lunedì 24 luglio 2023

La differenza ONTOLOGICA tra capitale e risparmio


Post su FB di Andrea Bartalini.

Con il capitalismo non si stipulano patti di connivenza, non si media, non si "governa", mentre il socialismo, questa chimera per popoli occidentali ormai corrotti e annichiliti da quarant'anni di consumismo, o è rivoluzionario, oppure semplicemente non è, non esiste, può essere al massimo una sua rappresentazione retorica, o farsesca, ma nulla più di questo.
Anche la Costituzione repubblicana del 48, a ben vedere, salvo letture successive intrise di revisionismo borghese, era rivoluzionaria in ogni sua parte, poiché conteneva in sé quegli elementi indispensabili a continuare (con altri mezzi) la lotta di classe generante le due guerre mondiali, e questo perché, in un momento in cui la lotta partigiana (dei comunisti, gli unici partigiani che io conosca), non avendo l'appoggio dell'Unione sovietica, essendo l'Italia devastata dalle bombe e dalla miseria, non avendo ancora l'URSS sviluppato l'arma nucleare, non essendo effettivamente in grado di sostenere un confronto armato con le forze occupanti, ebbe come unica soluzione l'aggiramento del problema, il cedere per sbilanciare il nemico e poi colpirlo quando si fossero ripristinati gli equilibri di forza.
I rapporti di forza rendevano insostenibile la rinuncia ostinata alla mediazione, da ciò il famoso "contrordine compagni!" che la necessità, e non le nostre più alte aspirazioni, resero ineludibile.
Ma la rivoluzione, tornando al punto, possono farla soltanto i poveri diavoli, i proletari, la gente che ha segnata la schiena dalla frusta del padrone, o soltanto le proprie catene da perdere, e cioè, amici miei, i villani, i bifolchi, chi vive del suo lavoro là dove il termine LAVORO non indica una professione, non è sinonimo d'impiego.
La vera rivoluzione la fanno i bifolchi, non gli intellettuali, non i teorici, non i borghesi, non gli influncer, non gli oratori mediaticamente spendibili.
Per quelli lì, in un sistema post democratico com'è quello attuale, c'è soltanto la prospettiva di mettersi al tavolo dei burocrati, dei proconsoli, dei faccendieri, dove principalmente si apprezzano il buon vino, le ostriche, il caviale, i tagliolini con l'astice e le aragoste.
Che poi sia necessario alla rivoluzione che anche l'operaio, il bracciante, il poveraccio, e cioè il bifolco, abbiano un minimo d'istruzione, che siano capaci di pensare (è intellettuale chi esercita le facoltà dell'intelletto e della ragione), e che siano capaci di argomentare in pubblico, ad esempio, ma soprattutto si pongano il dovere di studiare per capire meglio le dinamiche che sovrintendono al loro interesse e al modo di perseguirlo, quello è certamente un altro discorso;
resta il fatto che coloro che non si contino fra i miserabili, o dei miserabili non conservino le cicatrici, insomma, quelli che non hanno mai assaggiato l'umiliazione e la fatica del lavoro salariato, o la precarietà del lavoro autonomo, non possono, pur volendo, essere utili alla causa
Puoi essere borghese e mosso da una grande forza morale, ed ecco che ti vedremo appoggiare la causa della giustizia sociale finché questa non ti costerà il patrimonio, la sicurezza, il privilegio, allora te ne andrai per non sporcarti le mani e la coscienza, ti nasconderai da qualche parte, all'estero, o cederai al ricatto.
Puoi essere borghese moralmente debole, avido e fasullo, un arrivista, e allora ti venderai al miglior offerente per poi sederti al tavolo di chi comanda, lì ti metterai d'accordo e manderai a fanculo tutti gli altri, al pari del caro Onofrio Del Grillo, il fu Marchese di Comencini.
Nei miei sogni bagnati immagino una prassi rivoluzionaria che possa fare a meno, escludendoli, di grandi e piccoli borghesi, mezze tacche, gente con l'auto nuova in garage, gente che non può fare a meno di una doccia al giorno, o di un abbonamento a Netflix, gente che non sa tirare il collo a una gallina, o che non sa ammazzare un coniglio con decisa bastonata sul collo perché una tale azione la farebbe impallidire.
La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è roba da borghesi, né grandi né piccini, ed uno dei motivi per cui oggi la rivoluzione sarebbe improponibile (per adesso) non è perché abbiamo interiorizzato quarant'anni di propaganda neoliberista, ma perché anche un metalmeccanico s'è imborghesito nei modi di condurre la propria vita, col benessere crescente, e piano piano, dai modi si è passati all'Essere, perché come ho sempre sostenuto in passato e continuo a farlo, è la forma (il modo di vivere, il contesto) a produrre il pensiero, a plasmare lo spirito, non il contrario.
Questa società ha prodotto froci (senza allusione alcuna ai gusti sessuali di ognuno) che per toccare una pompa della benzina si mettono i guanti, e per entrare al supermercato si disinfettano le mani con la benzina.
Una società siffatta è disarmata, la sua parte migliore può soltanto discutere in eterno sulla definizione di parole già storicamente definite, come appunto la parola "socialismo", le sue varianti, il suo portato, oppure dell'appropriatezza del termine anti-fascismo, una premessa, non un proposito, al ripristino della costituzione repubblicana del 48, ma anche di qualsiasi istanza veramente socialista.
Una simile concezione della realtà potrà sembrarvi pessimistica, quasi tragica, e perciò nichilista, ma il nichilismo è invero un'altra cosa, consta nell'avere coscienza del problema, sì, e cioè nel riconoscerne l'esistenza, ma al contempo considerlo ineluttabile, e questo perché il nichilista è pressoché incapace di percepirsi "soggetto storico", quindi non sa trascendere se stesso in codesta metafisica;
il nichilista persegue soltanto il proprio godimento immediato, orgiastico, fine a se stesso, in attesa della Fine, considerata ineluttabile e pedissequamente rimossa, un po' come nel film "In viaggio verso sera", di cui consiglio la visione.
Il nichilista è capace si di perseguire uno scopo, ma soltanto se questo consta nel cambiare effettivamente qualcosa nell'arco della sua infinitesimale esistenza, e soltanto ad un costo inferiore di ciò che individualmente può guadagnarci.
Il nichilista vive in un eterno presente, vive per sé stesso e non crede a nient'altro che nella propria nuda vita, perciò persegue il proprio solo godimento (materiale) e si pone in antitesi sia all'idealismo borghese (che è illusorio, ma comunque ci fa vivere meglio), sia a quel senso eroico ch'era tipico degli antichi, o al realismo stoico e volitivo dei poveri, degli ultimi, di tutti coloro che conoscono il dolore, la fatica, le privazioni, ma al contempo hanno figli a cui dover garantire un futuro (i proletari).
La disintegrazione della famiglia ed il fatto che non si fanno più figli è anch'esso un motivo, secondo me, del trionfo assoluto del nichilismo, alla cui azione tossica si può rimediare soltanto facendo ricorso all'idealismo borghese (che è un gioco da salotto, però, lontano anni luce dalla cruda realtà e dall'azione rivoluzionaria).
Un esercito di "senza figli" è anch'esso un esercito disarmato, fuggirà nelle retrovie al primo colpo di cannone (o si inietterà un farmaco per continuare a lavorare, o firmerà un'autocertificazione insulsa pur di continuare in santa pace il suo giro senza prendere una multa).
Nichilista, a mio avviso, è colui che non ha altro da difendere se non la propria nuda vita (non ha Dio come gli antichi, non ha senso storico come i moderni, non ha eredi come il proletariato).

mercoledì 12 luglio 2023

Comunicato n.1 del collettivo Prototipo - 6 luglio 2023

Nel corso della storia la lotta politica è stata caratterizzata dall’emergere di molte visioni generali del mondo, le ideologie. Queste, sempre necessarie, hanno la caratteristica di essere calate nella realtà storica della contemporaneità; possono durare secoli o millenni, venendo man mano adattate o corrette, ma ad un certo punto vengono abbandonate per essere sostituite da altre, sorte dal loro corpo morente o importate da lontano per il continuo rimescolamento di popolazioni e idee. La storia delle ideologie è costituita da evoluzioni delle stesse come pure da improvvise rotture causate dalle lacerazioni del continuum storico: invasioni, crolli di grandi imperi, rapidi e impetuosi cambiamenti della tecnica, nuove visioni del mondo di natura filosofico-religiosa.

Ciò nonostante, se si osserva con distacco il caleidoscopico susseguirsi delle ideologie balza agli occhi un elemento invariante che costituisce il tessuto sul quale la storia delle idee tesse continuamente la sua tela: la dicotomia di fondo tra il Principio oligarchico e il Principio democratico. Invariabilmente l’affermarsi di un modello di organizzazione sociale oligarchico determina l’inizio della riscossa dell’idea democratica, e viceversa. Il conflitto che ne sorge può svolgersi all’interno del quadro ideologico già esistente, oppure spingere i ribelli alla ricerca di una nuova ideologia da contrappore al sistema di potere che viene combattuto.

Il tempo che viviamo, in Europa e nel mondo occidentale, è attraversato da una crisi che ha molte cause ma, osservando gli eventi in controluce, quello che si vede con chiarezza è la contraddizione tra il dominio di oligarchie che si vestono dei panni di una democrazia svuotata di sostanza e una miriade di spinte che, in modo spesso disordinato, generano la nascita di piccole organizzazioni che sono, nel loro insieme, il segnale di una possibile riscossa del Principio democratico. Un indice dello stato delle cose testé descritto è rintracciabile nel fatto che l’oligarchia al potere viene indicata con il molto generico termine “Sistema”. Questa anodina parola, che in Italia è stata a lungo usata dalle formazioni neo fasciste sorte nel dopoguerra (con mere finalità propagandistiche che avevano lo scopo di rendere indefinito l’obiettivo della loro azione politica e nasconderne la ben documentata realtà di essere al servizio dell’atlantismo) si è ciò nonostante affermata. Essa descrive bene la natura del dominio oligarchico che spadroneggia in tutto l’occidente ammantandosi di forme democratiche. Ne deriva la crescente ma ancora confusa aspirazione ad una democrazia reale, di cui si fanno veicolo le numerose piccole organizzazioni politiche sorte negli ultimi quindici anni, dalla prima grande crisi del progetto europeo nel 2008 ad oggi.

Né può essere diversamente, stante l’assenza di una grande narrazione ideologica da contrapporre al “Sistema” di potere imperniato sull’impero anglo-americano, oligarchico come tutti gli imperi in crisi e sostenuto dalle oligarchie nazionali ad esso sottomesse. Lo scontro politico-ideologico è tutto interno all’occidente, a prescindere dalle azzardate simpatie che si possono provare per gli avversari geopolitici dell’impero che, in ultima analisi, sono e restano estranei al conflitto di fondo tra il Principio oligarchico e il Principio democratico che si è riacceso in questa parte di mondo. Per quanto riguarda l’Italia, una prima fase del tentativo di riscossa del Principio democratico volge al termine. Essa è stata caratterizzata, inizialmente, da una critica di natura tecnica centrata sulla battaglia per l’uscita dalla moneta unica, per poi allargarsi alla contestazione in radice del progetto unionista; infine dalla comprensione che moneta unica e progetto unionista sono solo aspetti del quadro più ampio costituito dall’essere parte dell’occidente collettivo.

Ecco allora che, non potendosi assumere, nel quadro dello scontro fra occidente collettivo ed eurasia, la visione del mondo per cui da una qualsiasi delle due parti ci siano le forze del bene e dall’altra quelle del male, si è fatta strada una narrazione ideologica, minoritaria ma agguerrita nelle sue convinzioni, che tutto il mondo sia un “Sistema”, dominato da un’élite di crudeli e cattivi individui che traggono ispirazione da antiche filosofie gnostiche sussunte dalla Massoneria universale. In buona sostanza si tratta del tentativo di spiegare quello che accade alla luce della dicotomia Bene/Male, ponendo in ombra quella tra Oligarchia e Democrazia.

Il collettivo Prototipo respinge con fermezza l’idea che la storia degli uomini possa essere ridotta alla dicotomia Bene/Male, per l’ovvia constatazione che tali Principi sono connaturati all’essenza di ogni uomo e costituiscono pertanto una problematica di coscienza, individuale, che non è utilizzabile nella lotta politica. Il collettivo Prototipo riconduce la lotta politica, che è un aspetto dell’esistenza che afferisce alla dimensione sociale, alla dicotomia fra il Principio Democratico e il Principio Oligarchico.

Il mondo del dissenso o della resistenza o dell’anti-sistema

La stessa difficoltà a trovare una definizione chiara delle forze di opposizione minoritarie (“i partitini”) denuncia l’assenza di un’ideologia politica sottostante che funga da tessuto connettivo comune. Non che le ideologie esistenti scarseggino, o che sia impossibile elaborarne di nuove, ma è un fatto che tutti i partitini esitano, almeno sul piano della comunicazione politica, nel qualificarsi sulla base di quelle disponibili. Il collettivo Prototipo ritiene che questo sia un errore, oltre che una forma di ipocrisia.

Ne deriva una confusione determinata dal fatto che tutti i partitini hanno una visione sottostante di natura ideologica (sostanzialmente liberale o socialista essendo queste le grandi narrazioni politico-ideologiche della nostra epoca) il che costituisce un elemento di divisione irriducibile, ma allo stesso tempo condividono il terreno comune della lotta all’oligarchia dominante ammantata di false forme democratiche. Questa confusione ha finito col porre in ombra la questione fondamentale: la battaglia anti oligarchica. Il collettivo Prototipo sostiene che sia giunto il momento di fare chiarezza, per cui si rende necessario che questa ambiguità sia definitivamente rimossa, l’unica battaglia comune essendo quella per l’affermazione del Principio democratico. I partitini di ispirazione liberale e socialista devono fare una scelta di campo, pur potendosi legittimare reciprocamente sulla base della sincera adesione al Principio democratico; la quale implica l’assoluto divieto di qualsivoglia forma di collaborazione con l’oligarchia dominante. Marciare divisi per colpire uniti!

Dobbiamo altresì chiederci per quale motivo il semplice ragionamento testé esposto non sia senso comune. Il collettivo Prototipo sostiene che ciò avvenga perché tutti i partitini, di ispirazione liberale o socialista, hanno adottato forme di organizzazione interna di natura tribale invece che democratica. Non che statuti democratici non siano mai stati adottati, ma essi sono rimasti sostanzialmente lettera morta perché la democrazia reale si sostanzia nell’imperiosa pretesa di tutti coloro che partecipano all’agire politico, che è mancata. Tale mancanza ha molte ragioni, non ultima la precoce deriva elettoralistica che, facendo balenare agli occhi di tanti la prospettiva di una lucrosa carriera politica, ha fatto sì che in tutti i raggruppamenti siano emersi dei veri e propri capoclan, sostenuti da un pugno di fedelissimi ai quali sono state offerte mediocri posizioni di ribalta e visibilità in spregio alle sempre più dimenticate procedure democratiche.

Il collettivo Prototipo sostiene che sia imprescindibile riportare al centro dell’attenzione la questione della democrazia interna nei partitini, siano essi liberali o socialisti, addirittura anteponendola alla scelta di campo ideologica. Pertanto il collettivo Prototipo invita tutti gli attivisti e i militanti di tutti i partitini a pretendere imperiosamente la stesura di procedure decisionali interne democratiche e il loro rigoroso rispetto, nonché a renderle pubbliche ed esplicite; in assenza di ciò a uscire dalle organizzazioni nelle quali militano o allontanarsi da quelle per le quali nutrono simpatia, per avvicinarsi a quelle che praticano e rispettano rigorose procedure democratiche, ovvero a sforzarsi di crearne di nuove.