giovedì 27 luglio 2017

Fa impressione constatare com’è cambiato tutto in fretta.

Link: Dedicato ai cinici che volevano tenersi il rais [gadlerner.it MARTEDÌ, 23 AGOSTO 2011]

"…e il prossimo sarà il siriano Assad! Ci sono voluti sei mesi di guerra, ma la rivoluzione degli arabi in cerca di libertà, dentro a un mondo contemporaneo che li aveva predestinati all’oppressione, continua inesorabile."

Stavo per andare a letto quando sono incappato in questo articolo del 23 agosto 2011 di Gad Lerner. Leggetelo e meditate.

Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. Era l'11 agosto del 2011. 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Glie munne se vòta (il mondo cambia, per i diversamente napoletani).

mercoledì 26 luglio 2017

Non chiamatela crisi: è una guerra [di Thomas Fazi]

Le post-democrazie odierne sono il risultato di un processo quarantennale di ridimensionamento della sovranità popolare e del movimento operaio che in Europa ha trovato la sua applicazione più radicale. (continua a leggere su eunews.it)

Nota rosicona


Ma 'nvedi 'sto pischello de Thomas Fazi, che riesce a dire in un saggio breve tutto quello che scrivo da anni in una miriade di post, e pure mejo de me! Poi dice che uno rosica...

Cari lettori del blog, leggetelo tutto che poi vi interrogo. E bannerò chi sgamo che 'ntruja. In cambio vi prometto che andrò presto a intervistare er pischello.

domenica 23 luglio 2017

La bellezza, l'armonia e la pace ci siano compagne lungo la via per la riconquista della sovranità popolare [di Mario Giambelli]

Ricevo dall'amico Mario Giambelli, e volentieri pubblico sul mio blog, questo suo testo (il cui titolo è stato scelto da me) che origina da quella che credo sia stata una sfortunata sequenza di fraintendimenti, a seguito di un passaggio male interpretato, e probabilmente anche male espresso, del suo intervento al Simposio di Camogli del 3 luglio 2017.

Poiché il mio intervento al simposio di Camogli non è stato correttamente inteso (me ne assumo la responsabilità: non sempre si riesce a comunicare in modo efficace), ho pensato di chiarire il mio pensiero con questo scritto, confidando sull’ospitalità di Fiorenzo.
Voglio subito ribadire che non considero il dott. Luciano Barra Caracciolo soltanto un maestro. E’ lo studioso che ha risvegliato in me la passione, all’età di 60 anni, per lo studio e l’approfondimento del diritto costituzionale ed è il giurista che mi ha reso facile “decifrare” i noiosi trattati europei, testi scritti per non essere compresi. Credo sia l’unico giurista italiano in grado di elaborare una precisa e pertinente analisi economica del diritto, possedendo egli competenze non comuni anche in materia economica. La mia ammirazione e la mia gratitudine nei suoi confronti sono perciò fuori discussione. Menzionando il suo articolo, ho precisato che il contenuto dello stesso, restando sul piano delle “alleanze” tra entità assimilabili a partiti, era assolutamente condivisibile. Mi sono solo stupito che il dott. Barra Caracciolo ragionasse solo in termini di alleanze. Rileggendo più attentamente il suo articolo, mi sono tuttavia accorto di essermi sbagliato. L’ipotesi della creazione di “un partito di massa, a orientamento legalitario-costituzionale” (come potrebbe essere un partito unitario sovranista) è parimenti considerata, ma ritenuta irrealizzabile - in quanto “irrealistica aspirazione teorica” - sulla base di un motivato e ragionevole pessimismo.
Chiedo venia per l’errore e passo a precisare il mio pensiero in argomento, fondato invece su “un’ottimismo della volontà” (o, forse, della disperazione?) che potrebbe rivelarsi - almeno questo è il mio auspicio - altrettanto ragionevole.
Un lettore del blog, il sig. Claudio Silvis, contesta l’idea che l’alleanza tra esseri umani per raggiungere obiettivi comuni risponda ad “un’istanza neoliberista”. Il problema non consisterebbe nell’alleanza in sé, ma “nella qualità intrinseca delle motivazioni” che ne animano il progetto. D’altra parte, osserva il medesimo lettore, “la nostra Costituzione non è forse il frutto di un’alleanza fra forze politiche diverse e per molti versi contrapposte?
Orbene, premesso che non ho parlato, durante il simposio, di alleanze “tra esseri umani” in genere, bensì di alleanze “tra sovranisti” (ed il particolare è determinante, come vedremo tra poco), la risposta alla domanda del sig. Claudio, per quanto posta come interrogazione retorica, non può essere che no.
La nostra Costituzione è una legge. E’ la Legge fondamentale, formulata ed approvata, con una maggioranza di 453 voti favorevoli e 62 contrari su 515 presenti e votanti, da un’assemblea parlamentare (la Costituente) eletta con sistema rigorosamente proporzionale (e quindi massimamente rappresentativo della volontà del Popolo italiano).
Le elezioni dell’Assemblea Costituente furono dominate da tre grandi partiti: la DC, che ottenne il 35,2% dei voti e 207 seggi; il Partito Socialista, che ottenne il 20,7% dei voti e 115 seggi; il PC, che ottenne il 18,9% dei voti e 104 seggi. La tradizione liberale che era stata la protagonista della politica nell’Italia prefascista, ottenne invece il 6,8% dei consensi e 41 deputati.
Nell’Assemblea Costituente si confrontarono dunque idee, valori, modelli sociali, concezioni costituzionali (ad una concezione “atomista, individualista, di tipo occidentale, rousseauiana”, si contrapponeva, notoriamente, una concezione costituzionale “statalista, di tipo hegeliano”) e concezioni politiche diverse e, per molti aspetti, diametralmente opposte.
Il confronto fu acceso, a tratti molto aspro, con profondi dissensi e lacerazioni. Il lavoro fu instancabile. Oltre alle fatiche della Commissione dei 75 (testimoniato dai resoconti delle vivaci, polemiche e combattute discussioni sui singoli articoli proposti: http://www.nascitacostituzione.it/ ), lo testimoniano le 347 sedute assembleari, i 1663 emendamenti che furono presentati sui 140 articoli del progetto di Costituzione (dei quali 292 approvati, 314 respinti, 1057 ritirati od assorbiti), i 1090 interventi in discussione da parte di 275 oratori, i 44 appelli nominali ed i 109 scrutini segreti, i 40 ordini del giorno votati, gli 828 schemi di provvedimenti legislativi trasmessi dal Governo all’esame delle Commissioni permanenti ed i 61 disegni di legge deferiti all’Assemblea, le 23 mozioni presentate (delle quali 7 svolte), le 166 interpellanze (di cui 22 discusse), le 1409 interrogazioni (492 delle quali trattate in seduta), più le 2161con domanda di risposta scritta (che furono soddisfatte per oltre tre quarti dai rispettivi Dicasteri).
La Costituzione non fu il frutto di alleanze, bensì il frutto di “un processo di formazione democratica, cioè collettiva” (Meuccio Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, 22 dicembre 1947, Seduta antimeridiana dell’Assemblea Costituente). Fu il prodotto di una discussione (“che è il mezzo più razionale e più elevato per raggiungere quella verità relativa, che agli uomini può essere consentita”: Vittorio Emanuele Orlando, stessa Seduta antimeridiana dell’Assemblea Costituente) che vide le tesi più diverse e più opposte confrontarsi duramente su quasi tutti gli articoli. Alcuni di essi furono discussi da più di una Sottocommissione, o furono concepiti inizialmente come articoli differenti, diventando poi articoli unici o viceversa. Molti articoli furono trattati nelle discussioni generali in Assemblea, altri nacquero dagli emendamenti proposti. Come opera collettiva la Costituzione fu “transazione” ed “equilibrio” realizzato, con pazienza, intelligenza sopraffina e con eccellente tecnicismo giuridico-costituzionale, “fra le idee e le correnti diverse” (Meuccio Ruini, ibidem).
Il prodotto di quel processo, lo sappiamo, fu una rivoluzione epocale: l’avvento delle Costituzioni democratiche del secondo dopoguerra e, in particolare, della nostra, segnò il passaggio dallo Stato liberale (quello “aristocratico, espressione di liberismo individualistico” e di “dittatura della borghesia”, rivelatosi “impotente a mantenere un minimo di coesione sociale, perché l’abissale ineguaglianza delle posizioni di effettivo potere determinatasi fra i cittadini rendeva apparente la parità che la legge assicurava alle parti dei rapporti sociali , e privava la massa della popolazione del godimento delle libertà astrattamente riconosciute”, senza riuscire “a conseguire il fine del massimo benessere collettivo invocato a giustificare la pienezza della libertà concessa alla proprietà ed all’iniziativa economica privata”: così Mortati, voce “Costituzione”, Parte II – La Costituzione Italiana, Enciclopedia del Diritto, Giuffrè Ed., Vol. XI, 214 e ss.) allo Stato democratico, ovvero il passaggio dalla libertà-autonomia alla libertà-partecipazione (“la trasformazione del concetto di libertà - il quale, dalla idea della libertà dell’individuo dal dominio dello Stato, si trasforma in partecipazione dell’individuo al potere dello Stato - segna contemporaneamente la separazione della democrazia dal liberalismo”: Kelsen, Democrazia e cultura, 1955, 32), con la totale inversione del “valore attribuito ai due termini del rapporto proprietà-lavoro, conferendo la preminenza a quest’ultimo sul primo” (Mortati, ibidem).
Il passaggio dallo Stato liberale allo Stato democratico è un moto che i nostri Padri costituenti avevano immaginato come assolutamente irreversibile nel nostro sistema costituzionale e, dunque, chiuso - data l’immutabilità dei suoi principi fondamentali - ad ogni tentativo di ritorno al passato e di restaurazione di quel modello liberale-liberista che aveva generato miseria, sofferenze, differenze sociali, conflitto di classe, esclusione delle classi subalterne da qualsiasi funzione di governo, ed il cui fallimento era stato storicamente sanzionato con la grande crisi del 1929-1932.
Abbiamo purtroppo constatato che le previsioni dei Padri costituenti erano errate. La rivoluzione durò - malgrado i sabotaggi, le difficoltà, le inerzie e gli ostacoli di ogni genere interposti dalle forze conservatrici - lo spazio di un trentennio, sino alla fine degli anni ’70, quando, con il famigerato “divorzio” tra Tesoro e Banca d’Italia, la restaurazione liberale-liberista assestò un colpo letale allo Stato democratico.
I fatti, esterni ed interni allo Stato, che agevolarono la “controrivoluzione” liberista sono noti. Ho cercato di riassumerli qui https://www.youtube.com/watch?list=PLEEY0XES7Zsue0XLg_vefPIzRmXtYlz9k&v=pPxH7sUNqj8 (dal min. 5:16) e qui: https://www.youtube.com/watch?v=78qB-jhgwBU&index=9&list=PLEEY0XES7Zsue0XLg_vefPIzRmXtYlz9k.
Ritengo peraltro assai fondata l’analisi svolta sul differente, ma non meno interessante e concreto piano psicologico-sociale da Mauro Scardovelli, secondo il quale “la grande illusione della modernità è stata quella di creare la democrazia politica, l’autogoverno del popolo, la pace e la giustizia tra le nazioni, senza promuovere con altrettanto impegno la democrazia interiore, ovvero l’autogoverno di sé”. Osserva efficacemente tale autore che “il neoliberismo, nonostante le catastrofi che produce, continua a imporsi come pensiero dominante. Questo non solo grazie alla perdita di memoria storica, all’arretramento culturale dei popoli, alla propaganda mediatica, al marketing delle idee, agli intellettuali servi dei potenti, ma anche soprattutto perché, facendo leva sulla facile propensione umana alla comodità, all’egoismo, all’avidità, e agli altri inquinanti della mente, ha promosso una regressione psichica di dimensioni ormai endemiche. Pompando il narcisismo, l’infantilizzazione, l’individualismo, la prolificazione dei desideri, ha generato una nuova forma di vita, basata sulla competizione generalizzata in ogni relazione umana, compresa quella con se stessi. In altri termini, ha elevato a valore universale l’ultima forma storica di etica autoritaria, materialistica, oligarchica, competitiva, bellica, diffondendo due patologie strettamente connesse: lo sfruttamento delle debolezze altrui (struttura narcisistica) o l’implacabile persecuzione delle proprie debolezze (struttura depressiva-ansiosa). In altre parole, il neoliberismo promuove la concentrazione della ricchezza e la distruzione della cultura, conduce alla proletarizzazione del mondo e alla distruzione dell’ambiente. Questo progetto diabolico può realizzarsi solo con la complicità delle vittime che, avendo interiorizzato - a livello di inconscio sociale - il pensiero bellico neoliberista, anziché unire le forze contro il comune nemico, sono spinte a lottare tra loro e al loro interno, rendendo quasi nulla ogni possibilità di resistenza. […] Gli intellettuali critici più accorti sono concordi sull’inderogabile e prioritaria necessità di diffondere con tutti i mezzi una nuova consapevolezza, in grado di smascherare la menzogna mediatica, e un nuovo tipo di pensiero in grado di liberarci dalla patologia neoliberista interiorizzata, ripristinando il cammino verso la libertà interiore e la giustizia sociale. Svolta culturale indispensabile a ridare vita alla nostra Costituzione e a ridare forza al suo progetto di società libera ed equa, per la quale tanto sangue innocente è stato versato. [...] A quest’opera di risveglio tutti siamo chiamati a partecipare, ciascuno con le proprie competenze, risorse, energie disponibili. Avendo ben chiaro che il lavoro più grosso e difficile è quello interiore". Senza più cadere “nell’illusione, e nella trappola più insidiosa, di poter agire sul mondo esterno senza aver trasformato le convinzioni e le programmazioni mentali, egoiche e neoliberiste. Convinzioni e programmazioni che ci rendono inconsciamente e strutturalmente adesivi allo stesso modello neoliberista che crediamo di combattere, facilmente polemici e conflittuali tra noi, anziché empatici, solidali e costruttivi. Quindi individui propensi a dividersi e a scannarsi nella lotta orizzontale tra portatori di idee diverse, nelle quali ci identifichiamo, alimentando il conflitto tra poveri e sfruttati, anziché pronti ad unire le forze nella lotta contro il nemico comune, la lotta verticale contro i veri oppressori: gli oligarchi della finanza internazionale” (https://drive.google.com/drive/folders/0B4fo9SXBK4fTZzVIVm9FT1JYRVU).
L’articolo del presidente “a vita” del FSI, che ho citato durante il simposio di Camogli, dimostra in pieno la correttezza di questa analisi. In quello scritto vi è l’apologia della competizione (anche tra soggetti che non dovrebbero affatto competere, ma collaborare, unire le forze “per allargare il proprio territorio di idee arricchendolo del contributo degli altri, sino a condividere un territorio comune”, costruendo così una comunità in grado di opporsi al nemico comune); vi è una chiara propensione al conflitto ed alla disgregazione (laddove si pretende di escludere da una molto futura alleanza sovranista tutti coloro - fossero anche raffinati intellettuali, efficaci divulgatori, ecc. - che non avranno dimostrato una vocazione paramilitare sapendo organizzarsi in associazioni o piccoli partiti, “crescere per qualità e quantità di militanti”, marciare compatti “sulle strade”, organizzare “eventi sul territorio”, evitare le scissioni e via dicendo. Casi, “da sottoporre addirittura agli psicologi”, secondo l’improvvisato psicanalista “fissino”); vi è l’ossessivo attaccamento alle proprie ragioni ed un’evidente propensione alla polemica difensiva del proprio (limitatissimo) territorio privato di idee (“chi non ci stima si sbaglia o peggio... non è in grado di apprezzarci” e, in ogni caso, “la nostra stima non è eterna”); vi è dunque una (forse) inconsapevole, ma strutturale adesione al modello liberista che si crede di combattere, ma che, in realtà, si riproduce goffamente all’interno del proprio (aggettivo possessivo) gruppo sovranista.
Apro una parentesi. Il precitato soggetto ha reagito con malcelato rancore alla mia critica: dopo avermi definito, con sarcasmo, un “genio” per aver sostenuto che lo schema dell’alleanza (che presuppone logicamente una divisione e, quindi, un potenziale conflitto, tra soggetti politici, per diversità di tradizioni o di indirizzi) è coerente alla logica liberista della competizione e del conflitto ed è quindi da evitare nell’ambito di un processo di unificazione sovranista, mi ha pure “psicanalizzato”, affermando che dietro le mie posizioni “vi è probabilmente una debolezza psicologica” che spiegherebbe “la debolezza logica delle medesime”, “un blocco psicologico che conduce ad un moralismo da strapazzo”, aggiungendo – con un tono derisorio che inconsapevolmente tradisce un processo cognitivo distorto (noto come “etichettatura globale”) - che “non a caso parliamo di un astemio” (ebbene si… ho questo gravissimo difetto). Non pago di ciò, ha altresì psicanalizzato lo psicoterapeuta, l’amico Mauro Scardovelli, descrivendolo come una persona “non cresciuta caratterialmente, essendo rimasto un bambino fortemente egocentrico, fino a una forma di narcisismo patologico, con l’aggiunta di un tratto di modesto moralismo”. E ciò per il fatto di aver sostenuto che, “per attuare la Costituzione, riportandola al centro dell’agenda politica, è indispensabile una prassi trasformativa che agisca non solo sul piano esterno, delle istituzioni liberticide, ma anche sul piano interiore delle istanze psichiche distorte - rese distruttive dall’educazione e dalla cultura competitiva - che ci alienano dal nostro vero sé e dalla nostra più profonda essenza di esseri relazionali, naturalmente socievoli e collaborativi” e che, “recuperare la nostra autenticità, la nostra salute e la nostra propensione empatica, è un passo necessario per formare, a tutti i livelli, gruppi di lavoro realmente sinergici, efficienti e creativi, dei quali abbiamo sommamente bisogno”.
Sorvolo sugli attacchi personali di chi - senza conoscere nulla della mia vita sociale, lavorativa, familiare (o di quella dell’amico Scardovelli), dell’educazione che ho ricevuto e che ho trasmesso ai miei figli, delle discipline e delle arti che ho praticato e pratico tutt’ora, dei principi etici che hanno sempre guidato i miei pensieri e le mie azioni – esprime, senza possedere alcun titolo o competenza per farlo, giudizi un tantino grotteschi sulla mia psiche. Valuterà il lettore se tali giudizi siano da ascrivere ad occasionali alzate di gomito (pratica che tempo fa il soggetto in questione rivendicava con orgoglio), o ad altri fattori causali (malevolenza? Orgoglio? Presunzione? Arroganza? Permalosità? Dispatia? Risentimento?). Inquinanti del pensiero da disattivare con la compassione, sentimento che, come insegna l’amico Scardovelli, appartiene alla sfera delle “qualità dell’essere, o qualità dell’amore: le qualità o virtù che generano senso, orientamento e felicità durevole in una vita pienamente vissuta”.
Mi limito soltanto ad osservare che gli attacchi sul piano personale confermano, ancora una volta, quanto sia corretta l’analisi di Mauro Scardovelli (invito a leggere attentamente, sul punto, il paragrafo 12 del primo capitolo dello scritto “Economia e Psiche”, sopra “linkato”) e rivelano quanta strada, purtroppo, dobbiamo ancora percorrere, a livello interiore, per poter realizzare, sul piano esteriore, la rivoluzione solidaristica concepita dalla nostra Costituzione.
Chiudo la parentesi e torno al discorso originario.
Per quanto detto, il paragone con la Costituzione non è calzante. Sia perché la Costituzione, come abbiamo visto, non è frutto di un’alleanza tra forze politiche diverse, ma di un processo di formazione democratica, sia perché il compito dell’universo sovranista non è quello di confrontarsi, come avvenne in Assemblea Costituente, su idee, valori, modelli sociali diversi e contrapposti per darsi una Costituzione.
Il mondo sovranista possiede già un territorio comune di idee e di valori che vuole riaffermare ed attuare, ovvero quello consacrato nella nostra Costituzione del 1948. E’ la volontà di attuare i principi fondamentali della Costituzione la base comune ed il collante del mondo sovranista. Al cui interno non v’è ragione di stringere alleanze. Ci si allea, per perseguire uno scopo comune, se si è divisi e potenzialmente in competizione (non è un’affermazione aprioristica, bensì la realtà insita nel concetto stesso di “alleanza”). Erano divisi ed in competizione il PCI ed i socialisti che pure sia allearono dando vita al Fronte Popolare nel 1948 o, successivamente, alle giunte di sinistra. Erano divisi ed in competizione il PSI, il PSDI, il PRI e la DC che diedero vita, alleandosi, al Governo Moro nel 1963. Si allearono, fondamentalmente, per prevalere in una competizione elettorale, o per dare vita ad una maggioranza di governo, cioè per sostituire un gruppo di potere ad un altro gruppo di potere. E’ ovvio che non tutti i gruppi di potere siano uguali e che alcuni siano preferibili ad altri, in quanto più vicini all’ideologia accolta dalla Costituzione. Ma cosa produssero, alla lunga, le citate alleanze? Furono forse in grado di impedire la restaurazione liberale-liberista? Se aspiriamo ad un vero cambiamento, che ponga per sempre fine all’oppressione dell’uomo sull’uomo, dobbiamo prima di tutto unire le forze e costruire una comunità politica.
Sono divisi ed in competizione tra loro i vari frammenti del mondo sovranista? Non dovrebbero esserlo, condividendo tutti l’ideologia accolta dalla nostra Costituzione del 1948 ed il desiderio di attuarla. Se sono divisi, non lo sono sulle idee e sui valori, ma per futili questioni egemoniche, come chiaramente traspare dal citato articolo del presidente del FSI (ove, addirittura, si pretende di stabilire, unilateralmente ed in base a parametri numerici di tipo autoreferenziale, chi potrà partecipare e chi no alla costruzione della più che futura alleanza sovranista e chi avrà titolo per dirigerla). Lo sono perché “la distorsione egoico-competitiva dell’io umano relazionale e socievole” è divenuta “totalizzante, planetaria, endemica, come unica forma di io”, contaminando, in modo evidente, molte figure di spicco dei frammenti sovranisti, condizionandone il pensiero e l’azione.
I veri sovranisti non devono stringere alleanze a fini elettorali. Devono prima di tutto costituire una loro comunità politica attorno ai grandi valori condivisi. Per farlo, devono ripartire dalle qualità affettive ed amichevoli con cui è fondamentale vivere le relazioni quotidiane, a partire dalle riunioni del movimento. Devono aprirsi al dialogo, ricordando sempre che “la relazione e la sintonizzazione con l’altro vengono prima della parola e dell’azione comune che vuole essere retta e giusta”. Devono darsi regole democratiche che garantiscano una regolare alternanza alla guida del movimento. Costruita la comunità, i sovranisti dovranno poi individuare i loro esponenti politici e guadagnare progressivamente consenso con la grande forza degli ideali predicati, evitando - quantomeno nella fase della crescita e dell’affermazione - di inquinarsi stringendo alleanze (elettorali) con partiti o movimenti non autenticamente sovranisti.
Questa, a mio avviso, è la strada da seguire per cercare di riportare la Costituzione del 1948 al centro del programma di sviluppo sociale ed economico del Paese. Tra alleanza ed unità non vi è soltanto una differenza terminologica, ma sostanziale. Non vi è futuro per il sovranismo democratico e popolare senza l’unità dei sovranisti. Ma l’unità presuppone un lavoro, una prassi trasformativa interiore del nostro io che ci consenta di recuperare la nostra naturale propensione empatica, relazionale e comunitaria, contaminata, come abbiamo visto, dal pensiero neoliberista. E, non di meno, un’adeguata formazione “sulle tecnologie psicologiche più efficaci di mediazione, intese come competenze democratiche di base”.
Che poi sia o meno corretto “ridurre sic et simpliciter ad un’istanza neoliberista il fatto che gli esseri umani si alleino per raggiungere obiettivi comuni” poco importa. In linea generale, parlando di esseri umani, può effettivamente apparire scorretto (anche se, come ho cercato di spiegare, lo schema dell’alleanza, a prescindere dalle sue contingenti motivazioni, è coerente alla dimensione conflittuale orizzontale della società neoliberista) e l’accostamento può sembrare una forzatura. Tuttavia qui non si discute di alleanze tra esseri umani in genere, o tra soggetti politici differenti per ideologie, tradizioni o indirizzi, bensì del processo di unificazione sovranista, per realizzare il quale è assolutamente necessario abbandonare ogni propensione al conflitto e, quindi, l’utilizzo di schemi che lo presuppongano. Che l’accostamento sia o meno una forzatura è perciò irrilevante. Conta solo che il processo unificante si compia, prendendo coscienza, magari anche grazie ad una forzatura, che lo stesso potrà risultare vincente solo partendo dalle qualità dell’essere e delle relazioni umane, dall’etica del dialogo e della collaborazione. E conta che si compia al più presto. Mentre vi è chi straparla di alleanze elettorali per il 2023 e di chi avrà titolo per dirigerle, la tecnica di condizionamento mentale nota come finestra di Overton (http://www.lastoriavariscritta.it/la-finestra-di-overton/#sthash.HfW7g3Fc.dpbs) – volta, nella fattispecie, a veicolare il concetto che siano i principi fondamentali della Costituzione (“frutto di compromessi fra alcune forze, democristiani, socialisti e comunisti, che all’epoca non brillavano per adesione ai principi liberali”) ad ostacolare le riforme di cui necessiterebbe il Paese e che, pertanto, essi siano da cambiare (ovviamente ristabilendo la preminenza del capitale, “la proprietà privata”, sul lavoro, così come prevedevano le costituzioni ottocentesche) – è ormai approdata alla sua terza o quarta fase (“idea accettabile” o addirittura “sensata, razionale”): http://www.corriere.it/opinioni/17_luglio_21/costituzione-2ba03ff2-6d83-11e7-8b64-8c2227f4edc4.shtml .
Di questo passo, nel 2023 non stringeremo alleanze elettorali, perché saranno definitivamente estinti gli ormai “inutili” riti elettorali.
Auguro perciò a tutti noi un buon lavoro, aderendo senza riserve all’appello di Fiorenzo: Un imperativo morale.

Mario Giambelli

Alcuni risultati possono essere stati rimossi nell'ambito della normativa europea sulla protezione dei dati. Ulteriori informazioni

In un caldo pomeriggio di luglio, bello sbracato in giardino, seguendo una mia linea di pensiero mi vien voglia di fare alcune ricerche. Finisco su questa intervista al magistrato Ferdinando Imposimato:


Filmato che mi induce ad effettuare una ricerca sul testo "diario di giovanni falcone testo", il cui risultato risulta corredato, ad ogni pié pagina, dalla seguente dicitura: "Alcuni risultati possono essere stati rimossi nell'ambito della normativa europea sulla protezione dei dati. Ulteriori informazioni".

Mi ricordo, a questo punto, di una strampalata email ricevuta qualche giorno fa, recante "Oggetto: RICHIESTA DI CANCELLAZIONE", nella quale, in un italiano sgrammaticato, mi viene richiesto quanto segue (i riferimenti al personaggio coinvolto sono omessi): 

"Gen.mo Direttore Fraioli del prestigioso Blog Ego Della Rete, cogliamo l’occasione per complimentarmi dell’originalità del blog e soprattutto di come vengono rappresentati le notizie nella rete. Vi scriviamo in quando stiamo tentando di portare a termine un processo di Rimozione di un articolo in oggetto con riferimento [OMISSIS], (allegato) in conformità alle pregresse disposizioni impartite dal Garante per la protezione dei dati la personali nello specifico il contemperare i diritti della persona (in particolare il diritto alla riservatezza) .Pertanto per portare a termine la richiesta di de-indicizzazione presso Google chiediamo una vostra preziosa  collaborazione a finché l’articolo sottoposto sia rimosso dal vostro blog.
Certo di una sua comprensione le invio cordiali saluti. "

Il tutto proviene da un sito privato (privacygarantita.it) sul quale campeggia la scritta:

Ci vogliono 20 anni per costruire una reputazione, bastano 5 minuti per rovinarla

Giustamente allarmato sono corso a controllare cosa avessi mai scritto nell'articolo incriminato, nel quale avrei rovinato la reputazione di qualcuno. E cosa ci trovo? La notizia di un guaio giudiziario nel quale era incorso un grande (per la provincia di Frosinone - n.d.r.) imprenditore locale che si era messo in evidenza, nel decennio precedente, per via di una lunga serie di proposte di operazioni urbanistiche, sostanzialmente finite tutte con un nulla di fatto. 

Riletto il testo dell'invito, del quale per altro mi ero dimenticato e, a mio parere, inaccettabilmente insultante nel tono oltre che sgrammaticato, decido che non collaborerò. Il problema è di google, che può decidere o meno di deindicizzare la pagina in ottemperanza alla richiesta dell'interessato, non mio. Anche perché la notizia, trascorsi poco più di tre anni, continua ad essere di pubblico interesse, stante il perdurare delle attività imprenditoriali, anche su concessioni pubbliche, del presunto danneggiato. Se e quando avrò notizia del ritiro a vita privata dell'interessato, comprovata da foto che lo ritraggano ai giardinetti in compagnia del cane e rigorosamente munito di sacchetta per la raccolta degli escrementi, allora e solo allora cancellerò l'articolo dal mio blog. In mancanza di ciò, il suddetto continua ad essere un soggetto che agisce nell'arena pubblica, in quanto tale sottoposto alle ovvie valutazioni di onorabilità che tale ruolo impone.

Sbrigata questa zeppa locale, torniamo al filo dei miei ragionamenti relativi alla "normativa europea sulla protezione dei dati", non recepita in Italia da alcuna legge votata in Parlamento ma, di fatto, attuata col metodo della "Giurisprudenza come insieme di decisioni giudiziarie", secondo la tradizione nata in Inghilterra e adottata anche negli USA delle corti che fanno giurisprudenza. Io non sono un giurista ma... un cittadino sì, e anche se affermassi castronerie improbabili godo tuttavia dei diritti politici riconosciuti dalla Costituzione, quindi dico la mia! Ora, il fatto che google possa scrivere, in calce a una ricerca sul testo "diario di giovanni falcone testo", che "Alcuni risultati possono essere stati rimossi nell'ambito della normativa europea sulla protezione dei dati. Ulteriori informazioni" mi sgomenta. Per altro, ho scoperto che lo stesso risultato lo si ottiene se effettuo una ricerca sul mio nome, scoprendo così che, a mia insaputa e contro la mia volontà, sono già "protetto" da google. E siccome io non ho mai, ribadisco mai, chiesto a google di cancellare alcunché mi riguardi (anche perché i miei fattacci personali me li gestisco col metodo dei pizzini) ne deduco che qualcuno potrebbe aver già chiesto, sempre a mia insaputa, di deindicizzare qualcuno degli articoli nei quali mi sono occupato della res-publica.

Vuoi vedere che la zeppa locale origina dal fatto che io, e io solo, ho dato notizia del fatto che ha interessato il non ancora pensionato ai giardinetti, informando il popolo come nessun altro organo di informazione ha fatto? Per cui, cancellato il mio articolo, la cosa è sistemata per sempre?

Il fatto è che questa storia del diritto all'oblio, e in generale il cosiddetto diritto alla privacy - per altro tranquillamente ignorato dai call center che ci telefonano più volte ogni giorno per offrirci vantaggiosissime condizioni contrattuali per questo o quel servizio, o ci inviano sms con link cliccando sui quali ci si ritrova ad essere sottoscrittori a nostra insaputa di servizi onerosi - sono il cavallo di Troia per indurre gradualmente, attraverso segnali di minaccia costituiti da possibili traversie giudiziarie, forme di autocensura volontaria. E' la dittatura dell'ordine internazionale dei mercati che avanza, giorno dopo giorno con passo implacabile, erodendo diritti costituzionali con tecniche sopraffine. Una delle più efficaci essendo, come ci hanno insegnato le brigate rosse manipolate da agenzie sovversive che agivano per conto di entità sovranazionali, quella di colpirne uno per educarne mille. Dare l'esempio, insomma, come chi ha il potere ha sempre fatto dalla notte dei tempi. Qualche esempio? Ho fatto il classico, per cui ne citerò due risalenti alle epoche antiche:
  • A Sparta ogni anno gli efori dichiaravano guerra agli Iloti, un atto rituale che formalizzava lo stato dei rapporti fra le due classi e rendeva lecito commettere aggressioni senza compiere un sacrilegio.
  • Roma, terza guerra servile: sebbene la gran parte degli schiavi fosse morta in battaglia, circa 6.000 sopravvissuti erano stati catturati da Crasso, che li mise tutti a morte mediante crocefissione sulla strada tra Capua e Roma
In battaglia, quando le cose si fanno difficili, ci si difende serrando i ranghi. Guai a cedere all'istinto di fuggire: è quello il momento in cui comincia il massacro. Oggi il fronte dei diritti sanciti dalla Costituzione è in difficoltà, sembra dare segni di cedimento, ma è questo il momento di piantare gli scudi per terra e non arretrare. Uno per tutti e tutti per uno! Così saremo invincibili.

sabato 22 luglio 2017

Una dichiarazione di guerra (civile)

Link korrelaten: La Costituzione e le difficili riforme italiane (Angelo Panebianco - Corriere della Sera 20-07-2017)

Angelo Panebianco
L'editoriale sul Corriere della Sera del 17 luglio 2017, a cura di Angelo Panebianco, è un esempio di applicazione me(r)diatica del metodo Juncker: "Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere che succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno".

Il Panebianco non prende una decisione ma avanza una proposta. Ovviamente col pieno consenso del giornale padronale per eccellenza. La proposta viene messa sul tavolo e lor $ignori aspettano un po' per vedere che succedeSe non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato proposto, €$$i vanno avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno.

Il succo della proposta di Panebianco è: siccome attaccare la Costituzione cambiandone la seconda parte non ha avuto successo (il voto del 4 dicembre 2016 gli brucia ancora il culo) allora attacchiamola puntando direttamente alla prima parte. Cioè alle fondamenta, demolendo il principio per cui l'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, da modificare iniettando l'idea che la Repubblica, ammesso che il termine resti invariato, è una... «quel che lor $ignori gradiscono» fondata sulla libertà.

La libertà? Cos'è la libertà per lor $ignori? Quella dal bisogno, come iscritto nei principi che ispirano la prima parte della Costituzione del 1948, oppure la libertà di fare quel che ad ognuno pare? In particolare, anzi esclusivamente, per chi può permetterselo?


Beato chi non capisce un cazzo.

p.s. Avrei molte cose da aggiungere, soprattutto per demolire le tesi del Panebianco, ma la cosa è ormai così facile, per chi è stato nel dibattito in questi anni, che ritengo non sia questo il modo migliore di impiegare il mio tempo. Devo fare #erpartitodarbasso, checcherecché ne penZi Illo.

mercoledì 19 luglio 2017

Metà del mese di luglio è già trascorsa - di Vincenzo Cucinotta

Ri-pubblico un post di Vincenzo Cucinotta su Fb lasciando aperti i commenti a chiunque. La questione posta da Cucinotta è essenziale e mi piace che anche i frequentatori di questo blog, compresi i vituperati anonimi, abbiano la possibilità di esprimersi. Anche perché, passata l'estate, si dovrà fare la conta tra chi ci sta a impegnarsi e a spendersi nella conta elettorale, e chi invece no. Gli Unni di Attila sono alle porte: se non ora quando?

Metà del mese di luglio è già trascorsa, incontri e dibattiti nell'area sovranista, l'ultimo quello di sabato 15 a Pescara, non ne mancano, le elezioni legislative sono sempre più prossime, ma le questioni in sospeso tali rimangono, non si intravvede nessuna proposta concreta che possa portarci fuori dalle secche in cui ci troviamo.
Ad un osservatore esterno, potrebbe apparire come se i sedicenti militanti sovranisti credessero che il massimo del compito che spetta loro, sia quello di analizzare, imprecare, contraddire, insomma chiacchierare, nulla di più di questo, in particolare nulla di realmente operativo.
Su questo piano, correggetemi se sbaglio, chi è un cane sciolto come me risulta indistinguibile da chi invece milita in una specifica organizzazione. La recente esperienza elettorale in taluni comuni dimostra che non v'è radicamento alcuno nella società, che nelle organizzazioni esistenti, più di qualche dibattito pubblico e di confronto sul web non si va, tranne qualche minuscola eccezione. Mi risulta che in qualche organizzazione, non si riuniscono neanche regolarmente gli organi direttivi,e così i collegamenti tra i membri avvengono via fb.
La questione che ormai da tanti mesi mi pongo è come fare uscire l'area sovranista da questa fase logorroica e senza apparente costrutto, malgrado non manchino certamente le adesioni e le intelligenze.
Ecco, il punto mi pare è quello di convincersi fino nel più profondo della nostra coscienza che SIAMO IN GUERRA.
E' una guerra che non abbiamo mai scelto di combattere, sono i capitalisti globali, le cosiddette elite, che hanno dichiarato unilateralmente guerra all'Italia, alla nostra patria, godendo purtroppo della complicità di chi ci governa e di chi ci dovrebbe informare, vergognosamente schierati col nemico esterno.
Se dopo tante discussioni, tante brillanti analisi, non abbiamo ancora capito che l'Italia è sotto attacco per una serie di ragioni che noi sovranisti dovremmo sapere e che anzi dovremmo essere in grado di comunicare efficacemente agli Italiani che ne sanno meno di noi, allora sarebbe il caso di desistere dal pensare di poter dare un qualsiasi contributo alla lotta patriottica.
Guardate la Grecia, a cosa si è ridotta per azione delle elite con la vergognosa complicità di Tsipras, che è stato l'esecutore ideale deli nemici del suo popolo. La Grecia illustra perfettamente cosa ci sia in palio, quale sia l'oggetto della guerra che c'hanno dichiarato, e di fronte ad una guerra dichiarata, non sentirsi coinvolti corrisponde a una diserzione vera e propria.
Entriamo ora nel merito del meccanismo che permette questa situazione, un gruppo di persone informate e consapevoli, ma nello stesso tempo per niente incisive.
La mia tesi è che sia il condizionamento culturale da parte di chi controlla i media, a mettere a punto un perverso meccanismo di neutralizzazione dei possibili oppositori.
Tale condizionamento opera attraverso due principii che vengono inculcati nelle menti non del popolo, ma di coloro che si dovrebbero candidare a rappresentarlo e dirigerlo, quel ceto istruito che potenzialmente corrisponderebbe a una classe dirigente di ricambio.
Il primo principio è quello per cui i capitalisti, quelli che comandano sono praticamente onnipotenti ed anche eterni. detengono un potere illimitato e per sempre.
Si capisce che partendo da un simile assunto, la politica smette di essere un'attività sensata, al massimo ci si può esercitare ad analizzare a fare previsioni, insomma a comportarsi da spettatore.
In realtà si tratta di una credenza non solo falsa ma addirittura assurda. Forse, ogni tanto non sarebbe male ricordare che questi padroni del mondo sono nostri simili, soffrono delle stesse nostre debolezze, sono soggetti alle stesse esigenze e dipendono anch'essi da emozioni del tutto analoghe alle nostre. Non ha senso credere che noi uomini non possiamo sconfiggere altri uomini: malgrado l'assurdità di questa convinzione, essa è diffusissima e ogni ragionamento come quello che qui tento di svolgere, non fa breccia su qualcosa che è stato installato nel cervello della gente giorno dopo giorno con grande continuità.
L'altro concetto che completa il quadro del disimpegno politico è quello per cui ognuno di noi avrebbe diritto alla felicità, e che quindi alla fine qualunque cosa facciamo, lo facciamo per nostro personale e privato piacere e soddisfazione.
Il quadro così è perfetto, da una parte un nemico imbattibile, dall'altra un'impossibilità di costruire una esperienza collettiva, ognuno è un individuo isolato, un atomo che come tale non ha alcuna capacità di combattere.
Ogni esperienza collettiva viene così severamente ostacolata, non si può fare massa critica se non nella eventualità del tutto improbabile che le esigenze personali per un fatto miracoloso coincidono e quindi solo in queste specialissime ed improbabili situazioni si può costituire un progetto comune.
Anche questa credenza è del tutto priva di fondamento, la politica non può e non deve essere declassata a passatempo in un mondo che ci vede come eterni bambini, impegnati solo a nutrire le nostre personali esigenze senza riguardo alcuno a un'esigenza collettiva obiettiva.
A questo veleno ideologico sparso abbondantemente da chi controlla i media, io oppongo l'evidenza che nessuno è imbattibile, ed anzi ci sono ragioni concrete di credere che prorpio questi padroni del mondo, a fronte di un potere enorme, stiano coltivando da sè i germi della loro disfatta, un suicidio del capitalismo come dicono alcuni per eccesso, per un'avidità senza più alcuna razionalità, il massimo potere coniugato al massimo di infantilismo.
Oppongo altresì all'individualismo egocentrico tipico dei bambini, la necessità di crescere, di diventare adulti e come tali sapere anteporre al proprio particolare una causa collettiva.
E quale causa collettiva è più degna di essere perseguita di quella di salvare la propria patria ed attraverso di essa l'umanità stessa, ormai preda di questi avidi potenti che attentano alla nostra stessa sopravvvienza? Dobbiamo forse aspettare di essere completamente schiavizzati perchè dobbiamo tenere lontano da noi ogni potenziale sofferenza?
Oggi è il momento di raccogliere tutte le nostre energie e metterci in gioco, oggi e non domani la storia ci chiama a ribellarci a un potere così cieco e crudele, mettendo da parte gli interessi strettamente personali, mediando le legittime aspettative personali con la causa comune, all'interno di essa e non al di fuori sacrificando ogni prospettiva di lotta comune.
La guerra è già in corso, non disertiamo, facciamo il nostro dovere, e iniziamo con il costituire un organismo collettivo rappresentativo dell'intera area sovranista che si dia un regolamento ed un'articolazione sul territorio.

giovedì 13 luglio 2017

La Patria del Popolo è la Repubblica

Alcide De Gasperi e Francesca Romani
ai tempi del loro fidanzamento
"Vi è in Italia un quarto Partito, che può non avere molti elettori, ma che è capace di paralizzare e di rendere vano ogni nostro sforzo, organizzando il sabotaggio del prestito e la fuga dei capitali, l'aumento dei prezzi o le campagne scandalistiche. L'esperienza mi ha convinto che non si governa oggi l'Italia senza attrarre nella nuova formazione di Governo, in una forma o nell'altra, i rappresentanti di questo quarto Partito, del partito di coloro che dispongono del denaro e della forza economica." (Alcide De Gasperi in un consiglio dei ministri dell'aprile 1947; citato in E. Sereni, Il Mezzogiorno all'opposizione, Torino 1948, p. 21)

Cos'è la Patria? E' un territorio? Direi di no, perché questo può cambiare nel corso del tempo, ad esempio i Russi abitavano un tempo nell'attuale Ucraina. La Patria è allora una razza, o un'etnia? Non direi, perché gli USA sono un melting-pot. Forse la Patria coincide con la condivisione di una storia comune e di valori religiosi o laici condivisi? Che dire però dei Balcani, in particolare i serbi e i croati, dei quali si dice che sono la stessa merda divisa in due dal solco della Storia? E non è forse vero che Stalin, per mobilitare il popolo alla lotta contro il nazismo, fece appello alla Patria, prima ancora che alla Nazione?

Cos'è dunque la Patria? Per me la Patria è un'organismo politico che nasce nel momento in cui un'ampia collettività di esseri umani si dà istituzioni democratiche; si sviluppa in funzione del successo di queste; e inizia a declinare, fino a morire, quando le istituzioni democratiche collassano. Vi propongo, come esempio maggiore, la storia della Roma repubblicana. Dal 509 a.c. la città fu scossa da un'aspra lotta di classe tra il patriziato e la plebe, che si concluse nel 451 a.c. con l'esposizione delle 12 tavole di bronzo, nelle quali erano incise le leggi della Repubblica, codice considerato come la base di tutto il diritto romano. E' in quel momento che nacque, per gli antichi romani, l'idea di Patria. La Patria esisteva, ed era sentita, come un'entità cui si apparteneva, perché la sua difesa coincideva, per ogni cittadino, con quella di un accordo politico del quale era egli stesso protagonista e "azionista". Non più la fedeltà a un Re, o alla tribù di appartenenza sulla base dei soli legami di parentela più o meno allargata, ma un patto costituzionale tra pari, con diritti politici riconosciuti percepiti come un vantaggio la cui difesa impegnava ognuno. Ovviamente la Patria era dei cittadini, non invece degli schiavi i quali, quando crebbero di numero, provarono senza successo a ribellarsi; dunque il concetto di Patria non implica necessariamente la giustizia sociale. Questo è un punto di fondamentale importanza che merita un approfondimento.

Se la Patria è un fatto politico, allora possono esistere le Patrie oligarchiche: cioè il concetto di Patria non coincide con quello di democrazia universale. Anzi, esso ne è la negazione, perché la parità dei diritti è esclusivo privilegio dei soli cittadini. Patria, dunque confini, che non sono di natura territoriale, etnica o culturale, bensì definiti dall'appartenenza o meno al gruppo umano che sottoscrive il patto politico fondamentale, la Costituzione tra pari, che vale per coloro che godono dei diritti di cittadinanza, e per essi solo. Non è necessario parlare una stessa lingua, vivere nello stesso territorio, condividere un orizzonte valoriale: sebbene tutte queste cose aiutino, esse non sono né necessarie né sufficienti. L'aristocrazia terriera dell'Europa medievale aveva una Patria, da cui erano esclusi i servi della gleba, ed era una Patria oligarchica.

Le plebi entrano in gioco, irrompono per così dire nella storia, quando riescono ad operare una trasformazione fondamentale, quella da "classe in sé" a "classe per sé", con ciò prendendo coscienza della propria forza fino a darsi un'organizzazione politica. Ogni volta che ciò è accaduto le plebi, trasformatesi in Popolo, hanno dovuto affrontare due avversari: la Patria comune delle oligarchie e le sue articolazioni insediate negli stati nazionali dominati dalle oligarchie locali. In Europa, dal XVI secolo in poi, con l'affermarsi degli stati nazionali, l'unità di Patria dell'aristocrazia terriera entrò in crisi, e con essa le idee di universalismo che avevano dominato per tutto il medio evo, perché la crescente competizione tra gli stati-nazione apriva spazi e opportunità alle plebi, dapprima arruolate negli eserciti dei grandi casati in lotta tra di loro, in seguito, con la rivoluzione francese, divenendo nerbo e fondamento della forza militare espansiva della Francia repubblicana, subito imitata dagli altri stati-nazione. Questo processo di segmentazione dell'unità di Patria dell'aristocrazia terriera europea ha creato, a partire dal XIX secolo, le condizioni per un confronto meno squilibrato, in termini di forza militare, tra le articolazioni locali delle classi dominanti (che nel frattempo erano divenute classi borghesi) e le organizzazioni politiche popolari, che hanno iniziato a premere dal basso al fine di conquistare crescenti margini di rappresentatività politica entro i confini nazionali nei quali si era disgregata l'ormai defunta Patria oligarchica europea. Un terreno più favorevole alle istanze dal basso, quello degli stati-nazione in competizione reciproca, ha finito col mutare gli equilibri preesistenti, in favore dei popoli.

Quando il conflitto di classe non si svolge più in campo aperto, ma nei più ristretti confini degli stati-nazione, per cui le classi dominanti nazionali non possono più invocare l'intervento militare della loro Patria comune per mettere in riga il proprio Popolo, anche l'esito della lotta non è più uniforme, ovvero sempre favorevole alle classi dominanti, e anzi in ogni stato-nazione si raggiunge un particolare equilibrio. La Santa Alleanza di Metternicht fu un tentativo, di breve respiro, di resuscitare la Patria aristocratica europea:

Santa Alleanza: Dichiarazione politica, poi sistema politico che regolò la vita dei principali Stati europei dal 1815 al 1830. La dichiarazione, firmata a Parigi il 26 settembre 1815 da Alessandro I di Russia, Federico Guglielmo III di Prussia e Francesco II d’Austria, fu voluta dallo zar e affermò il principio che i tre sovrani, rappresentanti delle confessioni ortodossa, protestante e cattolica, dovevano restare sempre uniti come fratelli e governare i popoli con paterna sollecitudine per alimentare in essi lo spirito di fratellanza evangelica e l’amore della religione, della pace, della giustizia. In seguito aderirono anche i re di Francia, dei Paesi Bassi, di Svezia e di Sardegna; non aderirono invece Pio VII e il principe reggente d’Inghilterra. Tuttavia il ministro degli esteri britannico R.S. Castlereagh promosse il rinnovamento (20 novembre 1815) della quadruplice alleanza con Austria, Prussia e Russia del 1° marzo 1814, che fu la base concreta della cosiddetta politica dei congressi condotta poi dalle potenze alleate. L’apogeo della S. è rappresentato dalla repressione dei moti italiani del 1820-21 e dalla campagna spagnola del 1823. Entrò in crisi con la rivoluzione francese del 1830.

Degno di nota è il fatto che "non aderirono invece Pio VII e il principe reggente d’Inghilterra", a conferma del fatto che non tutte le classi dominanti sono miopi (che poi sono le classi dominanti in prospettiva più pericolose, giammai degli alleati nei quali riporre un'ingenua fiducia - n.d.a.). Tanto è vero che, nell'ambito dei dominanti, oggi sono ancora la Chiesa e l'Inghilterra a sfilarsi dal demente progetto di unificazione europea, ovvero il tentativo di ricostituire la Patria aristocratica europea, nella mutata pelle di classe finanziaria globale.

La Patria comune dell'oligarchia


Il patto tra pari dei dominanti è sempre basato su un elemento, che possiamo definire l'invariante della Patria oligarchiaca. E' necessario che vi sia un fattore di produzione, cioè di ricchezza, che sia sottoposto a una giurisdizione comune riconosciuta e accettata da tutte le articolazioni locali della classe dominante. Può essere la proprietà della terra, come nel medio evo, con tutto il corredo di norme sui privilegi dei proprietari e i doveri dei servi della gleba, oppure, in epoca moderna, la proprietà, cioè il monopolio, dei mezzi di pagamento. Se il simbolo della proprietà terriera è stato l'araldica, quello della proprietà della moneta è stato, ed è, l'oro. Trasformatosi, in tempi storicamente recentissimi, nel potere di emettere, e dunque regolare in quantità, i mezzi di pagamento fiduciari.

Per i popoli l'essere esclusi dal controllo dell'emissione e regolazione quantitativa dei mezzi di pagamento equivale, oggi, ad accettare il principio medievale per cui la terra apparteneva ai feudatari che la davano in concessione ai contadini, privi di ogni diritto su di essa. Se un tempo i servi della gleba valorizzavano la terra, ma non ne erano proprietari, oggi i servi della finanza privata la valorizzano col loro lavoro, ma non ne hanno il controllo. Il kernel di questo sistema non è l'euro, che pure va distrutto senza se e senza ma insieme con l'Unione Europea, ma un principio più astratto, quello di indipendenza delle banche centrali

Il principio dell'indipendenza delle banche centrali fu imposto in Italia nel 1981 da un semplice scambio di lettere tra il Governatore della Banca d'Italia Carlo Azeglio Ciampi e il Ministro del Tesoro Beniamino Andreatta, e dunque mai discusso in Parlamento. La sua accettazione da parte dell'opinione pubblica fu facilitata da un'ampia pubblicistica, in particolare dal quotidiano "La Repubblica", e dalla totale assenza di reazioni da parte delle forze politiche di sinistra e dei sindacati, con l'unica e lodevole eccezione del socialista Rino Formica. Analoghi cambiamenti si verificavano nello stesso periodo in tutta Europa. Si usciva così da un lungo periodo in cui le Banche Centrali erano state dipendenti dal potere politico, in particolare gli anni dal 1945 al 1975, per tornare ai suggerimenti di David Ricardo che, in un saggio del 1824, accusava la Banca d'Inghilterra, fondata oltre un secolo prima, di essere prona al potere esecutivo, identificando così i tre pilastri dell’indipendenza di una banca centrale:
  1. separazione istituzionale tra il potere di creare denaro e quello di spenderlo
  2. divieto di finanziamento monetario del bilancio dello Stato
  3. obbligo in capo alla banca centrale di render conto della politica monetaria svolta (accountability).
Già nella conferenza di Bruxelles del 1920, tenutasi sotto l’egida della Lega delle Nazioni, alla stabilità dei prezzi venne attribuito il rango di obiettivo primario, per raggiungere il quale, si sosteneva nel rapporto finale, occorreva affidare il potere di emettere moneta a banche centrali indipendenti dai governi.

Per una serie di circostanze, tra le quali spiccano evidentemente la sconfitta della Germania nazista ad opera soprattutto dell'URSS, nonché il fatto che il nuovo ruolo di superpotenza presupponeva per gli Stati Uniti la leva del controllo politico dell'emissione monetaria, nei primi decenni del dopoguerra il principio di indipendenza delle Banche Centrali conobbe un momento di eclissi, per riemergere non appena alcuni stati europei, soprattutto Germania e Francia, con l'Italia che cercava di accodarsi, videro in esso uno strumento per bilanciare il predominio americano. Il punto di svolta si ebbe nel 1975, ad appena quattro anni dall'annuncio shock di Nixon che poneva fine al gold exchange standard, ovvero la convertibilità del dollaro in oro al prezzo di 35 dollari per oncia, in occasione di un incontro del G5 nel corso del quale venne avanzata dagli USA la proposta di rallentare il processo di unificazione europea in favore di una strategia trilaterale mirante a coordinare le politiche delle aree industrializzate (USA, Europa e Giappone). La proposta americana non fu accolta, soprattutto per l'opposizione di Francia e Germania, le cui classi dirigenti intrapresero, da quel momento, un percorso che avrebbe disegnato un'architettura dell'Unione Europea fermamente orientata verso l'obiettivo della stabilità monetaria, presupposto inderogabile del quale è il principio di indipendenza delle Banche Centrali. Che infatti troviamo ben incastonato nel Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) nel quale:

  • all'art.123, troviamo scritto "Sono vietati la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia … a istituzioni, organi od organismi dell'Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l'acquisto diretto presso di essi di titoli di debito …". 
  • all'art. 127 troviamo l'affermazione “l'obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali (SEBC) … è il mantenimento della stabilità dei prezzi”, laddove per "stabilità dei prezzi", come chiarito dal Consiglio direttivo della BCE,  deve intendersi un tasso d'inflazione su livelli inferiori, ma prossimi, al 2 per cento nel medio periodo.
  • all'art.128 troviamo "la Banca centrale europea ha il diritto esclusivo di autorizzare l'emissione di banconote in euro all'interno dell'Unione"
  • all'art.130 viene esplicitamente stabilito il principio di indipendenza delle Banche Centrali, in particolare la BCE: "… né la Banca centrale europea né una banca centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o da organismi dell'Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali nell'assolvimento dei loro compiti."
In sostanza, nell'UE:
  1. la BCE non finanzia gli stati, né alcuna amministrazione pubblica
  2. La BCE si riserva il diritto esclusivo di operare strette creditizie in vista dell'obiettivo della stabilità dei prezzi
  3. l'unico soggetto autorizzato alla creazione di moneta è la BCE
  4. la BCE non risponde a nessun organismo pubblico
Dunque la BCE è il Parlamento della Patria oligarchica, e il suo Governatore ne è il sommo margravio. Un parlamento, quello della Patria oligarchica, nel quale vige un principio di rappresentatività che non è per capita, bensì per quote azionarie stabilite all'atto dell'adesione all'eurozona di ogni paese. Ne consegue che i players non sono i singoli cittadini, ma i sistemi bancari dei singoli stati, tra i quali qualsiasi forma di redistribuzione pro bono è proibita e sostituita da prestiti, contabilizzati attraverso il sistema di clearing TARGET2 gestito dal SEBC (Sistema Europeo delle Banche Centrali o euro sistema) che devono necessariamente essere ripagati.

La Patria repubblicana


Del tutto opposto è il patto tra pari che è alla base della nostra Costituzione. Non solo gli interventi redistributivi tra i sottoscrittori della carta fondamentale (che sono i singoli cittadini) non sono proibiti, ma sono obbligatori. La Patria repubblicana, disegnata dalla nostra Costituzione, all'art.3 impegna i governi a "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese". Ciò significa che gli interventi redistributivi sono un dovere di qualsiasi governo, da attuarsi sia con l'intervento diretto dello stato nell'economia, finanziato tramite lo scoperto di tesoreria (che invece nello statuto della BCE è proibito dall'art.123) sia utilizzando la leva monetaria, oltre che fiscale.

Ne consegue che la prassi di considerare i trattati europei come sovraordinati rispetto alla Costituzione configura de facto un colpo di stato, le cui gravissime conseguenze non sono ancora state comprese dalla maggioranza della popolazione. In effetti, è stato solo con l'incrudirsi della crisi, da molti percepita inizialmente come un fatto temporaneo, che una minoranza di cittadini, sia perché dotati degli strumenti culturali e politici per capire, sia perché di carattere più ribelle, ha iniziato a prendere coscienza dell'accaduto. Occorre invece capire, fino in fondo, che quella che stiamo vivendo non è una crisi economica, sia pure più dura del solito, ma la conseguenza di lungo periodo (il cui drammatico stadio finale è lungi dall'essere stato raggiunto) di un fatto politico di primaria importanza: l'abolizione della Patria repubblicana nazionale e l'imposizione di una Patria oligarchica europea, di cui le élites finanziarie e industriali del nostro paese costituiscono una delle articolazioni.

Solo se si capisce questo si possono valutare, nella giusta prospettiva, le posizioni di quanti vanno cianciando di cambiare i trattati restando nell'UE o addirittura anche nell'euro, e prenderne le necessarie distanze. Che costoro si illudano in buona fede, oppure che siano servi consapevoli della Patria oligarchica, è necessario voltar loro le spalle senza esitazione alcuna. Non c'è mai stata, né mai ci sarà, la possibilità di un compromesso amichevole tra l'oligarchia e il popolo, ma solo un sempre temporaneo equilibrio basato sui reali reciproci rapporti di forza, per modificare i quali, oggi che la Patria repubblicana è stata abbattuta per il tradimento di quel quarto partito di degasperiana memoria citato all'inizio dell'articolo, è necessario che tutto il popolo torni ad occuparsi della res pubblica, cioè all'impegno politico.

Viva la Patria repubblicana. Viva l'Italia.

mercoledì 5 luglio 2017

Il simposio di Camogli - tutti i video

In questo post saranno inseriti tutti i video integrali del simposio di Camogli del 3 luglio 2017, man mano che verranno elaborati e pubblicati. In altri post saranno pubblicate delle sintesi dei momenti salienti.









martedì 4 luglio 2017

Un imperativo morale

Tra meno di nove mesi ci saranno le elezioni politiche, in una situazione di completo disfacimento del progetto ordoliberista di unione europea, eppure, nonostante ciò, non v'è ancora traccia visibile di un effettivo processo costituente per la creazione di una proposta credibile di uscita da questa follia antipopolare e antinazionale. L'aspetto grave di questa situazione è che non mancano le forze e le risorse per organizzare una partecipazione alle elezioni politiche, ma queste risultano divise e del tutto scoordinate, col risultato che siamo ridotti a sperare che siano la Lega Nord e/o Fratelli d'Italia a inserire questa prospettiva nei loro programmi. Tutto ciò è assolutamente vergognoso, dirò di più: rivoltante.

E' rivoltante e disgustoso, soprattutto sul piano morale, il fatto che, mentre assistiamo alla distruzione del popolo italiano e alla disarticolazione della sua Patria, coloro che pure hanno ben compreso i meccanismi che sono alla base di questo processo di accelerato strangolamento non trovino la forza di agire e, soprattutto, la determinazione necessaria a superare le reciproche animosità. Le quali traggono origine, di ciò vi è ormai evidenza cristallina, non da effettive divergenze nelle analisi, bensì dall'egoistico e disgustoso attaccamento al miserevole ruolo che ogni gruppuscolo sovranista è riuscito a ritagliarsi, del quale è sommamente geloso. Una responsabilità che non è solo dei sedicenti e cosiddetti "grandi capi", ma anche dei seguaci che all'uno o all'altro fanno riferimento, essendone creditori di vane promesse di ricompensa il dì glorioso in cui il partituncolo o l'associazioncella dovesse, prevalendo sulla concorrenza, addivenire all'immancabile conquista del potere. Immancabile perché fondata sull'analisi più stringente e corretta, mentre tutte le altre sono lacunose, e quindi errate.


Questa disamina fuori dai denti, che vi arriva d un paesello della Ciociaria da parte di uno che si è speso molto senza chiedere mai nulla, e nulla aspettandosi dal suo impegno, non è rivolta ai capi ma ai seguaci, ed è corredata dal seguente appello:

RINGRAZIATE I VOSTRI CAPI, FATE LORO UN GRAZIOSO INCHINO E SALUTATELI!

Tra chi diceva, anni fa, che era troppo presto mentre adesso sarebbe troppo tardi, e chi ha sempre parlato di tempi lunghi ma talmente lunghi che la pasta s'è scotta, scegliete, vi imploro, di seguire l'imperativo morale della vostra coscienza. Ascoltatela, mettete da parte ogni calcolo e agite come essa vi ordina. Gettiamoci nella lotta, non ci sono calcoli da fare, né scranni da conquistare. Quello che dobbiamo fare è togliere il nostro destino dalle mani dei folli che oggi ne sono padroni. La prossima battaglia sono le elezioni politiche, dobbiamo esserci ovunque ciò sarà possibile. Io ci sto: se dobbiamo perdere, che ci sia almeno una battaglia in cui siamo sconfitti. Ma non è detto...

Voglia il Cielo concederci l'opportunità, prima che la vecchiezza e la morte ghermiscano il nostro cuore, di lottare per quello che crediamo vero, giusto e buono.