazzare come una biscia, questa: "Le cose succedono facendole succedere. Vediamo se arrivano anche dalla Ciociaria plausi alla relazione di Fabrizio Barca. Vediamo chi è il primo.... tra poco arrivano le quote della Snai. Quelle di bwn ci so' già".

A scrivere è Armando Mirabella, ex-giovane del PD locale (ma di quelli tanto tanto tanto buoni e carini carini) il quale linka, sulla sua pagina Musoliber, questo post di Fabrizio Barca.

N.d.r. Fabrizio Barca è un economista e politico italiano. Presidente del Comitato per le politiche territoriali dell'OCSE dal 1999 al 2006, ha ricoperto la carica di ministro per la coesione territoriale del governo Monti, dal 16 novembre 2011 al 28 aprile 2013.


La "relazione" di cui parla il Mirabella è questa: "Pd, relazione di Barca su circoli romani: ‘Partito dannoso, deformazioni clientelari’".

Si tratta, è ovvio, di un'operazione repulisti all'interno del PD romano, Cosa buona e giusta, perché i "disonesti" vanno allontanati onde far spazio agli "onesti". Bravi! Bravi! Bravi! E allora parliamo degli "onesti". Chissà se i buoni e bravi piddini sanno quel che si apprestano a combinare gli "onesti"!

Scrive Marcello Foa (vade retro Satana!) su "Il Giornale" (vade retro Satana!): "L’importante, spesso, non è spiegare, ma non far capire. Molte riforme fondamentali passano tra le pieghe di un provvedimento come se fossero marginali. I parlamentari approvano senza nemmeno sapere cosa votano, seguendo le indicazioni del capogruppo mentre i giornalisti ne scrivono senza capire o, ancora meglio, non ne scrivono affatto".

Di cosa sta parlando Marcello Foa? Della riforma dell'articolo 5 della Costituzione italiana (La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento), di cui pochi parlano preferendo concentrarsi su altri aspetti, ad esempio la riforma del Senato. Eppure la ciccia, quella vera, sta proprio qui.

Il meccanismo scelto dalla maggioranza renziana (piddini malpancisti semper votanti) è quello di intervenire sul Titolo V della Costituzione, che dà attuazione all'art. 5, e che è riformabile (mentre la prima parte della Costituzione è intoccabile). Ecco la sintesi de La Stampa, riportata da Marcello Foa:

"TITOLO V – Sono riportate in capo allo Stato alcune competenze come energia, infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto. Su proposta del governo, la Camera potrà approvare leggi nei campi di competenza delle Regioni, «quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale»."

E che significa? Significa che, siccome le cosiddette Public Utilities (acqua, luce, gas, trasporti locali etc.) sono oggi in capo alle autonomie locali (Regioni, Province, autonomie locali, comuni), e dunque lo Stato non può venderle semplicemente perché non sono robba sua, allora si riforma la Costituzione per riportarle in capo allo Stato, che così le potrà privatizzare.

A dimostrazione di quanto questo passaggio sia importante, Marcello Foa pubblica un servizio televisivo de La Gabbia nel quale a un certo punto il dirigente generale Lorenzo Codogno, a capo della direzione I analisi economico-finanziaria del Dipartimento del Tesoro, del Ministero dell’economia e delle finanze, intervistato sulla vendita di partecipazioni Eni, Finmeccanica, Enel dichiara: «Il problema è che non prendi tantissimo perché ho fatto il calcolo un po’ di tempo fa sono 12 miliardi, non è una gran cifra, meno di un punto di Pil. La vera risorsa sono le utilities a livello locale. Lì sono veramente tanti, tanti miliardi, il problema è che non sono nostri, dello Stato, sono dei Comuni, delle Regioni (…) E quindi bisogna cambiare il titolo V della Costituzione. Ed espropriare i Comuni e le Regioni».

Luciano Barca (comunista)
Fabrizio Barca (piddino)
E adesso torniamo ai piddini "onesti", alla Mirabella, che da noi a Frosinone non contano una mazza ma sono tanto presenti su Musoliber. In realtà non contano una mazza da nessuna parte, ma lasciamo perdere. Questi ingenui fanciulli di cosa si occupano? Ma è ovvio, dell'operazione repulisti nel PD romano annunciata da Fabrizio Barca! Il quale, giova ricordarlo, è figlio di quel Luciano Barca che, nel lontano 1978, commentando la decisione di entrare nello SME (il paparino dell'euro) ebbe a dire: "Europa o non Europa questa resta la mascheratura di una politica di deflazione e di recessione anti operaia".

Non basta! Perché gli onesti piddini ciociari partecipano anche alle manifestazioni per la ripubblicizzazione dell'acqua, insieme ai giovani virgulti socialisti (che a Frosinone ancora esistono).

Riassumendo: non parlano, forse perché non ci capiscono una mazza, della riforma del Titolo V, che avrà l'effetto di togliere il controllo delle Public Utilities (acqua compresa) agli enti locali; sono contro la privatizzazione dell'acqua; vanno in piazza a sventolar bandiere. E naturalmente restano piddini. Però vanno in sollucchero al pensiero di un repulisti nel PD romano. Perché, come è evidentissimissimo, il probbblema è la corruzzzione, ma anche la casta, ma anche la cricca.

Ma non è che, sotto sotto, i giovani virgulti sperano che, dopo il repulisti, scocchi finalmente la loro ora? E daje! Ma che vado a pensà!

Ah, dimenticavo: nel frattempo Memmone Marzi, a Frosinone, annuncia di voler rientrare nel PD. Dopo la purga, ovviamente...