martedì 30 aprile 2019

Dottrina Prodi vs Dottrina Monti - commento a un post su FB di Giuseppe Masala

Vi riporto un breve post di Giuseppe Masala, cui segue il mio commento.

«Dottrina Prodi vs Dottrina Monti.

Lasciando perdere la correttezza di entrare nell'Euro, una volta fatta la scelta con le condizioni previste e accettate (Trattato di Maastricht) bisognava scegliere in quale modo convergere verso quelli che erano i parametri previsti.

La Politica Economica di Prodi (io la imputo a lui) fu incentrata su una "lenta convergenza" a seguito delle seguenti politiche:

- Attrazione di capitali esteri grazie ad una serie di politiche favorevoli. 
- Totale disattenzione ai conti con l'estero con una bilancia commerciale che diventò negativa strutturalmente e con una Posizione Finanziaria Netta negativa fino al 25% del pil.
- Conseguente aumento del Pil e diminuzione del rapporto debito/Pil grazie all'immissione dei capitali esteri.

Come si capisce, la premessa necessaria affinché questa politica funzionasse era che i capitali esteri investiti in Italia fossero acquisiti per sempre. E questo probabilmente pensava Prodi in ossequio all'illusione della fratellanza europoide. La crisi del 2008 (prima fase) e 2011 (seconda fase) hanno smentito questo costrutto relegandolo a quello che in realtà era: una pia illusione. Con la crisi del 2011 i capitali esteri iniziarono a smobilitare creando il terremoto che tutti conosciamo con aumento dei tassi ecc.

A questo punto arrivò Monti che virò di 180° gradi le politiche economiche di Prodi e imponendo la sua dottrina:

- Controllo ferreo dei conti con l'estero. Ritorno all'attivo della bilancia commerciale tramite misure di austerità che facessero diminuire le importazioni di beni e servizi dall'estero e attraverso misure volte a favorire le nostre esportazioni aumentando la nostra competitività (aumento del tasso di sfruttamento del lavoro con conseguente diminuzione del costo del lavoro per unità di prodotto).

- Risultato finale entro qualche anno abbiamo riguadagnato una Posizione Finanziaria Netta sostanzialmente in pareggio che consente di compensare con capitali nazionali eventuali emorragie di capitali esteri dovute a shock economici che sempre si possono verificare.

In pratica dal 1999 al 2011 sbagliammo tutto. Tafazzi rispetto a noi era un dilettante. Amen.

[E per paradosso c'è chi ancora oggi considera Monti alla stregua di un vampiro e Prodi un grande economista]

Poi sui devastanti costi sociali ed economici che ha comportato il controllo ferreo dei conti con l'estero inutile stare a parlarne: demolizione del Pil (alla fine però era la sua crescita ad essere un illusione durata alcuni lustri perché in realtà figlia di capitali stranieri), crisi aziendali, crisi bancarie, aumento esponenziali della disoccupazione e dei poveri. Ma Monti che poteva fare? Far finta di nulla e aspettare la Trojka che avrebbe fatto il lavoro sporco in maniera mille volte più feroce?

Altra considerazione: una volta che controlli in maniera ferrea i conti con l'estero che stai nell'Euro o che esci dall'Euro per entrare magari nel Carlino o nel Fiorino o addirittura nel Sesterzio poco cambia. Anzi non cambia nulla se non che riacquisti (in caso di bisogno) la valvola di sfogo delle svalutazioni. Riacquisto però che andrebbe pesato al costo di prezzi politici enormi dovuti alla rottura dell'Euro.

Rimane il punto. La politica economica sbagliata fu quella dal 1999 al 2011 (non mi soffermo su quanto avvenuto per entrare nell'Euro). Una vera illusione che si è trasformata in incubo.


Quello che scrive Giuseppe Masala è corretto, almeno sul piano della politica macroeconomica, come pure l'accenno ai costi politici enormi che sarebbero causati dalla rottura dell'euro. Da sovranista e patriota osservo però che i cosiddetti costi politici enormi sarebbero, in caso di italexit, pagati in modo diverso. Un costo politico è qualcosa che ha a che fare col grado di dominio che una classe sociale esercita nei confronti di quelle subalterne, e poiché oggi in Italia tutto, e dico tutto, il potere politico è nelle mani della burghesia compradora i vendedora, sarebbe quest'ultima, e solo quest'ultima, a doverli pagare. A meno che la burghesia compradora y vendedora non si attrezzi per tempo al fine di gestire il collasso della moneta unica, preparando con sufficiente anticipo il contesto politico necessario ad evitare di pagare la scelta fallimentare di entrare nell'euro. Pagare nel senso di cedere ampie quote di potere interno a favore delle classi sulle quali ha scaricato il costo dell'euro, in pratica una controrivoluzione socialista e costituzionale simmetrica al golpe del 1992.

Per ottenere ciò essa deve favorire un assetto politico stabile all'interno del quale conservare, sia pure attraverso le inevitabili convulsioni, la tenuta sostanziale della sua posizione di predominio. L'operazione, in realtà, è in atto da tempo, e consiste nella costruzione di una narrazione che escluda categoricamente anche solo la possibilità che si aggreghi un polo sovranista e costituzionale che, al netto delle pur scarsissime possibilità di rovesciare del tutto gli equilibri nazionali, possa tuttavia ricostituire una forza politica con cui fare i conti in una prospettiva sia pur lontana. La funzione del m5s prima, e della lega salviniana da alcuni anni a questa parte, è esattamente questa. L'obiettivo della burghesia compradora y vendedora è infatti quello di conservare intatto, quali che siano gli sviluppi dell'eurozona, il suo predominio politico sulla nazione. Un obiettivo che è nella logica delle cose, come sa chiunque abbia contezza della durezza del vivere.

A mio parere - vedremo se i fatti mi daranno ragione - il raggiungimento di questo obiettivo passa per la costruzione di una contrapposizione fittizia da ottenersi spaccando il finto fronte sovranista m5s+Lega, adoperandosi per un cambio di alleanze che porti ad un governo m5s+Pd, con la Lega e la morente FI all'opposizione.

Vi chiarisco che questa visione e unicamente frutto della mia visione delle cose, pertanto, qualora essa si rivelasse sbagliata, me ne assumerò interamente la responsabilità.

domenica 28 aprile 2019

Humanum vel diabolicum? La lotta di classe al tempo del morbillo

Quando il 3 febbraio 1991, a Rimini, a conclusione del XX Congresso del Partito Comunista Italiano, la maggioranza dei delegati votò per lo scioglimento del vecchio PCI fondando il PDS, era difficile immaginare che il nuovo partito nascondesse, sotto la coltre degli slogan socialisteggianti, un'anima liberale. Lo si capì tuttavia ben presto perché il nuovo partito si lanciò con zelo ed entusiasmo in una vasta campagna di privatizzazioni, del tutto contraria non solo alla storia del vecchio PCI ma anche, e soprattutto, allo spirito e alla lettera della Costituzione. Ciò nonostante la gran massa dei suoi elettori gli restò fedele, e a maggior ragione la quasi totalità dei quadri dirigenti di ogni livello. Solo una piccola pattuglia si dissociò confluendo nel partito della Rifondazione Comunista che, negli anni a seguire, si sarebbe rivelato essere nulla più che un recinto per contenere il dissenso. Per questa ragione, e giustamente, molti anni fa, correva l'anno 2008, dall'Umbria partì un'iniziativa che, non a caso, si chiamò "Fuori dal recinto" che vedeva protagonisti molti che oggi fanno riferimento all'area del blog Sollevazione.

Sarebbe bastato che il nuovo partito, il PDS, tenesse ben ferma la barra sulla nostra Costituzione, ma così non fu. Il risultato politico di quell'atto di tradimento è stato la fine nel nostro paese della lotta di classe e l'inizio della guerra per fazioni all'interno della classe sociale vincente: la borghesia finanziaria e industriale, che da allora ha sempre più approfondito i suoi legami con la super classe globale. La ragione di ciò è che non può esservi lotta di classe, cioè conflitto capitale-lavoro, quando uno dei due poli della dialettica perde la capacità di organizzarsi. Dalla morte del PCI, meglio dal suo suicidio che fece seguito al brigantesco assassinio del Partito Socialista Italiano e della Democrazia Cristiana, le masse lavoratrici italiane sono totalmente controllate dalla burghesia compradora y vendedora per mezzo delle sue molteplici camaleontiche trasfigurazioni politiche, il cui unico fine è quello di costruire o sfruttare contrapposizioni secondarie mentre, al chiuso dei suoi parlamentini segreti, io dico massonici, si architetta al fine di estrarre il massimo plusvalore possibile dal mondo del lavoro, forte come è dei suoi appoggi internazionali che agita come spauracchi ogni volta che un sentimento di rivolta comincia a prendere piede.

Abbiamo così avuto la contrapposizione tra il PDS e Berlusconi, l'irrompere della Lega di Bossi, la partecipazione alle guerre americane - pegno irrinunciabile da pagare per godere dell'appoggio della super classe globale a guida americana - l'adesione alla gabbia dell'Unione Europea. Infine, quando il gioco cominciava ad essere troppo scoperto, la creazione dal nulla di due nuovi partiti, M5S e Lega salviniana, avvenuta con una sapiente manipolazione delle emozioni collettive. Un inganno nel quale un intero popolo è caduto con facilità, non essendoci più i grandi partiti di massa capaci di formare e selezionare una vera classe dirigente dal basso.

Si potrebbe obiettare che anche il PSI e la DC fecero scelte contrarie agli interessi del lavoro, e questo è vero, ma vi era una gradualità, una spinta alla ricerca dell'equilibrio che il tradimento dei comunisti fece precipitare. Il punto da comprendere bene è che, sebbene il PCI fosse colpito dalla conventio ad excludendum (per i più giovani il veto degli americani all'ingresso al governo) pur tuttavia il fatto che quasi un terzo dei voti fosse fuori dal gioco delle maggioranze (considerando anche i voti dell'elettorato post fascista) imponeva che la restante parte del Parlamento, a variopinta guida liberale, non si abbandonasse alla più feroce lotta per fazioni, come invece oggi, poiché vi era il costante pericolo che il PCI (e talvolta il MSI) si inserissero nel gioco politico chiedendo contropartite. Si ebbe così il lungo periodo dei governi pentapartito e quadripartito, cui pose fine il golpe costituzionale del 1992.



Il primo colpo di cannone del golpe costituzionale fu il referendum abrogativo del 1991 sul primo quesito mai ammesso dalla Corte costituzionale sulla legge elettorale. Vinse il SI con una percentuale plebiscitaria, il 95,57%! Seguirono l'inchiesta Mani Pulite, l'adesione al trattato di Maastricht, l'assassinio del PSI e della DC (con le opportune dosi di complicità interna) e il già richiamato suicidio del PCI. In sottofondo, esplosioni di bombe e assassini politici, che miracolosamente cessarono entrambi a golpe concluso.

Quello che oggi possiamo affermare, con assoluta convinzione, è che tutte le nuove forze politiche affacciatesi sulla scena dal 1992 ad oggi sono costruzioni della giunta liberale che comanda nel paese, come si evince dal fatto che tutte esse si sono affermate secondo lo stesso schema di massima, che qui riassumo:

  • La fase rivoltosa, durante la quale un guru raccoglie intorno a sé il malcontento sociale proponendo agli adepti temi altamente emotivi, ma senza mai sfiorare le questioni fondamentali. Durante questa fase i media evitano accuratamente di parlare del fenomeno, facendo sì che la rabbia degli adepti aumenti.
  • La fase dello sfondamento, in cui all'improvviso il guru e il suo movimento sono presentati all'attenzione dell'opinione pubblica, e sostanzialmente sdoganati.
  • La fase dell'utilizzo della nuova formazione politica, durante la quale si opera un'accorta selezione dei quadri dirigenti da affiancare al guru, quasi sempre personaggi che erano rimasti in ombra o erano del tutto assenti durante la fase rivoltosa.

Ho le prove per dimostrare tutto ciò? Non le ho, ma chiunque abbia un cuore e una mente liberi sa che le cose sono andate più o meno così. La giunta liberale golpista celebra oggi il suo trionfo, le cui conseguenze misureremo ben presto grazie al cosiddetto governo del cambiamento in peggio. Nel frattempo continua l'immissione, nel dibattito pubblico, di tematiche altamente divisive sulle quali deviare l'attenzione del popolo lavoratore: dalle pretese LGBT ai vaccini, dalla flat tax al reddito di cittadinanza, che hanno tutte in comune il fatto di essere questioni secondarie (es. LGTB) o a favore degli interessi delle multinazionali (la questione vaccini, affidata alla responsabilità dell'ineffabile ministro della Saluta, la grillina Grillo). Per non dire del reddito di cittadinanza, della mitica flat-tax (a scaglioni?) e molto altro.

La realtà, la dura realtà dei fatti, è che non vi è oggi un solo partito in Parlamento che non sia una creatura della giunta golpista liberale, e che se si vuole davvero ricominciare la lunga marcia per la democrazia è necessario prendere atto che la ricostruzione di un partito del tutto indipendente dalla giunta golpista liberale, sia esso in grado di partecipare alle prossime elezioni politiche o debba rimandare l'appuntamento, è un passaggio inevitabile. La prima condizione è quella di esistere, la seconda crescere. Non serve arrivare al 51% per essere influenti perché, come ho ricordato all'inizio, anche un partito minoritario e colpito dalla conventio ad excludendum può inserirsi nel gioco tattico per ricavare vantaggi per la classe sociale che rappresenta. Ma illudersi di poter incidere, anche minimamente, inserendosi nelle contraddizioni della maggioranza liberale, senza prima essere capaci di esistere e crescere, come purtroppo sembrano credere proprio i primi che, nel lontano 2008, gridarono "Fuori dal recinto", ebbene questa è un'ingenuità disarmante.

Dirò di più: errare est humanum, sed perseverare diabolicum. Quando questa puerile strategia, figlia dell'ossessione per la sollevazione, si sarà infranta contro l'azione reale e concreta (non i sogni) del governo del cambiamento in peggio, quel giorno potremo redigere un giudizio definitivo e conclusivo su questo errore politico, e cioè se sarà stato humanum vel diabolicum.

sabato 27 aprile 2019

La moschea di Frosinone


Dopo averci rubato la parola "sovranismo" i ladri liberali, in questa circostanza con particolare zelo quelli che si rifanno al fascismo, lanciano le loro campagne di odio contro gli ultimi, vale a dire quegli immigrati che sono giunti in Italia vuoi perché costretti dalle guerre scatenate dall'imperialismo de iMercati, vuoi perché attirati con la favola del paese dei balocchi. I secondi, come sappiamo, sono ben più numerosi dei primi.

Ebbene, questi indecorosi liberali portano avanti il trucchetto del poliziotto buono e del poliziotto cattivo, ma sono sempre loro. Mentre gli indecorosi liberali di scuola piddina si sdilinguono per l'accoglienza senza limiti, i loro pari di scuola fascista lanciano crociate contro i poveracci che hanno fatto sbarcare in Italia: con le cattive (guerre e deprivazioni indicibili) o con le buone (venghino! venghino! nel paese dei balocchi). La ratio è la stessa, sempre e comunque: la libera circolazione, perché questo chiedono iMercati. Che si tratti di merci, servizi (Bolkenstein) capitali o persone, a iMercati tutto ciò piace. Chi non l'ha ancora capito è un viscido complice o un idiota senza speranza.

Ovviamente, se si importano schiavi, bisogna che tali rimangano almeno per qualche generazione. Ci sarà tempo, tra qualche decennio e se ciò sarà conveniente, per sostenere gli eroi che eventualmente combatteranno contro l'apartheid europea, magari con qualche martire al momento giusto. Oggi i liberali di scuola piddina e quelli di scuola fascista sono uniti nella lotta, ognuno nel proprio ruolo: ai primi spetta il compito di far arrivare più schiavi possibile, ai secondi quello di mantenerli docili e sottomessi. Quest'ultimo è egregiamente svolto dai liberali di Fratelli d'Italia, la formazione guidata dalla signora Meloni che vuole cambiare la nota montagna di sterco dall'interno.

A Frosinone questi indecenti hanno lanciato una raccolta firme per impedire che gli immigrati, qui giunti con la tratta sostenuta dai liberali di scuola piddina, possano avere un luogo in cui riunirsi e pregare. La chiamano "moschea" ma, basta guardare la foto, di altro non si tratta se non di un piccolo edificio che un privato, non riuscendo a venderlo o non trovando più conveniente completarlo (grazie alla deflazione gentilmente indotta da questi pezzi di merda) sta per essere acquistato allo scopo di destinarlo a luogo di culto. Dunque per questi adoratori dello sterco del Diavolo, equamente ripartiti tra cosiddetta destra e cosiddetta sinistra, a questi poveri disgraziati che €$$I stessi hanno costretti o convinti a venire in un paese con una disoccupazione ufficiale dell'11% (solo?) non dovrebbe essere concesso nemmeno uno spazio di cento mq per riunirsi e pregare? E tutto questo perché? Ma è ovvio, perché c'è...

L'INVASIONE!

Con questo giochetto del poliziotto buono e del poliziotto cattivo gli immondi liberali stanno fregando il popolo. A loro interessa solo ed esclusivamente la libera circolazione dei fattori di produzione, e pazienza se ciò comporta qualche disagio per i lavoratori. Ma si sa - ce lo infilano su per il culo da sempre - che iMercati allocano le risorse in modo ottimale! Compratevi le macchine elettriche, deficienti, mentre continuate a scannarvi tra progressisti e fascisti! Io giro con una vecchia Punto diesel, e lo farò fin quando mi sarà possibile.

La menzogna è giunta a un tale livello di perfezione che comincio a pensare che, davvero, avesse ragione il buon Musil (L'uomo senza qualità) quando scriveva che lascienza altro non è che un patto col Diavolo.

Buona notte.

p.s. - Copio&incollo un post di SAVERIO SQUILLACI (FSI Reggio Calabria). Il Fronte Sovranista Italiano è, ad oggi, l'unico partito genuinamente antiliberale che ci sia. Non ne faccio più parte (pur avendo contribuito a farla nascere) soprattutto perché, per indole, sono un battitore libero, per cui in questo momento sono più utile alla causa socialista e democratica agendo senza vincoli di partito. A tal fine, proprio per raccogliere le anime perse antiliberali (pertanto socialiste) smarritesi in questi ultimi anni, insieme con un piccolo gruppo di irriducibili ho costituito il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN). Non siamo un partito, ma siamo irriducibili antiliberali. Se siete di questa razza ribelle contattateci.

«Sono il papà di un bambino che a giugno compirà nove anni. Ho deciso di costruirmi una famiglia nonostante il giorno del mio matrimonio non avessi ancora un lavoro. Sono nato e vivo a Reggio Calabria, una delle città più antiche d’Italia, la mia terra, in cui sono rimasto a vivere nonostante tutto. La metà dei miei compagni di scuola e dei miei amici sono andati via, alcuni alla ricerca di un futuro migliore, altri semplicemente per sopravvivere.

Mi sono sempre sentito dire che la colpa di tutto questo è della politica, della corruzione, del crimine, ma ad un certo punto mi sono chiesto: tutto questo scempio non esisteva anche prima? E come mai allora i nostri genitori avevano il posto fisso, i risparmi e la seconda casa al mare? Ci hanno detto che abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, eppure quegli stessi genitori ci hanno consentito di sopravvivere in qualche modo alla disoccupazione, ci hanno finanziato gli studi o i mezzi per cercare di costruirci un futuro. Senza la loro parsimonia saremmo già tutti in ginocchio.

Io probabilmente non potrò fare altrettanto per mio figlio! Dovrò prepararlo a lasciare la sua terra e a competere selvaggiamente in un mondo del lavoro globalizzato e spietato. Mi chiedo spesso se tramandargli i valori di dignità, onestà e solidarietà che mi sono stati insegnati oppure no. Sono certo che non gli serviranno per costruirsi un futuro ma solo per potersi guardare allo specchio senza vergognarsi di se stesso.

Guardo la gente che mi circonda: sono la mia comunità, la comunità che ad un certo punto della storia ha iniziato a chiamarsi Stato. Sono delusi, si sono arresi. Ognuno di noi si inventa degli espedienti per sopravvivere, nessuno di noi pensa più in prospettiva ma solo a cosa dovrà fare il giorno dopo. Il nostro futuro ha la durata di ventiquattro ore, di una settimana, non di più!

Il perché un’intera comunità abbia deciso di arrendersi a ciò che percepisce come ineluttabile non saprei spiegarlo, ma ciò che i nostri figli dovranno subire non possiamo più accettarlo passivamente. Non possiamo più parcheggiarli nelle Università sentendoci con la coscienza a posto, perché sappiamo bene che quei titoli di studio non gli garantiranno un’indipendenza economica, anzi ritarderanno solo il momento in cui dovranno guardare in faccia la realtà e prendere una decisione. Probabilmente inseguiranno il lavoro in capo al mondo, ovunque si trovi, e più volte nella loro vita dovranno spostarsi, senza poter pensare di costruire qualcosa di stabile: una casa, una famiglia, delle relazioni. Per alcuni forse sarà una bella avventura, perlomeno finché saranno giovani e forti, per altri no. Quando una scelta è obbligata, non si può parlare di libertà.

Quale sarà il loro destino? E il destino dei loro figli? Conosceremo i nostri nipoti su What’s App? Finiremo, noi e loro, i nostri giorni in una casa famiglia per anziani, magari in un posto lontano e sconosciuto? Quando non avremo più la forza per combattere potremo almeno consolarci con un abbraccio? Oppure piangeremo davanti allo schermo di un cellulare senza poterci toccare?

Noi padri e madri di questi figli, abbiamo il dovere di agire come comunità. Siamo ancora lo Stato e dobbiamo comprendere che se oggi la politica è stata demonizzata, è perché rappresenta l’unico modo che abbiamo per avere voce in capitolo su queste questioni. I signori che oggi siedono al governo o nelle pubbliche amministrazioni sono i capri espiatori di un sistema che non può funzionare e che non funzionerebbe nemmeno se fossero tutti onesti, preparati e sinceramente spinti da uno spirito di servizio verso i loro concittadini.

Ci siamo volontariamente privati del potere di intervenire sulle nostre attività produttive, sul nostro sistema sanitario, sulle nostre scuole! Perché? Non saremmo capaci di farlo?

È stata una follia decidere di limitare volontariamente le nostre risorse per rispettare dei parametri arbitrari come se lo Stato fosse davvero una famiglia con un reddito mensile ridotto e dovesse rinunciare ai pannolini per i propri figli! La forza di una comunità sta in ciò che sa fare, che sa produrre, che sa inventare! Se servono scuole, si costruiscono e se servono insegnanti li si fa insegnare. Per quale motivo non dovremmo farlo? Perché mancano i soldi?

I soldi sono un semplice mezzo di scambio. È come quando a Natale non avete le monete per giocare a carte ed usate le fiches! Per quale motivo non dovreste giocare? E dunque perché dovremmo mandare i nostri figli lontano da casa, costringerli a vivere in una topaia, a fare un lavoro che non amano, quando invece ne avremmo bisogno qui, per le nostre scuole, per i nostri ospedali, per le nostre aziende? Perché? Perché ci mancano le fiches?

Quale assurda follia ci ha portato a pensare che il denaro abbia un qualche valore intrinseco? Il denaro è un modo di misurare un qualcosa, come i metri o i chili! Solo chi ha tanto, tantissimo denaro, desidera che quest’ultimo abbia un valore reale. Rifletteteci! Siamo una comunità e dobbiamo essere noi a decidere del nostro futuro, di quello dei nostri figli e dei nostri nipoti! Non possiamo lasciare questo potere a chi produce metri per misurare le distanze o chili per stabilire il peso degli oggetti, perché è ovvio che questi tenderà a considerare la “misura” più importante di ciò che viene misurato.

La nostra esistenza e il nostro futuro non possono essere misurati in fiches.

SAVERIO SQUILLACI (FSI Reggio Calabria)»

mercoledì 24 aprile 2019

Il 25 aprile - comunicato del Fronte di Liberazione Nazionale

Il 25 aprile è l'anniversario della liberazione del territorio nazionale dalla ventennale dittatura fascista e dall'occupazione tedesca conseguente alla resa dell'8 settembre 1943.
La liberazione fu proclamata il 25 aprile 1945 dal CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) che comprendeva le forze politiche che si erano opposte, clandestinamente, al nazifascismo; in esso confluirono principalmente cattolici, comunisti e socialisti.
Da quella spinta ideale, politica e militare nacque la Costituzione del '48 fin da subito osteggiata dalle forze politiche che si richiamavano alle potenze liberali che occupavano militarmente il territorio italiano.
Quindi la Liberazione ci fu o non ci fu?
Ci fu ma durò il tempo della sostituzione dell'occupante liberale perdente con l'occupante liberale vincente, essa venne depotenziata e ingabbiata progressivamente, decennio dopo decennio, fino allo svilimento dovuto all'accettazione dei principi liberali in campo economico e sociale imposti dai trattati europei che limitano l'autonomia dello Stato e la sovranità popolare sancita dall'art 1 della Costituzione "L'Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".
Il 25 aprile non è propriamente una festa ma dovrebbe essere la dolorosa commemorazione di un progetto sociale, oggi completamente disatteso, nato nella lotta e dalla collaborazione delle forze sane della nazione.

Ci segnalano e pubblichiamo un comunicato del M5S di Siena


SIENA. Nel tardo pomeriggio di giovedì scorso, 11 aprile, gli iscritti del M5S ricevono un messaggio di Luigi Di Maio dal titolo: “Aiutaci a portare il cambiamento in Europa!
Più o meno alla stessa ora, in assemblea MPS, il maggiore azionista della banca, cioè il governo giallo – verde, nella persona del delegato del Ministero del Tesoro, vota NO alla richiesta di azione di responsabilità nei confronti degli attuali e degli ex vertici. Il governo ha votato sorprendentemente NO a quello che avrebbe voluto e potuto essere un percorso di chiarezza e trasparenza a tutela dei cittadini, degli investitori e dei risparmiatori! Eppure solo il 5 aprile scorso lo stesso Di Maio aveva dichiarato: “Nei prossimi giorni valuteremo anche a livello di Governo tutto quello che si dovrà fare all’assemblea. E’ chiaro ed evidente che per me è giusto che chi ha ridotto quella banca in quelle condizioni debba pagare”.

E come scordare anche tutti gli altri portavoce del Movimento, a partire dallo stesso Grillo, che dal 2012 sono passati spesso e ben volentieri a Siena, non solo alle assemblee del MPS ma anche ai fortunati eventi organizzati dal gruppo Siena 5 Stelle, brandendo l’immagine dell’apriscatole con cui avrebbero liberato il Paese, e la banca, dal branco di squali che stavano spolpando l’uno e l’altra?

Devono aver cambiato idea, perché uno dopo l’altro si sono dileguati tutti. Assente ingiustificato – ma questa è solo una conferma – anche il portavoce alla Camera eletto nel collegio elettorale di Siena.

Insomma, non c’era nessuno del M5S “certificato” a metterci la faccia nel momento in cui il governo, come riportato anche dai media nazionali, assumeva esattamente la stessa posizione dei governi Gentiloni e Renzi, tradendo nei fatti e senza alcuna spiegazione persino la parola data solo pochi giorni prima dallo stesso Vicepresidente del Consiglio e Capo Politico del maggior partito italiano.

Paragone ha provato a chiamare in causa il “cattivo” Tria, come se M5S e Lega fossero soggetti estranei all’attività di governo, replicando involontariamente lo stesso atteggiamento ipocrita rimproverato per anni al PD di “lotta e di governo”, ma a Siena ricordiamo troppo bene come sia la Lega sia il M5S abbiano delegittimato gli attivisti storici di entrambi gli schieramenti per credere che sia solo colpa del fedifrago Ministro dell’Economia.

Per questo non ci sorprendono le dure critiche di tanti politici locali e non solo (molti dei quali farebbero meglio a tacere per decenza, come hanno fatto negli ultimi 20 anni, ma questo è un altro discorso); c’è chi si domanda se sia ragionevole il sospetto che la mancata certificazione del Movimento 5 Stelle di Siena per le Elezioni Comunali del 2018 sia dovuta proprio al suo attivismo sul tema MPS, alla propria libertà di pensiero, all’indisponibilità a subire condizionamenti o diktat dall’alto. In altre parole, per la fedeltà ai principi del Movimento in merito all’autonomia dei territori e alla democrazia dal basso.

Oggi ci viene rinfacciata, anche in modo strumentale, l’incoerenza e il tradimento degli impegni dichiarati sul caso MPS, e non solo. Critiche difficili da smontare, perché purtroppo la dinamica dei fatti e le vicende del 2018 hanno lasciato stupiti e amareggiati soprattutto noi. L’unica residua speranza è che si tratti di un ultimo episodio infelice, dal quale possa finalmente scaturire una forte reazione per un ritorno ad un Movimento genuino e rispettoso dei suoi principi fondanti, quelli che segnarono la sua nascita quasi 15 anni fa.

( Movimento 5 Stelle Siena )

martedì 23 aprile 2019

Chi vuole l'austerità?


Nel grafico il rapporto debito/pil di Italia e Francia. L'Italia è entrata nell'euro al 109,7%, la Francia al 60,5%. Questa circostanza rifletteva la differenza tra i due modelli di sviluppo, ed era un debito completamente emesso in moneta sovrana. La sua riduzione, da parte dell'Italia, coincideva con la scelta di privatizzare le proprietà pubbliche secondo i desiderata della burghesia compradora y vendedora nazionale, ma nulla aveva a che fare con la salute dell'economia. Tanto è vero che, in quegli anni, si assisteva anche a una diminuzione del tasso di disoccupazione, ovviamente al prezzo di una stagnazione dei salari, sempre secondo i desiderata della burghesia compradora y vendedora.

Dal 2008, in seguito alla crisi, il modello privatistico su cui è disegnata l'UE è entrato in crisi. La conseguenza è stata un aumento del rapporto debito/pil in tutta l'eurozona. In termini percentuali tale aumento è stato, per l'Itaia, più basso degli altri paesi, in particolare della Francia ma anche della Spagna, del Portogallo e altri. I dati potete verificarli qua.

Ma non è tutto, perché è ben noto a chi si informa che dal punto di vista di tutti i principali parametri economici sia pubblici che del settore privato, con l'eccezione del tasso di disoccupazione e dei livelli salariali (come da desiderata della burghesia compradora y vendedora) l'Italia si trova in una situazione migliore di tutti i principali paesi dell'eurozona.

Ciò nonostante nessun paese viene bastonato dalla cosiddetta Kommissionen come l'Italia. Perché?
La tesi di chi scrve è che non sia la Kommissionen a volerlo, ma i governi liberali italiani, tutti espressione della burghesia compradora y vendedora, compreso quello giallo-verde.

A supporto di questa tesi, che a molti può apparire bizzarra ma che la Storia, ne sono certo, provvederà a validare, segnalo questo articolo del  14/10/2018 tratto dal blog del Leprechaun: Il patto segreto tra Hollande e la Commissione sul deficit della Francia. Nell'articolo si cita un libro dal titolo  "Un presidente non dovrebbe dire queste cose", dei giornalisti di Le Monde Gérard Davet et Fabrice Lhomme, contenente una lunghissima intervista a Hollande, allora il Presidente francese.

Vi riporto il brano dell'intervista a Hollande citato dal Leprechaun:

« Abbiamo pochi margini di manovra, precisa, un mese dopo. Siamo alla vigilia delle elezioni europee, e siccome la Commissione è indebolita, domanderemo ancora una volta un riporto a più tardi. » Tatticista come non mai, François Hollande fa affidamento sulla perdita di peso politico di una Commissione europea in fine mandato, come accade al suo presidente José Manuel Durão Barroso, in carica dal 2004. Ebbene, agli inizi di Maggio, il commissario europeo agli affari economici annuncia che, in cambio di precise riforme strutturali, Parigi può attendere fino al 2015 per raggiungere il limite del 3%. « Con questa Commissione, ci confida Hollande, eravamo al limite di quel che potevamo raggiungere: un riporto di due anni, e una certa benevolenza sulle cifre che avevamo presentato. » Aggiunge con un sorrisetto: « Perché la verità è che siamo ad un deficit più alto, e che loro sapevano benissimo che non avremmo raggiunto il 3% nel 2015! Ma ci dicono: “Preferiamo che dichiariate il 3% perché questo ci permette di tenere duro con gli altri paesi ...” Ci hanno detto: “ Quel che vi chiediamo è di dichiarare il 3 %.
E quel che vi concederemo sarà una certa benevolenza sull’andamento della vostra traiettoria. E se non doveste arrivare al 3%, non vi biasimeremo…” »

Dobbiamo tenere presente che si tratta di un'intervista a due giornalisti, non di un'intercettazione, pertanto Hollande è costretto a stare alle regole del gioco comunicativo. Non può dire che la borghesia francese comunica alla Kommissionen un deficit maggiore del 3%, perché il messaggio che deve passare è che sia quest'ultima ad avere il potere di concederlo o meno!

D'altra parte, i veri rapporti di forza tra la Kommissionen e uno qualsiasi degli Stati membri non sono fondati su una forza contrattuale, da parte di questa, che sia minimamente paragonabile a quella di uno qualsiasi di essi, ma sono completamente mediati dalla forza della borghesia dominante in ogni singolo Stato. La Kommissionen non possiede forza militare, non dispone di sovranità giuridica effettiva, di strutture di controllo nazionali, di apparati di repressione poliziesca né di servizi segreti, ma, a dispetto di ciò, quello che tutti i media ci raccontano ogni giorno è che un gruppo di individui, designati da ogni singolo paese e guidati da un noto alcolizzato, avrebbe il potere di mettere in ginocchio ogni Stato membro, anche contro la volontà della sua borghesia dominante. Vi sembra credibile?

Dunque la favola delle trattative tra i governi degli stati nazionali e la Kommissionen è una bufala gigantesca, mentre la realtà dei fatti è che in ogni paese è la borghesia dominante, in Italia quella compradora y vendedora, a stilare le richieste di austerità da sottoporre alla ratifica della Kommissionen, secondo i propri interessi e tenuto conto dei vincoli derivanti dalla necessità di conservare il potere evitando sommovimenti politici tali da intaccare il suo ferreo controllo. In Italia, in occasione dell'ultima legge finanziaria, il punto di equilibrio è stato trovato al 2,04%. La Kommissionen ha recepito e ratificato.

Si potrà obiettare che il PD aveva proposto un deficit minore, e questo è vero, ma la cosa deve essere interpretata come una gara fra cordate di maggiordomi, lautamente prezzolati, ognuna delle quali sottopone al vero potere nazionale - la burghesia compradora y vendedora - il suo piano per meglio servirne gli interessi attraverso la costruzione di narrazioni la cui efficacia viene valutata in occasione delle elezioni politiche. Nell'ultima tornata elettorale hanno vinto due narrazioni tra loro inconciliabili, tanto è vero che si è tentato a lungo di trovare una soluzione che prevedesse una maggioranza alternativa a quella attuale, ma alla fine si è deciso per l'azzardo, almeno temporaneo. Abbiamo così l'instabile governo giallo-verde, quello che ha chiesto alla Kommissionen un deficit del 2,04% dopo che i partiti che la compongono avevano tuonato per anni minacciando sfracelli. Ovviamente, mentre i capo-maggiordomi latravano, la burghesia compradora y vendedora faceva il suo mestiere, che è quello di assoldare i nuovi servitori ancora fuori dal Palazzo, che latravano per farsi notare: operazione riuscita in pieno!

"Beato quel paese che non ha bisogno di eroi" si dice, ma il nostro è così sprofondato nella sua disgrazia, asservito com'è alle oscene pretese della burghesia compradora y vendedora, che solo di eroi ha bisogno. 

sabato 20 aprile 2019

Le emozioni sono causate dai pensieri, i quali a loro volta sono controllati dalle parole, dal nostro dialogo interno…

Disclaimer: il titolo del post è tratto da un vecchio articolo di Antonella Randazzo. Dell'articolo, comunque da leggere, condivido in pieno l'impostazione epistemica, non del tutto il resto.

Continua la disgustosa, e sempre più spesso rivoltante nella sua spocchia, appropriazione indebita del termine "sovranismo" da parte di forze politiche che con questo pensiero non hanno nulla da spartire, anzi ne sono gli acerrimi nemici. In questa squallida operazione si distinguono i media liberali (cioè tutti) che a giorni alterni descrivono il salvinismo come sovranista o populista. Già, perché una volta che si è deciso di rubare, perché limitarsi? Chi scrive però è un sovranista, non un populista, per cui non mi occuperò di questo secondo furto, essendo questo un compito dei populisti. Alcuni dei quali, a quanto pare, sono talmente imperturbabili davanti al fatto da spingersi a invocare la mobilitazione popolare in difesa del governo quando esso sarà attaccato dalle cosiddette forze euriste, aka l'articolazione, un tempo maggioritaria, dello stesso vasto fronte liberale. Li chiameremo "grillini dell'Illinois", con riferimento puramente voluto.

Le emozioni sono causate dai pensieri, i quali a loro volta sono controllati dalle parole, dal nostro dialogo interno: ne consegue che distruggere il nostro dialogo interno presuppone la manipolazione delle parole per arrivare al controllo delle emozioni. Che l'adesione al salvinismo sia di tipo emotivo non credo possano esservi dubbi; la principale leva è stata l'immigrazione, alla quale (sacrificio di pedone) è stato imposto uno stop momentaneo anche perché, in ogni caso, i flussi si stavano già riducendo. Ma l'obiettivo più importante era, ed è ancor oggi, quello di scongiurare la rinascita di un sentimento di amor patrio, costituzionale, genuinamente socialista e democratico. Per questo i liberali hanno sentito il bisogno di appropriarsi non solo delle parole ma addirittura delle idee dei sovranisti, ed hanno raggiunto lo scopo assoldando quelli che erano disposti a vendersi: Parigi val bene una messa.

«Dopo anni di sanguinosa guerra vinse Enrico di Navarra, divenendo così il primo monarca del ramo Borbone a prendere il trono di Francia. Però, a questo punto, divenne necessario per il futuro Re, che era ugonotto e di religione protestante, convertirsi al cattolicesimo per poter salire sul trono di Francia ed è proprio prima di farsi cattolico che Enrico IV pronunciò la famosa espressione "Parigi val bene una messa", indicando con tali parole che "vale la pena sacrificarsi per ottenere uno scopo alto", ossia rinunciare alla sua fede protestante in favore di quella cattolica pur di conquistare il regno di Francia.»

Funzionò col popolo analfabeta francese del 1500, e a quanto pare ha funzionato con gli italiani di oggi. Ma non perché gli italiani non sappiano ragionare, bensì perché dei sovranisti e delle loro idee non hanno fatto in tempo a sentir parlare: quando stavamo cominciando ad uscire dalla nicchia della nicchia della nicchia è partita l'operazione babele, giunta al pieno successo grazie allo struggente sacrificio di pochi eroi no €uro.

La manipolazione delle parole, quindi dei pensieri e delle emozioni, viene sviluppata a partire dalla storia dei popoli non solo e non tanto approfittando della debolezza umana dei suoi leaders, ma soprattutto sussumendone i simboli e i valori al fine di distorcerli contro i suoi interessi. Ecco allora che i piddini convertiti al verbo liberale sono diventati, nella narrazione del noto imprenditore brianzolo, i comunisti; per i piddini, il liberale europeista e secessionista Salvini è un fascista; il socialista Benito Mussolini, vendutosi agli industriali e agli agrari nonché a libro paga degli inglesi, ottenne dapprima gli entusiastici peana della testata ufficiale della borghesia compradora y vendedora italiana:


che poi effettuò una giravolta a 180°, sempre con l'unico ossessivo scopo di conservare il potere:


La premiata ditta liberale


Saranno gli stessi liberali salviniani, quando verrà il momento, cioè quando a dispetto dei loro sforzi cominceremo ugualmente ad essere conosciuti per quel che siamo veramente, a tacciare di fascismo noi sovranisti! Col pieno ed entusiastico supporto della premiata ditta liberale.

Questa premiata ditta non opera nell'oscurità bensì alla luce del sole per il tramite delle sue organizzazioni nazionali e internazionali, nonché col supporto di quelle che un tempo, prima di vendersi, difendevano gli interessi dei cittadini lavoratori: partiti e sindacati. La premiata ditta ha il compito di promuovere l'ideologia liberale, ma sia essa che l'ideologia liberale non devono essere confuse col capitale, cioè tout court con i possessori di ricchezze private. Il capitale, senza l'ideologia liberale che ne difende e promuove gli interessi per il tramite della premiata ditta, è un animale cieco e stupido che non è difficile sottomettere, costringendolo a lavorare per gli interessi collettivi del popolo e della nazione. Detto in altri termini, non si deve essere anticapitalisti, ma antiliberali! Quelli che si definiscono anticapitalisti e antiliberali sono i veri comunisti (non i piddini), ma noi sovranisti non siamo comunisti; quelli che dichiarano, ad ogni pié sospinto, di essere anticapitalisti ma dimenticano di definirsi antiliberali, sono traditori senza ombra di dubbio.

Provate a rileggere quello che hanno scritto i più noti eroi no €uro negli ultimi dieci anni, e unite i puntini.

mercoledì 17 aprile 2019

La burguesía compradora y vendedora - Atto III



«(…) i voti non sono tutto (…). Non sono i nostri milioni di elettori che possono fornire allo Stato i miliardi e la potenza economica necessaria a dominare la situazione. Vi è in Italia un quarto Partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e di rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l’aumento dei prezzi o le campagne scandalistiche. L’esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l’Italia senza attrarre nella nuova formazione di Governo, in una forma o nell’altra, i rappresentanti di questo quarto Partito, del partito di coloro che dispongono del denaro e della forza economica.» (a un consiglio dei ministri dell’aprile 1947; citato in E. Sereni, Il Mezzogiorno all'opposizione, Torino 1948, p. 21)

Dopo quel discorso, Alcide De Gasperi fece seguire alle parole i fatti, come testimonia Augusto Graziani ne “Lo sviluppo dell’economia italiana” (Torino, Bollati Boringhieri, 1998, pag. 41):
Tutti i ministeri economici vennero affidati a uomini di sicura fede liberista. Einaudi lasciò il governo della Banca d’Italia a Menichella e assunse la direzione del nuovo ministero del Bilancio: Del Vecchio, autorevole studioso di eguali tendenze liberiste, assunse il ministero del Tesoro; i ministeri delle Finanze e dell’Industria andarono rispettivamente a Pela e a Merzagora, ambedue legati agli ambienti della grande industria del Nord. A questo governo spettò di prendere nei mesi immediatamente successivi i provvedimenti di maggiore portata, e di realizzare la famosa svolta deflazionistica del 1947.

Poi ci sono quelli che non riescono a pensare ad altro che a quelli che arrubbano. Io ho troncato ogni rapporto con questo tipo di cervellini.

Addendum al post "La burguesía compradora y vendedora"

Mi sorge un dubbio: se la Spagna, la Francia, la Germania e praticamente tutti gli altri paesi, chi più chi meno - con la sola eccezione della Grecia che ha una burguesía compradora y vendedora peggiore della nostra - fanno il cazzo che gli pare non rispettando né i limiti sul deficit pubblico né quelli sul saldo delle partite correnti, mentre noi (unici in UE) abbiamo addirittura messo il pareggio di bilancio in Costituzione, non è che il "ce lo chiede l'Europa" è una balla colossale mentre la verità è che lo vuole la burguesía compradora y vendedora nazionale?

Post correlato: La burguesía compradora y vendedora

martedì 16 aprile 2019

La burguesía compradora y vendedora.

Nel senso che la burguesía compradora y vendedora compra le forze di opposizione per meglio vendere il paese.

E' andata così, fin dall'inizio. E' il modus operandi classico della burguesía dei paesi colonizzati. Quello che è accaduto negli ultimi dieci anni, quando un numero crescente di cittadini ha cominciato a prendere coscienza della vera natura del progetto unionista, ne è l'ennesima conferma. Non faccio nomi, tanto li sapete, né indicherò delle sigle, tanto capirete presto, e vado al nocciolo della questione. Come ben dice l'amico Mauro Gosmin in un dibattito interno al FLN (il nostro piccolo gruppo di quattro gatti dicasi quattro):

"Non abbiamo mai avuto una classe dirigente che si sia sentita italiana e abbia perseguito l'interesse nazionale, in quanto farlo significava nella quasi totalità dei casi confrontarsi e contrapporsi con le classi dirigenti estere. Credo che, alla base dell'adesione religiosa ed acritica della nostra classe dirigente al progetto unionista, ci sia stata questa volontà di dileguarsi e di fuggire al confronto con le elites degli altri paesi".

Ma non è tutto. La burguesía compradora y vendedora di un paese colonizzato esercita anche una forza di attrazione irresistibile nei confronti delle elites di opposizione, riuscendo quasi sempre ad associarle al suo tradimento. Dirò di più: questa disponibilità della burguesía compradora y vendedora a cooptare le elites di opposizione definisce una vero e proprio percorso carrieristico, per riuscire nel quale è sufficiente seguire alcune semplici tappe. Si comincia sparandole grosse, si consolida un seguito di entusiasti che sperano di aver finalmente trovato dei leaders, si entra nel gioco delle pubblicazioni/convegni/interviste quando non addirittura al governo, e oplà ci si ritrova con le chiappe al caldo all'interno del sistema. E ovviamente a chi obietta si risponde che la rivoluzione non la si fa in un giorno.

Non avete la sensazione di aver assistito, in questi dieci anni, all'ennesima messa in scena di un dramma di successo?

Riuscire a cooptare le elites di opposizione, per la burguesía compradora y vendedora, presenta un duplice vantaggio, perché non solo di disinnescano processi di aggregazione dal basso potenzialmente pericolosi che, in caso di mancato successo di questa strategia, essa dovrebbe reprimere manu militari, ma si genera anche uno stato di delusione che provoca in molti l'abbandono della lotta. In tal modo la burguesía compradora y vendedora, oltre a comprare le elites dell'opposizione, compra altro tempo. Le persone invecchiano, passano un paio di decenni, qualcun altro ci riprova, la situazione suscita speranze, ma ancora una volta le elites vengono cooptate. E così via, all'infinito.

Occorre spezzare questo circolo vizioso. Se non lo si vuole fare, allora è meglio non fare nulla: almeno i pezzi di sterco fumante che sono disposti a vendersi dovranno trovare altre vie!

Non c'è alternativa all'unica strada che, nella storia, sia riuscita ad avere un qualche successo. Una strada che comincia con la ricerca delle persone dotate di nessuna ambizione materiale ma di assoluta ambizione spirituale, pertanto non disponibili mai, e per nessuna ragione, a vendersi. Una strada che comincia con l'ascesi, passa per il martirio e finisce con la presa del potere. Il primo passo è il più difficile, paradossalmente ancor più del secondo il cui prezzo è il martirio. Questo perché il martirio promette almeno la gloria, mentre il prezzo dell'ascesi è l'ininfluenza, l'esclusione, la solitudine esistenziale.

Per cambiare il mondo ci vogliono i santi, che siate o meno credenti. Nulla cambierà mai se ci si affida a coloro che amano, sopra ogni cosa, il successo mondano. Vi faranno bei discorsi, vi sedurranno, ma è pura scatologia. Che differenza per una sola vocale, nevvero?

domenica 14 aprile 2019

Il bicchiere mezzo pieno e il bicchiere tutto vuoto

Il bicchiere mezzo pieno (di contenuti) è questo intervento di Manlio Di Stefano (m5s)



Quello tutto vuoto (presto a perdere) è del Presidente galattico della 6ª Commissione permanente Finanze del Senato



p.s. Ciao Alberto, sono quella "merdaccia di Fraioli", ti ricordi di me? Sei un grande, la tua profezia che un giorno l'euro finirà ha il 100% di probabilità di avverarsi. Correlazione perfetta tra previsione e realtà, errequadro uguale a uno. Se mi fai sapere anche il giorno e l'ora te ne sarò grato.

sabato 13 aprile 2019

Beni non negoziabili e beni non disponibili

Un bene è non negoziabile quando, pur essendo nella disponibilità di un soggetto individuale o collettivo, questi non intende privarsene; è non disponibile quando il soggetto non ha titolo per il suo possesso.

Queste espressioni sono ultimamente molto in voga se riferite a beni di natura etica, ma sono utilizzabili anche per quelli di natura politica, che sono quelli di cui tratterò in questo post. Come esempio di "bene politico" prenderò la Costituzione italiana. Come è noto la Costituzione può essere modificata dal Parlamento in alcune sue parti, con maggioranze diversamente qualificate a seconda dei capitoli sui quali si interviene, ma vi è anche una prima parte della carta costituzionale che non è modificabile nemmeno con una votazione all'unanimità. Se i deputati tentassero di abolire la forma repubblicana dello Stato, anche con voto unanime, ogni cittadino sarebbe autorizzato a prendere le armi e a metterli a morte, e non ne pagherebbe conseguenza alcuna a patto, ovviamente, che il colpo di Stato tentato dal Parlamento non andasse a buon fine. In caso contrario verrebbe probabilmente perseguito dal regime golpista che si instaurerebbe. Dunque la Costituzione, per essere precisi la sua prima parte, è un bene non disponibile per il Parlamento. Il resto del testo costituzionale è invece disponibile per il Parlamento, dunque soggetto a modifiche negoziabili con le forze politiche al fine di costruire la maggioranza necessaria, ma non per il governo che non può agire d'imperio.

Nessun governo, anche se sostenuto dal voto di tutti i partiti, può modificare in alcun modo la Costituzione senza un voto del Parlamento.

Per il Capo dello Stato la Costituzione è non solo non disponibile, ma Egli ha l'obbligo di vigilare su di essa nel senso della correttezza delle procedure per modificarne le parti nella disponibilità del Parlamento. Questo obbligo, che è certo per quanto riguarda i suoi atti formali, è più sfumato se rapportato alle dichiarazioni pubbliche che Egli rilascia, sia quelle prodotte nella sua veste istituzionale che alla stampa; atteso che, per una figura così importante, questa differenza sia applicabile.

L'attuale Presidente della Repubblica ha ultimamente rilasciato una dichiarazione, in occasione di un incontro pubblico con gli alunni di alcune scuole secondarie di secondo grado, che è al limite dei suoi poteri, allorché ha sostenuto che "la Costituzione tutela le autorità indipendenti dalla politica". L'interpretazione della frase dipende dal significato che si vuole dare all'associazione tra il verbo "tutelare" e l'oggetto della tutela, ovvero "le autorità indipendenti dalla politica". Se, in relazione a queste ultime, il Presidente Mattarella avesse voluto parlare, ad esempio, della Corte Costituzionale, allora avrebbe ragione. Il problema, ed è un grosso problema, sorge per il fatto che Mattarella, parlando agli studenti, potrebbe forse aver voluto accennare (ma non lo ha fatto esplicitamente) alla Banca d'Italia. In tal caso, e se lo avesse fatto esplicitamente (ma così non è) avrebbe superato il confine dei poteri che la Costituzione gli conferisce.

Il Presidente della Repubblica non ha alcun potere/dovere di tutela di un'istituzione tecnica come la Banca d'Italia, la quale risponde solo al governo, e quindi al Parlamento, tenendo conto dei vincoli che sono stati eventualmente (e purtroppo) ratificati da trattati internazionali. Desidero ricordare a voi pochi lettori (non a Mattarella che è un fine giurista e queste cose le sa meglio di me) che lo status giuridico della Banca d'Italia non è diverso da quello delle nostre forze armate. Né il governo, né il Parlamento o qualsiasi altro organo dello Stato, possono intervenire direttamente nella gestione tecnica delle forze armate, ma possono in qualsiasi momento rimuoverne i responsabili. Pertanto il governo, finché è sostenuto dal voto del Parlamento, ha il diritto di rimuovere anche i vertici della Banca d'Italia, anche quando questi non sono in scadenza, e qualsiasi intervento del Capo dello Stato andrebbe oltre i suoi poteri. La nomina e la revoca dei vertici degli organi tecnici sono beni nella disponibilità di governo e Parlamento, mai del Capo dello Stato. Nemmeno in forma indiretta, o come azione di persuasione morale o diplomatica.

Ricordiamocelo sempre, perché il mainstream mediatico tenta con tutti i mezzi di farcelo dimenticare per convincerci che, al vertice delle fonti giuridiche che regolano la vita della Repubblica Italiana, non ci sia la Costituzione bensì i trattati internazionali istitutivi della nota montagna di sterco.

La Patria si tradisce anche facendo la guardia a una palla di sterco

venerdì 12 aprile 2019

Il solito post incazzato (fateci l'abitudine, andrà peggio)

Estremisti europei a Barcellona
Il grande scrittore spagnolo Javier Cercas io non l'ho mai coperto, però se lo dice il Corriere...

Il grande scrittore ci dice che "l'UE è un progetto elitario ma necessario" e ovviamente, se lui è un grande scrittore, noi piccolini dobbiamo credergli. La foto, neanche a dirlo, è multiculturale, una giovane biondina sorridente abbracciata a un belloccio di pelle olivastra che sventola il drappo unionista, simbolo della nota montagna di sterco.

A sentire gli altoparlanti più potenti, quelli da cui Albertina e Claudio  avrebbero parlato ar popolo e in due ore gli avrebbero spiegato ogni cosa, tutti gli esseri civili e per bene sono per la nota montagna di sterco, mentre chi si oppone viene furbescamente confuso coi complici della nota montagna di sterco però della razza dei ladri di Pisa: leghisti e pentastellati. Mi è capitato di litigare con qualche minorato che, sentendomi dire che sono un sovranista, ha creduto di capire che sarei un leghista. Poco male, gli ho risposto per le rime e l'ho sfanculato senza rimpianti. Lo vedete che non sono un grande scrittore? E che un grande scrittore si esprime così? Lui, il Javier Cercas, invece è un grande scrittore, uno che esprime un profoooondo e denso pensiero: "l'UE è un progetto elitario ma necessario".

Che tradotto significa "devono comandare i pochi perché ciò è necessario", con l'ovvio corollario "perché i molti non capiscono". Si chiama elitismo, un concetto ben inculcato da Albertina nelle menti del followerame plaudente, convinti di venire istruiti per formare l'esercito degli immortali nella lotta contro la nota montagna di sterco e ritrovatisi, com'è come non è, a sostenere un pupazzo leghista in un governo di coalizione con il non partito dove si pratica la democrazia diretta de 'sto cazzo.


La nota montagna di sterco è dunque, per il grande scrittore, un progetto elitario, ma è necessario perché è l'unica utopia ragionevole. E qui, scusatemi cari pochi lettori, mi vengono le convulsioni da ossimoro perché questa faccenda dell'utopia ragionevole proprio non mi riesce di ingollarlo. Mi viene in mente l'epica scena:



Anche a Barcellona, 
capitale della Catalogna 
indipendentista,
si può essere 
integralisti 
dell’europeismo

Uno di loro 
è lo scrittore Javier Cercas, 
secondo cui l’Unione 
è «il solo modo 
per sconfiggere 
l’irrilevanza 
e per inseguire
la prosperità»

«Perché l’Europa è anche un’idea morale: proteggere la gente che non ha potere»

«In spiaggia 
vanno solo i giovani: 
per i vecchi 
barcellonesi 
è un luogo 
che non esiste»

Certo, anche qui
ci sono molte
differenze. Come 
quelle tra chi preferisce
le anchoas di L’Escala
a quelle più famose
del Cantabrico

Cercas vuole essere
ottimista. Domani
andrà a correre
nel quartiere di Gràcia,
dove abitano i giovani
che studiano, lavorano,
vanno al mare, 
e a volte provano 
a cambiare il mondo

«Se dimentichiamo
il passato, siamo preparati
per ripeterlo.
La storia non ritorna uguale,
indossa maschere diverse»

Javier Cercasgrande SCRITTORE, SPAGNA


Ecco, l'ultima che ha detto è vera, ma chissà se l'ha capita.

Papa Benedetto XVI e l'UE

«Dopo gli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale, in Germania avevamo adottato la nostra Costituzione dichiarandoci esplicitamente responsabili davanti a Dio come criterio guida. Mezzo secolo dopo non era più possibile, nella Costituzione euro­pea, assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura. Dio viene visto come affare di partito di un piccolo gruppo e non può più essere assunto come criterio di misura della comunità nel suo complesso. In questa decisione si rispecchia la situazione dell’Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza.»

Di seguito il testo completo della riflessione di Joseph Ratzinger.
Dal 21 al 24 febbraio 2019, su invito di Papa Francesco, si sono riuniti in Vaticano i presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo per riflettere insieme sulla crisi della fede e della Chiesa avvertita in tutto il mondo a seguito della diffusione delle sconvolgenti notizie di abusi commessi da chierici su minori. La mole e la gravità delle informazioni su tali episodi hanno profondamente scosso sacerdoti e laici e non pochi di loro hanno determinato la messa in discussione della fede della Chiesa come tale. Si doveva dare un segnale forte e si doveva provare a ripartire per rendere di nuovo credibile la Chiesa come luce delle genti e come forza che aiuta nella lotta contro le potenze distruttrici.

Avendo io stesso operato, al momento del deflagrare pubblico della crisi e durante il suo progressivo sviluppo, in posizione di responsabilità come pastore nella Chiesa, non potevo non chiedermi - pur non avendo più da Emerito alcuna diretta responsabilità - come, a partire da uno sguardo retrospettivo, potessi contribuire a questa ripresa. E così, nel lasso di tempo che va dall’annuncio dell’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali al suo vero e proprio inizio, ho messo insieme degli appunti con i quali fornire qualche indicazione che potesse essere di aiuto in questo mo­mento difficile. A seguito di contatti con il Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, ritengo giusto pubblicare su «Klerusblatt» il testo così concepito.

Il mio lavoro è suddiviso in tre parti. In un primo punto tento molto breve­mente di delineare in generale il contesto sociale della questione, in mancanza del quale il problema risulta incomprensibile. Cerco di mostrare come negli anni ’60 si sia verificato un processo inaudito, di un ordine di grandezza che nella storia è quasi senza precedenti. Si può affermare che nel ventennio 1960-1980 i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità sono venuti meno completamente e ne è risultata un’assenza di norme alla quale nel frattempo ci si è sforzati di rimediare.

In un secondo punto provo ad accennare alle conseguenze di questa si­tuazione nella formazione e nella vita dei sacerdoti.

Infine, in una terza parte, svilupperò alcune prospettive per una giusta ri­ sposta da parte della Chiesa.
I
Il processo iniziato negli anni ’60 e la teologia morale
1. La situazione ebbe inizio con l’introduzione, decretata e sostenuta dallo Stato, dei bambini e della gioventù alla natura della sessualità. In Ger­mania Käte Strobel, la Ministra della salute di allora, fece produrre un film a scopo informativo nel quale veniva rappresentato tutto quello che sino a quel momento non poteva essere mostrato pubblicamente, rap­porti sessuali inclusi. Quello che in un primo tempo era pensato solo per informare i giovani, in seguito, come fosse ovvio, è stato accettato come possibilità generale.

Sortì effetti simili anche la «Sexkoffer» (valigia del sesso) curata dal governo austriaco. Film a sfondo sessuale e pornografici divennero una realtà, sino al punto da essere proiettati anche nei cinema delle stazioni. Ricordo ancora come un giorno, andando per Ratisbona, vidi che attendeva di fronte a un grande cinema una massa di persone come sino ad allora si era vista solo in tempo di guerra quando si sperava in qual­che distribuzione straordinaria. Mi è rimasto anche impresso nella memoria quando il Venerdì Santo del 1970 arrivai in città e vidi tutte le colonnine della pubblicità tappezzate di manifesti pubblicitari che presentavano in grande formato due persone completamente nude abbracciate strettamente.

Tra le libertà che la Rivoluzione del 1968 voleva conquistare c’era anche la completa libertà sessuale, che non tollerava più alcuna norma. La propensione alla violenza che caratterizzò quegli anni è strettamente legata a questo collasso spirituale. In effetti negli aerei non fu più consentita la proiezione di film a sfondo sessuale, giacché nella piccola comu­nità di passeggeri scoppiava la violenza. Poiché anche gli eccessi nel ve­stire provocavano aggressività, i presidi cercarono di introdurre un abbigliamento scolastico che potesse consentire un clima di studio.

Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e conveniente. Quantomeno per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro, questo fu per molti versi un tempo molto difficile. Mi sono sempre chiesto come in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accet­tarlo con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sa­cerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato cle­ricale furono una conseguenza di tutti questi processi.

2. Indipendentemente da questo sviluppo, nello stesso periodo si è verifica­to un collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la Chiesa di fronte a quei processi nella società. Cerco di delineare molto brevemente lo svolgimento di questa dinamica. Sino al Vaticano II la teologia morale cattolica veniva largamente fondata giusnaturalistica­mente, mentre la Sacra Scrittura veniva addotta solo come sfondo o a supporto. Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova compren­sione della Rivelazione, l’opzione giusnaturalistica venne quasi comple­tamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia. Ricordo ancora come la Facoltà dei gesuiti di Francoforte preparò un giovane padre molto dotato (Bruno Schüller) per l’elaborazione di una morale completamente fondata sulla Scrittura. La bella dissertazione di padre Schüller mostra il primo passo dell’elaborazione di una morale fondata sulla Scrittura. Padre Schüller venne poi mandato negli Stati Uniti d’America per proseguire gli studi e tornò con la consapevolezza che non era possibile elaborare sistemati­camente una morale solo a partire dalla Bibbia. Egli tentò successiva­mente di elaborare una teologia morale che procedesse in modo più pragmatico, senza però con ciò riuscire a fornire una risposta alla crisi della morale.

Infine si affermò ampiamente la tesi per cui la morale dovesse essere de­finita solo in base agli scopi dell’agire umano. Il vecchio adagio «il fine giustifica i mezzi» non veniva ribadito in questa forma così rozza, e tut­tavia la concezione che esso esprimeva era divenuta decisiva. Perciò non poteva esserci nemmeno qualcosa di assolutamente buono né tantome­no qualcosa di sempre malvagio, ma solo valutazioni relative. Non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio.

Sul finire degli anni ’80 e negli anni ’90 la crisi dei fondamenti e della presentazione della morale cattolica raggiunse forme drammatiche. Il 5 gennaio 1989 fu pubblicata la «Dichiarazione di Colonia» firmata da 15 professori di teologia cattolici che si concentrava su diversi punti critici del rapporto fra magistero episcopale e compito della teologia. Questo testo, che inizialmente non andava oltre il livello consueto delle rimo­stranze, crebbe tuttavia molto velocemente sino a trasformarsi in grido di protesta contro il magistero della Chiesa, raccogliendo in modo ben visibile e udibile il potenziale di opposizione che in tutto il mondo anda­va montando contro gli attesi testi magisteriali di Giovanni Paolo II (cfr. D. Mieth, Kölner Erklärung, LThK, VI3,196).

Papa Giovanni Paolo II, che conosceva molto bene la situazione della teologia morale e la seguiva con attenzione, dispose che s’iniziasse a la­vorare a un’enciclica che potesse rimettere a posto queste cose. Fu pubblicata con il titolo Veritatis splendor il 6 agosto 1993 suscitando violente reazioni contrarie da parte dei teologi morali. In precedenza già c’era stato il Catechismo della Chiesa cattolica che aveva sistematica­mente esposto in maniera convincente la morale insegnata dalla Chiesa.

Non posso dimenticare che Franz Böckle - allora fra i principali teologi morali di lingua tedesca, che dopo essere stato nominato professore emerito si era ritirato nella sua patria svizzera -, in vista delle possibili decisioni di Veritatis splendor, dichiarò che se l’Enciclica avesse deciso che ci sono azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie, contro questo egli avrebbe alzato la sua voce con tutta la forza che aveva. Il buon Dio gli risparmiò la realizzazione del suo proposito; Böckle morì l’8 luglio 1991. L’Enciclica fu pubblicata il 6 agosto 1993 e in effetti conteneva l’affermazione che ci sono azioni che non possono mai diventare buone. Il Papa era pienamente consapevole del peso di quella decisione in quel momento e, proprio per questa parte del suo scritto, aveva consultato ancora una volta esperti di assoluto livello che di per sé non avevano partecipato alla redazione dell’Enciclica. Non ci poteva e non ci doveva essere alcun dubbio che la morale fondata sul principio del bilanciamento di beni deve rispettare un ultimo limite. Ci sono beni che sono indisponibili. Ci sono valori che non è mai lecito sacrificare in nome di un valore ancora più alto e che stanno al di sopra anche della conservazione della vita fisica. Dio è di più anche della sopravvivenza fisica. Una vita che fosse acquistata a prezzo del rinnegamento di Dio, una vita basata su un’ultima menzogna, è una non-vita. Il martirio è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana. Che esso in fondo, nella teoria sostenuta da Böckle e da molti altri, non sia più moralmente necessario, mostra che qui ne va dell’essenza stessa del cristianesimo.

Nella teologia morale, nel frattempo, era peraltro divenuta pressante un’altra questione: si era ampiamente affermata la tesi che al magistero della Chiesa spetti la competenza ultima e definitiva («infallibilità») solo sulle questioni di fede, mentre le questioni della morale non potrebbero divenire oggetto di decisioni infallibili del magistero ecclesiale. In questa tesi c’è senz’altro qualcosa di giusto che merita di essere ulteriormente discusso e approfondito. E tuttavia c’è un minimum morale che è inscindibilmente connesso con la decisione fondamentale di fede e che deve essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria e si riconosce, al contrario, la pretesa che essa avanza rispetto alla vita concreta. Da tutto ciò emerge come sia messa radicalmente in discussione l’autorità della Chiesa in campo morale. Chi in quest’ambito nega alla Chiesa un’ultima competenza dottrinale, la costringe al silenzio proprio dove è in gioco il confine fra verità e menzogna.

Indipendentemente da tale questione, in ampi settori della teologia mo­rale si sviluppò la tesi che la Chiesa non abbia né possa avere una propria morale. Nell’affermare questo si sottolinea come tutte le affermazioni morali avrebbero degli equivalenti anche nelle altre religioni e che dunque non potrebbe esistere un proprium cristiano. Ma alla questione del proprium di una morale biblica, non si risponde affermando che, per ogni singola frase, si può trovare da qualche parte un’equivalente in al­tre religioni. È invece l’insieme della morale biblica che come tale è nuo­vo e diverso rispetto alle singole parti. La peculiarità dell’insegnamento morale della Sacra Scrittura risiede ultimamente nel suo ancoraggio all’immagine di Dio, nella fede nell’unico Dio che si è mostrato in Gesù Cristo e che ha vissuto come uomo. Il Decalogo è un’applicazione alla vi­ta umana della fede biblica in Dio. Immagine di Dio e morale vanno in­sieme e producono così quello che è specificamente nuovo dell’atteggiamento cristiano verso il mondo e la vita umana. Del resto, sin dall’inizio il cristianesimo è stato descritto con la parola hodòs. La fede è un cammino, un modo di vivere. Nella Chiesa antica, rispetto a una cultura sempre più depravata, fu istituito il catecumenato come spazio di esistenza nel quale quel che era specifico e nuovo del modo di vivere cristiano veniva insegnato e anche salvaguardato rispetto al modo di vivere comune. Penso che anche oggi sia necessario qualcosa di simi­le a comunità catecumenali affinché la vita cristiana possa affermarsi nella sua peculiarità.
II
Prime reazioni ecclesiali
1. Il processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale, da lungo tempo preparato e che è in corso, negli anni ’60, come ho cercato di mostrare, ha conosciuto una radicalità come mai c’era stata prima di allora. Questa dissoluzione dell’autorità dottrinale della Chiesa in materia morale doveva necessariamente ripercuotersi anche nei diversi spazi di vita della Chiesa. Nell’ambito dell’incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, interessa soprattutto la questione della vita sacerdotale e inoltre quella dei seminari. Riguardo al problema della preparazione al ministero sacerdotale nei seminari, si constata in effetti un ampio collasso della forma vigente sino a quel momento di questa preparazione.
In diversi seminari si formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari. In un seminario nella Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati all’ufficio laicale di referente pastorale vivevano in­sieme. Durante i pasti comuni, i seminaristi stavano insieme ai referenti pastorali coniugati in parte accompagnati da moglie e figlio e in qualche caso dalle loro fidanzate. Il clima nel seminario non poteva aiutare la formazione sacerdotale. La Santa Sede sapeva di questi problemi, senza esserne informata nel dettaglio. Come primo passo fu disposta una Visita apostolica nei seminari degli Stati Uniti.

Poiché dopo il Concilio Vaticano II erano stati cambiati pure i criteri per la scelta e la nomina dei vescovi, anche il rapporto dei vescovi con i loro seminari era differente. Come criterio per la nomina di nuovi vescovi va­leva ora soprattutto la loro «conciliarità», potendo intendersi natural­mente con questo termine le cose più diverse. In molte parti della Chie­sa, il sentire conciliare venne di fatto inteso come un atteggiamento cri­tico o negativo nei confronti della tradizione vigente fino a quel momen­to, che ora doveva essere sostituita da un nuovo rapporto, radicalmente aperto, con il mondo. Un vescovo, che in precedenza era stato rettore, aveva mostrato ai seminaristi film pornografici, presumibilmente con l’intento di renderli in tal modo capaci di resistere contro un comportamento contrario alla fede. Vi furono singoli vescovi - e non solo negli Stati Uniti d’America - che rifiutarono la tradizione cattolica nel suo complesso mirando nelle loro diocesi a sviluppare una specie di nuova, moderna «cattolicità». Forse vale la pena accennare al fatto che, in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri venivano considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come letteratura dannosa e venivano per così dire letti sottobanco.

La Visita che seguì non portò nuove informazioni, perché evidentemente diverse forze si erano coalizzate al fine di occultare la situazione reale. Venne disposta una seconda Visita che portò assai più informazioni, ma nel complesso non ebbe conseguenze. Ciononostante, a partire dagli anni ’70, la situazione nei seminari in generale si è consolidata. E tutta­via solo sporadicamente si è verificato un rafforzamento delle vocazioni, perché nel complesso la situazione si era sviluppata diversamente.

2. La questione della pedofilia è, per quanto ricordi, divenuta scottante solo nella seconda metà degli anni ’80. Negli Stati Uniti nel frattempo era già cresciuta, divenendo un problema pubblico. Così i vescovi chiesero aiuto a Roma perché il diritto canonico, così come fissato nel Nuovo Co­dice, non appariva sufficiente per adottare le misure necessarie. In un primo momento Roma e i canonisti romani ebbero delle difficoltà con questa richiesta; a loro avviso, per ottenere purificazione e chiarimento sarebbe dovuta bastare la sospensione temporanea dal ministero sacerdotale. Questo non poteva essere accettato dai vescovi americani perché in questo modo i sacerdoti restavano al servizio del vescovo venendo così ritenuti come figure direttamente a lui legate. Un rinnovamento e un approfondimento del diritto penale, intenzionalmente costruito in modo blando nel Nuovo Codice, poté farsi strada solo lentamente.

A questo si aggiunse un problema di fondo che riguardava la concezione del diritto penale. Ormai era considerato «conciliare» solo il così detto «garantismo». Significa che dovevano essere garantiti soprattutto i diritti degli accusati e questo fino al punto da escludere di fatto una condanna. Come contrappeso alla possibilità spesso insufficiente di difendersi da parte di teologi accusati, il loro diritto alla difesa venne talmente esteso nel senso del garantismo che le condanne divennero quasi impossibili.

Mi sia consentito a questo punto un breve excursus. Di fronte all’estensione delle colpe di pedofilia, viene in mente una parola di Gesù che dice: «Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare» (Mc 9,42). Nel suo significato originario questa parola non parla dell’adescamento di bambini a scopo sessuale. Il termine «i piccoli» nel linguaggio di Gesù designa i credenti semplici, che potrebbero essere scossi nella loro fede dalla superbia intellettuale di quelli che si credono intelligenti. Gesù qui allora protegge il bene della fede con una perentoria minaccia di pena per coloro che le recano offesa. Il moderno utilizzo di quelle parole in sé non è sbagliato, ma non deve occultare il loro sen­so originario. In esso, contro ogni garantismo, viene chiaramente in luce che è importante e abbisogna di garanzia non solo il diritto dell’accusato. Sono altrettanto importanti beni preziosi come la fede. Un diritto canonico equilibrato, che corrisponda al messaggio di Gesù nella sua interezza, non deve dunque essere garantista solo a favore dell’accusato, il cui rispetto è un bene protetto dalla legge. Deve proteg­gere anche la fede, che del pari è un bene importante protetto dalla legge. Un diritto canonico costruito nel modo giusto deve dunque contenere una duplice garanzia: protezione giuridica dell’accusato e protezione giuridica del bene che è in gioco. Quando oggi si espone questa concezione in sé chiara, in genere ci si scontra con sordità e indifferenza sulla questione della protezione giuridica della fede. Nella coscienza giuridica comune la fede non sembra più avere il rango di un bene da proteggere. È una situazione preoccupante, sulla quale i pastori della Chiesa devo­no riflettere e considerare seriamente.

Ai brevi accenni sulla situazione della formazione sacerdotale al mo­mento del deflagrare pubblico della crisi, vorrei ora aggiungere alcune indicazioni sull’evoluzione del diritto canonico in questa questione. In sé, per i delitti commessi dai sacerdoti è responsabile la Congregazione per il clero. Poiché tuttavia in essa il garantismo allora dominava am­piamente la situazione, concordammo con papa Giovanni Paolo II sull’opportunità di attribuire la competenza su questi delitti alla Con­gregazione per la Dottrina della Fede, con la titolatura «Delicta maiora contra fidem». Con questa attribuzione diveniva possibile anche la pena massima, vale a dire la riduzione allo stato laicale, che invece non sa­rebbe stata comminabile con altre titolature giuridiche. Non si trattava di un escamotage per poter comminare la pena massima, ma una con­seguenza del peso della fede per la Chiesa. In effetti è importante tener presente che, in simili colpe di chierici, ultimamente viene danneggiata la fede: solo dove la fede non determina più l’agire degli uomini sono possibili tali delitti. La gravità della pena presuppone tuttavia anche una chiara prova del delitto commesso: è il contenuto del garantismo che rimane in vigore. In altri termini: per poter legittimamente comminare la pena massima è necessario un vero processo penale. E tuttavia, in questo modo si chiedeva troppo sia alle diocesi che alla Santa Sede. E così stabilimmo una forma minima di processo penale e lasciammo aperta la possibilità che la stessa Santa Sede avocasse a sé il processo nel caso che la diocesi o la metropolia non fossero in grado di svolgerlo. In ogni caso il processo doveva essere verificato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede per garantire i diritti dell’accusato. Alla fine, però, nella Feria IV (vale a dire la riunione di tutti i membri della Congrega­zione), creammo un’istanza d’appello, per avere anche la possibilità di un ricorso contro il processo. Poiché tutto questo in realtà andava al di là delle forze della Congregazione per la Dottrina della Fede e si verificavano dei ritardi che invece, a motivo della materia, dovevano essere evi­tati, papa Francesco ha intrapreso ulteriori riforme.
III
Alcune prospettive
1. Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento già è stato fatto ed è già falli­to. Solo l’amore e l’obbedienza a nostro Signore Gesù Cristo possono in­dicarci la via giusta. Proviamo perciò innanzitutto a comprendere in modo nuovo e in profondità cosa il Signore abbia voluto e voglia da noi.

In primo luogo direi che, se volessimo veramente sintetizzare al massi­mo il contenuto della fede fondata nella Bibbia, potremmo dire: il Signo­re ha iniziato con noi una storia d’amore e vuole riassumere in essa l’intera creazione. L’antidoto al male che minaccia noi e il mondo intero ultimamente non può che consistere nel fatto che ci abbandoniamo a questo amore. Questo è il vero antidoto al male. La forza del male nasce dal nostro rifiuto dell’amore a Dio. È redento chi si affida all’amore di Dio. Il nostro non essere redenti poggia sull’incapacità di amare Dio. Imparare ad amare Dio è dunque la strada per la redenzione degli uo­mini.

Se ora proviamo a svolgere un po’ più ampiamente questo contenuto es­senziale della Rivelazione di Dio, potremmo dire: il primo fondamentale dono che la fede ci offre consiste nella certezza che Dio esiste. Un mon­do senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso. Infatti, da dove proviene tutto quello che è? In ogni caso sarebbe privo di un fondamento spirituale. In qualche modo ci sarebbe e basta, e sarebbe privo di qualsiasi fine e di qualsiasi senso. Non vi sarebbero più criteri del bene e del male. Dunque avrebbe valore unicamente ciò che è più forte. Il potere diviene allora l’unico principio. La verità non conta, anzi in realtà non esiste. Solo se le cose hanno un fondamento spirituale, so­lo se sono volute e pensate - solo se c’è un Dio creatore che è buono e vuole il bene - anche la vita dell’uomo può avere un senso.

Che Dio ci sia come creatore e misura di tutte le cose, è innanzitutto un’esigenza originaria. Ma un Dio che non si manifestasse affatto, che non si facesse riconoscere, resterebbe un’ipotesi e perciò non potrebbe determinare la forma della nostra vita. Affinché Dio sia realmente Dio nella creazione consapevole, dobbiamo attenderci che egli si manifesti in una qualche forma. Egli lo ha fatto in molti modi, e in modo decisivo nella chiamata che fu rivolta ad Abramo e diede all’uomo quell’orientamento, nella ricerca di Dio, che supera ogni attesa: Dio di­viene creatura egli stesso, parla a noi uomini come uomo.

Così finalmente la frase «Dio è» diviene davvero una lieta novella, pro­prio perché è più che conoscenza, perché genera amore ed è amore. Rendere gli uomini nuovamente consapevoli di questo, rappresenta il primo e fondamentale compito che il Signore ci assegna.

Una società nella quale Dio è assente - una società che non lo conosce più e lo tratta come se non esistesse - è una società che perde il suo cri­terio. Nel nostro tempo è stato coniato il motto della «morte di Dio». Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché muore il senso che offre orientamento. E perché vie­ne meno il criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal male. La società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica è assente e per la quale non ha più nulla da dire. E per questo è una società nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano. In alcuni punti, allora, a volte diviene improvvisa­mente percepibile che è divenuto addirittura ovvio quel che è male e che distrugge l’uomo. È il caso della pedofilia. Teorizzata ancora non troppo tempo fa come del tutto giusta, essa si è diffusa sempre più. E ora, scossi e scandalizzati, riconosciamo che sui nostri bambini e giovani si commet­tono cose che rischiano di distruggerli. Che questo potesse diffondersi anche nella Chiesa e tra i sacerdoti deve scuoterci e scandalizzarci in misura particolare.

Come ha potuto la pedofilia raggiungere una dimensione del genere? In ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio. Anche noi cristiani e 
sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica. Dopo gli sconvolgimenti della Seconda guerra mondiale, in Germania avevamo adottato la nostra Costituzione dichiarandoci esplicitamente responsabili davanti a Dio come criterio guida. Mezzo secolo dopo non era più possibile, nella Costituzione euro­pea, assumere la responsabilità di fronte a Dio come criterio di misura. Dio viene visto come affare di partito di un piccolo gruppo e non può più essere assunto come criterio di misura della comunità nel suo complesso. In questa decisione si rispecchia la situazione dell’Occidente, nel quale Dio è divenuto fatto privato di una minoranza.

Il primo compito che deve scaturire dagli sconvolgimenti morali del no­stro tempo consiste nell’iniziare di nuovo noi stessi a vivere di Dio, rivol­ti a lui e in obbedienza a lui. Soprattutto dobbiamo noi stessi di nuovo imparare a riconoscere Dio come fondamento della nostra vita e non ac­cantonarlo come fosse una parola vuota qualsiasi. Mi resta impresso il monito che il grande teologo Hans Urs von Balthasar vergò una volta su uno dei suoi biglietti: «Il Dio trino, Padre, Figlio e Spirito Santo: non presupporlo ma anteporlo!». In effetti, anche nella teologia, spesso Dio viene presupposto come fosse un’ovvietà, ma concretamente di lui non ci si occupa. Il tema «Dio» appare così irreale, così lontano dalle cose che ci occupano. E tuttavia cambia tutto se Dio non lo si presuppone, ma lo si antepone. Se non lo si lascia in qualche modo sullo sfondo ma lo si riconosce come centro del nostro pensare, parlare e agire.

2. Dio è divenuto uomo per noi. La creatura uomo gli sta talmente a cuore che egli si è unito a essa entrando concretamente nella storia. Parla con noi, vive con noi, soffre con noi e per noi ha preso su di sé la morte. Di questo certo parliamo diffusamente nella teologia con un linguaggio e con concetti dotti. Ma proprio così nasce il pericolo che ci facciamo si­gnori della fede, invece di lasciarci rinnovare e dominare dalla fede.

Consideriamo questo riflettendo su un punto centrale, la celebrazione della Santa Eucaristia. Il nostro rapporto con l’Eucaristia non può che destare preoccupazione. A ragione il Vaticano II intese mettere di nuovo al centro della vita cristiana e dell’esistenza della Chiesa questo sacra­mento della presenza del corpo e del sangue di Cristo, della presenza della sua persona, della sua passione, morte e risurrezione. In parte questa cosa è realmente avvenuta e per questo vogliamo di cuore ringraziare il Signore.

Ma largamente dominante è un altro atteggiamento: non domina un nuovo profondo rispetto di fronte alla presenza della morte e risurrezio­ne di Cristo, ma un modo di trattare con lui che distrugge la grandezza del mistero. La calante partecipazione alla celebrazione domenicale dell’Eucaristia mostra quanto poco noi cristiani di oggi siamo in grado di valutare la grandezza del dono che consiste nella Sua presenza reale. L’Eucaristia è declassata a gesto cerimoniale quando si considera ovvio che le buone maniere esigano che sia distribuita a tutti gli invitati a ra­gione della loro appartenenza al parentado, in occasione di feste familia­ri o eventi come matrimoni e funerali. L’ovvietà con la quale in alcuni luoghi i presenti, semplicemente perché tali, ricevono il Santissimo Sa­cramento mostra come nella Comunione si veda ormai solo un gesto cerimoniale. Se riflettiamo sul da farsi, è chiaro che non abbiamo bisogno di un’altra Chiesa inventata da noi. Quel che è necessario è invece il rinnovamento della fede nella realtà di Gesù Cristo donata a noi nel Sacramento.

Nei colloqui con le vittime della pedofilia sono divenuto consapevole con sempre maggiore forza di questa necessità. Una giovane ragazza che serviva all’altare come chierichetta mi ha raccontato che il vicario parrocchiale, che era suo superiore visto che lei era chierichetta, introduceva l’abuso sessuale che compiva su di lei con queste parole: «Questo è il mio corpo che è dato per te». È evidente che quella ragazza non può più ascoltare le parole della consacrazione senza provare terribilmente su di sé tutta la sofferenza dell’abuso subìto. Sì, dobbiamo urgentemen­te implorare il perdono del Signore e soprattutto supplicarlo e pregarlo di insegnare a noi tutti a comprendere nuovamente la grandezza della sua passione, del suo sacrificio. E dobbiamo fare di tutto per proteggere dall’abuso il dono della Santa Eucaristia.

3. Ed ecco infine il mistero della Chiesa. Restano impresse nella memoria le parole con cui ormai quasi cento anni fa Romano Guardini esprimeva la gioiosa speranza che allora si affermava in lui e in molti altri: «Un evento di incalcolabile portata è iniziato: La Chiesa si risveglia nelle anime». Con questo intendeva dire che la Chiesa non era più, come prima, semplicemente un apparato che ci si presenta dal di fuori, vissu­ta e percepita come una specie di ufficio, ma che iniziava ad essere sen­tita viva nei cuori stessi: non come qualcosa di esteriore ma che ci toc­cava dal di dentro. Circa mezzo secolo dopo, riflettendo di nuovo su quel processo e guardando a cosa era appena accaduto, fui tentato di capo­volgere la frase: «La Chiesa muore nelle anime». In effetti oggi la Chiesa viene in gran parte vista solo come una specie di apparato politico. Di fatto, di 
essa si parla solo utilizzando categorie politiche e questo vale persino per dei vescovi che formulano la loro idea sulla Chiesa di domani in larga misura quasi esclusivamente in termini politici. La crisi cau­sata da molti casi di abuso ad opera di sacerdoti spinge a considerare la Chiesa addirittura come qualcosa di malriuscito che dobbiamo decisa­mente prendere in mano noi stessi e formare in modo nuovo. Ma una Chiesa fatta da noi non può rappresentare alcuna speranza.

Gesù stesso ha paragonato la Chiesa a una rete da pesca nella quale stanno pesci buoni e cattivi, essendo Dio stesso colui che alla fine dovrà separare gli uni dagli altri. Accanto c’è la parabola della Chiesa come un campo sul quale cresce il buon grano che Dio stesso ha seminato, ma anche la zizzania che un «nemico» di nascosto ha seminato in mezzo al grano. In effetti, la zizzania nel campo di Dio, la Chiesa, salta all’occhio per la sua quantità e anche i pesci cattivi nella rete mostrano la loro forza. Ma il campo resta comunque campo di Dio e la rete rimane rete da pesca di Dio. E in tutti i tempi c’è e ci saranno non solo la zizzania e i pesci cattivi ma anche la semina di Dio e i pesci buoni. Annunciare in egual misura entrambe con forza non è falsa apologetica, ma un servizio necessario reso alla verità.

In quest’ambito è necessario rimandare a un importante testo della Apocalisse di San Giovanni. Qui il diavolo è chiamato accusatore che accusa i nostri fratelli dinanzi a Dio giorno e notte (Ap 12, 10). In questo modo l’Apocalisse riprende un pensiero che sta al centro del racconto che fa da cornice al libro di Giobbe (Gb 1 e 2, 10; 42, 7-16). Qui si narra che il diavolo tenta di screditare la rettitudine e l’integrità di Giobbe co­me puramente esteriori e superficiali. Si tratta proprio di quello di cui parla l’Apocalisse: il diavolo vuole dimostrare che non ci sono uomini giusti; che tutta la giustizia degli uomini è solo una rappresentazione esteriore. Che se la si potesse saggiare di più, ben presto l’apparenza della giustizia svanirebbe. Il racconto inizia con una disputa fra Dio e il diavolo in cui Dio indicava in Giobbe un vero giusto. Ora sarà dunque lui il banco di prova per stabilire chi ha ragione. «Togligli quanto possie­de - argomenta il diavolo - e vedrai che nulla resterà della sua devozio­ne». Dio gli permette questo tentativo dal quale Giobbe esce in modo po­sitivo. Ma il diavolo continua e dice: «Pelle per pelle; tutto quanto ha, l’uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e toccalo nell’osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia» (Gb 2, 4s). Così Dio concede al diavolo una seconda possibilità. Gli è permesso anche di stendere la mano su Giobbe. Unicamente gli è precluso ucci­derlo. Per i cristiani è chiaro che quel Giobbe che per tutta l’umanità esemplarmente sta di fronte a Dio è Gesù Cristo. Nell’Apocalisse, il dramma dell’uomo è rappresentato in tutta la sua ampiezza. Al Dio creatore si contrappone il diavolo che scredita l’intera creazione e l’intera umanità. Egli si rivolge non solo a Dio ma soprattutto agli uo­mini dicendo: «Ma guardate cosa ha fatto questo Dio. Apparentemente una creazione buona. In realtà nel suo complesso è piena di miseria e di schifo». Il denigrare la creazione in realtà è un denigrare Dio. Il diavolo vuole dimostrare che Dio stesso non è buono e vuole allontanarci da lui.

L’attualità di quel che dice l’Apocalisse è lampante. L’accusa contro Dio oggi si concentra soprattutto nello screditare la sua Chiesa nel suo complesso e così nell’allontanarci da essa. L’idea di una Chiesa migliore creata da noi stessi è in verità una proposta del diavolo con la quale vuole allontanarci dal Dio vivo, servendosi di una logica menzognera nella quale caschiamo sin troppo facilmente. No, anche oggi la Chiesa non consiste solo di pesci cattivi e di zizzania. La Chiesa di Dio c’è an­che oggi, e proprio anche oggi essa è lo strumento con il quale Dio ci salva. È molto importante contrapporre alle menzogne e alle mezze verità del diavolo tutta la verità: sì, il peccato e il male nella Chiesa ci sono. Ma anche oggi c’è pure la Chiesa santa che è indistruttibile. Anche oggi ci sono molti uomini che umilmente credono, soffrono e amano e nei quali si mostra a noi il vero Dio, il Dio che ama. Anche oggi Dio ha i suoi testimoni («martyres») nel mondo. Dobbiamo solo essere vigili per vederli e ascoltarli.

Il termine martire è tratto dal diritto processuale. Nel processo contro il diavolo, Gesù Cristo è il primo e autentico testimone di Dio, il primo martire, al quale da allora innumerevoli ne sono seguiti. La Chiesa di oggi è come non mai una Chiesa di martiri e così testimone del Dio vivente. Se con cuore vigile ci guardiamo intorno e siamo in ascolto, ovunque, fra le persone semplici ma anche nelle alte gerarchie della Chiesa, possiamo trovare testimoni che con la loro vita e la loro soffe­renza si impegnano per Dio. È pigrizia del cuore non volere accorgersi di loro. Fra i compiti grandi e fondamentali del nostro annuncio c’è, nel limite delle nostre possibilità, il creare spazi di vita per la fede, e soprat­tutto il trovarli e il riconoscerli.

Vivo in una casa nella quale una piccola comunità di persone scopre di continuo, nella quotidianità, testimoni così del Dio vivo, indicandoli an­che a me con letizia. Vedere e trovare la Chiesa viva è un compito meraviglioso che rafforza noi stessi e che sempre di nuovo ci fa essere lieti della fede.

Alla fine delle mie riflessioni vorrei ringraziare Papa Francesco per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!