giovedì 30 novembre 2017

Chisse so' pazzi

Ola ola ola, a quanto pare da quel di Naples sta partendo una revolucion!

POTERE AL POPOLO! UNA PROPOSTA DI PROGRAMMA

La trovate anche in calce a questo post. Me la sono letta, questa proposta di programma di Je so' pazzo ex OPG, e la prima domanda che mi è venuta in mente è stata: ma questi qui, che hanno fatto in questi ultimi dieci anni? No, non nel senso di mobilitazioni sociali, anzi, sono certo che hanno mobilitato moltissimo, ma  il punto è: dove stavano mentre l'Unione Europea e l'euro venivano studiati, analizzati, passati ai raggi beta di blade-runner memoria, da un mondo che si è autodefinito "sovranista", in fondo, proprio per rivendicare questo tipo di approccio? A leggere la loro proposta di programma, francamente, cadono un po' le braccia. La sensazione che emerge è quella di un volenteroso dilettantismo, come fossero degli addormentati che, d'improvviso, si destano e scoprono la realtà di una matrix di cui non sospettavano l'esistenza. E per questa ragione, anzi soprattutto per questa ragione, credono di aver capito tutto.

Cari lettori del blog, vi prego di leggervi quello che scrivono. Il post continua alla fine del loro testo.

La proposta di Je so' pazzo ex OPG - Potere al Popolo

********************INIZIO*********************************

1. COSTITUZIONE

Vogliamo l'uguaglianza, vogliamo salari dignitosi, il rispetto di chi lavora. Perché su chi lavora è fondata la Repubblica. Chiediamo troppo? Chiediamo solo quello che già è scritto nella nostra Costituzione, nata dalla spinta dalla lotta di liberazione dal nazi-fascismo e da un grande protagonismo delle masse. 
Il Referendum del 4 dicembre ha mostrato la chiara volontà del popolo italiano di difendere la carta costituzionale, noi crediamo che sia finalmente giunto il momento di metterla in pratica fino in fondo. Vogliamo dunque la piena attuazione della Costituzione nata dalla Resistenza, e in particolare dei suoi aspetti più progressisti. Questo significa prima di tutto:
- ridare centralità e dignità alle lavoratrici e ai lavoratori;
- far sì che ogni discriminazione di sesso, razza, lingua, religione, orientamento sessuale venga superata;
-  rimuovere ogni ostacolo di carattere economico e sociale che limita l’uguaglianza e inibisce il pieno sviluppo della persona umana; 
- promuovere e supportare la cultura e la ricerca scientifica, salvaguardare il patrimonio ambientale e artistico;
- ripudiare la guerra e dare un taglio drastico alla spesa militare (ovvero: la rottura del vincolo di subalternità che ci lega alla NATO e la rescissione di tutti i trattati militari; l’adesione e sostegno dell'Italia al programma di messa al bando delle armi nucleari in tutto il mondo; il ritiro delle missioni militari all'estero; la cancellazione del programma F35, del MUOS, degli altri programmi e basi di guerra);
- rimuovere il vincolo del pareggio di bilancio, inserito di recente, che sacrifica le vite e la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori in nome dell'equilibrio fiscale e del rispetto dei parametri europei;
- ripristinare l'equilibrio istituzionale, ridando centralità ad un Parlamento eletto con un sistema proporzionale.


2. UNIONE EUROPEA

Negli ultimi 25 anni e oltre, l'Unione Europea è diventata sempre più protagonista delle nostre vite. Da Maastricht a Schengen, dal processo di Bologna al trattato di Lisbona, fino al Fiscal Compact, le peggiori politiche antipopolari vengono giustificate in nome del rispetto dei trattati. I ricchi, i padroni delle grandi multinazionali, delle grandi industrie, delle banche, le classi dominanti del continente approfittano di questo ”nuovo” strumento di governo che, unito al “vecchio” stato nazionale, impoverisce e opprime sempre di più chi lavora. Sempre di più la gente comune sente il peso di decisioni che sono prese altrove, lontano, e che non rispecchiano ciò che il popolo vuole.
L’Ue ha agito come uno strumento delle classi dominanti, delle banche, della finanza: un dispositivo che ha “protetto” dalla democrazia quelle riforme strutturali (da quelle costituzionali e a quelle del lavoro) non a caso definite impopolari. L’ Unione europea dei trattati è lo strumento di una rivoluzione passiva che ha reso funzionale “il sogno europeo” agli interessi di pochi. Noi vogliamo ricostruire il protagonismo delle classi popolari nello spazio europeo: 
Per questo:
- vogliamo rompere l'Unione Europea dei trattati;
- rifiutiamo le storture governiste impresse al nostro sistema politico, lo svuotamento di potere del Parlamento e il rafforzamento degli esecutivi;
- vogliamo che le classi popolari siano chiamate ad esprimersi su tutte le decisioni prese sulle loro teste a qualunque livello – comunale, regionale, statale, europeo - pregresse o future.


3. LAVORO E REDDITO

Costituzionalmente è riconosciuto il diritto al lavoro e la promozione delle condizioni che rendano effettivo questo diritto. 
La realtà del lavoro in Italia è sempre più sbilanciata: c’è chi sia ammazza di fatica per 12 ore al giorno e non riesce ad andare in pensione e chi non riesce a trovare un impiego, noi vogliamo lavorare meno, ma lavorare tutte e tutti. Gli unici lavori che si riescono a trovare sono iper-sfruttati e sottopagati (o addirittura gratuito, nelle forme degli stage, dei tirocini, dell’alternanza scuola/lavoro, etc.); migliaia di persone ogni anno sono costrette ad emigrare per lavoro (nessuno ne parla ma sono più di coloro che arrivano nel nostro Paese); più di tre persone al giorno muoiono di lavoro e le norme a tutela della sicurezza dei lavoratori sono sempre più deregolamentate, così come le misure di prevenzione di infortuni e malattie professionali. La tenuta del nostro sistema pensionistico è a rischio a causa del fatto che nel mercato del lavoro si entra – forse – tardi, un eventuale reinserimento in età avanzata è ancor più difficile, e si esce chissà quando; ad essere garantite sono solo le pensioni dei dirigenti, pagate con i soldi dei lavoratori dipendenti.
Per questi motivi vogliamo:
- la cancellazione del Jobs Act, della legge Fornero, della legge Biagi, del pacchetto Treu e di tutte le altre leggi che negano il diritto ad un lavoro stabile e sicuro;
- il ripristino del testo originario dell'art. 18;
- la cancellazione di tutte le forme di lavoro diverse dal contratto a tempo indeterminato;
- misure che garantiscano incisivamente la sicurezza sul lavoro;
- serie politiche di contrasto alla disoccupazione;
- una legge sulla democrazia nei luoghi di lavoro che garantisca a tutte e tutti il diritto di scegliere liberamente la propria rappresentanza sindacale, tutti elettori e tutti eleggibili senza il vincolo della sottoscrizione degli accordi;
- che venga anticipata l’età pensionabile;
- la fine delle discriminazioni di genere e della disparità salariale.
- la battaglia per il diritto al lavoro e per la riduzione di orario viaggia insieme alla necessità di riconoscere il diritto a una esistenza degna a tutte e tutti. Non si tratta solo di contrastare una povertà sempre più odiosamente diffusa, ma di superare il welfare assistenzialistico e familistico e riconoscere a tutte e a tutti il diritto a un reddito minimo garantito.


4. ECONOMIA, FINANZA, REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA

Partiamo, come detto all'inizio, dalla Costituzione e dalla rimozione degli ostacoli all'uguaglianza. Questo punto è incompatibile con le scelte scellerate in materia di economia e finanza fatte dai governi di qualunque colore negli ultimi trent'anni. Ribadiamo la necessità di cancellare l'obbligo del pareggio di bilancio inserito in Costituzione e la volontà di disobbedire al Fiscal Compact. Crediamo inoltre che sia urgente trasferire ricchezza dalle rendite e dai capitali al lavoro e ai salari, ricostruire il controllo pubblico democratico sul mercato organizzando un piano che elimini la disoccupazione di massa e la precarietà  e cancelli la povertà. Per mettere in atto questo piano immaginiamo alcuni passaggi fondamentali: 
- un'imposta patrimoniale;
- un sistema di tassazione semplice e fortemente progressivo;
- una lotta seria alla grande evasione fiscale;
- il recupero dei capitali e delle rendite nascoste;
- la fine delle privatizzazioni e delle esternalizzazioni (in particolare degli appalti per servizi permanenti): vogliamo che i beni e i servizi pubblici rimangano tali e non vengano svenduti;
- politiche industriali attive e controllo su delocalizzazioni e investimenti (in particolare delle multinazionali, quindi è necessario anche abolire Il trattato con il Canada e cancellare definitivamente Il TTIP);
- la nazionalizzazione della Banca d'Italia, delle banche e delle industrie strategiche, il ripristino della separazione tra banche di risparmio e di affari;
- un piano per il lavoro con  forti investimenti pubblici nel risanamento del territorio, nei beni culturali, nella formazione, nella ricerca e nella innovazione, nello sviluppo dei servizi e dello stato sociale.


5. LOTTA ALLA POVERTÀ E ALL’ESCLUSIONE SOCIALE

Un paese sempre più preda della crisi, impoverito e incattivito, vede crescere l'emarginazione sociale. Superando le logiche assistenziali, la lotta alla povertà e all'esclusione è un punto importante del nostro discorso politico. Vogliamo:
- città e territori realmente aperti a tutti, senza zone ghetto, senza periferie immiserite e preda della criminalità organizzata accanto a “centri storici-vetrina” dai quali gli esclusi vengono cacciati con un DASPO;
- una seria politica per gli alloggi popolari mettendo innanzitutto a valore il patrimonio immobiliare esistente;
- il rispetto delle garanzie e tutele costituzionali – casa, salute, istruzione, etc. - per tutte e tutti, in particolare per chi è in condizioni di miseria e disagio socio-economico.
- un piano di inclusione da realizzare per tutti gli espulsi dalla crisi economica, il cui destino non può essere quello della marginalità e della ghettizzazione.


6. WELFARE: SALUTE, ISTRUZIONE, ASSISTENZA, INCLUSIONE

La lotta alla povertà e all'esclusione, il superamento di qualsiasi diseguaglianza sociale, passano per la tutela del diritto all'istruzione, alla salute, per il potenziamento di qualsiasi forma di assistenza sociale, attraverso un incisivo ripristino del Welfare State. La sanità pubblica è allo sfascio, preda di sciacalli privati che hanno solo sete di profitto; i livelli assistenziali sono in caduta libera, frutto di politiche di tagli trasversali e indiscriminati, la partecipazione diretta alla spesa cresce sempre di più, come la lunghezza delle liste d'attesa, con una conseguente diseguaglianza di accesso ai servizi, in particolare nelle zone depresse come il Sud e le isole. Questa disuguaglianza è accentuata anche dall'introduzione del Welfare Aziendale e di fondi pensionistici integrativi vincolati al contratto di lavoro e allo status socio-economico. L'esclusione di fette sempre più ampie di popolazione dall'accesso alle cure va di pari passo con l'assenza di qualsiasi investimento incisivo sulla prevenzione primaria e secondaria di malattie e su misure di tutela della salute. 
La “Buona Scuola”, degna figlia delle riforme precedenti, insulta gli insegnanti, svuota le conoscenze, punta a trasformare gli studenti in schiavi obbedienti pronti a lavorare gratis e senza protestare. Mancano totalmente politiche di assistenza e sostegno alla famiglia, come gli asili o dei servizi sul territorio per il sostegno agli anziani. I diversamente abili ed i soggetti sociali fragili sono sempre più spesso abbandonati a loro stessi o alle loro famiglie, senza alcuna assistenza economica e materiale e alcun serio programma di inserimento e inclusione sociale. 
Per questo noi vogliamo:
- la cancellazione di tutte le riforme che hanno immiserito la scuola, l’università e la ricerca;
- l'assunzione a tempo indeterminato di tutto il personale precario della Pubblica Amministrazione e un nuovo programma di assunzioni per scuola, sanità, servizi socio-assistenziali, con immediato sblocco del turn-over lavorativo;
- un serio adeguamento salariale;
- l'ampliamento dell'offerta formativa e l'estensione del tempo scuola col tempo pieno per tutto il primo ciclo d'istruzione;
- la gratuità dei libri di testo e la certezza del diritto allo studio fino ai più alti gradi;
- la totale gratuità del servizio sanitario nazionale;
- un potenziamento reale del servizio sanitario e dei livelli assistenziali minimi;
- l'uscita del privato dal business dell'assistenza sanitaria;
- lo stop alla chiusura degli ospedali, il potenziamento dei servizi sanitari esistenti, una rete capillare di centri di assistenza sanitaria e sociale di prossimità;
- che ci sia piena libertà di scelta da parte del soggetto interessato riguardo l’uso sproporzionato di mezzi terapeutici (“accanimento terapeutico”) e le decisioni di fine vita (eutanasia);
- il risanamento e la bonifica dei territori inquinati, col potenziamento di programmi di prevenzione primaria e secondaria;
- la copertura totale del fabbisogno di posti negli asili nido;
- un concreto sostegno economico e materiale agli anziani e alle loro famiglie;
- un piano nazionale di edilizia pubblica per risolvere l'emergenza abitativa che preveda la costruzione di nuove case popolari e il recupero del patrimonio esistente (piano da finanziare in primo luogo con più tasse sugli alloggi sfitti dei grandi costruttori) e provvedimenti che regolino il mercato degli affitti (equo canone);
- la riqualificazione delle periferie;
- un sistema di trasporto pubblico efficiente e alla portata di tutti;
- un ripensamento globale delle politiche sui diversamente abili ed i soggetti fragili, e sull'inclusione, nella scuola, al lavoro, alla vita.


7. IMMIGRAZIONE E ACCOGLIENZA

La questione è centrale, visto che nel dibattito pubblico e politico si fanno sempre più strada tendenze razziste. Per questo vogliamo invertire la tendenza e fare nostro un discorso solidale, antirazzista, per una degna accoglienza e per l’estensione dei diritti (primo fra tutti lo Ius Soli). 
Vogliamo:
- il superamento della gestione emergenziale e “straordinaria” dell’accoglienza e la generalizzazione del sistema sul modello degli SPRAR, in centri di piccole dimensioni nell'immediato e prediligendo l'inserimento abitativo autonomo degli accolti in modo da contrastare la ghettizzazione, con un controllo rigido sulla qualità e una valorizzazione delle professionalità coinvolte;
- le gestione pubblica dei servizi legati all’accoglienza, perché affaristi senza scrupoli e organizzazioni criminali non possano più fare profitto sulla pelle dei migranti;
- la promozione dell’autonomia delle persone straniere che transitano o risiedono, per periodi più o meno lunghi, sul nostro territorio, indipendentemente dal loro status giuridico.
Rifiutiamo:
- il regolamento di Dublino III, le leggi Minniti-Orlando e tutte le leggi razziste che lo hanno preceduto, perché vogliamo accogliere degnamente chi scappa da fame, guerra, persecuzioni, alla ricerca di un futuro migliore


8. AUTODETERMINAZIONE E LOTTA ALLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE IN TUTTE LE SUE FORME

Oggi il movimento femminista mondiale "Non una di meno" è la forza politica che tiene insieme e traduce percorsi di liberazione dal dominio di classe, di genere, di razza e orientamento sessuale. La lotta femminista partita dalla Argentina ha portato nelle piazze centinaia di migliaia di donne contro la violenza in tutte le sue forme. Lo sciopero dal lavoro riproduttivo e produttivo dello scorso 8 marzo ha messo in luce le tante forme di sfruttamento invisibili, nel lavoro di cura, nel lavoro da casa e nella richiesta di disponibilità e prestazione permanente. Anche in Italia "Non una di meno" ha espresso, con autonomia e intelligenza, una capacità fortissima di lotta e di proposta, come dimostra l’elaborazione del Piano femminista contro la violenza maschile sulle donne e la violenza di genere.  
Nel Gender Gap Report 2017, il resoconto sulla disuguaglianza tra uomo e donna, l'Italia è all'82esimo posto su 144, ed era al 50esimo nel 2015. Aumentano quindi la disuguaglianza e le discriminazioni a partire dal lavoro, dove le donne sono meno partecipi e più povere degli uomini. La crisi e i tagli al Welfare aumentano la difficoltà a coniugare tempo di lavoro, tempo di vita e anche tempo per la politica: sempre più donne sono costrette a stare a casa, nemmeno libere di interessarsi alla propria dignità e alle battaglie per il miglioramento delle proprie condizioni. 
Le violenze contro le donne sono cronaca quotidiana, è tra le mura domestiche o nei viaggi disperati in fuga dalle guerre che si consuma, nel silenzio, il maggior numero di violenze. In particolare i corpi delle donne migranti ci ricordano che la questione di genere è intrecciata alla questione di classe, inasprita dalla doppia oppressione che coinvolge anche le donne che diventa tripla se l'oppressa è donna e immigrata. 
Noi vogliamo:
- parità di diritti, di salari, di accesso al mondo del lavoro a tutti i livelli e mansioni a prescindere dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale;
- un sistema di Welfare che liberi tempo dal “lavoro di cura” (nidi, “tempo prolungato” a scuola,  assistenza agli anziani e ai disabili, etc. );
- mettere in campo soluzioni che inibiscano ogni forma di violenza (fisica, ma anche sociale, culturale, normativa) e discriminazione delle donne e delle persone LGBTI e che sia data centralità dell'educazione alla parità e alla non-discriminazione ad ogni livello d'istruzione;
- piena e reale libertà di scelta sulle proprie vite e i propri corpi; pieno diritto alla salute sessuale e riproduttiva, negata in tante strutture pubbliche dalla presenza di medici obiettori;
- Non vogliamo pacchetti sicurezza. La sicurezza delle donne è nella loro autodeterminazione.


9. AMBIENTE

Questo sistema economico si è dimostrato totalmente incompatibile non soltanto con la vita e la libertà delle classi popolari, ma con la natura e la sopravvivenza stessa del nostro pianeta. La questione ambientale non può essere analizzata in modo settoriale, ma dobbiamo riappropriarci di uno sguardo ecologico sul mondo. Anche la devastazione ambientale, nelle sue ricadute drammaticamente differenti nelle vite degli oppressi e degli esclusi e in quelle dei ricchi e privilegiati, mostra la sua aspra natura di classe. 
Mentre un intero continente, quello africano, fa i conti non solo con le guerre ma anche con la siccità, la desertificazione, l'inquinamento, nei paesi del primo mondo continuiamo ad usare – e sprecare – molte più risorse di quanto ci potremmo permettere. Ma i danni non si possono confinare a lungo: l'inquinamento, lo stravolgimento climatico, la crisi idrica, gli incendi colpiscono sempre di più al cuore dei paesi dominanti e ci impongono un urgente e radicale ripensamento del nostro modello produttivo e di consumo. 
Anche nel nostro Paese abbiamo assistito a disastri ambientali, più o meno annunciati (terremoti, incendi boschivi, frane) e al tentativo costante di depredare e devastare i territori in nome del profitto (si pensi a “Grandi Opere” come la TAV, il progetto TAP, le trivellazioni petrolifere, etc.).
Noi vogliamo:
- la messa in sicurezza e salvaguardia preventiva dei territori;
- uno stop al business dell'emergenza ambientale  e a quello della cosiddetta green economy;
- una gestione trasparente, programmata e condivisa dalle popolazioni interessate delle risorse destinate all'ambiente, nonché da un serio piano per la messa in sicurezza idrogeologica del Paese;
- la messa in mora delle cd. “Grandi Opere”, presenti o future;
- un piano d'investimenti pubblici, ad esempio sui trasporti o sull'energia, tarato sui reali bisogni delle classi popolari e fatto nel pieno rispetto dell'ambiente;
- una nuova politica energetica che parta dal calcolo del fabbisogno reale;
- una nuova politica dei rifiuti, che parta da un ripensamento della produzione di merci e veda il privato fuori da ogni aspetto legato al ciclo di smaltimenti
- il rispetto totale per il territorio e la gestione partecipata e democratica di ogni lavoro e progetto.


10. MUTUALISMO, SOLIDARIETÀ E POTERE POPOLARE

Le condizioni di vita delle classi popolari peggiorano sempre di più, questo deterioramento riguarda la salute, l'istruzione, ma anche più semplicemente la possibilità di godere di tempo liberato da dedicare ad uno sport, un hobby, etc. In quest’ottica mutualismo e solidarietà non sono semplicemente un modo per rendere un servizio, ma una forma di organizzazione della resistenza all'attacco dei ricchi e potenti; un metodo per dimostrare nella pratica che è possibile, con poco, ottenere ciò che ci negano (salute, istruzione, sport, cultura); una forma per rispondere, con la solidarietà, lo scambio e la condivisione, al razzismo, alla paura e alla sfiducia che altrimenti rischiano di dilagare. Le reti solidali e di mutualismo sono soprattutto una scuola di autorganizzazione delle masse, attraverso la quale è possibile fare inchiesta sociale, individuare i bisogni reali, elaborare collettivamente soluzioni, organizzare percorsi di lotta, controllare dal basso sprechi di denaro pubblico e corruzione.

Tutti i punti precedenti sono strettamente intrecciati con la questione centrale, la necessità di costruire il potere popolare. Per noi potere al popolo significa restituire alle classi popolari il controllo sulla produzione e sulla distribuzione della ricchezza; significa realizzare la democrazia nel suo senso vero e originario.
Per arrivarci abbiamo bisogno di fare dei passaggi intermedi e, soprattutto, di costruire e sperimentare un metodo: quello che noi – ma non solo noi – abbiamo provato a mettere in campo lo abbiamo chiamato controllo popolare. Il controllo popolare è, per noi, una palestra dove le classi popolari si abituano a esercitare il potere di decidere, autogovernarsi e autodeterminarsi, riprendendo innanzitutto confidenza con le istituzioni e i meccanismi che le governano. Per questo abbiamo chiamato controllo popolare la sorveglianza che abbiamo fatto sulla compravendita di voti alle ultime elezioni amministrative a Napoli, le visite che facciamo ai Centri di Accoglienza Straordinaria, le “apparizioni” all'Ispettorato del Lavoro per reclamare efficienza e certezza del controlli, la battaglia per il diritto alla residenza e all'assistenza sanitaria per i senza fissa dimora, o per il rispetto delle regole, senza abusi, nei dormitori pubblici e nei Consultori Familiari. Ancora, è controllo popolare denunciare e vigilare sui ritardi e gli abusi nei rilasci dei permessi di soggiorno, o sulle scuole dell'obbligo che vincolano la frequenza scolastica al pagamento di una retta. Anche la battaglia contro l'allevamento intensivo di maiali nel Mantovano, quella contro i DASPO a Pisa, o le inchieste sulle Grandi Opere e le battaglie per arrestarne la realizzazione sono controllo popolare.
Costruire il potere popolare, vigilare e prendere parola su tutto ciò che ci riguarda direttamente, rimettere al centro il lavoro (un lavoro degno ed equamente retribuito), mettere in sicurezza il territorio, smantellare il sistema degli appalti e delle esternalizzazioni e impedire l’accesso ai privati in settori cruciali (scuola, smaltimento rifiuti, sanità, accoglienza, etc.), significa ridurre le disuguaglianze, evitare speculazioni e contrastare efficacemente le organizzazioni criminali che avvelenano e distruggono la nostra terra, sottraendo loro bassa manovalanza, reti clientelari e occasioni per fare affari (è anche per questa ragione che sosteniamo la legalizzazione delle droghe leggere).
Per noi, ma per i tanti che sono intervenuti e che l'hanno ricordato, anche con altri nomi, oggi il controllo popolare è il primo passo per stimolare l'attivismo, la partecipazione, l'impegno di tutti, senza distinzioni.
È per questo, insomma, che crediamo e speriamo che il nostro compito non si esaurisca con le elezioni, ma che il lavoro che riusciremo a mettere in campo ci consegni, il giorno dopo le urne, un piccolo ma determinato esercito di sognatori, un gruppo compatto che continui a marciare nella direzione di una società più libera, più giusta, più equa.

Noi ci stiamo, chi accetta la sfida?

***********************FINE******************************

E da dove si comincia? Un guazzabuglio di idee giuste e condivisibili mischiate a cialtronate invereconde. Ne scelgo una, tra le molte, e la analizzo per voi che già sapete. Voglio parlare della proposta (inserita nel capitolo 4. ECONOMIA, FINANZA, REDISTRIBUZIONE DELLA RICCHEZZA) di una patrimoniale.

Non ci fosse quel punto questo capitolo, sebbene scritto in modo discutibile, in fondo potrebbe essere accettabile. Ma quella parolina, patrimoniale, ci dice molte cose, e in particolare a me ne dice una chiarissima: i compagni di Je so' pazzo con la Costituzione non c'entrano un cazzo. Magari sono comunisti (non nel senso di epiteto alla Berlusconi) e allora, ovviamente, nel loro programma c'è, deve esserci per forza, la patrimoniale, ma in tal caso con la Costituzione del 1948 non ci azzeccano niente. Se si è comunisti, con tutto quel che segue, non ci si può rifare alla Costituzione del 1948, che comunista non è!

Perché la Costituzione del 1948 sicuramente non è due cose: non è liberista e non è comunista. Anzi, la Costituzione del 1948 tutela il risparmio e la proprietà privata, conciliando questi obiettivi con l'obbligo dello Stato di rimuovere tutti gli ostacoli che si frappongono alla libertà e all'uguaglianza sostanziale dei cittadini. Qualche richiamo:

Art. 3 comma 3

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 41

L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.

Art. 42

La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.

La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti [cfr. artt. 44, 47 c. 2].

La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d'interesse generale.

La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.

Art. 47

La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito.

Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese.

Dunque, cosa intendono i compagni di Je so' pazzo con "patrimoniale"? Non è forse vero che gli italiani sono già da tempo vittime di una patrimoniale a puntate? Magari vogliamo, noi sovranisti e loro, le stesse cose; magari si sono solo espressi malamente. Però non è cosa, questa, su cui sorvolare alla leggera.

Una patrimoniale è una tassa, che può essere una tantum ovvero distribuita nel tempo e su cespiti di diversa natura. Ora, il senso di una patrimoniale può essere di natura politica (si vuole colpire una classe di possidenti espropriandoli dei loro beni) oppure motivata dalla necessità di ripagare creditori esteri. Quel che è certo è che, in uno Stato che possiede la piena sovranità economica, cioè monetaria, fiscale, di controllo dei fattori di produzione, essa non può avere motivazioni economiche. Perché delle due l'una: o la ricchezza che si va a colpire è in forma tesaurizzata, e in tal caso può essere sostituita senza problemi dall'intervento statale che immette in varie forme liquidità nel sistema, oppure viene spesa in consumi e investimenti, e in tal caso essa torna in circolo, restando allo Stato il solo compito, con una tassazione progressiva, di redistribuire il reddito prodotto.

Qual è allora il senso di inserire, nel caotico e ingenuo documento programmatico proposto dai compagni di Je so' pazzo, la voce "patrimoniale"? Poiché mi rifiuto di pensare che essi vogliano, come Profumo e altri qualche anno fa, risarcire ora e subito i creditori esteri attingendo alla ricchezza della nazione, invece che utilizzare quest'ultima per rilanciare investimenti e consumi interni, devo per forza di cose dedurne che essi siano dei comunisti. Ma allora lo dicano! E smettano di agitare la bandiera della nostra Costituzione, che non è comunista, come non è liberale, ma lavoristica e keynesiana. Nonché una cosa seria, temo attualmente al di là della loro capacità di comprensione.

martedì 21 novembre 2017

I manoscritti non bruciano

Basta un solo atto puro nella vita per non temere la morte.

La demonizzazione del sovranismo

C'è una parola, "sovranismo" che è sotto attacco propagandistico dal giorno della sua introduzione nel linguaggio politico nella primavera del 2012. Coloro che si rifanno a questo concetto, i sovranisti, assistono impotenti alla sua quotidiana delegittimazione, alimentata da un flusso costante, sebbene strisciante, di notizie che accostano il termine a significati apparentemente simili che tuttavia non ne colgono il significato profondo. Ricordate l'espressione TINA (There Is Not Alternative)? Quell'acronimo è l'emblema di una comunicazione politica il cui contenuto informativo è di zero bit, cioè assenza di scelta. Affinché sia possibile operare una scelta è infatti necessario almeno un bit, che sia 0 oppure 1, ma questo nel mondo della comunicazione politica modello TINA è precluso. Nel suo significato più profondo, dunque, "sovranismo" è il bit mancante nell'informazione politica, grazie al quale si può ricostruire il primo indispensabile operatore politico, l'operatore NOT. La sola presenza del NOT fa sì che diventi riconoscibile l'operatore nascosto che, ormai da decenni, è l'unico adoperato, l'operatore NOP, che sta per No-Operation (nessuna operazione).

Tutta la comunicazione politica di sistema agisce al fine di promuovere l'operatore NOP, il sovranismo invece proclama il NOT. Solo la possibilità di negare una tesi, una visione, una proposta politica, ne permette l'affioramento e, dunque il riconoscimento. Il globalismo, cioè l'idea della libera circolazione, della società vista come somma aritmetica di individui ognuno con la sua libertà che dipende solo dal suo capitale finanziario e umano (ricordate la Tatcher: "la società non esiste"), insomma l'ordine internazionale dei mercati posto come dato "naturale", emerge nella sua qualità di scelta politica solo nel momento in cui si impugna l'operatore NOT. Ecco perché la parola sovranismo è entrata nel mirino della propaganda politica dei media liberisti, che hanno ricevuto il compito di distruggerla demonizzandone l'uso.

Un'operazione che viene portata avanti ricorrendo all'unico mezzo possibile, consistente nel riassorbirla nelle pieghe del linguaggio politico unico. Lo stratagemma usato è quello di far sì che essa venga inserita all'interno di narrazioni politiche apparentemente anti liberiste, che del liberismo sono varianti cosmetiche. Ecco allora che il sovranismo viene proposto con significanti limitati, dall'uscire dall'euro - la sovranità monetaria, alla rivendicazione etnica - prima gli italiani, fino al risibile decideranno gli elettori con un referendum. Vediamo i movimenti No-Vax assimilati ai sovranisti (come se non ci fossero i NoVax liberisti, europeisti, atlantisti e chi più ne ha più ne metta), si usa la parola "fascismo" come sinonimo, come pure "populismo", fatto quest'ultimo indubbiamente meno grave, ma altrettanto capzioso.

Ora il punto cruciale da capire per intendere il significato profondo della parola sovranismo, e dunque il suo potenziale eversivo rispetto alla logica TINA, è già stato enunciato, e sono le parole della Tatcher, "la società non esiste". Parole che possono essere intese, in fondo, come un manifesto a posteriori del marginalismo, oppure, per farci capire anche da vegani e new agers, come affermare che "il tutto è la somma delle parti", ovvero che, per spiegarlo, basta studiare e comprendere il comportamento delle singole parti che lo compongono. Ecco, il sovranismo opera su tutto questo con un NOT: non è vero che la società non esiste, la società esiste eccome! Il tutto è più della somma delle parti.

Il che significa che le entità collettive esistono, siano esse le classi sociali, le etnie, le nazioni, i popoli, i sindacati, le associazioni capitaliste, le società segrete, le religioni, i legami di sangue, quelli tribali; insomma tutto quello che era pacificamente ammesso ancora cento anni fa e, da allora, è stato prima messo in discussione, e infine negato e annichilito, per effetto dell'azione politica di un movimento di idee, nato nella seconda metà del XIX secolo, che risponde al nome di marginalismo, con un'operazione NOT analoga a quella che oggi ripropone il sovranismo. Ed è stato annichilito perché, così facendo, il marginalismo ha camuffato la sua tesi da sintesi, elevandola a tale dignità usando in modo spregiudicato gli strumenti della comunicazione pubblicitaria di massa. Dunque un'operazione culturale di grande successo, certamente sofisticata ma anche promossa grazie all'enorme dispiegamento di mezzi messi a disposizione dalla ricchezza finanziaria e dall'impetuoso sviluppo dei mezzi di comunicazione.

Ora questo problema si pone, in Occidente, soprattutto al livello della percezione delle masse europee, in particolare italiane, perché altrove, perfino negli USA, l'idea che c'è un "noi" e un "loro" è ancora presente, e dunque che questa poltiglia che ci viene venduta come modernità, costituita dalla fiaba "dell'allocazione efficiente delle risorse all'interno di un mercato a concorrenza perfetta e cioè all'interno di un mercato in cui vi è un'ottima diffusione di informazioni", posta a fondamento della loro idea di democrazia, è una boiata pazzesca.

L'intuizione sovranista, dunque, consiste nella riscoperta della realtà concreta - oltre la narrazione TINA - che la società esiste e non è formata dalla somma aritmetica di singoli individui, ma è attraversata da confini e confitti di ogni genere, che essa stessa genera continuamente in un processo senza fine in cui il tempo gioca un ruolo fondamentale. Se ieri c'era la classe degli operai, oggi c'è il terziario impoverito; se appena due secoli fa un popolo non esisteva e non aveva coscienza di sé, oggi pretende di difendere la sua identità. E lo stesso - chiamiamolo così - campo sovranista, è attraversato da divisioni, perché ci sono quelli che si definiscono costituzionali e democratici, ma anche i sovranisti nazionalisti; non è un caso se, nel 2012, decidemmo di raccattare da terra questo termine, sovranismo, proprio per distinguerci dai nazionalisti. Ma resta vero che il nemico ideologico comune è il marginalismo, quell'ideologia fatta propria dal grande capitale (quello sì) internazionalista, e usata per dire a tutti i suoi nemici "voi non esistete". E' in questo modo, convincendo tutti del fatto di non esistere, che costoro hanno vinto. Per il momento.

Quanto appena esposto potrebbe essere inteso come uno sdoganamento della possibilità di unire tutti i sovranisti, ma questo sarebbe un errore imperdonabile. Non basta, per unire, il fatto di denunciare l'idea farlocca della fine della storia, così come non basterebbe, in una società per azioni, prendere coscienza che un socio di minoranza ha fatto credere a tutti di avere la maggioranza delle quote e che non ci fosse alternativa al suo dominio, per unire tutti gli altri in un'alleanza durevole. La fine della narrazione TINA, la rinascita della consapevolezza crescente che la società è divisa in classi, che le nazioni e i popoli esistono, segna solo il momento in cui il bluff della minoranza, che era riuscita a porsi come unico soggetto della storia del mondo, è stato scoperto. Dunque siamo sì, oggi, tutti "sovranisti", ma torneremo presto a dirci socialisti, comunisti, popolari, democristiani, repubblicani e, feccia della feccia, perfino liberali.

Dalle parti di questo blog oggi siamo sovranisti, ma domani saremo socialisti.

lunedì 20 novembre 2017

La penetrante richiesta di onestà nella vita politica è l'ideale che canta nell'anima di tutti gli imbecilli (reloaded clip)

Post co-correlatohttp://egodellarete.blogspot.it/2015/06/dicono-i-ricchi-che-uscire-dalleuro.html

Ho una sola cosa da dire a distanza di due anni e mezzo: ma come sono invecchiato! Cribbio, ai tempi ero ancora un giovanottello, oggi sono un vecchietto (vi esìmo dal rassicurarmi, perché di ciò sono superbamente orgoglioso). Non mi preoccupa il mio destino - da tempo aspetto con crescente curiosità il momento del grande balzo in qualche direzione (ammesso che, in campo spirituale, i campi vettoriali siano contemplati) - ma il pensiero di quello che aspetta i miei poveri studenti. Le mmmerde sinistrate non solo hanno dimenticato l'idea di "popolo", sostituendola con quella di "umanità", ma anche quella di "classe", e ora ci vogliono convincere che emigrare è un diritto invece che una disgrazia. Per me, che sono un uomo all'antica, un diritto è quello di andare in pensione o, quando si può, in vacanza come turisti, non emigrare!!!

Nella "vacanza della sinistra" cosmopolita - oops volevo dire internazionalista - si sono inserite le cavallette del terzo millennio. Due anni e mezzo fa feci il mio dovere, ricordando che per il villano 2+2=4.

Ripropongo il video. Alla mia destra, dopo qualche minuto, venne a sedersi una cavalletta del terzo millennio, prendendo il posto di una brava persona. Fermiamoli, anche se il prezzo di questa scelta dovesse essere l'astensione. Meglio astenuti che complici.

 

sabato 18 novembre 2017

Le cavallette del terzo millennio

Per gli idioti del "lavoro scarso a causa della tecnologia"



I grafici sono tratti da qui, dove potete trovare anche una spiegazione aritmetico-eidetica del perché e del perquando usare una scala lineare o una scala logaritmica. Discussione interessante ma della quale, in questa sede, me ne impippolo. Perché il problema che voglio affrontare è quello degli starnazzatori del lavoro che sparirà per colpa dei robot, gentucola che non merita nemmeno uno sputo di compassione.

Vi faccio notare una cosa: dal 1900 al 1977 la produttività è aumentata di sette volte in termini di valori indice non logaritmici, passando da 100 a 700 (aumento del 600%). Dal 1977 al 2010 è passata da 700 a 1600 (aumento del 128%). Certo, il periodo temporale è inferiore (33 anni contro 77) ma credo si possa arguire che, in realtà, il suo tasso di incremento è sostanzialmente costante. A riprova, confrontate il suo valore nel 1900 (pari a 100) con quello del 1955 (400): quadruplicato. Poi confrontate il suo valore nel 1955 (pari a 400) con quello del 2010 (1600): quadruplicato.

La produttività è quadruplicata nei 55 anni dal 1900 al 1955, ma non ha portato alla disoccupazione tecnologica di massa, come pure la quadruplizzazione (se po' di'? boh!) dei successivi 55 anni. Ora possono spiegarmi, gli idioti di Industria 4.0, perché un'ulteriore sua quadruplicazione nei prossimi 55 anni dovrebbe, invece, produrre la disoccupazione tecnologica di massa?

Ah già, non c'è solo il fenomeno di un aumento della produttività, ma anche il fatto che il suo tasso di crescita non sarebbe costante, e starebbe invece aumentando. Ma, oops, se guardiamo il grafico logaritmico questa cosa non si vede affatto: la crescita della produttività segue, mogia mogia, un andamento lineare. Cosa questo significhi, per gli inesperti, lo potete trovare nel post di Illo. Io queste cose le insegno a scuola e non ho voglia di annoiarmi ripetendole sul mio blog. In breve: il tasso di crescita della produttività è sostanzialmente costante da almeno 110 anni, compresi gli ultimi 30, che poi sarebbero quelli della rivoluzzzione digggitale.

Ora, siccome gli spin doctors della comunicazzzione mainstream sanno (oppure, se non lo sanno, c'è chi pensa per loro) che questa bufala dell'aumento incontrollato a tasso crescente della produttività non potrà essere sostenuta a lungo, ecco che altri, sottobanco, stanno già lavorando alla bufala complementare: la crescita demografica. Ekkekazzo, se tutti consumassero come i "fortunati" abitanti del mondo sviluppato, ci vorrebbero 44 terre! Sono i neo malthusiani.

E allora vai con le trasmissioni sul mare di plastica, vai con le immagini dell'aria inquinata di Pechino, vai con l'effetto serra, vai con i documentari a velocità accelerata del traffico di containers... e infatti:


E' il Baltic Dry Index, il più noto indice sul traffico marittimo mondiale. Oggi, che c'è la ripreeeeesa mondiale, siamo a un terzo dei valori di 7 anni fa.

Ma poi, scusate, per quale maledetta ragione una quadruplicazione della produttività (ma anche di più, se volete) nei prossimi 55 anni dovrebbe avere, come esito inevitabile, una quadruplicazione (o più) sia della produzione che dell'inquinamento? Non si potrebbero quadruplicare, che so, i diritti dei lavoratori? Ma stanno forse aumentando i diritti, e i salari, dei lavoratori mentre la produttività aumenta? Non mi sembra. Certo, se guardiamo ai dati mondiali la produzione aumenta, e ovviamente anche l'inquinamento, ma la produzione di cosa? Per chi? Non è che, per caso, siamo davanti al fatto che si produce sì di più, ma per una frazione sempre minoritaria della popolazione mondiale, mentre alla maggioranza si devolvono salari sempre più bassi e gli si scarica addosso anche l'inquinamento?

La soluzione al problema? Ce lo dicono i grillini, queste cavallette del terzo millennio che propongono il reddito di cittadinanza. Il quale, ve lo dico fuori dai denti, altro non è che il reddito di sussistenza necessario ad assicurare la riproduzione dell'esercito di riserva dei consumatori, necessario per ora, ma non si sa per quanto, per sostenere le economie di scala che rendono conveniente la robotizzazione di Industria 4.0.

Vi chiederete se non stia impazzendo, se non stia diventando un complottista anch'io. No, non sono un complottista, ma solo una persona sufficientemente empatica da riuscire a cogliere il grido di dolore delle classi dominanti, che è sempre lo stesso dalla notte dei tempi:

Signora mia, non c'è più la servitù di una volta!

Come rimanere insensibili? Cosa credono i cafoni, che le nanotecnologie siano state sviluppate per il loro benessere? Pare (manca purtroppo la prova video) che Jaques Attali (uno dei padri nobili dell'euro - daje a ride) abbia affermato una volta: “Ma cosa crede, la plebaglia europea: che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità?”. Non v'è certezza che l'abbia detto, ma che abbia affermato che:
  1. Il primo keynesiano è stato Mussolini, il secondo Hitler, Roosevelt solo il terzo
  2. Serve un nuovo ordine mondiale
  3. L'Africa non ha una crisi perché non ha un sistema finanziario
  4. O abbiamo un governo mondiale, o avremo una Somalia planetaria
  5. Il "mercato" non funziona senza lo Stato, perché senza lo Stato la proprietà privata non è difesa (quindi serve uno Stato mondiale? n.d.r.)
ebbene, di questo c'è la prova!


Era il 2009, e questa è la gente che ha creato e governa l'UE. E quindi, per uscirne, serve il reddito di cittadinanza proposto dalle cavallette del terzo millennio, quelle che ci dicono che il problema è la casta, la cricca, la corruzione. Ma io, l'avrete capito, sono solo un gombloddisda di Gasdro dei Volsgi. Quindi non datemi retta e votate per le cavallette del terzo millennio.

giovedì 16 novembre 2017

Il sovranismo è amor patrio, non un calesse (e CPI non è sovranista)

Ha suscitato un putiferio, nel mondo dei sovranisti, il post di Marco Mori "Alla fine il prossimo anno solo Casa Pound avrà un programma decente".

«Alla fine il prossimo anno solo Casa Pound avrà un programma decente. Un programma così con un partito di estrema destra purtroppo è l'ennesima vittoria del regime. Faranno un buon risultato nel 2018 e cresceranno in futuro ma non potranno vincere. Forse li voterò. Chiunque purché fuori da euro ed UE e la destra sociale merita certamente più rispetto di quella liberale rappresentata dall'accozzaglia Lega, FdI, FI.Ma ovviamente quello che serviva era un nuovo partito che mettesse al centro la Costituzione del 48 in cui tutti i no euro dovevano confluire. Invece si sono venduti quasi tutti ai partiti storici che mai nulla cambieranno...
La storia si sta ripetendo?»

Moreno Pasquinelli ha dedicato all'improvvida esternazione un post dal titolo "MARCO MORI", stigmatizzandone la presa di posizione ma, purtroppo, anche affermando: «Aver fallito la prova elettorale ci dice che un ciclo si è chiuso, che il "campo sovranista" chiuderà i battenti. Staremo a vedere cosa esso avrà davvero concimato.»

A Moreno ho risposto con un commento icastico: "Prendo atto che per Moreno Pasquinelli il sovranismo è un calesse."

Credo che, oltre alla frustrazione per le oggettive difficoltà della battaglia sovranista, sia nel caso di Mori che di Pasquinelli giochi una non chiara comprensione del significato del termine "sovranismo". Attenzione, non sto dicendo che Mori e Pasquinelli abbiano le idee confuse, più semplicemente affermo che non hanno ben focalizzato le implicazioni del dichiararsi sovranisti. Nel caso di Mori perché prende in considerazione l'ipotesi che CasaPound possa essere definita, sia pur lontanamente, una forza politica sovranista, in quello di Moreno perché, per la sua storia personale e per tutto quello che ha sostenuto negli ultimi dieci anni almeno, dire che "il sovranismo ha chiuso i battenti" equivale a dire "cari compagni vado in pensione", cosa alla quale non credo assolutamente. Di questa seconda questione, tuttavia, preferisco per il momento confrontarmi direttamente con Pasquinelli, per cui nel seguito di questo post esporrò le mie osservazioni critiche a Marco Mori. Il quale, se ha scritto quell'intervento su FB, evidentemente immagina che CasaPound possa essere in qualche modo degna di far parte del campo sovranista. Le cose non stanno così.

CasaPound è una formazione politica abusivamente sovranista


Per una forza politica far parte del campo sovranista implica superare il vaglio di 3+1 criteri di filtro:
  1. Porre al centro dell'azione politica la difesa dell'interesse nazionale.
  2. Far proprio, senza infingimenti di alcun genere, il principio democratico sostanziale e costituzionale dell'agibilità politica alla pari per tutte le forze politiche e sociali della nazione; anche quando si avesse, per assurdo, una maggioranza del 99%.
  3. Non essere imperialista. Attenzione, non ho detto "essere anti imperialista", ho detto "non essere imperialista", che è cosa leggermente diversa.
Quanto al criterio +1, esso è il seguente: non essere una forza politica controllata da poteri esterni alla nazione.

Ora esaminiamo, alla luce dei precedenti criteri di filtro, la linea di CasaPound. Escludiamo subito il criterio +1, importantissimo ma del quale non possiamo ancora decidere per mancanza di elementi di valutazione. D'altra parte, non è neanche intelligente alimentare una cultura del sospetto: un domani si potrebbe insinuare che anche la CLN è una formazione politica eterodiretta, magari perché si è svolto un convegno al quale è stato invitato un collaboratore di Melenchon, o di Putin. Dunque considererò CasaPound una formazione politica genuinamente espressione di una parte della società italiana, salvo diversa valutazione ove e quando emergessero indizi e/o prove ben più sostanziose della partecipazione a un convegno di Tizio o Caio. Mi limito, per l'occasione, a ricordare un mio profondo convincimento: se c'è in Italia un movimento eterodiretto, questo è il M5S. Perdonatemi, ma la vedo così.

Dobbiamo anche liberarci dal pregiudizio di pensare che CasaPound dichiari il falso, ovvero che persegua scopi nascosti e diversi, se non opposti, a quelli espliciti. Non perché tale sospetto non sia lecito, io per esempio ce l'ho, ma in politica dobbiamo stare alle enunciazioni formali. CasaPound dichiara di perseguire l'interesse nazionale, è vero o no? Credo che in merito non ci siano dubbi: CasaPound dichiara di perseguire l'interesse nazionale. Dunque CasaPound, almeno sul piano delle enunciazioni formali - quelle che voglio limitarmi ad esaminare - supera il primo criterio. E vai!

Passiamo al secondo criterio: CasaPound è democratica? Loro dicono di sì, ma..................... ........................ ............................. ........................... dicono anche di essere fascisti, sia pur limitatamente fino al fascismo del 1938. E questa è una contraddizione bella grossa, perché nel 1938 il fascismo aveva fatto strame, e da un bel po', della pur limitata democrazia liberale!

Il terzo criterio: non essere imperialisti. Ma nel 1938 esisteva già l'Impero d'Italia, voluto dal fascismo.

In conclusione, pur stando alle sole dichiarazioni ufficiali, CasaPound fallisce con assoluta certezza 2/3 dei criteri di base necessari e indispensabili per essere considerata una formazione politica sovranista; sul criterio +1 la situazione essendo, al momento, ancora indecidibile (mentre lo è, repetita iuvant, per il M5S)!

Caro Marco Mori, pensi ancora di poter mai votare per CasaPound anche se non ci fosse alle prossime elezioni nemmeno una, dicasi una, lista veramente e legittimamente sovranista? Non vorrei importunarti, ma una tua risposta mi farebbe veramente piacere. Te ne suggerisco una: è stato un momento di frustrazione. E mi starebbe bene perché anch'io, certe volte, sbrocco.

Le uniche e sole formazioni sovraniste che io conosco sono oggi il Fronte Sovranista Italiano e la CLN, di cui faccio parte. Tutto il resto è ancora in formazione oppure, vedi CasaPound, non ha nulla di nulla di nulla a che vedere con il sovranismo.

Così è deciso e stabilito, la seduta è tolta.

Leuropa è una dittatura (Marco Rizzo 23 ottobre 2011)

martedì 14 novembre 2017

La dissonanza cognitiva dei sinistrati

Credo si faccia qualche confusione tra i concetti di sovranità interna e sovranità esterna, quest'ultima altrimenti detta indipendenza. La sovranità interna ha a che fare con la libertà di una nazione di determinare la distribuzione del reddito senza subire condizionamenti esterni, dunque solo in base agli equilibri politici interni, siano essi stabiliti democraticamente o meno. Nel secondo caso, ovviamente, non si può parlare di "sovranità popolare", ma solo di "sovranità nazionale", ovvero vi è una classe di cittadini che possiede il diritto incontrastato, o almeno predominante, di orientare la distribuzione del reddito, e quindi l'accumulo di ricchezza.

La sovranità esterna, ovvero l'indipendenza nazionale, è un concetto che si applica ai rapporti internazionali, e consiste nella libertà di una nazione di condurre una propria politica estera al riparo da condizionamenti e/o ricatti basati sulla forza da parte di altre nazioni. Non v'è dubbio alcuno, io credo, che l'Italia abbia perso la sua indipendenza nazionale con la seconda guerra mondiale, o quanto meno ha perso quel poco che aveva.

Dopo la seconda guerra mondiale per un trentennio l'Italia, seppur priva di indipendenza nazionale, ha tuttavia goduto appieno di una forma di sovranità interna che, per un periodo, era sembrata sul punto di trasformarsi in una vera sovranità popolare. In quel periodo vennero recuperati, sia pure con incidenti di percorso - ad esempio l'assassinio di Mattei - anche spazi di indipendenza nazionale. La svolta ci fu nel 1975 in occasione del vertice di Rambouillet in cui il nostro paese, per la prima volta, venne invitato a un G5 (Stati Uniti,  Regno Unito, Francia, Germania, Giappone e Italia). La linea di Stati Uniti e Regno Unito, che promuovevano una strategia trilaterale mirante a coordinare le politiche delle aree industrializzate (USA, Europa e Giappone) fu solo in parte accolta, per la nascita di una nuova ambizione politica consistente nell'unificazione politica europea, sostenuta principalmente da Francia e Germania. Da lì a breve, dopo l'assassinio di Aldo Moro, venne posta la prima pietra del processo che avrebbe privato il nostro paese anche della sovranità interna, consegnandola all'asse franco-tedesco: l'adesione allo SME nel 1979.

Seguirono, in rapida successione, il divorzio Tesoro Banca d'Italia, la marcia dei quarantamila preludio alla sottomissione dei sindacati, lo smantellamento della scala mobile, l'abbandono della legge bancaria in vigore dal 1936, il trattato di Maastricht, Tangentopoli, la seconda repubblica, l'aggancio della parità col paniere europeo delle monete nel 1996, la fondazione della BCE il 1 gennaio 1998, l'adozione dell'euro come moneta scritturale nel 1999 e la sua definitiva circolazione a partire dal 1 gennaio 2002.

La situazione è oggi la seguente: la nostra agenda di politica estera è dettata dall'ambasciata USA, la distribuzione del reddito interno obbedisce alle direttive di Bruxelles.

Questo stato delle cose è ignoto alla gran massa della popolazione; al bar di Castro dei Volsci, per fare un esempio, i più "rivoltosi" sperano nel m5s. Ed io, ormai abbastanza scoraggiato, mi astraggo dalle deliranti discussioni cui mi tocca di assistere.

La domanda che dobbiamo porci è se sia possibile recuperare entrambe le sovranità, quella interna e quella esterna, e in quale ordine. Alla prima parte della domanda risponderò fra trent'anni, alla seconda ora. Ma credo che la risposta sia già dentro di voi, e sia quella giusta: prima occorre recuperare la sovranità interna, poi quella esterna. Si esclude, naturalmente, lo scenario nel quale una potenza straniera, sconfiggendo l'ennesimo tentativo delle élites europee di recuperare la potenza perduta, ci restituisca graziosamente almeno la sovranità interna. Nel 1945 furono gli Stati Uniti, oggi il ventaglio delle possibilità comprende anche la Russia e la Cina.

Tuttavia, se il percorso che si immagina è di natura endogena, cioè patriottico, allora credo non possano esservi dubbi sul fatto che il recupero della sovranità interna è propedeutico, in modo vincolante, alla successiva eventuale riconquista dell'indipendenza nazionale. In sintesi, prima si esce dall'euro, poi dall'UE, infine dalla NATO. Chi sostiene l'idea che il problema principale sia la NATO, in subordine l'UE, e addirittura nega la rilevanza dell'euro compie, a mio avviso, un grave errore di analisi. Oppure è al servizio del Re di Prussia. L'indipendenza nazionale, infatti, è un obiettivo che può essere perseguito solo da un paese ricco e prospero che non deve subire il saccheggio permanente da parte di altri Stati, il che ci permette di enunciare il seguente principio: condizione necessaria, ma non sufficiente, per il recupero della sovranità esterna è la riconquista della sovranità interna.

Eppure ci sono forze politiche, ahimè sedicenti di sinistra che io preferisco chiamare "i sinistrati", le quali negano la rilevanza della moneta unica, mentre continuano ad atteggiarsi come forze anti sistema dietro la cortina di fumo di slogan contro la NATO e l'UE. I quali, alludendo ad  obiettivi rispettivamente militari e politici, non possono che restare lettera morta, stante la condizione di debolezza economica e di privazione di ogni strumento di politica monetaria e fiscale dello Stato italiano. Come è possibile farsi una ragione di tali posizioni, chiaramente contrarie al minimo buon senso? Ebbene io credo che, fatto salvo il dubbio che queste forze siano in parte infiltrate e condizionate da agenti esterni, sia USA che Leuropei, nei casi di buona fede - sicuramente la maggioranza - entrino in gioco considerazioni di mera sopravvivenza e di viltà politica. Quando il prezzo da pagare per proporre un percorso razionale, e funzionale agli obiettivi dichiarati di difesa del mondo del lavoro, consiste nella perdita di ogni spazio di agibilità politica, cosa che accade da anni ai veri sovranisti, allora la tentazione di preservarli aguzza la mente spingendola verso forme di dissonanza cognitiva. Insomma, chi si scaglia contro la NATO e l'UE, ma dimentica l'euro, non c'è ma ci fa!

Un'immagine epitome di una sconfitta storica

Da FB: «Oggi direttivo di Risorgimento Socialista, riunione molto animata e partecipata, si è ribadito il legame con una sinistra non compromissoria che contesta non tanto una moneta, ma un sistema finanziario fondato su regole capestro che si traducono, di fatto, in oligarchia e sfruttamento dei popoli europei. Tale sistema conserva il suo braccio armato nella NATO che assume oggi un ruolo imperialista e di spauracchio verso chiunque contesti o si metta contro le politiche neoliberiste.
La riunione arriva dopo lo straordinario successo della manifestazione di ieri, purtroppo silenziata dai media nazionali, e anche dopo che Risorgimento Socialista ha avuto la sua platea dal palco principale.
Si sta affermando un soggetto politico socialista aggregante verso una Sinistra non solo di nome, ma anche nei fatti delle mobilitazioni e delle manifestazioni a favore di coloro che da tale assetto geofinanziario sono penalizzati in tutta Europa.»


Questo non è un post contro Risorgimento Socialista, però questa immagine è l'epitome di una sconfitta storica. Quando, essendo nell'euro, si ha la sfrontatezza di affermare che "si è ribadito il legame con una sinistra non compromissoria che contesta non tanto una moneta, ma un sistema finanziario fondato su regole capestro" allora vuol dire che si sta menando il can per l'aia. E allora, che il buon Bartolomei si ritrovi a sventolare la sua bandiera avendo alle spalle una decina di militanti, ciò non deve sorprendere. Di grazia, l'euro non è forse una regola capestro? Anzi, la più importante delle regole capestro che ci sono imposte?

La tecnica è quella solita: si indica un obiettivo sacrosanto quanto irraggiungibile (uscire dalla NATO) invece che uno a portata di mano (uscire dall'euro) con il duplice scopo di accreditarsi come forza anti sistema senza però agire concretamente per scardinarlo. Gli elettori queste cose, prima ancora di capirle, le sentono.

lunedì 13 novembre 2017

Cromosoma Y

Da wikipedia: «Il cromosoma Y è uno dei due cromosomi umani determinanti il sesso (l'altro cromosoma sessuale è il cromosoma X). I cromosomi sessuali sono una delle 23 coppie di cromosomi omologhi umani. Ci si riferisce a X e Y come cromosomi sessuali o eterosomi, per distinguerli dagli altri 44, definiti autosomi, che sono presenti sia negli individui di sesso maschile che in quelli di sesso femminile. Numerose altre specie viventi (in particolare i Mammiferi) presentano un sistema di cromosomi sessuali del tutto simile.»

Non ho mai fatto un test genetico ma suppongo di essere dotato di un cromosoma Y. Se domani mi alzassi dal letto "sentendomi donna", questo non inficerebbe il fatto che sono dotato di un cromosoma Y. Dunque sono maschio. Preferisco le more, ma non disdegno affatto le bionde e le rosse. Presumo che ciò dipenda dal mio cromosoma Y, anche se alcuni pensano che invece dipenda dal condizionamento culturale. Sia come sia, è indubbio che ho un cromosoma Y, dunque sono un maschio. Sono naturalmente glabro, ma questa caratteristica non dipende dal cromosoma Y, che è sempre lì a fare il suo dovere. In gioventù ho avuto uno stile di vita alquanto libertino, cosa normale in quei tempi di presunta repressione sessuale; oggi possibile, nella realtà effettiva, solo a una minoranza di giovini e giovine che se ne sbattono i cabasisi (della serie "so' cazzi mia") ma preclusa alle legioni di individui/individue tanto liberati/liberate quanto frequentatori/frequentatrici di siti porno.

Ho "molestato" e sono stato "molestato". Tirannizzato dal mio cromosoma Y ho "molestato" solo donne: belle e bruttine, giovani e meno giovani, poverelle e impaccate di soldi. Ma, essendo uno sfitinzio avventuroso, sono stato spesso "molestato": da uomini e donne, belli/e e brutti/e, porelli/e e impaccati/e di soldi. Talvolta ho acconsentito per reciprocità, tal altra perché spinto dall'empatia verso i/le desideranti-sognanti. Non ho mai pensato che il desiderio, quale ne fosse la motivazione, sia una cosa di cui vergognarsi, né il mio né l'altrui. Ho detto di no solo quando provavo repulsione - a causa del mio cromosoma Y quasi sempre per i maschi - ma vi assicuro che è stato sempre con dolore e vergogna interiore per non essere stato capace di assecondare il/la desiderante e/o sognante del momento. Se c'è una cosa che mi ha sempre angosciato, ebbene questo è stato il dover dire di no.

Dunque "molestie", praticate e subite. Le modalità (attive), per chi ha qualche annetto e non ha dovuto subire la castrazione culturale del politically correct, sono ben note: mano sul ginocchio, ammorzamento a parete, toccamenti dei lobi, cazzate in libertà profferite verbalmente, piedino sotto il tavolo, segnali slinguazzanti, proposte indecenti... insomma tutte le porcherie dell'armamentario di qualsiasi seduttore, ricco o squattrinato, dalla notte della notte dei tempi. E sempre per colpa di questo cromosoma Y che, ogni tanto spesso, si ingrifava non si sa bene perché. O forse sì? Parliamone.

Com'è che nessuna, dico nessuna, si è mai lamentata? Eppure ne ho "molestate", oh se ne ho "molestate"! E mica con domande in carta bollata! Il punto è che il cromosoma Y è reattivo, cioè si agita quando coglie segnali di desiderio. Dunque, io non ho mai "molestato" una che non volesse essere "molestata". Eppure, ve lo devo dire, col passare del tempo, e soprattutto spostandomi, nel corso della vita, dalla sana campagna, ove nacqui e morirò sereno, verso la città, cominciai a notare qualcosa di strano.

Sapete, quello che mi piace delle "campagnole" (quando ancora esistevano) era una cosa molto semplice: se ti volevano te lo facevano capire, altrimenti ciccia. Me ne ricordo una... vabbè lasciamo stare. Comunque non ti potevi sbagliare. Invece, spostandomi verso la città, e col passare degli anni, ho cominciato a notare una cosa strana assai: te lo facevano credere ma non era vero. Il cromosoma Y, che come detto è reattivo, si trovava così in condizione di dissonanza cognitiva, ma siccome sono dotato di un certo sentimento empatico ben presto compresi che quello che, al paesello, era un chiaro invito, con le sfitinzie di città non valeva più. E allora è cominciato un vero e proprio duello con il sesso femminile (si può dire?), in cui per vincere (cioè per non passare da "molestatore") ero costretto a dilazionare portandole allo sfinimento. Mi hanno aiutato, lo riconosco, gli insegnamenti della nonna e del nonno, i quali mai si stancavano di ripetermi che il vero sesso lubrico a tutto tondo è quello col cromosoma X. Devo anche ammettere che la cosa non mi dispiaceva, anzi. Procastinare il momento clou è così diventato, per me e per molti anni, il sommo piacere, ben sapendo che le sfitinzie "soffrivano" più di me. Anzi, addirittura si inventavano romanzi inesistenti, mentre io, che ho il cromosoma Y, sapevo bene quel poco che volevo. Punto.

Mai goduto tanto, mentalmente, come il giorno in cui una tipa che se la tirava a morte mi disse, dopo mesi che facevo l'indifferente davanti alle sue minigonne, tacchi a spillo e calzoni aderenti, "sai, pensavo non ti piacessi". Ma li mortacci sua!

Però il politically correct recita che il cromosoma X ha il diritto, ma proprio il diritto, di lanciare tutti i segnali che vuole e che, se il cromosoma Y capisce male, è colpa sua. Il tutto sulla base del fatto che, siccome siamo tutti uguali (X=Y) allora tu, cromosoma Y, se proprio vuoi scendere in campo devi fare altrettanto, non proprio mettendoti la minigonna, i tacchi a spillo, i calzoni aderenti, ma almeno facendoti i tatuaggi, sprofumandoti, depilandoti, essendo alla moda. Trappola perfetta. Ed ecco i maschietti di oggi che sembrano tutti usciti da un fumetto dark: tatuati, depilati, sprofumati, alla moda.

Già, ma chi è il desiderante e chi il desiderato? Ah bè, non è facile da capire, dipende. Quel che è certo è che nessuna delle signorine che oggi incolpano i cromosomi Y di averle molestate tanti anni fa se la prende con un cameriere, un manovale, un impiegato del catasto. Ma come, erano solo registi  produttori e cantanti quelli che travisavano le loro caste intenzioni? Mi viene in mente un'attrice americana che, alla domanda se avrebbe mai sposato uno spiantato, rispose: "certo che sì, ma io frequento solo milionari".

La questione è che, se passa l'idea che il sesso non esiste (X=Y) allora ogni comportamento è determinato dal contesto sociale, il che implica la fine del gioco desiderante/desiderato. Ci dicono, infatti, che "anche le donne hanno i loro desideri", ma anche questa è una novità. Una volta erano i cromosomi Y ad avere "desideri", mentre i cromosomi X avevano "sogni". Non so, ma francamente devo dirvi che io, ormai giunto alla tenera età di 62 anni, di "sogni" in questo campo ne ho avuto ben pochi, mentre di "desideri" tanti. Deve essere colpa di quel maledetto cromosoma Y che mi ha segnato la vita! Se fosse vero che "anche le donne hanno i loro desideri" allora dovrei concludere che sono stato un fesso a perdere tanto tempo con loro. Che sciocco sono stato! Io che credevo di essere il desiderante, quando invece lo erano loro! Quindi, i "romanzi" me li sarei dovuti inventare io...

Non ci ho capito niente, dovrei ammetterlo. Ma, se "anche le donne hanno i loro desideri", allora è anche vero che sono stato sessualmente molestato. Dunque non era me che volevano, ma il mio corpo, solo il mio corpo, esattamente come capita a noi vili cromosomi Y quando desideriamo il corpo femminile. Perché io, ve lo devo confessare, ancora oggi, quando guardo una donna, non faccio caso ai vestiti, alle scarpe, alla posizione sociale, ma alle misure, alla forma degli occhi e della bocca, ai lobi delle orecchie e alle mani, e se per avere questo devo mettere in gioco la mia persona, la mia posizione sociale, il mio (relativo) potere, non me ne frega un cazzo, perché sono un cromosoma Y.

sabato 11 novembre 2017

Sul debito pubblico [pillola n°1]


Se i piddini fossero persone serie dovrebbero riconoscere che il Berlusconi del 1998 diceva, sull'euro e l'UE, cose sacrosante e corrette. Ma, non essendo io affetto da coprofilia, non insisto ad occuparmi di costoro. La SStoria (non la Ftoria) si occuperà di loro.

Ciò detto e premesso, oggi parliamo di debito pubblico. Un'espressione quanto mai assolutamente  incompresa dalla gran massa dei cittadini. Ebbene, da dove viene fuori il debito pubblico? Provate a chiederlo in un bar, e la risposta inevitabile sarà: dai soldi che lo Stato ha chiesto in prestito ai cittadini. Una risposta corretta ma incompleta e, soprattutto, non ben intesa.

Provate a immaginare l'Italia all'inizio degli anni sessanta, all'inizio del boom economico. Ovviamente la liquidità presente nel sistema era molto inferiore ad oggi, anche al netto dell'inflazione. E' ovvio! Non c'erano tutte le infrastrutture che sarebbero state realizzate, le città, i palazzi, tutto doveva essere ancora costruito. Vi ricordo che la guerra era finita da soli 15 anni. Nessuno troverà strano, io credo, che vent'anni dopo la liquidità del sistema fosse ben maggiore. Domanda: da dove era stata estratta la nuova liquidità? In Italia cresce l'albero dei soldi? Ci sono giacimenti di banconote? I nuovi soldi ce li ha messi la mafia? Vabbè, questa non dovevo dirla perché qualche piddiota potrebbe attaccarcisi e sostenere che sì, la mafia ha portato i soldi mancanti e quindi che è stato giusto e buono combatterla, perché è meglio essere onesti con le pezze al culo che ricchi con i soldi zozzi. Ma lasciamo questi imbecilli ai loro deliri, è gente che si attaccherebbe a tutto pur di non ammettere di essere coglioni. PD delendum est e basta.

I nuovi soldi, rappresentativi della nuova ricchezza prodotta in Italia nel boom economico, sono stati chiesti in prestito, in parte, dal Tesoro alla Banca d'Italia. Vale a dire stampati dalla Banca d'Italia su direttiva del ministero del Tesoro. E la restante parte? Sono stati "riciclati" dal risparmio degli italiani, cioè chiesti in prestito alle famiglie e alle imprese che avevano interesse a trasferirlo al futuro senza rischi, essendoci lo Stato a garanzia della restituzione. Ovviamente questo servizio, perché di questo si trattava, non prevedeva tassi di interesse, per i depositanti, superiori al tasso di inflazione, anzi in genere erano minori. In sostanza, chi desiderava investire i propri risparmi in modo sicuro sottoscriveva buoni del Tesoro, accettando una piccola perdita in cambio di un basso rischio, mentre chi voleva di più era comunque libero di investire in borsa, dove poteva guadagnare molto di più ma anche perdere tutto.

Il debito pubblico del primo tipo (i soldi stampati dalla Banca d'Italia su ordine del Tesoro) è detto "figurativo", il secondo, sottoscritto da famiglie e imprese, "effettivo". Va da sé che il debito pubblico figurativo non deve essere restituito, quello effettivo sì, sempre che ne venga richiesta la restituzione. Ma non è forse così che vanno le cose anche con le banche? Riflettete: quando depositate soldi in banca, chi è il creditore e chi il debitore? Non è forse vero che le banche devono restituirvi i soldi quando li volete indietro? Dunque lo Stato opera, sul mercato del credito, in modo analogo alle banche, costituendosi così come un competitore nella raccolta del risparmio. Una cosa che non rende propriamente felici i grandi gruppi privati della finanza!

Il regime testé descritto ha retto benissimo fino al 1981, quando il rapporto debito/Pil italiano era al 59%. Poi ci fu il divorzio Tesoro Banca d'Italia, ratificatori Andreatta e Ciampi, e nel giro di 11 anni questo salì al 123%. Ma, ancora una volta, giova ricordare che il debito pubblico era, in parte, figurativo, e in parte effettivo, cioè costituito da crediti di famiglie e imprese allo Stato, dunque ricchezza sottratta al sistema bancario predatore, in favore dello Stato.

Come forse ricorderete, negli anni 80 in Italia si moriva di fame, e a Milano la gente si era ridotta a bere campari! Oh yeah!

In definitiva, il debito pubblico effettivo (di quello figurativo è inutile parlare) altro non è che credito di famiglie e imprese allo Stato. Cioè ricchezza privata. E dovrebbe essere chiaro che la prima delle molte ragioni per cui è messo sotto accusa dai piddioti servi della finanza è il fatto che lo Stato è un temibile concorrente sul mercato del credito, e dunque gli si deve fare la guerra.

Per oggi può bastare. Io scrivo per chi non sa nulla di queste cose, e da buon prof so bene che troppi concetti nuovi non possono essere assimilati tutti insieme. Ne riparleremo con la pillola n°2, tra qualche giorno.


mercoledì 8 novembre 2017

La zoccola dura della Leuropa

Le classi dirigenti euriste italiane, che non sono i politici che vediamo in televisione, sanno che la posta in gioco, per esse, è entrare a far parte della zoccola dura della Leuropa. Fallire in tal senso equivale, per loro, a fare la stessa fine dei lavoratori italiani, siano essi i salariati, le partite iva, i ceti professionali o le PMI. Il problema che il grande capitale italiano eurista deve affrontare e cercare di risolvere è contraddittorio, e consiste nel salvare i suoi assets finanziari spingendo, al contempo, il paese ad una situazione di surplus strutturale della bilancia commerciale. Per fare questo, con una moneta che non controlla e sopravvalutata del 20%, sta usando, con ferocia, due armi: la leva fiscale e l'immigrazione, entrambe con il fine di abbattere il costo del lavoro, che è l'unica variabile sulla quale si può agire in assenza di sovranità monetaria e in regime di libera circolazione.

L'immigrazione è uno strumento di medio-lungo periodo, il cui compito è quello di stabilizzare i risultati conseguiti agendo sulla leva fiscale. Quest'ultima ha il vantaggio di essere uno strumento di rapida attuazione ed efficacia, come ha ampiamente dimostrato il governo Monti.  Per "leva fiscale" si intendono non solo gli inasprimenti delle imposte, che sono pesanti ancorché non del tutto percepiti (illusione finanziaria) ma soprattutto i tagli al welfare e alle pensioni. Il problema è che, così agendo, si distrugge la domanda interna, il che manda in sofferenza le banche e mette a rischio gli assets finanziari. Avendo il grande capitale italiano accettato, molto probabilmente subìto, le regole del bail-in, ovvero il meccanismo che scarica sugli obbligazionisti e sui depositanti il rischio di insolvenza delle banche, pur comprensivo della norma che limita all'8% la perdita per gli azionisti delle stesse, il sentiero che può percorrere è quanto mai stretto e difficoltoso.

Da una parte si intensificano le richieste di flessibilità nei confronti dell'asse franco-tedesco, che tuttavia si scontrano con la tetragona resistenza di questi ultimi ad ogni ipotesi di allentamento dei vincoli dei trattati leuropei, dall'altra ci si deve preparare a gestire politicamente i problemi di uno o più fallimenti bancari, conseguenza dell'esplosione dei NPL (Non Performing Loans - crediti in sofferenza). Seppur protetti dalla clausola dell'8%, che salvaguarderebbe in parte la ricchezza finanziaria, ad ogni fallimento seguirebbe l'acquisizione di fette del mercato del credito italiano da parte delle banche del centro, con il risultato, per il grande capitale italiano, di trovarsi sì ancora ricco, ma privato delle industrie finanziarie necessarie alla riproduzione di tale ricchezza. Ovviamente anche gli assets industriali, che €sso controlla tramite le banche, finirebbero in breve nelle mani dei più agguerriti concorrenti tedeschi e francesi. Che è quello che abbiamo già visto accadere negli anni passati, ma rischia di ripetersi su scala maggiore.

In sintesi, il problema è quello di guadagnare tempo per condurre a termine la deflazione salariale senza perdere il controllo politico del paese. Ma, nel fare ciò, il grande capitale italiano si trova nell'infelice posizione di dover chiedere aiuto a chi ha tutto l'interesse affinché questo tempo non sia concesso.

Mentre infuria la guerra civile leuropea, altri attori agiscono sulla scena. Gli inglesi, e ancor più gli americani, hanno sull'italia un interesse che è prioritariamente di natura geopolitica. Se alla Germania interessa la stabilità monetaria, essendo troppo debole militarmente per agire come protagonista in politica estera, l'ossessione degli USA è la stabilità politica del nostro paese, che deve essere conservata ad ogni costo. Ci sono in gioco le 85 basi militari sul nostro territorio che non si toccano. Che dico, non si toccano! Si rifletta su un fatto: la brexit non ha avuto effetti sull'economia inglese, che manteneva il controllo sulla sua moneta, ma ha letteralmente fatto saltare ogni vincolo di coordinamento in politica estera tra l'Inghilterra e la Leuropa. «Fuck The EU» si asciò scappare la vicesegretaria di Stato americano, Victoria Nuland, a colloquio con l’ambasciatore Usa in Ucraina, Geoffrey Pyatt. Vi pare che un'esponente dell'amministrazione americana possa dire, sia pure per interposta Leuropa, Fuck the England?

I contrastanti interessi testé descritti, quello dell'asse franco-tedesco a cannibalizzare gli assets finanziari e industriali italiani, e quello (anglo) americano teso ad assicurare la stabilità politica del nostro paese in funzione geopolitica, quale che sia il prezzo da pagare per l'Italia sull'altare del folle progetto unionista - si pensi alla Grecia - trovano rappresentanza negli schieramenti politici nostrani delimitando due campi che chiameremo "il partito tedesco" e "il partito americano". Tutta la classe politica italiana, comprese alcune piccole organizzazioni dell'estrema destra e dell'estrema sinistra prive di rappresentanti eletti, è schierata con l'uno o con l'altro partito estero. Non c'è, né può esserci rebus sic stantibus, alcun "partito italiano", come dimostra il fatto che, a dispetto di un agitarsi dal basso come non si era mai visto dal Risorgimento, ogni tentativo di aggregazione è fallito, infrangendosi contro gli ostacoli di mille e speciose divisioni ideologiche e/o su temi secondari seppure importanti.

Guai ad arrendersi, però. Questa sarebbe la scelta peggiore perché un popolo, quando si arrende, muore e scompare dalla Storia, riproducendo su scala collettiva la morte individuale. Ebbene, se davanti alla minaccia di essere uccisi la scelta peggiore è quella di offrire il collo per il timore di soffrire, allo stesso modo non dobbiamo abbandonare la lotta e, per viltà, accettare l'annientamento. Bisogna invece resistere, accettare di essere messi da parte, perfino derisi, ma continuare a dire la verità. Se milioni di italiani capiranno questo allora ne usciremo, in un modo o nell'altro. Con le ossa rotte, ma ne usciremo. E, spero, ce ne ricorderemo nei secoli a venire.