lunedì 28 giugno 2021

AIDA - ascoltiamo l'opera diretta da Riccardo Muti se i nostri calciatori si inginocchieranno

Intervista a Riccardo Muti

Riccardo Muti: «Mi sono stancato della vita. I direttori gesticolano
e studiano poco»
Il grande musicista alla vigilia degli 80 anni: «Ai miei funerali voglio silenzio, se qualcuno applaude tornerò a disturbarlo la notte». Su Abbado: «C’era reciproca ammirazione». Pavarotti? «Venne a sue spese dagli Usa a cantare per dei tossicodipendenti. Non me lo dimenticherò». Smartphone? «Non ce l'ho, non lo voglio».
Maestro Muti, qual è il suo primo ricordo?
«La guerra: mio padre in divisa da ufficiale medico. Poi, nel 1946, una gita in carrozza a Castel del Monte. Partimmo da Molfetta, viaggiammo tutta la notte. All’alba il cocchiere Nicola aprì la tendina, e apparve quella corona di pietra. Rimasi stupefatto. Da allora sono ossessionato da Federico II, ho la casa piena di libri su di lui. Ho anche comprato un pezzetto di terra lì vicino, con qualche piccolo trullo, che chiamano casedde, dove a maggio tra gli ulivi fioriscono le orchidee selvatiche. Spero di passare in contemplazione del castello questi ultimi anni che mi restano».
Lei ne compie ottanta tra un mese.
«E mi sono stancato della vita».
Perché dice questo?
«Perché è un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: “Tutto declina”».
Insisto: perché dice questo?
«Perché ho avuto la fortuna di crescere negli anni 50, di frequentare il liceo di Molfetta dove aveva studiato Salvemini, con professori non severi; severissimi. Ricordo un’interrogazione di latino alle medie. L’insegnante mi chiese: “Pluit aqua”; che caso è aqua? Anziché ablativo, risposi: nominativo. Mi afferrò per le orecchie e mi scosse come la corda di una campana. Grazie a quel professore, non ho più sbagliato una citazione in latino. Oggi lo arresterebbero».
Rimpiange le punizioni corporali?
«Certo che no. Rimpiango la serietà. Lo spirito con cui Federico II fece scolpire sulla porta di Capua, sotto il busto di Pier delle Vigne e di Taddeo da Sessa, il motto: “Intrent securi qui quaerunt vivere puri”; entrino sicuri coloro che intendono vivere onestamente. Questa è la politica dell’immigrazione e dell’integrazione che servirebbe».
Non riconosce più neanche il suo mestiere?
«Purtroppo no. La direzione d’orchestra è spesso diventata una professione di comodo. Sovente i giovani arrivano a dirigere senza studi lunghi e seri. Affrontano opere monumentali all’inizio dell’attività, basandosi sull’efficienza del gesto, talora della gesticolazione».
Gesticolazione?
«Toscanini diceva che le braccia sono l’estensione della mente. Oggi molti direttori d’orchestra usano il podio per gesticolazioni eccessive, da show, cercando di colpire un pubblico più incline a ciò che vede e meno a ciò che sente».
Chi? Faccia i nomi.
«No».
I nomi.
«Non voglio polemiche personali: farei il gioco dei promotori di se stessi. Il mio maestro, Antonino Votto, diceva che il direttore doveva aver respirato la polvere del palcoscenico. Invece le orchestre, i cori, i cantanti lamentano una mancanza sempre più evidente di informazioni musicali e drammaturgiche da parte dei direttori. Non si fanno neppure più prove serie».
Neanche le prove?
«Le prove di sala, con il direttore al pianoforte che prepara la compagnia di canto, diminuiscono sempre più, in favore di settimane e settimane di prove date spesso a registi ignari di musica, che non soltanto non sanno leggere una partitura, ma sempre più sovente inventano storie che vanno contro il discorso musicale. Nel carteggio con Kandinsky, Schoenberg sottolinea che, se la regia e la scenografia disturbano la musica, sono sbagliate. E certo Schoenberg non era un reazionario».
Forse lei sì.
«Non credo. Sono il direttore che ha fatto più produzioni, nove dagli anni 70, insieme con Ronconi, che certo non era un reazionario, soprattutto a quell’epoca. Sono ancora sotto l’influenza di Strehler, che non soltanto conosceva la musica ed era in grado di leggere una partitura, ma perseguiva il Bello: non come fatto estetico, come necessità della vera arte. Le mie produzioni con Strehler —Le Nozze di Figaro, il Don Giovanni, il Falstaff— mi hanno accompagnato e mi accompagneranno per tutta la vita e mi hanno insegnato molto. Ecco perché talvolta, forse esagerando, dico che sono stanco della vita. Penso di non appartenere più a un mondo che sta capovolgendo del tutto quei principi di cultura, di etica nell’arte con cui sono cresciuto e che i miei insegnanti al liceo e al conservatorio mi hanno comunicato».
Ha qualche rimpianto?
«Sì. Proprio adesso che ho finito di dirigere Aidain forma di concerto all’Arena, il mio rimpianto è non aver potuto fare Aida con Strehler, com’era nei nostri piani».
Come sarebbe stata?
«Senza elefanti. Giorgio credeva in un’Aida dove il trionfo fosse solo nella musica, non in quel faraonismo che ha caratterizzato le produzioni di Aida dovunque nel mondo, fino a diventare il simbolo stesso di Aida, nuocendo alla vera essenza dell’opera. Che è costruita su una delle partiture più raffinate e delicate di Verdi. E questo non vale solo per Aida».
Cosa intende dire?
«Non vorrei essere l’uccello del malaugurio; ma il costo esorbitante di scenografie e costumi, accanto alla scarsa competenza e autorevolezza dei direttori d’orchestra che — con le dovute eccezioni — lasciano i cantanti senza guida, mi preoccupano sul futuro dell’opera. L’Italia è piena di teatri del ’700 e dell’800 ancora chiusi. L’ho detto a Franceschini: riapriteli, dateli ai giovani. Formate nuove orchestre: ci sono Regioni che non ne hanno. Aiutate le centinaia di bande che languiscono, ridotte al silenzio da un anno e mezzo, con il disastro economico delle famiglie. Dobbiamo fare molte cose, se vogliamo che il nostro patrimonio operistico, il più eseguito al mondo, non sia considerato occasione di piacevole intrattenimento ma fonte di educazione e cultura, come le opere di Mozart, Wagner, Strauss. Verdi non è zum-pa-pa!».
Com’erano davvero i suoi rapporti con Abbado?
«Tra noi c’è stata sempre ammirazione reciproca. Hanno voluto montare una rivalità tipo Callas-Tebaldi o Coppi-Bartali: tutto falso. Quando sono andato al conservatorio di Milano, Abbado era già in carriera: abbiamo avuto rare occasioni di incontrarci, ma sempre cordiali».
E con Pavarotti?
«Ho cominciato a lavorare con lui nel 1969, con i Puritani alla Rai di Roma. Poi abbiamo avuto momenti di frizione...».
Per quale motivo?
«Fatti tecnici. Incomprensioni musicali. Tramutate in una grande amicizia. Devo a Pavarotti una delle più belle, se non la più bella voce della seconda metà del Novecento. Lui mi ha regalato cose meravigliose: un Pagliacci registrato in disco a Filadelfia, un Requiem di Verdi alla Scala, e soprattutto il Don Carlo scaligero, dove Pavarotti in particolare nel finale dà una lezione di tecnica vocale, di fraseggio perfetto, davvero di grande ispirazione. Sulle parole “ma lassù ci vedremo in un mondo migliore” riconosco la sua generosità. Diversi anni prima che morisse, mia moglie e io lo invitammo a Forlì a un concerto di beneficienza per una comunità di tossicodipendenti. Pavarotti venne apposta dall’America. Non volle una lira, si pagò lui il biglietto aereo. Lo accompagnai per tutta la serata al pianoforte, di fronte a settemila persone. Un gesto che non potrò mai dimenticare».
Qual è l’ultimo ricordo che ha di lui?
«La salma nel Duomo di Modena, la piazza che risuona del famoso “Vincerò...”. Io avrei preferito che fosse messo il finale del Don Carlo. Non solo per il significato delle parole, ma anche per la lezione di canto, per la sottolineatura di un aspetto della vocalità di Pavarotti non trionfalistica ma intima e delicata».
Lei pensa che davvero ci vedremo in un mondo migliore?
«Non lo so. Certo non nei Campi Elisi. Spero ci sia tanta luce; mi basta che non ci sia la metempsicosi. Non ho voglia di rinascere, tanto meno ragno o topo, ma neanche leone. Una vita è più che sufficiente».
Crede in Dio?
«Ho avuto una formazione cattolica. Ho ammirato molto papa Ratzinger, anche come magnifico musicista. Non credo nei santini di Gesù biondo. Dentro di noi c’è un’energia cosmica che ci sopravvive, perché è divina. Ricordo la morte di mia madre Gilda: ebbi netta la sensazione che il suo corpo diventasse pesante come marmo, mentre si liberava un flusso, l’energia vitale. Sento che l’universo è attraversato da raggi sonori che arrivano fino a noi; ed è la ragione per cui abbiamo la musica. I raggi sonori che hanno attraversato Mozart sono infiniti».
Chi ha dato la migliore definizione della musica?
«Dante. Paradiso, canto XIV: “E come giga e arpa, in tempra tesa/ di molte corde, fa dolce tintinno/ a tal da cui la nota non è intesa,/ così da’ lumi che lì m’apparinno/ s’accogliea per la croce una melode/ che mi rapiva, sanza intender l’inno”. La musica è rapimento, non comprensione. Critici musicali, tutti a casa! Non c’è niente da comprendere. Come diceva Mozart, la musica più profonda è quella che è tra le note o dietro le note».
Come ha passato il lockdown?
«A studiare. La Missa Solemnis di Beethoven. La mia prima partitura è del 1970. Ci lavoro da più di mezzo secolo, ma non ho mai osato dirigerla. Lo farò ad agosto a Salisburgo. È la Cappella Sistina della musica: la sola idea di accostarla mi ha sempre dato grande timore. Ci sono dettagli di importanza enorme. Al Miserere nobis Beethoven premette un “O”, che presuppone un interlocutore. Beethoven ha sentito che l’invocazione era rivolta a Qualcuno. Pare un dettaglio, ma apre un mondo. Significa che un Essere superiore esiste».
Quindi non è stato un brutto lockdown.
«A parte lo studio, è stato orribile. La disumanizzazione si è fatta ancora più profonda. La mancanza di rapporti umani è terrificante. Entri al ristorante e vedi al tavolo cinque persone tutte chine sul loro smartphone... Io non lo posseggo e non lo voglio. Me ne hanno dovuto dare uno, per entrare in Giappone, ma non sono riuscito ad accenderlo. La tv avrebbe dovuto approfittare del lockdown per fare trasmissioni educative. Invece, a parte qualche bel documentario, siamo stati invasi da virologi, da sedicenti “scienziati”. Per me scienziato era Guglielmo Marconi!».
Non ama i talk-show?
«Riesco a seguire un contrappunto in otto parti musicali che si intersecano una con l’altra, ma non riesco a capire due persone che si parlano una sull’altra. Creano disarmonia, cacofonia; mentre otto linee musicali una diversa dall’altra devono concorrere al raggiungimento dell’armonia. La banalità della tv e della Rete, questo divertimento superficiale, la mancanza di colloquio mi preoccupano molto per la formazione dei giovani».
Lei è di destra o di sinistra?
«Né l’uno né l’altro. Sono tra quelli che tentano di dare indicazioni utili. A Firenze negli anni 70 ero amico di molti comunisti, tra cui Paolo Barile, il costituzionalista; ma siccome usavo spesso parole come “patria” e mi piaceva eseguire l’inno di Mameli, qualcuno sentì odore di idee di destra. Io sono nato uomo libero e tale rimango. Sono cresciuto con dettami salveminiani, socialista non bolscevico. Non mi sono mai affiliato a una congrega».
C’è un eccesso di politicamente corretto anche nella musica?
«Con il Metoo, Da Ponte e Mozart finirebbero in galera. Definiscono Bach, Beethoven, Schubert “musica colonialista”: come si fa? Schubert poi era una persona dolcissima... C’è un movimento secondo cui, nel preparare una stagione musicale, dovrebbe esserci un equilibrio tra uomini, donne, colori di pelle diversi, transgender, in modo che tutte le questioni sociali, etniche, genetiche siano rappresentate. Lo trovo molto strano. La scelta va fatta in base al valore e al talento. Senza discriminazioni, in un senso o nell’altro. Posso parlare perché la maggior parte dei “Composers-in-Residence” che abbiamo ospitato in questi dieci anni a Chicago sono donne».
È vero che da bambino pensavano che lei non avesse talento?
«Papà mi regalò a Natale un violino. Piansi; volevo un fucile con il tappo. Dopo due mesi di vani tentativi di leggere i solfeggi, papà disse: “Il piccolo Riccardo non è portato per la musica”. Mamma concluse: “Proviamo ancora un mese”. D’un tratto imparai a solfeggiare. Ma l’incontro decisivo fu con Nino Rota».
Il compositore dei film di Fellini.
«Diedi con lui a Bari l’esame del quinto corso di pianoforte da privatista: mi diede 10 e lode in tutte le prove. Così decisi di iscrivermi al conservatorio. La mattina andavo al liceo, il pomeriggio prendevo la corriera per Bari».
Per essere stanco della vita, lei è sempre in giro.
«Credo nei viaggi dell’amicizia e della pace. Non lavori per il successo, la quantità di applausi e articoli; lo fai perché capisci che la nostra professione è una missione. Ho diretto il primo concerto a Sarajevo dopo i bombardamenti, il Va’ pensiero a New York nel buco lasciato dalle Torri Gemelle abbattute. Una sera ho diretto a Erevan, in Armenia, e la sera dopo a Istanbul. Ricordo a Nairobi un coro di bambini meraviglioso: avevano studiato il Va’ pensiero con una pronuncia assolutamente perfetta, mi commuovo ancora se ci penso. Ma a volte mi sembra di parlare ai sordi. Muti che parla ai sordi... Avvilente. Non è mancanza di volontà; è ignoranza atavica. E dire che le radici della musica mondiale sono in Italia: Palestrina, Monteverdi, Frescobaldi, Luca Marenzio, Scarlatti...».
Ha paura della morte?
«No. Da ragazzo andavamo la sera al cimitero a vedere i fuochi fatui. Ho conosciuto l’ultima prefica, Giustina: raccontava i pregi del morto, disteso sul letto nell’unica stanza della casa, la porta aperta sulla strada, alle pareti la foto del fratello bersagliere e dello zio ardito… Un mondo semplice e fantastico, che mi manca moltissimo. Per questo le dico che appartengo a un’altra epoca. Oggi il mondo va così veloce, travolge tutto, anche queste cose semplici, che sono di una profonda umanità...».
Quindi non teme la fine?
«Non in sé. Mi dispiace lasciare gli affetti. Mia moglie, i miei figli Francesco, Chiara e Domenico, i nipoti. E gli animali».
Quali animali?
«Il cane Cooper, un maltese. In campagna abbiamo colombe, conigli, galline, galli, e due asini sardi, Gaetano e Lampo: intelligentissimi. Si affezionano, ti guardano interrogativi con i loro occhi rosa... E noi diamo del cane e dell’asino come se fossero insulti».
Come vorrebbe i suoi funerali?
«Scherzosamente dico che lascerò l’indicazione di brani musicali da eseguire in chiesa attraverso incisioni, rigorosamente dirette da me».
Perché?
«Non perché le ritenga le migliori; voglio che si ricordino come dirigevo Mozart, Schubert, Brahms. Se non sono io, me ne accorgo subito, e c’è la probabilità che si apra la bara... (Muti sorride). C’è una cosa però su cui sono serissimo».
Quale?
«Ai miei funerali non voglio applausi. Sono cresciuto in un mondo in cui ai funerali c’era un silenzio terrificante. Ognuno era chiuso nel suo vero o falso dolore. Per i più abbienti c’era la banda che eseguiva lo Stabat Mater di Rossini o marce funebri molfettesi, famose in Puglia. I primi applausi li ricordo ai funerali di Totò e della Magnani, ma erano riconoscimenti alla loro capacità di interpretare l’anima di Napoli, di Roma, della nazione. Quando sarà il mio turno, vorrei che ci fosse il silenzio assoluto. Se qualcuno applaude, giuro che torno a disturbarlo di notte, nei momenti più intimi».

mercoledì 16 giugno 2021

Maschi bianchi caucasici

I "maschi bianchi caucasici" non sono da intendersi come una razza ma come una categoria, sotto attacco non da parte di negri musulmani o musi gialli, ma da una visione culturale che ne teorizza l'auto estinzione. Una visione culturale endogena, una sorta di desiderio di morte che ha orrore di tutto ciò che è viva umanità. Portata all'estremo questa visione considera tutto il genere umano come un'entità dannosa per la Natura, il cui numero deve quindi essere ridotto. (Fiorenzo Fraioli)

I nuovi Catari - Maurizio Blondet  16 Giugno 2021

di Roberto PECCHIOLI

I banditori della “cultura della cancellazione “chiamano se stessi woke, i risvegliati. Nulla di nuovo sotto il sole. Percepire se stessa come un faro di luce è una costante di ogni visione persuasa di ricostruire il mondo dalle fondamenta: illuminati di tutti i tempi unitevi, anche se state soltanto disfacendo il vecchio mondo. La decostruzione, “mal francese” esportato in America e da lì rilanciato nel resto del mondo, avanza come uno schiacciasassi, lasciando rovine, uguale a un tornado o un terremoto. I risvegliati hanno chiarissimo ciò che non vogliono: tutto qui. Non sono gli illuminati del Terzo Millennio, ma i nuovi Catari.

Il catarismo fu un movimento ereticale del Medioevo, forte soprattutto nella Francia meridionale. Fu duramente represso dai re di Francia e dal papa Innocenzo III. Catari autonominati, ovvero “puri”, dal greco catharòs, così come i paladini dell’odio contro la cultura europea ed occidentale bianca, chiamano se stessi risvegliati, ossia coloro che hanno raggiunto la verità dopo un sonno millenario.

La dottrina catara era dualista, si fondava cioè su un’opposizione radicale tra materia (il male) e spirito (il bene). I Catari rifiutavano del tutto i beni materiali e ogni espressione della carne. Il Re d’Amore (Dio) e il re del Male (Rex mundi) si combattevano per il dominio delle anime umane; svilupparono opposizioni irriducibili tra Spirito e Materia, Luce e Tenebra, Bene e Male. L’intero creato era un immenso tranello di Satana, impegnato a deviare l’uomo dallo Spirito e dal Tutto. Lo stesso Dio-creatore del Vecchio Testamento corrispondeva al dio malvagio. Basandosi su questi principi, rifiutavano di mangiare carne e uova e rinunciavano al sesso, tanto malefico che il matrimonio era considerato peccaminoso poiché serviva ad aumentare gli schiavi di Satana.

Il mondo materiale era opera del Male. L’atto sessuale andava evitato in quanto responsabile della nascita di nuovi prigionieri della carne. Era proibito ogni alimento originato da un atto sessuale (carni animali, latte, uova). La massima vittoria del Bene contro il Male era la morte, che liberava lo spirito dalla materia; la perfezione era lasciarsi morire d’inedia. Per il bene dell’Europa, i Catari furono sconfitti e dispersi. Sin troppo facile vedere sinistre analogie con la cultura di morte dei “risvegliati “(aborto, eutanasia, odio senza quartiere per la cultura di provenienza) con aspetti della tradizione gnostica, fondata sull’imperfezione della creazione e l’accesso di pochi illuminati alla vera sapienza, nonché con la diffusione di certe mode contemporanee.

Se la diagnosi è corretta, una conseguenza è il rovesciamento completo dell’Illuminismo, che regge le società occidentali dal XVIII secolo. Il punto di svolta è il Sessantotto. Una delle caratteristiche di quella devastante rivoluzione intra borghese fu il disprezzo per la vecchiaia e il culto per la gioventù. Appartenere all’ultima generazione, per i sessantottini, era trasformare l’età in soggetto politico. Da allora, essere giovani – al di là dell’anagrafe- è diventato un imperativo categorico. Il desiderio – o l’obbligo – di gioventù attraversa mezzo secolo, e ha diffuso, oltre a determinate abitudini e condotte, alcuni “valori” associati con la giovinezza e l’infantilizzazione delle generazioni, in contrasto con l’Illuminismo da cui pure il movimento prese le mosse.

I Lumi si caratterizzarono come movimento destinato a guidare l’umanità fuori dall’infanzia. Con la ragione eretta a feticcio e principio supremo, l’umanità non si affrancava soltanto dal vecchio mondo, dalle “superstizioni “spirituali e dall’autorità del passato, ma diventava finalmente adulta. In un celebre articolo, Immanuel Kant così si esprimeva nel 1794: “l’illuminismo è la liberazione dell’uomo dalla sua colpevole incapacità. Incapacità significa impossibilità di servirsi dell’intelligenza senza la guida dell’altro. Questa incapacità è colpevole in quanto la sua causa non risiede nella mancanza di intelligenza ma di decisione e coraggio per servirsi di se stessi senza la tutela dell’Altro. Sapere aude! Osa sapere. Abbi il coraggio di servirti della tua ragione: ecco il motto dell’Illuminismo”.

Il capovolgimento si è concluso, non soltanto in termini di civiltà, ma anche nei confronti del tentativo di trasformarla, innalzando sul trono la ragione umana. La post modernità sedicente risvegliata, al contrario, non fa che destituire ogni cosa di fondamento, definire nuove “vittime” e cercare tutor per un progetto al cui centro c’è il lamento e una perentoria richiesta di irresponsabilità. Kant si faceva banditore della secolarizzazione della società, del tramonto del sacro, dell’autorità e del “mos maiorum”, l’eredità del passato, ma con l’obiettivo di pensare autonomamente, essere protagonisti, responsabili, fabbri di stessi, una volta abbandonata la tutela – o la prigione – della religione, di un’idea, di un libro o di un maestro.  Operazione estremamente difficile, giacché è assai più confortevole vivere sotto tutela, determinati, eterodiretti. Emanciparsi è un processo difficile, simile al passaggio all’età adulta.

Due secoli dopo, Michel Foucault pubblicò un testo con lo stesso titolo di quello del prussiano, affermando che l’illuminismo di Kant è un processo che ci libera dallo stato di “minore età”, intesa come il fatto di accettare l’autorità di qualcuno. Cammino, quindi, ma anche opera progressiva. La scoperta di Foucault fu che la modernità è un atteggiamento più che un periodo storico, caratterizzato dall’attitudine critica, giudicante, nei confronti della realtà.

Il progetto non si è adempiuto. Il progresso, inteso come marcia lineare, ha fallito. La prova è l’indebolimento costante del pensiero critico, la scarsissima popolarità di cui gode la libertà di pensiero. Il “libero pensatore “di ieri è oggi screditato sino a diventare nemico e bersaglio del risveglio woke. Il progetto illuminista chiude per fallimento: se la libertà di pensiero, l’autonomia critica, l’uso della ragione erano principi fondanti, stanno perdendo la partita dinanzi a verità preconfezionate, alla proibizione sistematica del dissenso, sino al divieto di parole e concetti. Siamo tornati minorenni, bambini piagnucolosi desiderosi di sicurezza, bambagia, percorsi prestabiliti.

Le generazioni più giovani sono vulnerabili, fragilissime, deboli, “fiocchi di neve” impauriti, offesi da ogni differenza tanto da esigerne a gran voce la cancellazione. Ogni giorno, l’officina neo catara forgia nuovi profili di “vittime”, che non cercano emancipazione, ma la protezione della psico polizia e vendetta postuma. Invocano tutor, non maestri, privilegi, libretti di istruzioni scritti in linguaggio elementare, con l’uso di pochi vocaboli, poiché la complessità è vista come un pericolo, una montagna da scalare, un nemico da denunciare e di cui chiedere l’esclusione. Osa pensare, prescriveva Kant. Un’ orribile, faticosa operazione alla quale è preferito il tutorial, la “nuova” verità precotta che ha sostituito la vecchia mantenendo lo stesso carattere di obbligatorietà, la forza autoritativa mascherata dalla confezione “liberatoria” di chi non afferma, ma nega, come Mefistofele, “lo spirito che sempre nega”.

Osa avere emozioni, è l’unico imperativo rimasto, ma piccole, immediate, leggere come piume. Quella è la tua nuova identità, il tuo Io minimo, narciso, rancoroso. Osa rivendicare, qualcosa accadrà. Quelle emozioni istantanee, quei sentimenti eterei privi di spessore diventano macigni. I dispareri, i dissensi, non sono più parte della ricerca, escono dal radar illuminista di chi osa sapere e pensare. Diventano un assalto colpevole, una violenza che fa chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie, non prima di aver invocato l’intervento dei guardiani “risvegliati” e punito esemplarmente chi ha osato pensare, dissentire, chi si è arrischiato a diventare adulto, responsabile, in definitiva uomo. L’ offesa ai “fiocchi di neve” si deve pagare, il liquido amniotico in cui si sono rinchiusi va continuamente ricostituito. Dalla volontà di autonomia, emancipazione, liberazione, si è passati all’ invocazione di protezione. Dalla giovinezza obbligata sessantottina siamo scivolati nell’infanzia: regressione contro natura.

L’altro è mio debitore per il fatto che io lo considero tale. La relazione è determinata unilateralmente e arbitrariamente. La ricerca delle libertà e dell’autonomia è sostituita dalla necessità della protezione. Fine dell’illuminismo per asfissia. Nessuna responsabilità: cerchiamo ansiosi il Lord protettore, lo Stato, il gruppo, il tribunale. La colpa è sempre di qualcun altro, il carnefice presunto, autentico capro espiatorio, la cui colpa non è circostanziale, ma essenziale; per il mero fatto di esistere, eterna, imprescrittibile, trasmissibile agli eredi. L’appello alla tramontata ragione è mal visto. La pretesa di oggettività è fascismo, come esigere le responsabilità. Nella neolingua woke, è fascismo qualsiasi cosa non piaccia o non si accordi con lo schema precostituito. Se queste generazioni non si “realizzano “(altro verbo oscuro, equivoco) la colpa la deve avere qualcuno, o, in mancanza di un capro espiatorio, il “sistema” – quello vecchio, brutto, “bianco”, contro cui si sono risvegliati. Chi trova un nemico a cui addebitare la frustrazione, trova un tesoro.

Lo capì Robert Hughes nella Cultura del piagnisteo. “Il numero di americani che hanno sofferto maltrattamenti nell’infanzia e che grazie a ciò devono essere assolti da ogni colpa è simile a quello di chi afferma di essere stato Cleopatra in una vita anteriore. Sembrare forti nasconde solo una traballante impalcatura di negazione dell’evidenza, mentre essere vulnerabile è essere invincibile. Il lamento dà potere, benché non oltre la corruzione emotiva o la creazione di inediti livelli di colpevolezza sociale. Dichiàrati innocente e vincerai”. In un contesto siffatto, osare non funziona più. Nessuno vuole più saper nulla né essere adulto, poiché ciò lo collocherebbe nel campo dei responsabili, ossia dei colpevoli. Nel bizzarro mondo di Peter Pan, si fa credere che è rivoluzionario rimanere fanciulli, trovare nuovi padroni ai quali poter reclamare e a cui denunciare senza appello i cattivi, quelli che sfregiano la nuvola rosa in cui credono di vivere. In realtà, il loro è un sopore artificiale, ma guai a farlo presente: l’inflessibile guardia arcobaleno è pronta a colpire.

Essenziale, tra i neo catari, è rintracciare un colpevole a cui addebitare tutto. La nuova lettera scarlatta, il marchio infamante dell’adultera nel puritanesimo americano, è l’appartenenza a una triade infernale: maschio, bianco, eterosessuale. Ma neanche le donne sono al riparo, se dissentono dal Corano “risvegliato”. L’evidenza che la cultura della cancellazione non ha altra capacità se non quella di negare e distruggere è in un brano di una femminista, Catherine Coquesry-Vidrovitch, secondo la quale “ciò che oggi mi sembra vitale è la decostruzione, per dirla con Jacques Derrida, del carno-fallo-logocentrismo, vale a dire l’esigenza di rimettere in discussione la terribile egemonia dell’uomo bianco in erezione e mangiatore di carne. “Non chiedete spiegazioni.

La nuova purezza catara, fieramente antirazzista, sfida il razzismo usando lo stesso armamentario, riducendo ciascuno al colore della pelle o al sesso biologico che peraltro nega in nome del verbo del ruolo sociale imposto dall’egemonia eteropatriarcale. Anche in questo ambito, è sconfitto l’illuminismo: non esiste più la specie umana, ma solo etnie, razze, generi, un labirinto di micro identità. Sgomenta il pessimismo antropologico dei risvegliati, il loro manicheismo ossessivo. Il nuovo sonno della ragione – che definisce se stesso al contrario- (una grottesca deriva orwelliana) rovescia il progressismo proclamato in torvo oscurantismo. Scrive Pascal Bruckner: “scopriamo ogni giorno un nuovo misfatto per il quale indignarci. L’intero universo è infestato da onde negative. Siamo tornati alla posizione di Sisifo, costretto a issare in eterno la sua pietra. La marcia verso la liberazione non giunge mai al traguardo. “Il nuovo “razzialismo“woke somiglia sinistramente al suo nemico.

Un giorno non lontano, gli studiosi del dopo civiltà europea e occidentale si interrogheranno sul mistero autolesionista di bianchi benestanti progressisti occupati a maledire se stessi, denunciare la loro stessa razza. Il disprezzo di sé è una plateale autoflagellazione che chiamano risveglio. Come i catari che, se avessero vinto, avrebbero provocato l’autoestinzione astenendosi dal sesso, dalla procreazione, persino dall’alimentazione, in nome dell’odio insano per il corpo.

Impressionante è il sonno della ragione che genera mostri di certo femminismo ultimo, per il quale non solo il maschio della specie umana è costitutivamente violento, predatore, stupratore, ma ogni aspetto della vita quotidiana è uno stupro continuato nei confronti dell’esemplare femmina: sguardi, cenni, pensieri. Nascere uomo significa, per questa folle doxa diffusa da ideologhe titolari di cattedre universitarie, ricche e omosessuali, nascere assassini. La soluzione ovvia, catara, è la morte. Poiché non possono teorizzarla apertamente, costruiscono un mondo di gabbie, un apartheid in cui ogni gruppo, ogni identità, ogni “genere” è condannato alla solitudine, a non avere contatti, a vivere in assenza dell’Altro. Un mondo folle, una distopia malata.

La parola chiave, inventata trent’anni fa dalla femminista radicale Kimberle Crenshaw, è “intersezionalità”, ossia il punto d’incontro, simile allo svincolo di un’autostrada, di diverse forme di discriminazione, razzismo, omofobia, transfobia, sessismo. In questo senso, la vittima perfetta, l’eroe dei nostri giorni è chi accumula il maggior numero di discriminazioni subite, pegno di nuovi privilegi. Ognuno diventa una minoranza sofferente su misura. La personalizzazione consumista e quella “vittimale” corrono a braccetto. Più sei vittima, più si rafforza la tua immunità simbolica. Il colpevole, ovvero il capro espiatorio perfetto è colui al quale si può marchiare a fuoco la lettera scarlatta post moderna, il maschio, bianco, eterosessuale. Non li sfiora neppure il sospetto di applicare, come il rovescio di un cappotto, le categorie del nemico di ieri.

Il mondo manicheo senza sfumature che stanno costruendo non è solo invivibile e psicotico: è anche tristissimo, buio, alimentato dal sospetto. Trasalgono nella tomba gli illuministi di ieri. Un esempio su tutti sono le regole in vigore tra i dipendenti di Netflix, la rete televisiva più woke di tutte. E’ vietato scambiarsi il numero di telefono tra colleghi, non ci si può guardare per più di cinque secondi. Ci sarà un controllore armato di cronometro, coadiuvato da un esperto in sguardi? Proibitissimo abbracciarsi, ed eventuali comportamenti “inappropriati “(altra parola multiuso…) implicano il licenziamento. Sono messe al bando le parole ambigue, i commenti “fuori luogo”, poiché l’apprezzamento, dicono, è “fratello del giudizio spregiativo”. Chi fa un complimento manifesta un’autorità: l’altro diventa oggetto del suo giudizio. E, si sa, il giudizio, nel girone infernale della dittatura politicamente corretta, è bandito.

Neo catari, o giacobini di risulta, o post puritani, ma sempre illuminati –allucinati. Erigono ghigliottine (per adesso non materiali, poi si vedrà) per i reprobi e i non abbastanza puri, dimenticando che anche Robespierre finì per salire sul patibolo e la testa dell’Incorruttibile rotolò nella cesta nello sferruzzare indifferente delle tricoteuses, le donne sedute davanti alla ghigliottina per assistere in prima fila all’orrendo spettacolo della decapitazione, rimanendo intente al lavoro a maglia. C’è sempre qualcuno più puro di ogni altro, il cataro perfetto.

Ci sono molti modi, per una civiltà, di organizzare il proprio funerale. Il nostro è grottesco: il brodo parodistico di identità minime inventate a ciclo continuo, rivendicative, rancorose, agonali, aspiranti al rango di vittime. Tutto ciò che proviene dalla natura, dallo stato civile, dai genitori, dal nostro corpo fisico è rifiutato e reiventato. Non c’ è nulla da ereditare e niente da costruire. La decostruzione si avvita su stessa e non può determinare che sterilità, prodromo della morte. Costruire a partire dal nulla è impossibile. I risvegliati non lo sanno: il sonno di ieri ha fatto perdere il senno. Neanche questa è un’esclusiva degli ultrà di un mondo con il volto terreo della morte: Giove toglie la ragione a chi vuol mandare in rovina.

Criminal minds

Applausi! Senza sovranità c'è solo subalternità

giovedì 10 giugno 2021

I lesionati

Cambia qualcosa se il vostro computer si infetta scaricando un codice malevolo dalla rete o da una chiavetta usb? Non aggiungo altro, intelligenti pauca.

mercoledì 9 giugno 2021

Caos magnetico

In merito alla querelle insorta tra Luigi Baratiri, lo scopritore del fenomeno della magnetizzazione del sito di inoculazione dei vaccini covid, e Rinascimento Italia, Loretta Bolgan, Sara Cunial.



Il video sull'argomento "vaccini magnetici" di Rinascimento Italia:


Primo video di Baratiri da visionare


Secondo video di Baratiri da Visionare

Pensare l'impensabile

Da un anno e mezzo ad oggi abbiamo assistito a tante di quelle cose assurde, illogiche, contradditorie, che è quasi inevitabile farsi venire in mente, per spiegarcele, scenari assurdamente distopici. Non che prima fossero mancati segnali inquietanti, dalla promozione mondiale del personaggio Greta alla proto ossessione vaccinale della Lorenzin, ma con la vicenda covid-19 si è superato ogni limite. Mancano quasi le parole per esprimere lo sconcerto davanti al dirompente arrivo di una narrazione che, fin dal suo apparire quando i casi erano pochissimi, si è caratterizzata nelle forme di un bombardamento mediatico senza soluzione di continuità.

Un bombardamento che, seminando il terrore in amplissime fasce di popolazione, ne ha inibito ogni facoltà razionale rendendo inutile ogni tentativo di analisi quantitativa del fenomeno cosiddetto pandemico. Ha sorpreso, più che l'unanimità dei mezzi di informazione, la quasi totale adesione del mondo della cultura, con qualche rara eccezione pagata a caro prezzo in termini di derisione ed esclusione.

Sono stati coniati/adattati termini a fini di diffamazione del dissenso che, fortunatamente, si è pur manifestato in ambienti tuttavia già esclusi o marginali rispetto all'ufficialità. Ciò ha inverato la lettura del filosofo Costanzo Preve:

Estratto: «mentre ai tempi di Hegel e Schopenhauer, ma anche ai tempi di Adorno, gli intellettuali erano generalmente più intelligenti delle persone comuni, oggi ci troviamo in una situazione nuova: gli intellettuali sono nella stragrande maggioranza più stupidi delle persone comuni. E’ una novità degli ultimi 50 anni e lo vediamo quando vengono interpellati nei talk show televisivi perché dicono una quantità di stupidaggini molto maggiore di quelle che si sentono pronunciare dai tassisti, dai baristi o dalle casalinghe al mercato. Adorno, Marcuse e Sartre, ad esempio, si possono contestare, io ad esempio non sono d’accordo con loro ma senza dubbio dicevano cose intelligenti, che fanno riflettere. Oggi questo non accade più e dobbiamo aspettarci solo scemenze».

L'ultimo esempio di follia irrazionale è costituito dalla vaccinazione dei giovanissimi, per di più in un caso almeno utilizzando un farmaco già sconsigliato per coloro che hanno meno di 60 anni, senza che nessun esponente della cultura cosiddetta ufficiale abbia profferito parola sull'assurdità di assumere un rischio sconosciuto da inoculazione per contrastare un rischio noto di futura malattia per una classe di età che, statistiche alla mano, non è minimamente a rischio. Gli argomenti a sostegno di questa decisione, sostenuta con enorme grancassa mediatica, non sono degni neppure di una discussione in un bar frequentato da ubriaconi abituali, ad esempio quello secondo cui questi giovani, una volta vaccinati, potranno "finalmente riabbracciare i nonni".

Tutto questo ci porta a un bivio, ovvero a domandarci se siamo di fronte a un attacco di follia generalizzata oppure se, al contrario, vi siano ragioni inconfessabili che spiegano quello che sta accadendo. E poiché il fenomeno è di dimensioni globali, per essere più precisi interessa tutto l'occidente allargato, cioè quella parte di mondo che ricade sotto l'influenza anglo-americana, queste "ragioni inconfessabili" travalicano necessariamente i confini nazionali, sebbene non in tutti gli Stati con le stesse modalità. Si ha cioè la sensazione di un attacco improvviso ma da lungo tempo preparato che investe un vasto fronte, con alcuni settori tra i quali l'Italia più pesantemente colpiti, con finalità che non è possibile individuare con precisione e senza che sia chiaro chi è l'attaccante e chi si oppone ad esso. Questa circostanza è ideale per l'attaccante, e letale per chi subisce l'attacco perché, non riuscendo a individuare il "nemico" né a comprenderne gli obiettivi, è del tutto indifeso.

Dobbiamo quindi trovare il coraggio di "pensare l'impensabile", esplorando con coraggio intellettuale e senza preclusioni di sorta ogni possibile scenario, compreso quello alternativo a quanto detto, ovvero che non c'è nessun attacco ma quello che accade è spiegabile nei termini di una crisi di follia di quello che ho definito "Occidente allargato". In tal caso non vi sarebbe speranza, ed è per questo che preferisco non pensarci per dedicare le mie energie a tutti gli altri, dai prodromi della terza guerra mondiale al ritorno dei lucertoloni di Orione. 

Tutto mi sembra preferibile all'idea dell'esplosione della follia, che mi abbatte privandomi di ogni capacità di reazione.

martedì 8 giugno 2021

lunedì 7 giugno 2021

Italia Libera e Sovrana - ILIS: fase costituente




Trasmetto e rendo disponibile (in modifica per i soci) la bozza di architettura istituzionale dell’associazione ILIS, così come emerso in seguito all’assemblea fondativa.


Il giorno 6 giugno 2021 i 3 e al momento soli soci dell’associazione informale Italia Libera e Sovrana (Ilis), Alessandro Balugani - Fiorenzo Fraioli - Andrea Varsalona, si sono riuniti online per la prima assemblea. Dopo una breve discussione di natura politica si è convenuto che Ilis è una organizzazione che si pone nel campo socialista, in opposizione ai nostri naturali antagonisti, i liberali. Con tali definizioni ci si riferisce al socialismo e al liberalismo di ispirazione e tradizione democratica.


Successivamente la discussione si è spostata sul piano della definizione dell’architettura democratica interna, con l’individuazione degli organi e relative funzioni che dovranno assicurare una reale e proficua dialettica politica. Si è stabilito che l’architettura istituzionale sarà in divenire, modificandosi al crescere delle adesioni, e che ad ogni triplicazione del numero degli iscritti si dovrà procedere ad una rivisitazione delle istituzioni per adattarle al mutato contesto.


In questa fase, con 3 soli iscritti, l’unico organo previsto è quello dell’Assemblea Generale di tutti i soci (AGEN), con numero legale pari alla metà più uno. Questa architettura resterà invariata fino al numero di 9 soci, e si suppone anche fino a 27. Oltre questa soglia sarà opportuno procedere ad una effettiva modifica.


A titolo di sola proposta, l’assemblea fondatrice ha comunque individuato una bozza di architettura che, in ogni caso, dovrà essere approvata in itinere nelle future assemblee costituenti. Di ciò si rende conto nel seguito, nell’ipotesi di un numero di soci maggiore di 81 (3^4) e minore di 273 (3^5). Si è stabilito che, nelle Assemblee Costituenti, convocate per statuto ogni volta che il numero degli iscritti triplica, si potrà/dovrà dibattere solo ed esclusivamente dell’architettura democratica interna.


L’assemblea generale dei soci elegge i delegati al Comitato Politico (CP), attraverso la votazione di liste elettorali presentate dai soci. Ogni lista avrà un numero di delegati proporzionale al numero dei voti raccolti. Ulteriori indicazioni sul meccanismo elettorale saranno decise in seguito. Il numero dei delegati eletti al CP sarà funzione del numero totale degli iscritti, ma in prima battuta si suggerisce un numero di 5 membri fino a 27 iscritti, 11 fino a 81 iscritti, 21 fino a 273 iscritti. In ogni caso, i componenti del CP saranno sempre in numero dispari.


Il CP elegge due consoli, i quali avranno il compito e il dovere di agire sempre in accordo con le indicazioni del CP. La durata in carica dei consoli è fissata in un anno, in ogni momento revocabili dalla loro carica per decisione a maggioranza del CP. Il CP è sovrano, può essere sciolto solo con votazione dell’AGEN, convocata a scadenza naturale oppure in seguito a richiesta dei due terzi degli iscritti.

In prospettiva è prevista l’istituzione di un collegio degli efori (CEF) composto da 5 membri anziani, eletti dall’assemblea generale con votazione diretta. Il CEF avrà il compito di vigilare sul rispetto della costituzione democratica dell’associazione, nonché sui comportamenti politici di tutti gli iscritti, compresi i membri del CP e i consoli, con il potere di imporre la sospensione o l’espulsione di qualsiasi iscritto, quale che sia la carica ricoperta. Il CEF non potrà mai agire di sua iniziativa, ma sempre su richiesta e/o sollecitazione del CP o dell’assemblea generale, attraverso istanze che abbiano il sostegno rispettivamente di un quinto dei membri nel caso del CP e di un decimo nel caso dell’assemblea generale. 

I componenti il CEF non potranno svolgere alcuna altra attività politica, restano in carica per due anni e, al termine della loro funzione, saranno esclusi dall’accesso ad ogni carica per un periodo di un anno.


Condizioni per l’eleggibilità nel CEF saranno:


  •  età superiore a 50 anni

  • avere già ricoperto la carica di membro del CP


Il CP elegge una commissione di ammissione (CAM) scegliendone i membri tra tutti i soci ad eccezione di quelli che già rivestono qualsiasi altra carica, che avrà il compito di vagliare le richieste di iscrizione dei nuovi soci.


Il CP può eleggere un numero qualsiasi di membri dell’esecutivo tecnico (ET) in funzione delle necessità contingenti di natura esclusivamente tecnica, per tutto il tempo in cui ciò è necessario. I membri dell’ET potranno svolgere e ricoprire qualsiasi altra carica nell’associazione, senza alcun limite e/o vincolo. L’ET è esclusivamente una struttura tecnica al servizio delle necessità collettive.


Si è infine stabilito che l’unica fonte economica dell’associazione saranno le quote versate dagli iscritti, oppure in futuro iniziative di natura economica completamente sotto il controllo degli organi istituzionali interni. Al momento i soci versano una quota di 10€/mese, con anticipo trimestrale. Tale versamento è per il momento solo virtuale e sarà registrato in un foglio di lavoro accessibile a tutti gli iscritti. Il versamento effettivo è subordinato al prosieguo dell’iniziativa e sarà del tutto inesigibile in caso di fallimento della stessa. Ulteriori indicazioni saranno deliberate e fornite quando la costituzione dell’associazione sarà formalizzata a norma di legge.


Si ribadisce che quanto esposto deve essere inteso solo come una bozza di architettura istituzionale, volta al fine di assicurare il confronto democratico interno, e che in ogni caso saranno i soci, man mano che si iscriveranno, ad avere l’ultima parola nelle future assemblee costituenti.


Viva la democrazia, viva l’Italia Libera e Sovrana.


mercoledì 2 giugno 2021

Miocardite prossima epidemia?


L’arcobaleno invisibile: una storia di elettricità e vita di Arthur Firstenberg

La storia dell’invenzione e dell’uso dell’elettricità è stata raccontata spesso ma mai dal punto di vista ambientale. L’ipotesi sulla sicurezza e la convinzione che l’elettricità non ha nulla a che fare con la vita, sono ormai così radicate nella psiche umana che le nuove ricerche e testimonianze non sono sufficienti a cambiare il corso che la società ha stabilito. Due mondi sempre più isolati – quello abitato dalla maggioranza, che abbraccia la nuova tecnologia elettrica senza far domande, e quello abitato da una minoranza in crescita, che sta lottando per sopravvivere in un ambiente inquinato elettricamente – che non parlano più nemmeno la stessa lingua. In The Invisible Rainbow, Arthur Firstenberg fa da ponte tra i due mondi. In una storia rigorosamente scientifica ma di facile lettura, fornisce una risposta sorprendente alla domanda: “Come può l’elettricità essere improvvisamente dannosa oggi quando è stata sicura per secoli?”

Il video si intitola “Rudolf Steiner Virus e elettrificazione della Terra. Dott.Thomas Cowan” e viene cancellato ovunque. Ogni tanto fa apparizioni anche su Facebook.



Aggiunta:

La tecnica del “colpo di stato colorato”

La tecnica del “colpo di stato colorato”
di John LAUGHLAND. Tradotto e commentato da Curzio Bettio, Tlaxcala

La tecnica di un colpo di stato, a cui più di recente si fa riferimento anche con “rivoluzione colorata”, trova riscontro delle sue origini in una ricca letteratura che ci fa risalire agli inizi del XX secolo. È stata applicata con successo dai neo-conservatori statunitensi per preparare il terreno a “cambiamenti di regime” in una serie di repubbliche dell’ex Unione Sovietica. Comunque, la tecnica ha avuto un effetto contrario a quello desiderato quando è stata tentata in ambienti culturali diversi (Venezuela, Libano, Iran).
John Laughland, che per il Guardian ha prodotto articoli su alcune di queste operazioni, accende una nuova luce su questo fenomeno.


Nel corso di questi ultimi anni, tutta una serie di “rivoluzioni” è esplosa in differenti parti del mondo.

Georgia
Nel novembre 2003, il presidente Edouard Chevardnadze è stato rovesciato in seguito a manifestazioni e ad asserzioni non comprovate di elezioni presidenziali truccate.

Ucraina
Nel novembre 2004, manifestazioni – la cosiddetta “Rivoluzione arancione” – hanno avuto inizio nel momento in cui venivano formulate accuse consimili di elezioni truccate. Il risultato è stato che il paese ha perso il suo antico ruolo geopolitico di ponte fra l’Est e l’Occidente ed è stato sospinto verso un’adesione alla NATO e all’Unione Europea. Considerato che la Kievan Rus è stato il primo Stato russo e che l’Ucraina attualmente ha assunto una posizione contraria alla Russia, siamo in presenza di un avvenimento storico.
Tuttavia, come affermava George Bush, “voi siete sia con noi che contro di noi”. Benché l’Ucraina abbia inviato un contingente di truppe in Iraq, evidentemente è stata considerata ancora troppo amica di Mosca.

Libano
Poco dopo le dichiarazioni da parte degli Stati Uniti e dell’ONU che le truppe siriane dovevano ritirarsi dal Libano, e successivamente all’assassinio di Rafik Hariri, le manifestazioni di Beirut sono state presentate come la “Rivoluzione dei Cedri”. Un’enorme contro-manifestazione di Hezbollah, il più importante partito filo-siriano, passava sotto silenzio nello stesso momento in cui la televisione mostrava senza fine la folla anti-siriana.
Esempio particolarmente eclatante di malafede orwelliana, la BBC spiegava ai telespettatori che “Hezbollah, il più grande partito politico del Libano, è fino a questo momento la sola voce dissidente che sostiene la permanenza dei Siriani nel Libano.”
Com’è possibile che la maggioranza popolare possa essere una “voce dissidente”? [1]

Kirgizistan
Dopo le “rivoluzioni georgiana ed ucraina”, numerosi sono coloro che predicevano che l’ondata di “rivoluzioni” si sarebbe abbattuta sulle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale. E questo è quello che è avvenuto.
I commentatori sono sembrati divisi sulla questione di sapere quale colore attribuire all’insurrezione di Bichkek: rivoluzione “dei limoni” o dei “tulipani”? Non sono riusciti a mettersi d’accordo.
Ma erano sicuramente d’accordo su un punto: queste rivoluzioni sono “fredde”, anche se sono violente. Infatti, il presidente del paese, Askar Akaïev, è stato rovesciato il 24 marzo 2005 e i contestatori hanno preso d’assalto il palazzo presidenziale e lo hanno saccheggiato.

Uzbekistan
Quando ribelli armati si impadronirono di edifici governativi, liberarono dei prigionieri e presero ostaggi nella notte fra il 12 e il 13 maggio 2005 nella città uzbeka di Andijan (situata nella valle di Ferghana dove i torbidi si erano innescati parimenti per il vicino Kirgizistan), la polizia e l’esercito accerchiarono i ribelli e ne risultò uno stallo che procedette per lungo tempo. Vennero condotti negoziati con i ribelli, i quali non cessavano mai di rincarare le loro rivendicazioni.
Quando le forze governative li attaccarono, i combattimenti produssero qualcosa come 160 morti, di cui 30 fra le forze di polizia e dell’esercito.
Nondimeno, i media occidentali immediatamente presentarono in maniera distorta questi scontri violenti, pretendendo che le forze governative avessero aperto il fuoco su dei contestatari disarmati, sul “popolo”.
Questo mito, che si ripete senza posa, della rivolta popolare contro un governo dittatoriale è accettato a destra come a sinistra dello schieramento politico.

Una volta, il mito della rivoluzione era manifestamente riservato alla sinistra, ma quando il putsch violento ha avuto luogo nel Kirgizistan, il Times si è tanto entusiasmato a proposito delle scene di Bichkek, che ricordavano all’articolista i film di Eisenstein sulla rivoluzione bolscevica; il Daily Telegraph esaltava la “presa del potere da parte del popolo” e il Financial Times faceva ricorso ad una metafora maoista ben conosciuta quando vantava la “lunga marcia del Kirgizistan verso la libertà”.

Una delle idee chiave che stanno alla base di questo mito è naturalmente quella che il “popolo” appoggia questi avvenimenti e che questi ultimi sono spontanei. In realtà, sicuramente, queste sono operazioni ben concertate, spesso messe in scena tramite i mezzi di comunicazione, e, di abitudine, create e controllate da reti transnazionali di organizzazioni non governative, che sono strumenti del potere dell’Occidente.

[...]

Psicologia della manipolazione dell’opinione pubblica


Esiste tutta una serie di opere che puntano il dito su un aspetto un po’ differente dalla tecnica specifica messa a punto da Münzenberg. Si tratta delle modalità con cui si inducono le persone ad agire collettivamente, ricorrendo a stimoli di natura psicologica.

Potrebbe essere che il primo teorico importante in questa materia sia stato il nipote di Freud, Edward Bernays, che scriveva nella sua opera Propaganda, apparsa nel 1928, come fosse del tutto naturale e giustificato che i governi plasmassero la pubblica opinione per fini politici [3].

Il primo capitolo porta il titolo rivelatore seguente: “Organizzare il caos”.

Per Bernays, la manipolazione consapevole ed intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse è un elemento importante delle società democratiche.

Coloro che manipolano i meccanismi segreti della società costituiscono un governo invisibile, che rappresenta il potere effettivo. Noi siamo eterodiretti, i nostri pensieri sono condizionati, i nostri gusti sono costruiti ad arte, le nostre idee sono suggerite essenzialmente da uomini di cui noi non abbiamo mai inteso parlare. È la conseguenza logica della maniera in cui la nostra società democratica è strutturata.

Un grande numero di esseri umani devono cooperare per potere vivere insieme in una società che funzioni bene. In quasi tutti gli atti della nostra vita quotidiana, che si tratti della sfera politica, di affari, dei nostri comportamenti sociali o delle nostre concezioni etiche, noi siamo dominati da un numero relativamente ridotto di persone che conoscono i processi mentali e le caratteristiche sociali delle masse. Sono queste persone che controllano la pubblica opinione.

Per Bernays, molto spesso questi membri del governo invisibile non conoscono essi stessi chi sono gli altri membri. La propaganda è il solo mezzo per impedire all’opinione pubblica di sprofondare nel caos.

Bernays ha continuato a lavorare su questo argomento dopo la guerra e nel 1947 ha pubblicato The Engineering of Consent – La costruzione del consenso [4], titolo al quale Edward Herman e Noam Chomsky hanno fatto riferimento quando hanno pubblicato nel 1988 la loro opera importantissima La fabrique du consentement [5].

Il rapporto con Freud è decisivo in quanto, come andremo ad esaminare, la psicologia è uno strumento capitale per influenzare l’opinione pubblica.

Secondo due degli autori che hanno collaborato a La fabrique du consentement, Doris E. Fleischmann e Howard Walden Cutler, ogni leader politico deve fare appello alle emozioni umane primarie al fine di manipolare le opinioni.

L’istinto di conservazione, l’ambizione, l’orgoglio, la bramosia, l’amore per la famiglia e per i bambini, il patriottismo, lo spirito di imitazione, il desiderio di comando, il gusto dell’azione, così come altri bisogni, sono le materie brute psicologiche che ciascun leader deve prendere in considerazione nei suoi tentativi per conquistare l’opinione pubblica alle sue idee.

Per mantenere la fiducia nei leader, la maggior parte delle persone hanno necessità di essere sicuri che tutto quello in cui credono sia corrispondente al vero.

Questo era quello che Münzenberg aveva ben compreso: il bisogno fondamentale degli uomini di credere in ciò che essi vogliono credere. Thomas Mann faceva allusione a questo fenomeno quando attribuiva l’ascesa di Hitler al desiderio collettivo del popolo tedesco di credere ad un “racconto di fate” che dissimulava la squallida realtà.

Su questo argomento, meritano di essere citate altre opere che non trattano per ragioni temporali della propaganda elettronica moderna ma che si rivolgono piuttosto verso la psicologia delle masse. Pensiamo ai classici come la Psychologie des foules – Psicologia delle masse di Gustave Le Bon (1895) [6], Masse und Macht – Massa e potere d’Elias Canetti (1960) [7] e Le viol des foules par la propagande politique – Lo stupro delle folle da parte della propaganda politica di Serge Tchakhotine (1939) [8].

Tutte queste opere fanno abbondante riferimento alla psicologia e all’antropologia. Non bisogna dimenticare l’opera grandiosa dell’antropologo René Girard, i cui scritti sulla logica dell’imitazione (mimesis) e sulle azioni violente collettive sono eccellenti strumenti per comprendere perché l’opinione pubblica può tanto facilmente essere indotta a sostenere la guerra e altre forme di violenza politica.

Tecnica della formazione dell’opinione pubblica
Dopo la guerra, numerosissime tecniche messe a punto dal comunista Münzenberg furono adottate dagli Stati Uniti, come dimostrato in modo magnifico dall’eccellente lavoro di Frances Stonor Saunders, Qui mène la danse ? La CIA et la Guerre froide culturelle – Chi conduce la danza? La CIA e la Guerra fredda culturale [9].

Saunders spiega in maniera estremamente dettagliata come, all’inizio della Guerra fredda, gli Statunitensi e i Britannici dettero inizio ad una importante operazione clandestina destinata a finanziare intellettuali anti-comunisti. [10].

L’elemento fondamentale è che essi concentrarono la loro attenzione su alcune personalità della sinistra, soprattutto su trotskisti che non avevano mai smesso di sostenere l’Unione Sovietica, se non nel 1939 quando Stalin firmò il Patto di non-aggressione con Hitler, e che avevano spesso collaborato in precedenza con Münzenberg.

Un gran numero di queste persone, che si situavano al punto di congiunzione fra il comunismo e la CIA all’inizio della Guerra fredda, sono divenuti dei neo-conservatori di primo piano, in particolare Irving Kristol, James Burnham, Sidney Hook e Lionel Trilling [11].

Le origini di sinistra, per meglio dire trotskiste, del neo-conservatorismo sono conosciute, anche se continuo ad essere sorpreso da nuovi particolari che vado scoprendo, ad esempio che Lionel e Diana Trilling sono stati sposati da un rabbino che considerava Felix Dzerjinski, fondatore della polizia segreta bolscevica, la Čeka ( antenata del KGB), il controaltare comunista della polizia politica di Himmler, come un modello di eroismo.

Queste origini di sinistra mantengono una relazione particolare con le operazioni clandestine evocate da Saunders, visto che l’obiettivo della CIA era precisamente quello di influenzare gli oppositori di sinistra al comunismo, vale a dire i trotskisti. Molto semplicemente, l’idea della CIA era che gli anti-comunisti di destra non avevano alcun bisogno di essere influenzati ed ancor meno di venire pagati.

Stonor Saunders cita Michael Warner quando scrive:
“Per la CIA la strategia di sostenere la sinistra anti-comunista doveva diventare il fondamento teorico delle operazioni politiche della CIA contro il comunismo nel corso dei due decenni successivi.”
Questa strategia veniva descritta in The Vital Center : The Politics of Freedom di Arthur Schlesinger (1949) [12], opera che costituisce una delle pietre angolari di quello che più tardi divenne il movimento neo-conservatore.

Stonor Saunders scrive:
“L’obiettivo di sostenere gruppi di sinistra, non era né di distruggere né di dominare questi gruppi, ma piuttosto di mantenere con loro una discreta prossimità e di dirigere il loro pensiero, di procurare loro un modo per liberarsi dalle inibizioni inconscie e, al limite, di opporsi alle loro azioni nel caso in cui fossero diventati eccessivamente… radicali.”

Le modalità attraverso cui questa influenza di sinistra fece sentire i propri effetti furono molteplici e variegate.
Gli Stati Uniti erano decisi a fornire di se stessi un’immagine progressista, che contrastasse con quella di una Unione Sovietica “reazionaria”. In altre parole, volevano mettere in attuazione le stesse cose che facevano i Sovietici.

Ad esempio, negli ambienti musicali statunitensi, Nicolas Nabokov (il cugino dell’autore di Lolita) era uno dei principali esponenti del Congresso per la libertà della Cultura.

Nel 1954, la CIA aveva finanziato un festival della musica a Roma nel corso del quale l’amore “autoritario” di Stalin per compositori russi come Rimski-Korsakov e Tchaïkovski veniva “contrato” dalla musica moderna non ortodossa ispirata dal dodecafonismo di Schoenberg. Per Nabokov, promuovere una musica che eliminava in modo eclatante le gerarchie naturali, era lanciare un chiaro messaggio politico.

Un altro progressista, il pittore Jackson Pollock, ex comunista, fu allo stesso modo sostenuto dalla CIA. I suoi “imbrattamenti” venivano considerati rappresentare l’ideologia americana di “libertà” opposta all’autoritarismo della pittura del realismo socialista.

Questa commistione fra la cultura e la politica venne incoraggiata apertamente da un organismo della CIA che portava un nome molto orwelliano, l’Ufficio di Strategia Psicologica, PSB.

Nel 1956, questa organizzazione sostenne una tournée europea della Metropolitan Opera (Met), che aveva lo scopo politico di incoraggiare il multiculturalismo.

L’organizzatore, Junkie Fleischmann, affermava:
“Noi, negli Stati Uniti, siamo un melting-pot e con questo dimostriamo che i popoli possono intendersi indipendentemente dalla razza, dal colore della pelle o dalla loro confessione.
Utilizzando il termine melting-pot, o una qualsiasi altra espressione, noi potremo presentare il Met come un esempio per cui gli Europei immigrati negli Stati Uniti hanno potuto intendersi, e, di conseguenza, suggerire che una specie di Federazione europea è sicuramente possibile.”

Sia detto per inciso, questo è esattamente l’argomento utilizzato da Ben Wattenberg che, nella sua opera The First Universal Nation, sostiene che gli Stati Uniti possiedono un diritto particolare all’egemonia mondiale in quanto inglobano tutte le nazioni e razze del pianeta.

L’identica idea è stata espressa da Newt Gingrich e da altri neoconservatori.

Fra gli altri temi proposti, alcuni sono al centro dell’ideologia neo-conservatrice di oggi. Il primo fra questi corrisponde all’opinione autenticamente liberale di un universalismo morale e politico. Questo ha costituito il nucleo della filosofia della politica estera di George W. Bush. In numerose occasioni Bush ha dichiarato che i valori politici sono i medesimi nel mondo intero ed ha utilizzato questa affermazione per giustificare l’intervento militare in favore della “democrazia”.

Agli inizi degli anni Cinquanta, Raymond Allen, direttore dell’Ufficio di Strategia Psicologica (l’Ufficio di Strategia Psicologica fu immediatamente designato unicamente attraverso le sue iniziali PSB, senza dubbio allo scopo di tenere nascosto quello che veniva direttamente espresso dal nome intero) era già pervenuto alla seguente conclusione:

“I principi e gli ideali contenuti nella Dichiarazione di Indipendenza e nella Costituzione sono destinati ad essere esportati e costituiscono il patrimonio degli uomini in tutto il mondo. Noi dovremo orientarci verso i bisogni fondamentali dell’umanità che, io credo, siano gli stessi per l’agricoltore del Texas come per quello del Pendjab.”

Certamente, sarebbe falso attribuire la diffusione delle idee unicamente alla manipolazione clandestina. Le idee si iscrivono in vasti movimenti culturali, le cui fonti originali sono molteplici. Ma è fuori dubbio che il dominio di queste idee può essere considerevolmente facilitato mediante operazioni clandestine, particolarmente in quanto i membri delle società dell’informazione di massa sono straordinariamente influenzabili. Non solamente essi credono a ciò che leggono sui giornali, ma immaginano di essere arrivati in modo autonomo alle conclusioni. Di conseguenza, l’astuzia per manipolare l’opinione pubblica consiste nell’applicare quello che è stato teorizzato da Bernays, introdotto e messo in pratica da Münzenberg ed elevato al rango di grande arte dalla CIA.

Secondo l’agente della CIA Donald Jameson, rispetto ai comportamenti che l’Agenzia desidera suscitare mediante le sue attività, è evidente che la CIA desidera formare delle persone intimamente persuase che tutto quello che il governo mette in esecuzione sia giusto. Altrimenti detto, quello che la CIA e altre agenzie hanno messo in esecuzione in questo periodo è stato di adottare la strategia che bisogna associare al marxista italiano Antonio Gramsci, che affermava che l’“egemonia culturale” era essenziale per la rivoluzione socialista.

Disinformazione
Sulle tecniche di disinformazione esiste una quantità enorme di testi.

Ho già fatto menzione sul fatto importante, formulato da Tchakhotine, che il ruolo dei giornalisti e dei media è fondamentale per assicurarsi che la propaganda avvenga in modo costante.

Tchakhotine scrive che la propaganda non dovrebbe interrompersi mai, formulando così una delle regole fondamentali della disinformazione moderna, vale a dire che il messaggio, per passare, deve essere ripetutamente reiterato.

Prima di tutto, Tchakhotine afferma che le campagne di propaganda devono essere dirette in modo centralizzato e ben organizzate, cosa che è divenuta prassi nel tempo della “comunicazione” politica moderna. Per esempio, i membri laburisti del Parlamento Britannico non possono comunicare con i media senza l’autorizzazione del Direttore per le Comunicazioni, al numero 10 di Downing Street.

Sefton Delmer era allo stesso tempo un teorico e un esperto esecutore della black propaganda (propaganda sporca, disinformazione). Aveva creato una falsa stazione radio che, durante la Seconda Guerra mondiale, trasmetteva dalla Gran Bretagna verso la Germania e diffondeva il mito che esistevano dei buoni patrioti tedeschi che si opponevano ad Hitler. [N.d.tr.: Gustav Siegfried Eins. Questo era il nome della stazione radio che fingendo di essere tedesca, riusciva a seminare tra i suoi ascoltatori (tedeschi) l’idea di una Germania non così monolitica come l’avrebbe voluta il Führer.] Si sosteneva la finzione che si trattasse in realtà di una stazione tedesca clandestina che trasmetteva utilizzando frequenze vicine a quelle delle stazioni ufficiali. Questo genere di “black propaganda” fa ancora parte dell’arsenale della “comunicazione” governativa statunitense.

Il New York Times ha rivelato che il governo emetteva dei bollettini informativi favorevoli alla sua politica, che venivano quindi diffusi nei programmi ordinari e presentati come produzioni delle stesse catene radiofoniche e televisive.

Esistono numerosi altri autori che hanno trattato questo argomento e di alcuni di loro ho già parlato nella mia rubrica All News Is Lies – Tutte le notizie sono falsità, ma forse l’opera che corrisponde al meglio al dibattito attuale è quella di Roger Mucchielli, La Subversion, pubblicata in francese nel 1971, che dimostra come la disinformazione, una volta ritenuta tattica ausiliaria durante la guerra, sia divenuta la tattica predominante [13].

Secondo Mucchielli, la strategia si è sviluppata al punto tale che l’obiettivo attualmente è quello di conquistare un paese senza assolutamente attaccarlo fisicamente, in particolare facendo ricorso ad agenti interni che condizionano l’opinione pubblica.

Essenzialmente, si tratta dell’idea proposta e posta in discussione da Robert Kaplan nel suo saggio pubblicato in The Atlantic Monthly nel luglio/agosto 2003 e intitolato “Supremacy by Stealth – Supremazia assunta furtivamente” [14].

Robert Kaplan, uno dei più sinistri teorici del Nuovo Ordine Mondiale e dell’Impero USamericano, difende esplicitamente l’utilizzazione illegale ed immorale della forza per permettere agli Stati Uniti di controllare il mondo intero.

Il suo saggio tratta del ricorso alle operazioni segrete, alla forza delle armi, a sporchi inganni, alla disinformazione, alle influenze clandestine, alla costruzione dell’opinione pubblica, perfino agli assassini politici, tutti mezzi che rivelano un’“etica pagana” destinati ad assicurare il predominio statunitense.

Un altro punto da sottolineare a proposito di Mucchielli è che è stato uno dei primi teorici a propugnare il ricorso a false organizzazioni non governative ONG, o “organizzazioni di facciata”, per provocare un cambiamento politico interno di un altro paese.

Come Malaparte e Trotskij, Mucchielli aveva capito che non erano le circostanze “oggettive” che procuravano il successo o il fallimento di una rivoluzione, ma la percezione di queste circostanze creata ad arte dalla disinformazione.

Inoltre, Mucchielli aveva compreso che le rivoluzioni storiche, che venivano invariabilmente presentate come il prodotto di movimenti di massa, in realtà erano frutto dell’azione di un gruppo assolutamente ristretto di cospiratori molto ben organizzati.

Come Trotskij, Mucchielli insisteva sul fatto che la maggioranza silenziosa doveva essere completamente esclusa dai meccanismi del cambiamento politico, precisamente perché i colpi di Stato sono opera di un ristretto numero di individui e non della massa.

L’opinione pubblica costituisce il “forum” dove si pratica la sovversione e Mucchielli descrive i differenti modi di utilizzare i mezzi di comunicazione di massa per creare una psicosi collettiva. Secondo lui, i fattori psicologici sono estremamente importanti a questo riguardo, in modo particolare nella ricerca di strategie importanti, come la demoralizzazione di una società. L’avversario deve essere indotto a perdere fiducia nella giustezza e nella fondatezza della sua causa e tutti gli sforzi devono essere prodotti per convincerlo che il suo avversario è invincibile.

Ruolo dei militari
Prima di affrontare questo punto, richiamiamo alla mente ancora una questione di ordine storico: il ruolo dei militari nella conduzione di operazioni segrete e nell’influenza esercitata sui mutamenti politici. Si tratta di una questione di cui alcuni analisti contemporanei ammettono tranquillamente la valenza attuale: Kaplan approva il fatto che l’esercito degli Stati Uniti venga utilizzato per “promuovere la democrazia”.

Si compiace di sottolineare come un colpo di telefono di un generale USamericano sia spesso un mezzo migliore per incoraggiare un cambiamento politico in un paese del Terzo Mondo piuttosto che una esortazione dell’ambasciatore degli Stati Uniti.

Kaplan cita un ufficiale addetto alle Operazioni Speciali dell’Esercito:
“Chiunque sia il presidente del Kenya, è sempre lo stesso gruppo di…giovanotti a dirigere le forze speciali e le guardie del corpo del presidente. Noi li abbiamo addestrati. Questo è quello che si dice influenza diplomatica!”

L’aspetto storico dell’argomento è stato di recente studiato da un accademico universitario svizzero, Daniele Ganser, in un suo libro Les Armées secrètes de l’OTAN [15].

Ganser comincia col menzionare il fatto che il 3 agosto 1990, Giulio Andreotti, allora Primo ministro, ammetteva l’esistenza di un’organizzazione armata segreta nel suo paese, dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, conosciuta con il nome di Gladio, che era stata creata dalla CIA e dal MI6, e che era coordinata da una sezione poco ortodossa della NATO.

Inoltre, Andreotti confermava una delle vociferazioni più persistenti nell’Italia del dopo-guerra.

Tantissime persone, fra cui magistrati inquirenti, avevano l’opinione che Gladio non facesse parte solamente di una rete di organizzazioni armate segrete create dagli Stati Uniti in Europa occidentale per combattere un’eventuale occupazione sovietica, ma che queste reti si erano adoperate per influenzare il risultato delle elezioni, addirittura stringendo sinistre alleanze con organizzazioni terroristiche. L’Italia era un bersaglio particolare, in quanto il suo Partito comunista era decisamente potente.

All’inizio, questo gruppo armato segreto era stato messo in piedi con lo scopo di prepararsi ad affrontare l’eventualità di una invasione, ma sembra che abbia effettuato ben presto operazioni segrete miranti ad influenzare gli stessi processi politici, pur in assenza di invasioni.

Esistono numerose prove dell’ingerenza massicciamente invasiva degli Stati Uniti, soprattutto nelle elezioni italiane, in modo da impedire al Partito comunista l’accesso al potere. Per questa ragione molti miliardi di dollari erano stati offerti ai democratici cristiani.

Ganser continua nel sostenere che esistono le prove che alcune cellule della Gladio hanno organizzato attentati terroristici con lo scopo di fare accusare i comunisti e di indurre la popolazione spaventata a reclamare poteri speciali per lo Stato destinati a “proteggerla” dal terrorismo.
Ganser interpella l’individuo accusato di avere posizionato una delle bombe, Vincenzo Vinciguerra, che ha ben spiegato la natura della rete di cui era un semplice soldato.

Gladio faceva parte di una strategia mirante a “destabilizzare, al fine di stabilizzare”.

Le vittime degli attentati erano civili, donne, bambini, innocenti, sconosciuti, assolutamente estranei al gioco politico. La ragione era molto semplice: si trattava di forzare il popolo italiano a rivolgersi verso lo Stato per esigere una maggiore sicurezza. Questa era la logica politica che permeava tutti i massacri, di cui gli autori sono rimasti impuniti, dato che lo Stato non poteva dichiararsi colpevole di quello che era avvenuto.

Esiste un rapporto evidente con le teorie del complotto a proposito dell’11 settembre.

Ganser presenta tutta una serie di prove secondo cui si è agito là come con Gladio in Italia e le sue argomentazioni lasciano pensare che potrebbe essere avvenuta un’alleanza con dei gruppi estremisti, come in Italia ci si era affidati a gruppi dell’estrema sinistra come le Brigate Rosse. Dopo tutto, quando Aldo Moro fu rapito – e in seguito assassinato – egli si era recato in Parlamento per presentare un programma di coalizione fra democristiani, socialisti e comunisti, fatto che gli Stati Uniti erano assolutamente decisi a contrastare.

I tattici della rivoluzione del nostro tempo
Le opere storiche che ho citato ci aiutano a capire quello che sta avvenendo ai nostri giorni. I miei colleghi e il sottoscritto, del British Helsinki Human Rights Group, abbiamo potuto constatare che anche attualmente vengono utilizzate le stesse teniche.

Le principali tattiche sono state perfezionate in America latina negli anni 1970–80. Molti agenti segreti, specialisti nei rovesciamenti di regime all’epoca di Reagan e di Bush padre, hanno esercitato il loro mestiere senza problemi nell’ex blocco sovietico sotto Clinton e Bush figlio.

Il generale Noriega racconta nelle sue memorie che i due agenti della CIA e del Dipartimento di Stato, inviati prima per negoziare e poi per provocare la sua caduta dal potere a Panama nel 1989, si chiamavano William Walker e Michael Kozak.

Ora, il primo è riapparso in Kosovo nel gennaio 1999 quando, a capo della Missione di verifica e controllo, sovrintendeva alla costruzione del castello di menzogne sulle “atrocità” che servì poi come pretesto alla guerra.

In quanto a Michael Kozak, divenne ambasciatore in Bielorussia dove, nel 2001, inscenava l’operazione “Bianca cicogna” destinata a rovesciare il presidente Alexandr Loukachenko.
In uno scambio di lettere con The Guardian, nel 2001, Kozak ebbe la sfrontatezza di riconoscere che in Bielorussia faceva esattamente quello che aveva fatto in Nicaragua e a Panama, vale a dire “promuovere la democrazia”[16]

La tecnica moderna di colpo di Stato si presenta essenzialmente utilizzando tre tipi di strumenti:
le ONG; il controllo dei media; gli agenti segreti. Le loro attività sono interscambiabili, tanto che vale la pena di effettuare analisi non separatamente.

Serbia, 2000
Il rovesciamento di Slobodan Milosevic non fu il primo evento in cui manifestamente l’Occidente utilizzava influenze clandestine per provocare un cambiamento di regime.

Il rovesciamento di Sali Berisha in Albania nel 1997 e quello di Vladimir Meciar in Slovacchia nel 1998 sono stati fortemente influenzati dall’Occidente e, nel caso di Berisha, un sollevamento estremamente violento è stato presentato come un giusto esempio di spontanea presa del potere da parte del popolo.

Ho personalmente osservato come la comunità internazionale ed in particolare l’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) abbiano falsificato i risultati del loro controllo delle elezioni in modo da assicurare il mutamento politico.

Per questo, il rovesciamento di Milosevic a Belgrado, il 5 ottobre 2000, è importante, visto che si trattava di una personalità molto conosciuta e che la “rivoluzione” che lo ha destituito ha implicato un uso decisamente sfacciato del “potere popolare”.

Il contesto del putsch contro Milosevic è stato brillantemente descritto da Tim Marshall, giornalista di Sky TV. Quello che Marshall mostra è tanto valido in quanto approva gli avvenimenti da lui evocati e si vanta dei suoi numerosi contatti con i servizi segreti, in particolare con quelli della Gran Bretagna e degli Stati Uniti.
Ad ogni istante, Marshall sembra essere al corrente di chi sono i principali agenti segreti. Il suo resoconto è denso di riferimenti ad “un agente del MI6 di Pristina”, a “fonti dei servizi segreti jugoslavi”, a “un uomo della CIA che ha aiutato a preparare il colpo di Stato”, ad “un agente dei servizi segreti della marina statunitense”, ecc.

Egli cita rapporti segreti dei servizi informativi serbi, conosce chi è il capo di stato maggiore del ministro britannico della Difesa che aveva messo a punto la strategia del rovesciamento di Milosevic.

Marshall sa che le conversazioni telefoniche del ministro per gli Affari esteri britannico sono ascoltate; conosce chi sono gli agenti dei servizi segreti russi che accompagnavano Evgueni Primakov, il Primo ministro russo, a Belgrado durante i bombardamenti della NATO; è al corrente in quali stanze dell’ambasciata di Gran Bretagna si trovavano dei microfoni e dove si trovavano le spie jugoslave che ascoltavano le conversazioni dei diplomatici; sa che un membro della Commissione per le relazioni internazionali della Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti è in realtà un agente dei servizi segreti della marina; sembra sapere che decisioni dei servizi segreti sono spesso assunte senza il completo accordo dei ministri.

Marshall descrive come la CIA abbia fatto da scorta alla delegazione dell’Esercito di Liberazione del Kosovo fino a Parigi per i colloqui di Rambouillet, prima della guerra, in cui la NATO lanciava alla Jugoslavia un ultimatum che sapeva non potere essere che respinto. Egli allude ad un “giornalista britannico” che serviva da intermediario fra Londra e Belgrado durante negoziati segreti tenuti ad alto livello estremamente importanti attraverso i quali i partecipanti avrebbero cercato di tradirsi gli uni con gli altri nel momento in cui il potere di Milosevic sarebbe crollato.

Uno dei temi che attraversano il suo libro, suo malgrado, è che la linea di separazione fra giornalisti e spie è sottile. All’inizio del libro, Marshall tratta di sfuggita di “legami inevitabili fra funzionari, giornalisti e politici”, affermando che costoro “lavorano tutti nel medesimo ambito”. Egli continua in tono scherzoso nel dire che era stata una “associazione fra spioni, giornalisti da strapazzo e politicanti, più il popolo” a provocare la caduta di Milosevic.

Marshall accetta il mito della partecipazione del “popolo”, ma il resto del suo libro mostra come in realtà il rovesciamento del presidente jugoslavo non sarebbe potuto avvenire se non attraverso strategie politiche concepite a Londra e a Washington.

Prima di tutto, Marshall fa ben comprendere che nel 1988 il Dipartimento di Stato e i servizi di sicurezza avevano deciso di utilizzare l’Esercito di Liberazione del Kosovo (ELK) per sbarazzarsi di Milosevic. Viene citata una fonte secondo cui “il progetto degli Stati Uniti era chiaro: quando sarebbe arrivato il momento, avrebbero utilizzato l’ELK per ottenere la soluzione del problema politico”, e con “problema” si intendeva la sopravvivenza politica di Milosevic.

Questo significava che si sosteneva il secessionismo terroristico dell’ELK per condurre in seguito una guerra contro la Jugoslavia al loro fianco.

Marshall cita Karl Kirk, un agente dei servizi segreti della marina degli Stati Uniti: “Finalmente, ci siamo impegnati in una vasta operazione, allo stesso tempo scoperta e segreta, contro Milosevic”. La parte segreta dell’operazione consisteva non solamente nel rinforzare le differenti missioni con agenti dei servizi segreti britannici e statunitensi inviati in Kosovo come “osservatori”, ma ugualmente – e questo era cruciale – nel fornire aiuto militare , tecnico, finanziario, logistico e politico all’ELK, che conduceva traffici di droga e di esseri umani e che assassinava civili.

La strategia vedeva la sua luce alla fine del 1998 quando una “importante missione della CIA fu messa all’opera in Kosovo”.

Il presidente Milosevic aveva autorizzato ad entrare in Kosovo una missione diplomatica di osservatori per controllare la situazione di quella provincia. Immediatamente, questo gruppo fu ben infarcito di agenti segreti e delle forze speciali britanniche e statunitensi, di uomini della CIA e dei servizi segreti della marina USAmericana, di membri del Servizio Speciale Aereo (SAS) britannico e del “14.esimo Intelligence”, corpo dell’esercito britannico che opera al fianco del SAS per effettuare quella che viene definita come “deep surveillance”, sorveglianza profonda.

Lo scopo immediato dell’operazione era di effettuare la “preparazione di intelligence del terreno del conflitto” [metodo di analisi di un terreno suscettibile di diventare campo di battaglia ], versione moderna di quello che il duca di Wellington aveva l’abitudine di fare, vale a dire percorrere il campo di battaglia in lungo e in largo per rendersi conto della configurazione del terreno prima di affrontare il nemico.

Quindi, come scrive Marshall, “ufficialmente la KDOM [Missione Diplomatica di Osservazione in Kosovo] era diretta dall’OSCE in Europa, ma ufficiosamente dalla CIA. Si trattava di uno schieramento della CIA.” Infatti, la maggior parte dei suoi membri operavano per un altro reparto della CIA, la DynCorp, una compagnia con sede in Virginia che impiega, secondo Marshall, soprattutto “membri di unità di élite dell’esercito USAmericano o della CIA”.

Veniva utilizzata la KDOM, che più tardi si trasformava nella Missione di verifica in Kosovo, solo per fare dello spionaggio! Al posto di eseguire i compiti di controllo e di osservazione loro assegnati, i membri della Missione utilizzavano i loro sistemi di posizionamento globale GPS (un metodo di orientamento satellitare) per localizzare ed identificare gli obiettivi che in seguito la NATO avrebbe bombardato.

Si fa fatica a capire come gli Jugoslavi abbiano potuto permettere che 2000 agenti dei servizi segreti perfettamente addestrati percorressero il loro territorio, dato che, come viene dimostrato da Marshall, loro sapevano molto bene quello che stava avvenendo.

Il capo della Missione di verifica in Kosovo era William Walker, l’uomo che aveva avuto per missione di scalzare Noriega dal potere a Panama e che era stato ambasciatore degli Stati Uniti in Salvador il cui governo, appoggiato da Washington, si serviva di squadroni della morte.

Walker “scopriva” il “massacro” di Racak nel gennaio 1999, avvenimento utilizzato come pretesto per innescare il processo che avrebbe portato ai bombardamenti che ebbero inizio il 24 marzo.
Numerose testimonianze lasciano pensare che Racak sia stata una messa in scena e che i corpi trovati là fossero quelli di combattenti dell’ELK e non di civili, come si ebbe a pretendere.
Quello che è certo è che il ruolo di Walker è stato così importante che la strada nazionale del Kosovo che conduce a Racak a lui è stata intitolata.

Marshall scrive che la data della guerra – primavera 1999 – non è stata solamente decisa alla fine di dicembre 1988, ma che era stata contemporaneamente comunicata all’ELK.

Questo significa che, a “massacro” avvenuto, quando Madeleine Albright dichiarava : “Quest’anno la primavera è arrivata prima.”, lei si comportava esattamente come Goebbels quando, venendo a conoscenza dell’incendio del Reichstag nel 1933, avrebbe esclamato: “Come, di già?”

In tutti i modi, Marshall scrive che quando la Missione fu ritirata alla vigilia dei bombardamenti della NATO, gli agenti della CIA che ne facevano parte consegnarono i loro cellulari satellitari e i loro GPS all’ELK.

“Gli Stati Uniti addestrarono l’ELK, in parte lo equipaggiarono e di fatto gli consegnarono un territorio”, scrive Marshall, anche se lui stesso, come tutti gli altri reporter, aveva contribuito a propagare il mito delle atrocità commesse sistematicamente da parte dei Serbi contro una popolazione civile albanese totalmente inerte.

Naturalmente, la guerra ebbe inizio e la Jugoslavia fu violentemente bombardata. Ma Milosevic restava al potere. Allora, Londra e Washington dettero inizio alla messa in pratica di ciò che Marshall definisce una “guerra politica” per poterlo destituire dal governo.

La “guerra politica” consisteva nel consegnare importanti somme di denaro e nel portare aiuto tecnico, logistico e strategico, compreso l’invio di armi, a gruppi differenti dell’“opposizione democratica” e ad Organizzazioni Non Governative della Serbia.

In quel momento, gli Stati Uniti operavano principalmente per via indiretta attraverso l’International Republican Institute [17], che aveva aperto uffici in Ungheria con lo scopo di sbarazzarsi di Milosevic.
Marshall spiega che ad una riunione “ci si trovò d’accordo sul fatto che gli argomenti ideologici sulla democrazia, sui diritti civili e sull’approccio umanitario sarebbero stati molto più convincenti se accompagnati, all’occorrenza, da denaro bastante.”
Questo denaro, e molte altre cose, di conseguenza, entrarono in Serbia attraverso valige diplomatiche, in molti casi appartenenti a paesi in apparenza neutrali come la Svezia che, non essendo ufficialmente membro della NATO, poteva mantenere completamente aperta la sua ambasciata a Belgrado.

Marshall aggiunge che il denaro entrava da tanti anni. Mezzi di informazione “indipendenti”, come la stazione radio B92 (dello stesso editore di Marshall), venivano finanziati in gran parte dagli Stati Uniti. Alcune organizzazioni controllate da George Soros [18] allo stesso modo giocarono un ruolo essenziale, come più tardi in Georgia nel 2003–04.

I cosiddetti “democratici” in realtà non erano niente altro che agenti stranieri, come veniva affermato in modo imperturbabile dal governo jugoslavo del tempo.
Inoltre Marshall spiega un fatto che attualmente è di dominio pubblico, vale a dire che sono sempre gli Stati Uniti che hanno concepito la strategia consistente nel proporre un candidato, nel caso jugoslavo Vojislav Kostunica, per unificare l’opposizione. Kostunica presentava il grande vantaggio di essere quasi uno sconosciuto agli occhi dell’opinione pubblica.

Marshall dimostra che la strategia comprendeva perfino un colpo di Stato accuratamente predisposto e che ebbe luogo come previsto. Egli mostra in maniera estremamente ricca di dettagli come i principali attori di quello che fu presentato dalle televisioni occidentali come un sollevamento “popolare” spontaneo in realtà non fossero null’altro che una banda di teppisti estremamente violenti e pesantemente armati al comando del sindaco della città di Cacak, Velimir Illic. Era un convoglio di Illic lungo 22 chilometri che aveva trasportato “armi, paras e squadre di kickboxeurs” fino all’edificio del Parlamento federale di Belgrado.
Marshall ammette che gli avvenimenti del 5 ottobre 2000 “rassomigliavano sicuramente ad un colpo di Stato” piuttosto che ad una rivoluzione popolare, come volevano far credere tanto “candidamente” i media di tutto il mondo.

Georgia, 2003
Molte delle tattiche applicate a Belgrado furono riprese ad nauseam in Georgia nel novembre 2003, per rovesciare il presidente Edouard Chevardnadze [19]. Furono espresse le medesime asserzioni di elezioni truccate e reiterate senza sosta. (In Georgia, si trattava di elezioni legislative, mentre quelle in Jugoslavia erano elezioni presidenziali). I media occidentali ripresero queste asserzioni, che erano state formulate ben prima dello scrutinio, senza porsi alcuna domanda.
Venne scatenata una guerra di propaganda contro i due presidenti, nel caso di Chevardnadze dopo un lungo periodo in cui era stato incensato come un grande democratico riformatore.
Le due rivoluzioni si produssero dopo un identico “assalto al Parlamento” trasmesso in diretta dalle televisioni. I due trasferimenti di potere furono negoziati dal ministro russo per gli Affari esteri Igor Ivanov che prese l’aereo prima per Belgrado e poi per Tbilissi al fine di condurre in porto il trapasso di poteri dei due presidenti in carica. E, last but not least, anche l’ambasciatore USAmericano fu il medesimo nei due casi: Richard Miles.

Comunque, la similitudine più evidente è consistita nell’utilizzazione di un movimento studentesco noto con il nome di Otpor (Resistenza) in Serbia e di Kmara (Basta! in georgiano) in Georgia [20].
I due movimenti avevano lo stesso simbolo, un pugno chiuso nero su bianco.
Quelli di Otpor addestravano gli aderenti di Kmara, e tutti venivano sostenuti dagli Stati Uniti.
Ed entrambi i movimenti erano manifestamente strutturati secondo la tattica comunista, che associa la parvenza di una struttura diffusa di cellule autonome con la realtà di una disciplina di natura leninista fortemente centralizzata.
Come in Serbia, fu rivelato alla pubblica opinione il ruolo giocato dalle operazioni segrete e dal denaro statunitense, ma solamente dopo gli avvenimenti. Durante questi eventi, le televisioni non cessarono di parlare di un sollevamento di “popolo” contro Chevardnadze.
Tutte le immagini contrarie a questa menzogna, che doveva produrre ottimismo, furono occultate, come il fatto che la “marcia su Tbilisi” guidata da Mikhail Saakachvili si era mossa da Gori, la città natale di Stalin, a partire dalla statua dell’ex tiranno sovietico, che resta pur sempre un eroe per tanti Georgiani.
I media non si inquietarono per nulla quando il nuovo presidente Saakachvili fu confermato nelle sue funzioni attraverso un’elezione che lo gratificava di una percentuale staliniana del 96 %.

Ucraina, 2004
Nel caso dell’Ucraina, si osserva la medesima combinazione di attività da parte di ONG finanziate dall’Occidente, di mezzi di comunicazione e di servizi segreti [21].
Le ONG hanno giocato un ruolo enorme nel delegittimare le elezioni, addirittura prima che queste avessero luogo. Non cessavano di parlare di brogli generalizzati. In altri termini, le manifestazioni di strada che si scatenarono dopo il secondo ballottaggio, vinto da Yanoukovitch, si fondavano su affermazioni che circolavano ben prima dello spoglio del secondo turno.
La principale ONG responsabile di queste accuse, il Comitato degli elettori di Ucraina, non aveva ricevuto un quattrino dagli elettori ucraini, ma in compenso era stata generosamente finanziata dai governi occidentali. I suoi uffici erano ornati di ritratti della Madeleine Albright e il National Democratic Institute era uno dei suoi principali sostenitori. Questo Comitato non cessava di fare propaganda contro Yanoukovitch.
Durante questi avvenimenti, io stesso ho potuto riscontrare tanti abusi di questa propaganda, che consistevano principalmente nel ripetere instancabilmente che il governo praticava brogli elettorali, questo per dissimulare la frode praticata dall’opposizione che presentava Victor Youchtchenko, uno degli uomini più noiosi del mondo, come un politico carismatico e diffondeva la tesi ridicolmente inverosimile che egli era stato deliberatamente avvelenato dai suoi avversari. (Fino a questo momento nessuna azione giudiziaria è stata promossa a riguardo.)
Si potrà trovare un resoconto più completo sulla propaganda e sulle frodi nel rapporto “Ukraine’s Clockwork Orange Revolution – La rivoluzione del movimento arancione in Ucraina” del British Helsinki Human Rights Group.
Una spiegazione interessante del ruolo giocato dai servizi segreti è stata fornita nel New York Times da C. J. Chivers, che descrive come il KGB ucraino abbia sempre operato in favore di Youchtchenko, ben inteso, in collaborazione con gli Stati Uniti.[22].
Fra altri articoli importanti su questo argomento, ricordiamo quello di Jonathan Mowat intitolato “The New Gladio in Action ? Ukrainian Postmodern Coup Completes Testing of New Template – Una nuova Gladio in azione? Il colpo postmoderno in Ucraina completa la verifica empirica di un nuovo modello”, che descrive in dettaglio come la dottrina militare era stata adattata per provocare un cambiamento di regime e come erano stati utilizzati diversi strumenti, dalla psicologia ai falsi sondaggi d’opinione [23].
L’articolo di Mowat è particolarmente interessante quando tratta delle teorie di Peter Ackermann, l’autore di “Strategic Nonviolent Conflict - Conflitto strategico non violento” [24] e di una relazione intitolata “Between Hard and Soft Power: The Rise of Civilian-Based Struggle and Democratic Change – Fra potere duro e debole: il sorgere di lotte fondate su movimenti civili e il cambiamento democratico”, pronunciata presso il Dipartimento di Stato nel giugno 2004 [25].

Mowat è parimenti eccellente in materia di psicologia delle folle e della loro utilizzazione durante i putsch. Egli attira l’attenzione sul ruolo di “sciami di adolescenti” e su quello dell’“isteria dei ribelli” e fa ricondurre l’origine della loro utilizzazione per fini politici al Tavistock Institute negli anni 1960. Questo Istituto era stato creato dall’Esercito britannico in relazione alla guerra psicologica dopo la Prima Guerra Mondiale e fra i suoi illustri studiosi possiamo trovare David Owen, ex Segretario di Stato per gli Affari esteri e Radovan Karadic, ex-Presidente della Repubblica serba di Bosnia.
Mowat mostra come le idee formulate in quell’Istituto da Fred Emery furono riprese da un certo Howard Perlmutter, professore di “architettura sociale” alla Wharton School e discepolo di Emery, per cui la diffusione del video “Rock a Katmandu” costituiva uno strumento appropriato per evocare il modo attraverso cui Stati di cultura tradizionale potevano essere destabilizzati, con l’obiettivo finale di dare luogo alla “civilizzazione globale”.
Aggiungeva che per una tale trasformazione erano necessari due requisiti: “La costruzione di una rete, che operi a livello internazionale, di organizzazioni internazionali e locali” e “la creazione di eventi globali” tramite “la trasformazione, mediante l’uso dei mezzi di informazione di massa, di un evento locale in un avvenimento che possa avere ripercussioni internazionali immediate.”

Conclusione
Nulla di tutto ciò che abbiamo analizzato può venire rapportato a “teorie del complotto”, in quanto ci si trova nella effettiva presenza di autentici complotti!
Per gli Stati Uniti, la promozione della democrazia è un elemento importante della sua strategia generale sulla sicurezza nazionale.
Importanti settori del Dipartimento di Stato, la CIA, agenzie para-governative come il National Endowment for Democracy e ONG finanziate dal Governo, come la Carnegie Endowment for International Peace, che ha pubblicato numerose opere riguardanti la “promozione della democrazia”, tutti hanno un punto in comune: prevedono l’ingerenza, a volte violenta, delle potenze occidentali, in modo particolare degli Stati Uniti, nella politica di altri Stati e questa ingerenza è molto spesso utilizzata per incoraggiare l’obiettivo rivoluzionario per eccellenza, il cambiamento di regime.

Note

[1] All’epoca della rivoluzione dei Cedri, Hezbollah costituiva la maggioranza relativa. Dopo il ritiro del contingente di pace siriano, Hezbollah dava vita ad una coalizione allargata, a cui partecipava, fatto da sottolineare, il Movimento patriotico libero del generale Michel Aoun.
Questa coalizione, in occasione delle elezioni legislative, si dimostrava maggioritaria dopo lo spoglio dei voti. Tuttavia, tenuto conto del sistema elettorale che privilegia le liste di rappresentanza politica rispetto ai voti individuali, questa coalizione popolare risultava minoritaria in Parlamento.

[2] Technique du coup d’État, di Curzio Malaparte. Prima edizione Grasset 1931. Riedizione in formato tascabile, Grasset & Fasquelle (2008). Ed. italiana Mondadori, 2002 (esaurito)

[3] Propaganda di Edward L. Bernays, Horace Liveright (1928). Scaricabile. Versione francese : Propaganda : Comment manipuler l’opinion en démocratie, Zone (2007).

[4] « The Engineering of Consent », The Annals of the American Academy of Political and Social Science, 1947, 250 p. 113. (Questo articolo è stato riprodotto nella raccolta eponima “The engineering of consent”, University of Oklahoma Press, 1955.)

[5] Manufacturing Consent : The Political Economy of the Mass Media, di Edward S. Herman e Noam Chomsky, Pantheon Books Inc (1988). Versione francese : La fabrication du consentement : De la propagande médiatique en démocratie, Agone, 2008.

[6] Psychologie des foules, di Gustave Le Bon, 1895. Scaricabile

[7] Masse und Macht, di Elias Canetti, Fischer Taschenbuch Vlg. Versione francese : Masse et puissance, Gallimard, 1986.

[8] Le viol des foules par la propagande politique, di Serge Tchakhotine, Gallimard, riedizione in formato tascabile 1992.

[9] Who Paid the Piper ?: CIA and the Cultural Cold War, di Frances Stonor Saunders, Granta, 1999. Versione francese: Qui mène la danse ? La CIA et la Guerre froide culturelle, Denoël, 2003.

[10] A proposito del Congresso per la libertà della Cultura, leggere « Quand la CIA finançait les intellectuels européens », di Denis Boneau e « Quand la CIA finançait les intellectuels italiens », di Federico Roberti, Réseau Voltaire, 27 novembre 2003 e 5 settembre 2008.

[11] « Les New York Intellectuals et l’invention du néo-conservatisme », di Denis Boneau, Réseau Voltaire, 26 novembre 2004.

[12] The vital center ; the politics of freedom, di Arthur M. Schlesinger, Boston Houghton Mifflin Co, 1949.

[13] La subversion, di Roger Muchielli, C.L.C ; nuova edizione rivista e aggiornata, (1976)

[14] « Supremacy by Stealth », di Robert Kaplan, The Atlantic Monthly, luglio/agosto 2003.

[15] Les Armées secrètes de l’OTAN, di Daniele Ganser, edizioni Demi-lune (2007). Questo libro è pubblicato in appendice da Réseau Voltaire.

[16] « For Nicaragua, read Belarus » di Mark Almond ; « Belarus and the Balkans », lettera di Michael Kozak ; « Belarus president tightens grip on a resentful people » e « Belarussian foils dictator-buster... for now. Tested US foreign election strategy fails against Lukashenko », di Ian Traynor, The Guardian, 21 e 25 agosto, 10 e 14 settembre 2001.

[17] IRI è una sezione della NED. Vedere « La NED, nébuleuse de l’ingérence "démocratique" », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 22 gennaio 2004.

[18] « George Soros, spéculateur et philanthrope », Réseau Voltaire, gennaio 2004.

[19] « Les dessous du coup d’État en Géorgie », di Paul Labarique,Réseau Voltaire, 7 gennaio 2004.

[20] « L’Albert Einstein Institution : la non-violence version CIA », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 4 giugno 2007.

[21] « Washington et Moscou se livrent bataille en Ukraine », di Emilia Nazarenko e la redazione; e « Ukraine : la rue contre le peuple », 1 e 29 novembre 2004.

[22] « Back Channels : A Crackdown Averted ; How Top Spies in Ukraine Changed the Nation’s Path », di C. J. Chivers, The New York Times, 17 gennaio 2005.

[23] « The new Gladio in action ? Ukrainian postmodern coup completes testing of new template », di Jonathan Mowat, Online Journal, 19 marzo 2005.

[24] Strategic Nonviolent Conflict : The Dynamics of People Power in the Twentieth Century, di Peter Ackerman et Christopher Kruegler, prefazione di Thomas C. Schelling, Greenwood Press (1993).

[25] Presentation at the US State Department. Between Hard and Soft Power : The Rise of Civilian-Based Struggle and Democratic Change, di Peter Ackerman, 29 giugno 2004.