lunedì 25 febbraio 2019

Aiutaci poveraccio!

Il "centro di comando" (di A.B. che non è Illo)

Caro Fiorenzo,

innanzi tutto ti ringrazio per avere risposto alla mia lettera e per averla meditata lungamente. Ho fatto altrettanto con la tua e non ho mancato di seguirne l’evoluzione sul tuo blog, una volta pubblicata.

Post correlatoRisposta ad A.B. (che non è Illo) - L'Ego della rete 16 febbraio 2019

Nel rispondere alle tue osservazioni argute, ho a mia volta presente la necessità di sintetizzare per non allungare inutilmente il brodo. Diciamo che, leggendoti, ho isolato quattro punti da trattare partitamente, ma mai dimenticando che si tratta di un blocco unico. I punti sono i seguenti: 1) l’applicazione della categoria amico-nemico e la potenza che è insita in essa; 2) il “centro di comando” e il suo collegamento con la sconfitta del lavoro; 3) le trasformazioni del sistema che lo rendono oggi irriconoscibile rispetto ai canoni ottocenteschi (e, qui, il tuo riferimento a Marx mi pare assai evidente); 4) il rapporto concettuale – che è anche un nodo problematico – tra movimento storico illuministico e ciò che molto opportunamente e felicemente hai definito “senso del limite”.

Nella mia considerazione-ricostruzione critica di questa tua linea interpretativa, proprio per ottenere un oggetto concettuale a un tempo unitario e distintamente articolato al suo interno, mi vedo costretto a modificare l’ordine nel quale tu li hai elencati.

Indubbiamente, le trasformazioni che il modo di produzione capitalistico ha subìto nel corso della strepitosa accelerazione dell'espansione seguita all'ultima guerra hanno scombussolato il mondo del lavoro, e questo è avvenuto perché il mondo del lavoro si è fatto imbrigliare – nella corretta comprensione della realtà delle condizioni di lavoro, là dove vigono i rapporti di produzione capitalistici – dal compromesso fordista. Saltato il quale, negli ultimi decenni il capitalismo si è visto costretto a mutare forma, progressivamente abbandonando il vecchio modello proprietario per adottare quello reticolare; ma, dacché il capitale è capitale, a una cosa non potrà mai rinunciare: la riproduzione allargata, la valorizzazione di sé stesso. Questo non può accadere perché il capitale non è soltanto un oggetto storico-empirico, ma è anche una struttura logico-ricorsiva; da questo ne discende che se lo si combatte soltanto sul piano della “praxis”, ma contestualmente non anche su quello della “theorein”, il fallimento è assicurato. Io credo che questo non fosse sfuggito a Lenin: da qui, l’esigenza di porre alla guida del movimento operaio l’avanguardia rivoluzionaria – e cioè il ceto intellettuale, formato e preparato dal partito comunista. Questo era, per sommi capi, il vecchio “centro di comando”. Oggi questa forma di centro di comando non sarebbe più riproponibile, almeno credo. Troppe cose sono intervenute a stravolgere il quadro delle relazioni industriali del modello fordista, non ultima l’iniezione massiccia di elementi allogeni (leggi: immigrati; ma secondo il mio giudizio: invasori) di cui si favorisce l’ingresso proprio allo scopo di minare unità e compattezza del fronte del lavoro. Questa duplice natura del capitale – logico-ricorsiva e storico-empirica – presuppone la convivenza in questo oggetto storico di due forme di temporalità, e l’attività di esso, la sua manifestazione nella realtà effettuale, deve obbligatoriamente discendere da questa duplicità. Altrimenti, non sarebbe possibile la riproduzione allargata. Questa struttura costituisce, perciò, una vera e propria omologia con la struttura dell’illuminismo – e in generale possiamo affermare che la monade storica “capitalismo” sia intrinsecamente illuministica. (A questo proposito, credo di avere individuato un certo numero di libri che se si volesse fondare un gruppo di studio avente lo scopo di provvedere un rinnovato movimento dei forconi o di giubbe gialle italiano, dovrebbe obbligatoriamente studiare e meditare: se vorrai, si potrà circostanziare meglio questo proposito.)

Possiamo star tranquilli, infatti, che l’illuminismo saprà continuamente superare, per non dire travolgere, tutti i limiti che in epoche passate – nelle quali, pur nel mezzo di feroci bagni di sangue, l’umano restava la misura delle cose, a cagione di un connaturato sentimento di leggi trascendenti che potevano essere violate, e lo erano, ma mai ignorate o scavalcate. Questo è il significato storico complessivo della civiltà latina. Sfortunatamente, l'illuminismo – inteso alla maniera di Horkheimer e Adorno – si è innestato nel punto debole di questo grande apporto storico che ha caratterizzato la latinità: la sua pretesa all'universalismo. Anche la merce pretende universalità, ma l'illuminismo universalistico della merce e del mercato si sta rivelando nella sua natura nichilistica. Qui sta, a mia impressione, la problematicità del nodo storico illuminismo-trascendenza-senso del limite: il nichilismo. Mi convinco sempre di più che l'illuminismo storico altro non sia che un epifenomeno su scala micrologica di quanto Nietzsche comprendeva sotto il potente concetto di nichilismo.

Di fronte a queste forze, quella del mondo del lavoro non poteva che essere una“sconfitta epocale” come tu molto opportunamente l’hai definita. Questa sconfitta è tale proprio perché è cambiata epoca, ma siamo diventati ormai troppo smaliziati per non sapere che essa non è la prima della storia, né sarà l’ultima, e non è questo quel che mi scoraggia. Lo scoraggiamento mi piglia, invece, quando leggo certi commenti anche sul tuo blog: io non so chi siano questi commentatori, cosa facciano nella vita per poter sopravvivere, se magari appartengano oggettivamente alla classe ideologicamente fiancheggiatrice della classe superiore, ma come avrai notato il lato politico del discorso è stato pressoché ignorato; al suo posto, abbondanti son fiorite le grandi pitture storiche dell’illuminismo, riferimenti al relativismo dei modelli culturali, voli pindarici sulla psicologia del profondo. C'è di che essere pessimisti? Certo è che da un humus come questo è ben difficile che possa sortire un “centro di comando”. Esistono però le giubbe gialle, e i pastori in rivolta e anche questo è un fatto. E se il centro di comando germinasse dal basso, allargandosi ad altri comparti produttivi gettati nella miseria dalla crisi? Che anche questi moti di rivolta possano essere disciplinati e ricondotti a forme “democratiche” di manifestazione, è probabile. Dicevamo che le sconfitte dei lavoratori rappresentano una costante storica, a partire da quella davvero tragica dei ciompi fiorentini dell’ultimo quarto del trecento. Non per questo, però, si deve desistere dalla prosecuzione della lotta, i mezzi della quale saranno da decidere di volta in volta, e certo non deve indurre a un ripiegamento dalla lotta in questa fase acuta della crisi la considerazione che una costante storica, proprio perché costante, è destinata ad avere ineluttabilmente la meglio. Confucio diceva: per fare un ricco ci vogliono mille poveri, mille poveri da sfruttare, intendeva dire: ma se questi mille poveri acquisiscono coscienza di essere la fonte di quella ricchezza, allora il “centro di comando” lo costituiranno da sé stessi: è il “cervello sociale” di cui parlava Marx che rivendica la sua quota di partecipazione ai profitti, quindi il cervello sociale è il vero centro di comando. Giubbe gialle e pastori sardi devono capire che potranno dare corso ad alcune ricadute positive se si faranno centro di comando di sé stessi, soviet di sé stessi, e mi conforta molto che i pastori sardi abbiano preso coscienza che la loro lotta deve svolgersi contro il vero tiranno di tutti noi: il “prezzo di mercato”! Ritengo questo elemento della lotta contro il prezzo di mercato, della coscienza della contraddizione tra prezzo di mercato e prezzo naturale non solo una piccola luce che s’intravvede alla fine del tunnel storico nel quale ci siamo dispersi, ma un fattore storico potenzialmente rivoluzionario, dal momento che la dinamica capitalistica della tensione tra prezzo di mercato e prezzo naturale, è definita da Marx, che la descrive all'inizio dei manoscritti del 1844, quale una della cause della miseria della classe operaia. Qui viene alla luce il collegamento con la dialettica di amico-nemico di Schmitt: le forze del mercato, gli agenti del commercio e della produzione capitalistica sono il nemico – punto. Te lo dice uno che lavora nella grande distribuzione, e che è attualmente a rischio di licenziamento.

Come vedi, non mi metto a discettare di differenza tra vetero e neoliberismo, tanto (come diceva Marx) è sempre la vecchia merda che ritorna. È palese, però, che una volta indicato il nemico (e sottolineo: “nemico pubblico”), il passo successivo, quello della lotta politica, deve rivolgersi contro le personificazioni di queste forze nemiche del lavoro, e senza temere di spingermi troppo in là, ti dico che in questo contesto sarebbe necessario recuperare il vecchio ma insuperato strumento pasoliniano del “processo” al Palazzo. Immaginati la scena: un tribuno del popolo, un nuovo Saint Just, occasionalmente sotto spoglia di un blogger o qualcosa del genere, si costituisce procuratore e formalizza un atto d’accusa contro i circoli liberali italiani, accusandoli di avere svenduto il lavoro nazionale agli interessi del mercato mondiale. La rete potrebbe essere utilizzata per organizzare una sorta di azione collettiva contro questi signori (che andrebbero identificati e indicati con nome e cognome), ma ovviamente l’istruttoria e l’imputazione dovrebbero assumere un formato permanente, tanto di malefatte questi signori ne hanno combinate così tante in danno al Paese, che la materia prima di questa inquisizione non verrebbe mai a mancare. Se questa iniziativa potesse marciare di pari passo con un movimento delle giubbe gialle interamente italiano, avremmo fondate aspettative che la prima fase di una resa dei conti con la borghesia italiana potrebbe diventare una realtà appena di là dall'orizzonte.

In fin dei conti, punti deboli ne hanno anche i nostri nemici. Come ben sai, esiste una “hybris” del potere che, nel caso di un dominio destinato a estendersi perché non trattenuto da alcuna Istanza contrapposta e contraria (essendo il “trascend-ens” trapassato nell’oblio del nulla) non può essere in alcun modo arrestato – se non da sé stesso, nel momento in cui il dominio totalizzato comincerà a farlo girare a vuoto.

Spero di non averti tediato oltremisura con queste mie considerazioni, e ti mando un caro saluto, a te e alla bella Ciociaria, sempre nel mio cuore.

Alberto

domenica 24 febbraio 2019

"A letto ognuno fa quel che gli pare" - un giorno qualsiasi, sui principali quotidiani liberali...










Propongo di fare il punto della situazione. Da anni la Chiesa cattolica è accusata di essere un verminaio dove la pedofilia sarebbe prassi consolidata, con l'aggravante dell'omertà ad ogni livello della gerarchia. Davanti a un'accusa così corale, ampiamente pubblicizzata dalla stampa liberale italiana, ci si aspetterebbe un "motu proprio" delle famiglie cattoliche, le quali invece continuano a mandare i loro pargoli nelle parrocchie, nelle scuole cattoliche, a battezzarli, a cresimarli e a fare la comunione, a sposarsi in chiesa, a celebrare funerali. Tra poche settimane sarà Pasqua, e uno si aspetterebbe - ripeto: davanti ad accuse così corali e alle ammissioni del Papa e di parte della gerarchia - di assistere a una qualche reazione, ma nulla accade. Semplicemente, mentre l'attacco alla Chiesa cattolica, che va avanti da anni, aumenta di tono, i cattolici, per lo meno quelli italiani - non essendo un cosmopolita so solo quello che succede nella nostra Patria - non se ne curano.

La domanda che sorge spontanea è: perché?


Voi mandereste i vostri figlioli in una scuola pubblica se sapeste esservi una non indifferente percentuale di insegnanti pedofili?  Non trovate che tutto ciò sia strano? Ovviamente i vostri bambini non ce li mandereste! Però, se sapeste che in una scuola pubblica c'è una non indifferente percentuale di insegnanti omosessuali, sono certo che non avreste nulla da ridire. E' ovvio, avete completamente assimilato il concetto che "a letto ognuno fa quel che gli pare", ma i bambini no, i bambini non si toccano. Sono d'accordo con voi.

"A letto ognuno fa quel che gli pare", e infatti anche i preti fanno quello che gli pare. Dunque una certa percentuale di preti è omosessuale, ma di questo non importa niente a nessuno, nemmeno ai cattolici a quanto sembra, però i bambini no. Eppure dal mondo dei credenti cattolici non arrivano reazioni significative, o almeno proporzionate, rispetto a quanto tutta la stampa liberale riferisce: che nella Chiesa abbondano gli orchi, i quali si alzano la sottana e fanno ai bambini cose innominabili.

Perché?

Forse perché le famiglie cattoliche italiane non credono che i preti siano degli orchi, mentre si sono convinte che l'omosessualità è invece tollerabile e non gliene importa niente di quello che i preti fanno tra loro? Sapete che vi dico? Secondo me le cose stanno esattamente così!

Ma se questa ipotesi è vera (attenzione: è solo un'ipotesi, chi sono io etc. etc.) allora è ovvio che i giornali liberali, sostenitori della teoria per cui "a letto ognuno fa quel che vuole", non parlino dell'omosessualità di una buona percentuale di preti, perché questa è una cosa lecita. Accettata, nei fatti, anche dalle famiglie cattoliche.

Se sbalio mi corigerete


Dalle mie parti c'è stato, qualche anno fa, un caso clamoroso di omosessualità che ha visto protagonista un importante esponente della gerarchia cattolica, condito da festini a base di droga e sperpero di importanti somme di denaro, ma al baretto di Castro dei Volsci non ho mai sentito altro che la reiterazione del concetto "a letto ognuno fa quel che gli pare". Certo, la vicenda fu commentata col solito linguaggio colorito di noi cafoni di campagna - ed io mi distinsi in ciò - ma nessuno mai pose il problema della contraddizione tra l'essere credente e cattolico e quello stile di vita. La cosa mi sorprese, perché passi che sia un miscredente come me a dire "a letto ognuno fa quel che gli pare", ma che dei pii e timorati paesani che vanno a messa (in realtà solo le loro mogli... e quando sono vecchiotte) non si ponessero il problema del peccato della carne, del cedimento al disordine sessuale, ebbene questo lo trovai bizzarro.

Bizzarro? No, cari lettori, perché i miei amati compaesani non sono affatto degli stupidi, come tanti intellettuali prezzolati, e sanno molto bene come vanno le cose in questo mondo, per cui tollerano, perché sanno che questa è la sola moneta per essere, a loro volta, ricambiati con altrettanta tolleranza. E infatti non è un caso che, quando si sa di qualche prete che fa delle avances omosessuali, il massimo della reazione davanti a un fatto così comune è la battuta, mentre della dilagante pedofilia tra i preti non si parla perché si sa che non è dilagante. E' certamente un fatto giudicato esecrabile, ma non è dilagante, il popolo lo sa, come sa benissimo altre due cose:
  1. Quanti mitomani ci siano al mondo
  2. Quanto sia forte la propaganda
Ed è per questo che continuano ad andare in chiesa, a mandare i loro figli all'oratorio, a ignorare la gran cassa dei giornali liberali. Sanno, è vero, che certe cose possono accadere, ma con la stessa probabilità che in ogni altro contesto sociale. E sanno anche che l'omosessualità, tra i preti, potrebbe essere un po' superiore alla media, ma di ciò non si preoccupano. Perché "a letto ognuno fa quel che gli pare"! 

Fila il discorso? Ma se fila, allora perché i giornali liberali la pensano diversamente, per cui ci inondano di informazioni sulla dilagante pedofilia tra i preti mentre non si fa cenno alla percentuale di omosessuali (forse, dice il popolo) superiore alla media? Ah saperlo...

sabato 23 febbraio 2019

Elezioni europee e riunioni di condominio


Non andrò a votare alle elezioni europee: sarebbe come andare a una riunione di condominio per eleggere un amministratore che si occupi degli affari della mia famiglia. E' inutile che mi si dica che nella Lega c'è Borghi, nel M5S non so chi, nel governo - in funzione di infiltrato nel deep state - un tal Turacciolo (a proposito: che sta a combinà?) e infine che sotto la guida del cavaliere nero usciremo dall'€uro un venerdì sera. Il tempo delle favole per bambini diversamente dotati è finito, qua la verità è che vogliono smembrare l'Italia.

Il che significa, né più né meno, che la guerra civile è alle porte. Tempo cinque anni e si sparerà nelle strade delle città, nelle pianure, sui monti (vedi nota); ne sono certo perché mi rifiuto di pensare che una Nazione come l'Italia, nata dal sangue di centinaia di migliaia di connazionali, possa semplicemente scomparire senza colpo ferire tornando ad essere un'espressione geografica. Nata nel sangue, questa Nazione può perire solo nel sangue, siatene assolutamente certi. Non sperate di poter assistere dai vostri salottini striminziti, ma davanti a un TV da 40 pollici, alla fine di questa Nazione senza esserne coinvolti. Ciò è impossibile. Al confronto, la fine della Iugoslavia sarà una passeggiata di salute.

Sì certo, ci sono in ballo interessi geopolitici sovrastanti, e allora? Credete che tutto avverrà come in uno spettacolo tipo il bombardamento di Baghdad del 1991, solo in risoluzione più alta? Magari col 5G, così che possiate godervi lo spettacolo la mattina al bar prima di prendere la metro? Scusate se sono franco: voi non avete capito un cazzo.

Questa Nazione è alla vigilia di un tentativo di frantumazione come esito di un compromesso per ridisegnare gli equilibri all'interno dell'occidente (in questo sono d'accordo con quello che sostiene da tempo Federico Dezzani) ma la cosa non può avvenire senza che le vite di tutti noi ne siano sconvolte. Stiamo entrando in un tempo di guerra civile, è necessario capirlo e prendere una decisione. Che non può essere quella di pensare di mettersi davanti alla televisione per seguire quel che accade, come si illudono gli sciocchi. Ciò non sarà possibile. Nessuna viltà potrà, in ogni caso, salvarci dalla tragedia, e dunque tanto vale entrare in partita. Come popolo. Chi vorrà essere italiano, cattolico (credente o meno che sia) e mediterraneo starà da una parte, chi si sente nordico, celta, tedesco, calvinista o protestante (credente o meno che sia) dall'altra. Questa guerra civile (comunque fomentata da grandi interessi geopolitici) farà chiarezza, disegnando finalmente gli esatti e veri confini di quell'entità storica, culturale e, mi sia consentito, spirituale, che chiamiamo Italia. Non si tratterà tanto di preservarne l'integrità territoriale - giacché chi si sente attratto dal nord celto-germanico-protestante è giusto che si unisca ai suoi simili - quanto di chiarire ciò che è Italia e ciò che non lo è. Chi non vuole essere Italia se ne vada, chi vuole esserlo si prepari alla lotta.

Per queste ragioni, alla vigilia di una così grande tragedia che ci coinvolgerà tutti, è ridicolo pensare di recarsi a votare per le elezioni europee. L'Europa è NON ITALIA; l'Europa è la scelta, propugnata dal capitalista Gianni Agnelli, di guardare oltre le Alpi, mentre il destino dei popoli di questa Nazione è sempre stato quello di guardare al Mediterraneo, all'Africa settentrionale, all'oriente greco. E' una scelta fondamentale alla quale questa generazione di italiani, discendenti dai popoli che hanno fatto grande questa "espressione geografica", non potrà sottrarsi. Almeno finché la tettonica a zolle non avrà cambiato tutto.

Mettiamoci l'animo in pace: la cosiddetta "fine della Storia" è stata solo un intervallo durante il quale abbiamo comprato popcorn dagli americani, che è finito.

Naturalmente siete liberi di non crederci, chi vivrà vedrà: io quello che dovevo dire l'ho detto.

Nota: c'è un esercito di seicentomila immigrati appena arrivati, ai quali dell'Italia non importa un fico secco, pronti per essere arruolati.

mercoledì 20 febbraio 2019

Il tempo delle purghe (altro che mele!)

Avrei potuto semplicemente condividerlo su FB. Ma è geniale, merita di restare nell'archivio del blog.



Addendum: mi viene giustamente segnalato questo.


sabato 16 febbraio 2019

Risposta ad A.B. (che non è Illo)

Pubblico un frammento di conversazione (una mia risposta) con uno di coloro che mi scrivono. Si firma A.B. ma, ovviamente, non è Illo. Per ovvie ragioni di riservatezza non posso pubblicare anche le sue emails, ma credo che il tema della discussione emerga a sufficienza da quello che scrivo


Ho letto e riletto più volte quello che hai scritto (mi piace la definizione "il dispotismo del distopismo") e mi sembra di capire, per sintetizzare altrimenti ci perdiamo, che tu dai molta importanza alla necessità di individuare il "nemico". Può darsi, non so, ma quello che mi preme farti notare è che parli come se esistesse già un "centro di comando" della causa della classe lavoratrice che dovrebbe/potrebbe adottare una strategia più efficiente, ad esempio lavorando sulla categoria amico/nemico. Ma questo centro di comando, converrai con me, purtroppo oggi non c'è.

La sconfitta del mondo del lavoro è stata epocale, anche perché è avvenuta in un momento in cui le classi dominanti sono riuscite ad appropriarsi dei mezzi di produzione culturale, nonché a rafforzare (presto sempre di più, vedi 5G) gli strumenti di controllo diretto. Per altro, la stessa definizione di "classi dominanti" è ambigua, impossibile da determinare con precisione. Rispetto all'800, quando le classi dominanti erano quelle proprietarie dei mezzi reali e concreti di produzione, pertanto identificabili studiando gli strumenti legali che configuravano e difendevano il diritto di proprietà, oggi questo è molto più difficile. 

Ad esempio, Larry Page e Sergey Brin fondatori di google, grazie ai cui servizi noi comunichiamo, o Zuckerberg, cosa sono? 

Chi sono i veri nemici? E poi, nemici in che senso? Un imprenditore di successo è, in quanto tale, un nemico? Ma soprattutto, siamo sicuri che  Larry Page e Sergey Brin, ma soprattutto Zuckerberg, siano veri imprenditori di successo e non maschere presentate al grande pubblico per spiegare l'irrompere di nuove tecnologie con la favola rassicurante dell'"imprenditore di successo"?

Chi è il nemico? Dov'è il nemico? E gli "amici", esistono gli amici o è vero che siamo tutti nemici nel momento stesso in cui accettiamo che l'unico discrimine sia l'interesse economico? Non è forse vero che nelle cause condominiali miriadi di morti di fame si affrontano con la bava alla bocca per questioni miserrime?

Siamo davanti a uno scenario che, sebbene al fondo sia ancora sicuramente fondato sulle tradizionali e immortali categorie del conflitto sociale (quindi amico/nemico) è così confuso da rendere questo strumento oggi poco utilizzabile. Io penso allora che sia necessario ricordarci di un altro strumento dialettico fondamentale, che è il senso del limite. Uno strumento di natura principalmente morale, perché se c'è un limite allora poco importa che a superarlo sia un nemico o un amico, perché quel limite c'è, ed è riconosciuto da tutti. 

In questo senso, la critica al principio di illimitatezza del neoliberismo è un punto di attacco sul quale si deve investire. Ma per farlo in modo efficace è necessario reintrodurre nel discorso politico un elemento che il pensiero illuminista ha eradicato con grande successo, ovvero l'idea che l'uomo non può fare tutto quello che è in grado di fare, ma deve fermarsi giudicando e discriminando ciò che è giusto da quello che non lo è. Il problema, ovviamente, è su cosa fondare tale giudizio, e qui il discorso si fa molto più difficile.

Siamo talmente abituati a rigettare anche solo la possibilità dell'esistenza di leggi trascendenti, nel nome della libertà e della centralità dell'UOMO, che questa necessità oggi è completamente dimenticata. Per poi accorgerci, quando il pensiero illuminista dispiega tutta la sua potenza distruttrice di ogni limite, che siamo indifesi e destinati al macello.

Ecco, io penso che poiché l'illuminismo non può dimostrare l'inesistenza del Trascendente, cioè di quella cosa di cui per definizione non si può parlare ("su ciò di cui non si può parlare si deve tacere" - Ludwig Wittgenstein), noi dobbiamo invece evocarlo. Non dico parlarne, ma evocarlo questo sì, per affermare almeno un concetto chiave: non è vero, o almeno non è detto, che l'uomo possa fare tutto quello che può fare! E dunque che intorno al confronto su ciò che si può fare o non fare (tra le cose che è possibile fare) si gioca la corretta individuazione del confine tra amico e nemico.

Un saluto, Fior.

venerdì 15 febbraio 2019

Il politically correct e l'anello algebrico

Cari papà e care mamme, volete voi questo modello di educazione?

(ricordatevi di attivare i sottotitoli in italiano)



Siccome sono un insegnante, ve lo chiedo anche a nome dei miei colleghi. E' importante, dobbiamo saperlo. Se siete d'accordo faremo quello che volete voi, se non siete d'accordo allora uniamoci nella lotta contro il politically correct a scuola. Si tratta dei vostri figli, non è una cosa poco importante.

Volete voi che a scuola si possa accettare che 2+2 faccia anche 22 perché questa è l'opinione di un pargolo (e dei suoi genitori) che non sanno che l'aritmetica è, algebricamente parlando, un anello? Non avete capito? Non sapete cosa sia un anello algebrico? Fa nulla, per questo mandate i vostri figli a scuola, anche per apprendere quello che voi non sapete.

Grazie.

mercoledì 13 febbraio 2019

La secessione in corso...

Molti italiani non si stanno accorgendo che è in corso una secessione; altri, quando glielo si fa capire, ne sono addirittura contenti. E' il risultato di un'operazione culturale e politica iniziata a partire dall'inizio degli anni 90, cominciata con l'emergere della Lega di Bossi (per chi ha qualche annetto: ampiamente pubblicizzata su tutti i media) e, dall'inizio del nuovo secolo, con la costruzione della narrazione neo-borbonica. Entrambe queste operazioni sono state pianificate e sostenute da ambienti euro-atlantici quando ancora regnava l'armonia tra le élites del mondo occidentale.

E' necessario che io vi espliciti alcune pietre miliari della mia visione del mondo.
  1. Le persone normali sanno, di politica ed economia, esattamente quello che gli viene raccontato dai giornali, dalla televisione e, a un livello lievemente più colto, dall'industria culturale attraverso la creazione di mitologie.
  2. I giornali, le televisioni, tutta l'industria culturale, sono nelle mani delle élites.
  3. Le élites sono divise, in lotta fra di loro e solo marginalmente preoccupate di tenere a bada le masse, che controllano tramite giornali, televisioni, industria culturale.
  4. In circostanze ordinarie le élites battagliano al loro interno seguendo delle regole, che nei tempi che ancora stiamo vivendo consistono nel fatto di vincere le elezioni.
  5. In circostanze straordinarie le élites rompono le regole esistenti e passano alla guerra, anche questa sottoposta a regole, sebbene diverse.
  6. Nelle fasi disastrose della storia ogni regola viene infranta e conta solo chi vince.
  7. La probabilità che emergano nuove élites dal basso, realmente indipendenti da quelle già esistenti, crescono al crescere del livello dello scontro all'interno delle élites già esistenti.
Il momento che stiamo vivendo è di passaggio, tra la fase 4 e la fase 5. Siamo ancora più vicini alla fase 4 che alla fase 5, ma le cose possono cambiare rapidamente. Lo scontro principale all'interno delle élites si svolge dentro il campo di quello che chiamiamo "il mondo occidentale", principalmente tra l'impero angloamericano (USA, Inghilterra, Canada, Australia, Nuova Zelanda e rispettivi dominions)  e l'Unione Europea, in un contesto nel quale il mondo occidentale è a sua volta impegnato in un confronto geopolitico con altri due mondi: la federazione russa e la Cina.

In questo gioco, grande e complesso, devono essere inquadrati tutti gli altri conflitti regionali, da quelli che riguardano il mondo islamico alle convulsioni in Africa, passando per il Caucaso e il Sud America. Il ben definito - geograficamente e culturalmente - luogo che chiamiamo Italia è al centro della Storia del mondo, come accade da un paio di millenni in qua, purtroppo ancora una volta - come accade da cinque secoli in qua - in veste di comprimario. E' anche un luogo, l'Italia, che per un secolo e mezzo ha goduto anche di una definizione politica, uscita però estremamente indebolita dall'esito dell'ultimo conflitto mondiale. In sintesi mi sento di affermare che l'Italia, nello scontro che si è aperto all'interno delle élites del mondo occidentale (a sua volta impegnato in un confronto geopolitico più vasto) è un vaso di coccio in mezzo a vasi di ferro.

Lo scontro interno al mondo occidentale attraversa pertanto un'Italia che possiede una sovranità debole, cosicché le sue élites nazionali sono divise tra due campi: da una parte gli europeisti, dall'altra una coalizione tra due forze eterogenee una delle quali, la Lega, ancora indecisa se essere una fedele alleata del campo angloamericano (che si nasconde sotto la veste del populismo) o tornare sui suoi passi e allearsi con gli europeisti. Non è una situazione nuova, basta pensare ai mesi che precedettero l'entrata in guerra nella prima guerra mondiale quando abbandonammo la triplice alleanza (con Austria e Germania) per entrare in guerra al fianco della triplice intesa (Francia, Russia, Inghilterra).

Nell'Unione Europea si è appena formata una nuova Triplice Alleanza tra Francia, Germania e Spagna, alla quale si opporrà inevitabilmente un'Intesa tra i suoi avversari. L'Inghilterra e l'America di Trump sono già della partita, mentre non sappiamo ancora come si posizionerà l'Italia. Siccome siamo ancora al tempo della politica, cioè nella fase in cui le élites competono attraverso elezioni, i prossimi appuntamenti elettorali saranno cruciali, sebbene le elezioni all'orizzonte non siano politiche ma amministrative, con in più l'appuntamento europeo; fatta salva la possibilità di una caduta del governo con l'indizione di nuove elezioni. Né alla triplice Alleanza, né all'Intesa, sta particolarmente a cuore preservare la nostra unità nazionale, con il che il destino della Patria è in balia degli accordi che verranno stipulati tra i due campi, oppure sortirà dall'esito di uno scontro più feroce combattuto anche sul campo, Dio non voglia.

Ma tutto questo le masse non lo sanno, né vogliono saperlo. Hanno così buon gioco i giornali, le televisioni e l'industria culturale nel diffondere in modo sempre più intenso informazioni improntate alla pura evasione, ovvero incentrate su questioni marginali gonfiate ad arte, come è facile verificare quotidianamente. La ragione è che le masse devono essere tenute fuori dal dibattito, quindi dal confronto sui temi concreti, perché è in corso una partita molto più importante che si svolge segretamente tra le divise élites nazionali e i due schieramenti del campo occidentale. Le nostre élites sono divise non solo perché, da brave borghesie compradore, si scannano per il privilegio di continuare a sfruttare un popolo in gran parte docile e ingenuo, ma anche per il fatto che il controllo del partito di maggioranza relativa è saldamente nelle mani degli angloamericani, mentre il partito da sempre schierato sul fronte europeista è in crisi terminale, insieme coi vari cespugli di sinistra che lo hanno appoggiato per decenni. Il pallino è così nella mani della Lega, al cui vertice è stato designato un attore di straordinaria capacità comunicativa come Matteo Salvini. E' la Lega che deve scegliere da che parte stare, se con la Triplice Alleanza o con l'Intesa, e ovviamente ne approfitta per manovrare nel massimo interesse della fazione di borghesia compradora nazionale che rappresenta. Da ciò discendono le altrimenti incomprensibili contraddizioni della sua linea politica: polemizza con l'asse carolingio ma al contempo chiude alla Russia, tema quest'ultimo che sta a cuore agli angloamericani; è al governo con un partito che attacca la Francia di Macron ma dichiara la sua fede nell'Unione Europea; ciancia di un'alleanza sovranista europea ma si fa sbattere la porta in faccia dagli alleati più fedeli degli angloamericani, che usano il "sovranismo" in funzione anti-UE.

Nel frattempo la Lega gioca la carta dell'autonomia differenziata che, se da un lato le permette di rinsaldare la sua presa sul nord Italia, dall'altra è una carta - pur sempre reversibile - da giocare sul tavolo delle trattative segrete, qualora la fine dello Stato unitario faccia parte di un accordo che lasci alla triplice Alleanza il nord Italia e agli angloamericani la parte di penisola proiettata nel Mediterraneo.

E le masse? Bè, a parte il tradizionale tradimento dei chierici noto a una modesta frazione di contemporanei - che verrà raccontato dagli storici tra qualche secolo - niente di nuovo. Il potere reale, in questo paese, resta nelle mani del Vaticano, che è troppo distratto dal suo bimillenario compito diplomatico sullo scenario mondiale per occuparsene direttamente, cosicché continua a delegarne l'amministrazione degli affari correnti alla spregevole borghesia compradora nazionale.

Addendum:


martedì 12 febbraio 2019

Sommano 36 €

«Griglia quadrata concava, fornita e posta in opera, in ghisa sferoidale a norma UNI EN 1563, conforme alla norma UNI EN 124 - Classe C250, fabbricata in Stabilimenti certificati a Garanzia di Qualità secondo la Norma UNI EN ISO 9001:2000, rivestita con vernice protettiva, marcatura EN 124 C250 e marchio dell'ente di certificazione internazionalmente riconosciuto, costituita da: telaio a sagoma quadrata provvisto di asole per il fissaggio; griglia concava a sagoma quadrata, con rilievo antisdrucciolo e autobloccante sul telaio mediante incastro elastico privo di elementi meccanici quali viti o bulloni. Con feritoie centrali disposte lungo l'asse di concavità e ortogonalmente a quelle laterali per favorire il deflusso delle acque o per aumentare la sicurezza del traffico ciclistico. Griglia a bordo portico con rubinetto»

E più non dimandate. Ammessi solo commenti psicopatici.


domenica 10 febbraio 2019

Come hanno votato...?

Come hanno votato i nostri cari rappresentanti sul disegno di legge costituzionale per la riduzione del numero dei parlamentari?

Dopo 21 votazioni respinte, alla 22 il ddl è stato approvato. Le scelte dei nostri cari rappresentanti sono state queste. Cercate quelli che vi interessano.

Senato - votazione n. 22 (seduta n. 89 del 07/02/2019)

Io me ne ricordo uno, che scriveva 'ste cose (ottobre 2012):

«Prima la buttano là, per vedere se la gente se ne accorge (e don Gallo se n'è accorto). Poi la ripetono, per vedere se la gente si abitua. Se si comincia così, cosa si dirà fra sei mesi? Perché quando vi avranno convinto dei costi della politica malata (che ci sono, vedi sotto), poi, non dubitate, passeranno a convincervi dei costi di quella sana: la democrazia costa troppo.»