sabato 30 settembre 2017

Razionaloidi e complottistoidi

Il video Sovranità e politica vaccinale ha suscitato qualche reazione di incredulità, credo motivata da una scarsa consapevolezza della velocità con cui la scienza (non lascienza) sta progredendo. Un fatto, questo, che pone in primo piano un problema già presente da tempo ma fino ad ora considerato meno importante di quanto non sia: l'aumento esponenziale del gap tra la frontiera della tecnologia e la percezione che si ha delle sue implicazioni a livello politico. Il quale "livello politico", lo ricordo per l'ennesima volta, altro non è che la necessità di gestire la crescente asimmetria di potere tra chi controlla lo sviluppo scientifico e chi lo subisce passivamente.

Nel tentativo di suscitare, nel piccolo mondo al quale riesco a mandare messaggi, il desiderio di colmare questo ritardo, onde avviare una riflessione politica su un tema che sento come urgente, vi propongo questo video. Magari qualcuno diventerà meno ingenuamente razionaloide e un po' più maliziosamente complottistoide.



giovedì 28 settembre 2017

Osservatorio fake-news

Ci vorrebbe un osservatorio fake-news, ma tanto sarebbe il lavoro da fare che servirebbero almeno cinquanta volontari a tempo pieno. Oggi ho fatto un video sugli "sciacalli del terremoto", come li definisce un titolone a nove colonne del quotidiano Il Tempo. Poi si scopre che il presunto "reato", commesso da una cinquantina di cittadini di Amatrice (i quali hanno comunque subito danni ingenti dal terremoto) consiste nell'aver chiesto un cambio di residenza da Roma e, successivamente, inoltrato una richiesta per godere di un misero contributo erogato dal governo, 900 euro al mese per 10 mesi. Insomma, un titolone a nove colonne sul nulla!

Più tardi, online, ho letto la notizia di un uomo morto a Catania di morbillo perché non vaccinato.


Sul momento non ho approfondito la questione, ma più tardi l'ho fatto. Sapete, mi era capitato sotto gli occhi questo post fb dell'amico Andrea Guglieri:

«Come si inventano l'emergenza morbillo, a dispetto delle dichiarazioni sui presunti casi.

IL DOTTOR MARIO CUCCIA, responsabile del servizio epidemiologia dell'Azienda sanitaria provinciale di Catania, città dove sarebbe morto un 42 enne per morbillo, afferma che:

"Per quanto riguarda il caso specifico dell'uomo morto a Catania, il morbillo è solo la causa finale di morte. L'uomo, originario della provincia di Agrigento e non vaccinato contro il morbillo, era affetto da Aids in stadio terminale ed aveva anche un cancro alla pelle tipico di chi è affetto di Aids. Era già stato ricoverato nel reparto di Malattie infettive del Policlinico Ferrarotto di Catania più volte, perché in provincia di Agrigento non ci sono reparti di malattie infettive".»

Il quotidiano La Stampa la spara così:


Per poi riportare, nel corpo dell'articolo in piccolo, un'altra dichiarazione del succitato DOTTOR MARIO CUCCIA responsabile del servizio epidemiologia dell’Azienda sanitaria provinciale (Asp) di Catania:

«Dall’inizio dell’anno - rivela l’esperto - a Catania abbiamo avuto 165 casi, numeri inconsueti e molto alti che sono legati alle mancate vaccinazioni. Ci sono anche casi di persone vaccinate, ma sono pochi e il quadro clinico è molto più lieve. Si è alzata anche l’età media - aggiunge il dottore Cuccia - si attesta intorno ai 23 anni, con casi limiti che sono un bambino di pochi mesi e un 59enne. Non è più una malattia dell’infanzia»

Chissà se le due dichiarazioni del DOTTOR MARIO CUCCIA responsabile del servizio epidemiologia dell’Azienda sanitaria provinciale (Asp) di Catania si riferiscono allo stesso contesto!? Ma perché stressarmi, che poi le difese immunitarie si abbassano e mi prendo il morbillo? Meglio che mi affidi a Santa Beatrice Lorenzin: «Queste infezioni, questi virus sono pericolosi e l’unica arma che abbiamo per difendere i bambini e gli adulti è la vaccinazione».

Lievemente più accurato è il Corriere della sera:

Ovviamente il titolone c'è sempre ma, almeno nel sottotitolo, si raccontano i fatti. Salvo riferirsi ad altri decessi da inizio anno di cui sappiamo che nessuno di essi può essere ricondotto alla malattia poiché, in tutti i casi, coesistevano altre gravissime patologie. Quanto ai numeri sparati (In Italia quest’anno si sono verificati già 4.575 casi - erano stati 800 in tutto il 2016) lascio ai commentatori l'onere di verificare. Come vi ho detto, un osservatorio fake news abbisognerebbe di almeno cinquanta addetti a tempo pieno, e io non ho tempo.

Sto sviluppando, con l'aiuto del mio infido gatto, un vaccino contro la credulità. Si somministra in modo non invasivo tramite la stimolazione dei lobi frontali con onde acustiche da 40 a 22000 hertz prodotte dalle corde vocali. Lo sperimento da anni a scuola.

Con indubbi successi, a dispetto di tutto.

martedì 26 settembre 2017

Ermeneutica delle elezioni in Germania

Risultati delle elezioni politiche in Germania
Il punto centrale è il successo di AfD, che incassa il 12,6% e 94 seggi al Bundestag. Emerge, dalle prime analisi dei flussi elettorali, che AfD ha raccolto più consensi tra le fasce basse di reddito e meno in quelle alte, e più consensi nei land della ex DDR che in quelli della ex Germania Ovest.

Frauke Petry
Emerge altresì, da una prima analisi dei profili degli attori di prima fila di AfD, che questi provengono da un ceto alto-professionale e cosmopolita, i cui valori contrastano curiosamente con alcune delle posizioni del partito. Una delle esponenti di spicco è Frauke Petry, 42 anni, laureata in chimica con un dottorato conseguito presso l'Università di Göttingen, che ha annunciato, subito dopo l'exploit elettorale, di non voler far parte del gruppo parlamentare del partito che oggi accusa di estremismo; Poco più di un anno fa la sua vice, l’eurodeputata Beatrix von Storch - al secolo duchessa Amelie Ehrengard Eilika della casa di Oldenburgo - rispose "sì" alla domanda su Facebook se la polizia doveva sparare ai migranti, inclusi bambini e donne (salvo poi dire che le era "scivolato di mano il mouse").

Alice Weidel
Il fondatore del partito è stato Bernd Lucke, economista e professore di macroeconomia all'Università di Amburgo, euroscettico, conservatore e moderatamente anti-islamista, successivamente sostituito dalla Petry. Oggi AfD è nelle mani di Alice Weidel, laureata in business administration all'università di Bayreuth, dove ha conseguito un dottorato di ricerca nel 2011, che ha lavorato per anni presso Goldman Sachs e Allianz. 

Björn Höcke

Thilo Sarrazin
Un altro esponente controverso è Björn Höcke, noto per la sua vicinanza alle posizioni fortemente critiche del multiculturalismo esposte da Thilo Sarrazin in un libro edito nel 2010 dal titolo "Germany abolishes itself".

Abbiamo dunque un partito che nasce per iniziativa dall'alto ed ha successo grazie al sostegno dal basso. In questo AfD non si distingue minimamente dalla CDU della Merkel o dalla SPD di Martin Schultz, e probabilmente da ogni altro partito al governo in Germania e nell'intera UE. 

Credo che la chiave di lettura fondamentale, per capire la natura di quasi ogni partito politico, sia ben espressa dall'amico Mario Fiorentino, che scrive:

"Il cinema come metafora.
Il grande pubblico conosce gli attori (sost. maschile che per comodità designa femmine, maschi e sui generis) ignorando spesso le altre figure che popolano l'ambiente: gli sceneggiatori, che scrivono le storie, i registi che le trasformano in visioni, i produttori che cacciano i soldi e sperano di guadagnarci e poi tutte quelle figure minori che contribuiscono praticamente: operatori, trovarobe, sarti, controfigure, ecc.
Quando vediamo un dibattito politico in TV, vediamo degli attori: sono facce conosciute con una filmografia alle spalle, hanno un copione, qualcuno gli scrive le battute, c'è chi gli maschera le occhiaie, gli tinge i capelli, gli porta il caffè...
Non vediamo mai il regista, anche se possiamo immaginarlo dietro le quinte, e mai il produttore, che se ne sta lontano, al sicuro, a gestire altri registi che, ognuno nel suo film, manovrano altri attori.
Il buono, il cattivo, l'aggressivo, il suadente, il bello e il puttanone sono ruoli con una faccia temporanea, il progetto è altrove, il guadagno, se c'è, di altri.
Raramente irrompe sulla scena un outsider, volontà autonoma fuori dagli schemi, e solo se riesce ad eludere i buttafuori.
Noi paghiamo il biglietto solo sperando in quello."

Se quanto scrive Mario Fiorentino è vero, ed io credo che lo sia, allora ogni ermeneutica possibile del voto tedesco non può non partire da un'analisi delle visioni e degli interessi di quelli che egli definisce "i produttori". E' l'esito, questo, dalla grande ritirata delle masse politicizzate dalla scena, sostituite dal pubblico televisivo. La vera partita si gioca in alto, tra i produttori, rispettando pur tuttavia un insieme di regole del gioco che viene chiamato "democrazia". Questa caricatura della democrazia, per cui andiamo a votare con l'illusione di poter scegliere, ci è stata imposta utilizzando la leva del maggioritario, delle soglie di sbarramento, delle più disparate ripartizioni delle circoscrizioni elettorali, nonché ovviamente tutto l'armamentario dell'informazione mainstream. Rompere l'accerchiamento è una condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per riaprire il campo da gioco. Ma di ciò parleremo in un'altra occasione.

Tornando alle elezioni tedesche, è del tutto evidente che tra i "produttori" della politica tedesca non c'è unanimità di giudizio sulle prospettive di una Germania alleata della Francia (rectius: dei "produttori" francesi) alla guida dell'Europa, con una moneta unica senza stato a fare da gabbia di ferro grazie al rigido controllo della BCE. Credo che il punto critico sia costituito dal fatto che, nella visione dei "produttori" di AfD, un simile assetto non abbia futuro, e che la Germania non debba cedere quote di sovranità nazionale per un progetto destinato al fallimento. Questo perché la cessione di quote di sovranità, essendo un fatto politico, sarebbe più difficilmente reversibile di una pur grave crisi economica causata dal crollo delle esportazioni dopo la dissoluzione dell'euro. Da una crisi economica la Germania potrebbe riprendersi abbastanza rapidamente, ad esempio stimolando il mercato interno e puntando alla creazione di un'area del nuovo marco; magari, perché no, anche investendo nell'industria degli armamenti per sostenere la domanda aggregata. Che è un ragionamento simile a quello che ha fatto la fazione dei "produttori" inglesi che ha sostenuto la brexit.

Il successo di AfD deve essere valutato in prospettiva, tenendo conto del fatto che l'europeista Merkel è uscita dalle elezioni fortemente indebolita. Tra pochi mesi scadrà anche il mandato di Draghi alla BCE e il suo posto sarà probabilmente preso da un tedesco, forse Jens Weidmann, con il che anche le politiche monetarie accomodanti avranno fine. Tutto ciò lascia immaginare che la Merkel, nei confronti dei partner dell'UE, non potrà fare passi in avanti verso l'opzione dell'integrazione politica, i cosiddetti Stati Uniti d'Europa, perché se lo facesse spalancherebbe le porte a una marcia trionfale di AfD. Poiché, d'altra parte, neppure è pensabile che la fazione europeista dei "produttori" tedeschi faccia passi indietro, siamo in una situazione di impasse. Finché la sfida, nel paese dell'Unione che è più uguale degli altri, non si sarà conclusa, tutta l'Europa dovrà sottostare al rigore, dal quale il paese più uguale degli altri continuerà a trarre vantaggi ma che rischia di sbriciolare quello meno uguale, la nostra Italia. A differenza che in Germania, da noi non esiste una vera fazione dei "produttori" contraria agli Stati Uniti d'Europa, al suo posto essendoci una componente di natura diversa: uno Stato profondo integrato con gli interessi degli Stati Uniti nel mediterraneo.

Se questa lettura è corretta, allora l'espressione "partito tedesco", usata in Italia per indicare la fazione favorevole alla prospettiva dei cosiddetti Stati Uniti d'Europa, rischia di essere fuorviante, perché ve ne sono almeno due di partiti tedeschi, in Germania: quello che pensa di dominare economicamente un'Europa le cui identità nazionali siano frantumate e mescolate in un melting pot, nel quale ci sarà spazio anche per popolazioni e culture di origine extra europea, e quello che non intende rinunciare a difendere l'identità tedesca, intesa come solido fondamento della libertà delle sue classi dirigenti e della prosperità nazionale. Una visione, la prima, puramente economicista, e fondata sulla chimera di costruire un regime di concorrenza perfetta dei mercati fortemente regolamentata, cui si oppone, esibendo una forza politica crescente, quella di una nazione coesa retta da uno Stato di tipo più tradizionale.

Il termine giusto per definire l'AfD è "nazionalisti", ovvero una delle due fazioni in cui si è divisa l'Europa nel XX secolo, l'altra essendo quella liberoscambista, la cui versione estremizzata è il globalismo. Dal nazionalismo, nel primo dopoguerra, sono nati il fascismo e il nazismo. Il primo, inizialmente, come reazione all'avanzata di socialisti e comunisti, il secondo, un decennio più tardi, come forma peculiare del revanchismo tedesco. Sono quindi comprensibili le inquietudini del blocco liberoscambista, ma è assurda la pretesa secondo cui il liberoscambismo è il bene e il nazionalismo il male. In realtà sono le due forme, storicamente determinatesi, del capitalismo in Europa. Resta che la grancassa mediatica ha preso il vezzo di definire i nazionalisti di AfD, alternativamente, come nazisti e sovranisti, ma questa è una disgustosa mistificazione della realtà. Il sovranismo, termine di nostra invenzione nel 2012, è, similmente al nazionalismo, un'istanza patriottica, che tuttavia promana dal basso, giammai dall'alto. Non è una differenza da poco, che è bene sottolineare con forza perché, con l'avanzare della crisi del liberoscambismo, se volete del globalismo, la contrapposizione principale tornerà ad essere quella tra il patriottismo guidato dall'alto e quello alimentato dal basso: nazionalisti versus sovranisti. L'alto contro il basso, nella cornice però degli Stati nazionali, non in quella fantasiosa delle moltitudini di negriana memoria.

Se il nazionalismo è, per sua natura, élitario, pur rivolgendosi al popolo per alimentarsi di consenso, il sovranismo nasce dentro il popolo, ponendosi alla ricerca delle sue élites sia allevate nel suo seno, sia assoldando frazioni delle élites le quali, tuttavia, devono restare sotto il suo ferreo controllo politico.

Questo schema binario, nazionalisti versus sovranisti, è però ancora in gestazione, stante l'attuale predominio del liberoscambismo nella versione estremizzata del globalismo. Siamo in una fase di transizione in cui le forze patriottiche cominciano a manifestarsi (molto più il nazionalismo che il sovranismo) mentre il liberoscambismo appare ancora vincente. Ma la tendenza, a parere di chi scrive, è quella di una crisi crescente e irreversibile di quest'ultimo. La corsa tra nazionalisti e sovranisti è già cominciata, con noi sovranisti che scontiamo un forse inevitabile ritardo, ed è per questa ragione che diventa ogni giorno più urgente mettersi in gioco.

Dobbiamo anche chiederci quali possano essere i rapporti tra i nazionalisti e noi sovranisti, in questa fase. Si tratta di una questione delicata sulla quale mi riservo di riflettere ancora, sebbene sia ben consapevole che, al massimo, può esserci un accordo di temporanea desistenza. Anche in Italia, anzi soprattutto in Italia: questo giardino dove la civiltà occidentale è stata allevata per secoli dopo la fase dello svezzamento ellenico.

La questione, evidentemente, è quella dei rapporti con le formazioni nazionaliste nostrane, FdI e Lega Nord, ma in prospettiva anche FI, a pensarci bene. Nonché con le piccole formazioni già esistenti che insistono nel definirsi sovraniste ma sono, ad un'analisi appena approfondita, chiaramente inserite nella frazione nazionalista. Il fatto è che questo termine, ripeto di nostra invenzione nel 2012, "allappa" assai! Ma è giunto il momento di tirare una linea ben visibile, sulla quale poseremo la nostra Costituzione del 1948: chi è di quà è un sovranista, chi di là è un nazionalista!

Nel frattempo prepariamoci a ballare: in politica, come nella dinamica newtoniana, la dinamica di un sistema con tre corpi (globalismo, nazionalismo, sovranismo) è ancora di natura deterministica, ma sconfina con il caos.

mercoledì 20 settembre 2017

La domanda di tutte le domande è perché lagggente vogliono uscire dall'euro ma non sanno perché, e la risposta è la prima a sinistra. [post etil politico]

Ci sono degli elettori che vogliono uscire dall'euro? Quanti sono? Lo chiedo perché ho ascoltato Renzi accusare Salvini di voler uscire dall'euro come se costui sostenesse di volersi inchiappettare i pargoli, cosa per altro totalmente, assolutamente, chiaramente non vera (uscire dall'euro of-course, inchiappettarsi i pargoli non so). Salvini questa cosa (voler uscire dall'euro) l'ha detta, ma se l'è rimangiata. Non parliamone più, perché l'argomento è troppo serio, nonché attuale e urgente, per prendere in considerazione chi cambia idea. Uno che si rimangia la parola su questo tema è chiaramente un personaggio che mentiva, perché delle due l'una: o persevera su questa linea, oppure torna a casuccia sua. Salvini non è tornato a casuccia, inde non ce lo caghiamo più. Amen.

Scusate, oltre a Salvini c'è qualcun altro che voleva uscire dall'euro? Ah sì, il m5s (dice la pubblicità). Se voleva, oggi non vuole più! La cosa è chiara e limpida come acqua di sorgente. Peggio per chi se l'è bevuta! Magari se si ridimensiona, e ammette di non essere propriamente un sottile pensatore politico, forse può ricominciare dal consiglio di quartiere. Amen.

La Meloni? Scusate, perdonate, abbiate pazienza, vi ripropongo la domandina: Meloni vuole uscire dall'euro? Fatta la domanda datevi la risposta. Amen.

I sinistrati vogliono uscire dall'euro?


C'è qualcun altro che vuole uscire dall'euro? Yuhuuuu! C'è qualcunooooo?

E io dico di sì, c'è qualcuno che è stato dimenticato: lagggente. Ma lagggente perché vogliono uscire dall'euro? In tanti hanno provato a spiegare allagggente perché è meglio che lasciossero l'euro, pure io, in un paesino della ciociaria saudita. Eccomi qua:



Ora, abbasta confrontare le visualizzazioni della risata diabolica (82k) con quelle del mio video (432) per arrivare alla conclusione che laggente vogliono uscire dall'euro ma però non sanno cazzo perché. D'altronde, se il miglior sito politico d'opinione ai macchianera awards è quello di 'sto cazzo de ragazzotto che fa 30k visualizzazioni in tre ore, allora una conclusione bisogna trarla. E siccome io parto dal postulato assiomatico, che non è una malattia ma forse si, che gli stupidi sono i ciofani, perché ormai so che quando io ero ciofane non ci avevo capito una mazza altrimenti non sarei stato contento per dirne una dell'abolizione dell'equo canone solo per dirne una ma potrei dirne mille, allora la conclusione è una e solo una: lagggente non capiscono una mazza ma non si sa perché hanno ragione loro. 

Ma allora chi è che ha votato il sito del ragazzotto quale miglior sito politico d'opinione ai macchianera awards? Non sono stati lagggente, è ovvio. No dico ma voi ve l'immaginate lagggente che vanno sul sito del macchianera awards a votare per il miglior testa di cetriolo dell'anno? Eh! ma caro Fraioli, tu vivi fuori dal tempo. No signori, non sono io che vivo fuori dal tempo, siete voi che siete fuori di testa. Perché voi scambiate quattro o cinquecentomila blogger malati di mente per lagggente, che invece sono un'altra cosa. Vi dico una cosa: lagggente sono molto peggio di quanto si immaginano 'sti quattro cinquecentomila blogger sostenuti da tutto l'apparato merdiatico di regime, giornaloni e bombardieri televisivi sempre in volo 24h a sganciare letame concettuale. Lagggente vogliono uscire dall'euro e hanno raggione anche se non sanno perché e questo è tutto quello che c'è da capire ed è il motivo per cui non scoppia un quarantotto. 

Ancora. Alias just for now.

La domanda di tutte le domande è perché lagggente vogliono uscire dall'euro ma non sanno perché, e la risposta è la prima a sinistra.

Adesso faccio il serio


Prima però fatemi dire l'ultima. Ogni tanto (ogni tanto guagliò) mi piace ubriacarmi da solo e poi mettermi al computer. Diciamo che è una specie di surrogato compensativo dell'esperienza bacchico-dionisiaca necessaria alla cura dell'incurabile malattia che affligge il maschio italico (italico, solo italico) consistente nella cronica scarsità di fimmine invasate. E allora il vino sostituisce il desiderio orgiastico.

No dai, ci avete creduto che avrei fatto sul serio? Però una cosa, prima di sprofondare nel deliquio etilico (tanto domani entro a terza ora) mi preme dirla. Il punto è sempre la domandona: perché lagggente hanno ragione a voler uscire dall'euro ma non sanno perché? Colpa dei giornaloni e del bombardamento 24h delle televisioni? Visto la Bianca Berlinguer questa sera? No dico, la figlia di Enrico Berlinguer! Ma secondo voi lagggente si facciono imfacocchiare dalla Biancuzza Berlinguera? Nahhh! Lo sapete chi sono quelli che infacocchiano lagggente? No vero? Ve lo dice Fraioli, cari boys. Sono i sinistratelli. Sapete, quella gentucola che hanno sempre raggione quelle faccette da pipistrello col ditino alzato che loro sono i primi della classe tanto carucci gentili democratici contro la violenza tolleranti antifascisti de 'sto cazzo rotti in culo sempre pronti ad afferrare la prima occasione colmi di livore contro chi vive la vita vera che è sangue e merda ma non hanno le palle per farlo. Sono loro. Sono quelli che se gli parli di euro ti dicono "ma ancora con questa storia?", come se fosse una cosa passata di moda. Sono quelli che che due più due fa quattro è vero se non gli tocchi l'euretto, altrimenti fa cinque ma anche tre o sette o il picchio che ti pare purché la divinità cui sono fedeli per averli sodomizzati da piccoli non sia messa in discussione. Perché loro, i sinistrati, non possono sbagliarsi. Loro, i sinistrati, tengono famiglia allargata. Loro, i sinistrati, sono nel giusto assiomatico. Loro non possono ammettere, come faccio io che sono un bifolco di Castro che quando ero contro l'equo canone, perché la mia famiglia aveva due appartamenti in affitto a Roma, mi sbagliavo credendo di difendere i miei interessi e invece mi stavo tagliando le palle da solo! A vabbè, ma allora tu, Fraioli, sei un capitalista!

Questa gentucola che è per il popolo ma non appena il popolo progredisce lo guardano con inquietudine perché non sia mai che il fabbro cafone che non ha fatto il liceo si fa la bella macchina lavorando e li mette in ombra, loro che non hanno mai preso un attrezzo da lavoro in mano. Però nei sindacati comandano loro, nei giornaloni fanno i direttori dopo aver "servito il popolo" da ciofani scapestrati, nella web-economy sguazzano felici tanto pigiar tasti non fa sudare e due più due fa quel che gli pare, miserabili servetti dei servi del potere vero. 

Sono loro, i sinistratelli, i veri garanti dello stato delle cose per cui lagggente vogliono uscire dall'euro ma non sanno perché. Sono le loro menzogne, è la loro corrotta e attiva resistenza, celata dietro le maschere del perbenismo sinistratello e frocesco, le più forti paratie dell'ordine internazionale dei mercati. 

Cazzo, ho detto "frocesco"! Son forse fascista? Forza, presto, immantinente si applichi alla mia condotta la legge Fiano. No cari sinistratelli, non sono fascista, né comunista, sono solo ubriaco. Ma una cosa voglio dirvi, la questione dell'euro non è passata di moda. Fatevene una ragione.

Post scriptum: vi prego di non condividere questo post. Anzi, dimenticatelo se lo avete letto. Sono solo incazzato come non mai, e avevo bisogno di sfogarmi. Lo pubblico perché so che farà bene ai pochi con cui condivido i miei più reconditi e sinceri sentimenti, persone incazzate come me per la viltà di tanti compagni che abbiamo frequentato per una vita e ai quali abbiamo dato credito e donato amicizia, che ci hanno deluso oltre ogni immaginazione. Questa sera mi ubriacherò oltre ogni decenza per dimenticare la loro vile condotta, domani tornerò alla pugna. Con costoro c'è ormai solo inimicizia e disprezzo, Sapesserolo. Due più due fa quattro, stronzi.

mercoledì 13 settembre 2017

Il tallone di ferro (parte I)

La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, lo stesso vale per la politica. Non c'è reale soluzione di continuità tra la guerra e la politica, sebbene ci sia un'asimmetria; nel senso che mentre per imporre la guerra basta la volontà di una sola delle parti, affinché il terreno di scontro sia la politica occorre il consenso di tutte. Ne segue che se oggi in Italia e in Europa non siamo in guerra, ciò accade perché le parti in lotta lo trovano (ancora) conveniente. Corollario di questa constatazione è che nessuna delle parti deve tirare troppo la corda, onde evitare che qualcuno, messo alla disperazione, possa scegliere la guerra. Alcuni sostengono, ad esempio, che sia nella prima che nella seconda guerra mondiale la Germania e il Giappone siano stati costretti a scegliere la guerra. Non so quanto ci sia di vero in ciò, sebbene la logica delle cose umane mi suggerisca che, almeno come ipotesi, non lo si possa escludere a priori.

Il fatto che un conflitto sia giocato sul piano politico non significa che esso non produca disastri, come dimostrato dai dati della produzione economica italiana, che ha subito, in seguito alla crisi dell'eurozona, una contrazione maggiore che nella seconda guerra mondiale. Non mi prendo la briga di riportare i dati perché sono noti, e chi poteva capire ha capito. Gli altri, almeno in questo momento, non contano. Verrà il momento di raccogliere i ritardatari, che dovranno necessariamente mettersi umilmente in fila e a servizio di chi ha già capito. Se vi sembro arrogante non vi state sbagliando: lo sono. Dunque scrivo per i pochi e felici, come ormai faccio da qualche anno, almeno da quando ho smesso di aggiornare il vecchio sito ecodellarete.net con l'apodittica affermazione

Voi fate il c...o che volete, ma non venite a scassarmi la minchia dopo il bombardamento!

Con l'avvicinarsi delle elezioni politiche del 2018 lo scontro politico sta diventando più aspro. Le forze in campo sono, da una parte, tutti i partiti politici presenti in Parlamento, dall'altra tutto il popolo. In teoria il Popolo dovrebbe essere il più forte, e vincere a mani basse, ma mentre il sistema dei partiti è una schiera organizzata che agisce secondo una regia condivisa e, comunque, vigilata dalle grandi concentrazione del potere privatistico, politico, economico e ideologico dell'occidente liberista, il Popolo è del tutto privo di organizzazione e, soprattutto, di una base ideologica comune. Il che ha, come conseguenza, la sua totale incapacità di sfuggire alla polverizzazione individualistica delle posizioni, dei punti di vista, delle visioni particulari. Ciò nonostante, il Popolo è e resta una minaccia perché non si può mai escludere che, d'improvviso, dalle sue viscere risorga, impetuosa e inarrestabile, la capacità di ergersi a schiera in difesa dei suoi interessi.

Se è l'1% che domina il mondo, questo 1% teme che, dalle viscere del Popolo, possa emergere una forza politica organizzata capace di raccogliere l'1% del consenso popolare!

La partita si gioca oggi su questa scommessa. E' sufficiente che una forza politica popolare organizzata riesca a raccogliere l'1% alle prossime elezioni politiche perché lo scenario cambi radicalmente. Il problema è, per noi, di costruirla; per €$$I impedire la sua nascita. E poiché lo scontro è ancora di natura politica, dunque basato sulla conquista del consenso, che passa per la manipolazione del racconto, ecco che si è dato il via alla stagione delle fake-news. Le quali, è bene intendersi, non sono soltanto le notizie false create ad arte, che pure abbondano sia sui media mainstream che sulla miriade di siti direttamente controllati da €$$I o ideologicamente conquistati alla loro visione del mondo! Il grosso del lavoro, se si analizza con attenzione la narrazione mainstream, viene fatto a partire da fatti reali che vengono opportunamente amplificati e riproposti serialmente, così da accendere in basso discussioni interminabili, che favoriscono la segmentazione dell'opinione pubblica generale su una grande quantità di temi altamente divisivi. Si va dai vaccini agli stupri, dalla pretesa emergenza climatica alle scie chimiche, dal femminicidio ai diritti dei finocchi, dai suicidi degli adolescenti alla proposta di legalizzare le droghe leggere, dalle criptomonete ai robot, fino alla messa al bando delle nostalgie popolari e folkloristiche del Duce, e chi più ne ha più ne metta. Tutto, purché non si parli della ciccia del problema, che è una semplice, evidente, chiara e lampante questione di equilibrio dei poteri tra le classi sociali, tale da rendere possibile l'esercizio della democrazia.

Perché è la democrazia, e non altro, la vera posta in gioco dell'età contemporanea. Quella democrazia che è presupposto essenziale affinché la stessa lotta di classe possa svolgere la sua preziosa funzione evolutiva, sia pure tra i mille deprecabili conflitti che conosciamo. Il fatto è che il rapidissimo sviluppo tecnologico ha creato le condizioni di un golpe ultraoligarchico, che ha interessato l'intero occidente, posto operativamente in essere dalla metà degli anni settanta del secolo scorso. C'è stata una vera intenzionalità politica, che ha fatto leva sullo straordinario avanzamento tecnologico degli ultimi decenni come strumento atto a limitare, dapprima, infine comprimere totalmente, la partecipazione alla vita pubblica di tutte le altre classi sociali, consegnando il potere esclusivamente nelle mani di un'élite politica, ideologica, militare e finanziaria numericamente ridottissima. Ci riferiremo a questa super élite mondialista, il complesso militar industriale e finanziario dell'occidente allargato - cioè Stati Uniti e Unione Europea - con un'espressione ben nota: il tallone di ferro.

Non è, si badi bene, un blocco monolitico, sebbene sia unito dall'interesse comune di mantenere sottomesse tutte le altri classi sociali. Anzi, è altamente probabile che al suo interno possano, in futuro, esplodere guerre catastrofiche, senza che noi Popolo si abbia il minimo potere di impedirli, ma che dovremo subire come capi di bestiame destinati all'abbattimento di massa, se ad €$$I converrà.

Dobbiamo rispondere, a questo punto, a due domande: se sia ancora possibile opporsi al tallone di ferro, e quanto ciò sia pericoloso. Partirò dalla seconda questione affermando che sì, in effetti, minacciare seriamente il tallone di ferro è cosa pericolosissima, sia per chi lo fa che per l'intera società nel suo complesso. Ancor più pericoloso sarebbe adottare una strategia sbagliata, ad esempio attaccarlo in campo aperto. I mezzi di cui dispone non sono solo quelli della narrazione dominante - €$$I sono i Padroni del discorso - ma anche della repressione poliziesca e militare. Tali mezzi, però, costituiscono anche il limite della sua forza perché il tallone di ferro non può dominare senza il consenso, a dispetto del suo strapotere militare. Questo è come la bomba atomica, che può essere agitata come minaccia ma mai usata, perché le conseguenze sarebbero imprevedibili anche per le loro menti raffinatissime. Ed è questa la ragione per cui, nonostante tutto, la battaglia si svolge, ancora e speriamo a lungo, sul terreno politico.

In campo politico il tallone di ferro è fortissimo sul piano della narrazione veicolata dagli strumenti tecnologici: televisione, giornali, cinema, editoria tradizionale e online, cui si aggiunge la capacità di costruire frames culturali attraverso il controllo delle carriere universitarie. Tutto ciò si traduce in consenso politico, la qual cosa pone sotto il suo controllo le burocrazie statali nonché, come già detto, gli apparati repressivi. Un suo punto debole, complementare alla problematicità di usare esplicitamente questi ultimi, è costituito dalla fragilità di un consenso fondato su una massa enorme di falsità. Tale consenso, dunque, può essere conservato solo a patto che permanga la condizione di polverizzazione politica di tutte le classi sociali.

Ma il vero tallone d'Achille del tallone di ferro è nella natura teleologica del progetto sottostante. La super élite mondialista dell'occidente allargato pretende di modellare il mondo in funzione della sua necessità di consolidare un potere che è strutturalmente fragile, perché non è la risultante hamiltoniana di un ordinato e regolato conflitto di classe: quello che dovrebbe essere, ed è storicamente stato, il compito naturale delle classi dirigenti. L'impossibilità di controllare la creazione e distribuzione della ricchezza non è nelle possibilità di nessuna super élite numericamente ridottissima, sia essa un partito comunista o la massoneria golpista dell'occidente allargato, ed ecco che costoro hanno adottato una teoria, l'allocazione ottimale dei fattori di produzione ad opera delle sole forze del mercato, la quale oltre ad essere altrettanto folle della pretesa dei comunisti di pianificazione totale, è anche viziata dal fatto che questo mitologico mercato non è a concorrenza perfetta. E non può esserlo per umanissime ragioni: chi, potendo approfittare di una posizione dominante, è disposto ad abbandonarla in ossequio alle regole necessarie alla costruzione di un mercato conforme a questa irenica visione? Ecco allora che si assiste al proliferare di regole, normative e quant'altro che, quando non sono sfacciatamente asimmetriche, e sempre a favore degli interessi delle parti più forti, vengono in ogni caso disattese dalle stesse e subite da quelle più deboli. Anche in questo la super élite mostra la sua incapacità nel perseguire teleologicamente la propria visione, ed è per questa ragione che l'unico e solo modo che ha di mantenere il potere è quello di incrementare la potenza di fuoco della sua narrazione.

Fine parte I

sabato 9 settembre 2017

La sinistra rimasta orfana di un progetto di regolazione progressiva del capitalismo

Pare che sul Manifesto sia apparso il seguente appello (grassetto aggiunto):

«CHIARIAMOCI SU UE, LAVORO E DEMOCRAZIA
Sinistra. Un confronto sabato 9 settembre a Roma
"Non v’è dubbio che la sinistra, ovunque, non solo in Italia, viva l’esaurimento di un lungo ciclo storico.

Il drammatico arretramento delle esperienze nate dal movimento operaio non può essere disgiunto dalla fine del socialismo reale e il conseguente dilagare del «capitalismo scatenato» (Andrew Glyn). Dopo l’89, la sinistra è rimasta orfana di un progetto di regolazione progressiva del capitalismo. Da noi, la marginalità della sinistra, culturale prima che politica e elettorale, è più evidente poiché siamo in un Paese smarrito, dove nessuno schieramento politico riesce a proporre una guida credibile. Di conseguenza, il disagio di gran parte della popolazione si esprime con una disaffezione alla politica e l’affidamento a formazioni dalle dubbie credenziali democratiche e di governo.

Questo disagio va compreso, raccolto e guidato in direzioni progressive.

C’è bisogno di rigenerare una sinistra riformatrice, ancorata al lavoro e all’ambiente, in grado di battersi contro la deriva oligarchica di un potere abbacinato dal miraggio di una «democrazia senza popolo» e l’impoverimento di ceti popolari e classi medie.

Una ricostruzione della sinistra si impone, dunque. A tal fine, prima dell’estate, a Roma, al Teatro Brancaccio e a Piazza SS Apostoli, vi sono stati passaggi importanti. Vogliamo contribuire, sul terreno della cultura politica e del progetto, alla ricostruzione unitaria della sinistra.

La necessità di confrontarsi sui programmi trova formale condivisione. Tuttavia, prima dei programmi, per evitare una inutile lista della spesa che accontenti tutti senza affrontare alcun nodo vero, è utile chiarire il giudizio su alcuni temi di fondo: ruolo dello Stato, globalizzazione e mobilità internazionale del capitale e del lavoro, migrazioni e sicurezza, moneta e integrazione europea. Siamo consapevoli che tale discussione, elusa nel passato, sia ancora più difficile a ridosso di una competizione elettorale.

Eppure, essa ci pare possa distinguere una proposta politica convincente da una improbabile ammucchiata elettoralistica. Anche perché, spesso, la sinistra si ferma agli obiettivi programmatici (lavoro, uguaglianza, inclusione, riconversione ecologica, ecc.), enunciabili con facilità, mentre elude il ben più difficile compito di individuare gli strumenti per realizzarli.

Le indicazioni programmatiche della Costituzione e, in particolare, all’articolo 3 («È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale…») sono una bussola imprescindibile, ma vanno articolate in obiettivi e policies.

Il disegno di politiche adeguate a realizzare questi obiettivi richiede, oltre alla rigenerazione morale della sinistra, una elaborazione politica e intellettuale collettiva di grande spessore.

Non si può non prendere le mosse da un giudizio storico-politico sul passato.

La crisi profonda in cui versa il paese non può essere messa tutta sulle spalle di Renzi o della destra. È chiamato in causa anche il centro–sinistra che, in una fase di dissoluzione prima morale poi elettorale dei partiti di governo e di smarrimento post ’89 della sinistra storica, da Andreatta e Ciampi fino ai governi dell’Ulivo, ha cercato nel «vincolo esterno» dell’Ue e dell’euro-zona le condizioni di tenuta dell’unità politica della nazione e la via per disciplinare il conflitto sociale e minimizzare l’intervento pubblico.

Anche in Italia, come ovunque al di là e al di qua dell’Atlantico, il centrosinistra ha scommesso nei frutti di lungo periodo del liberismo economico veicolato dalla Ue e dalla moneta unica.

Oggi, è evidente: la scommessa è stata largamente persa e si è ritorta contro.

Dobbiamo ripartire. L’obiettivo della piena e buona occupazione è centrale e distintivo della sinistra per attuare la democrazia costituzionale, anche perché inscindibile dall’autorealizzazione delle persona nel lavoro, come sempre affermato da Bruno Trentin, e dalla redistribuzione del reddito verso il lavoro, elemento di giustizia e di sostegno alla domanda aggregata.

La sfida è un progetto di riconquista di soggettività sociale e politica del lavoro per declinare in senso progressivo l’interesse nazionale, inteso come tutela delle istituzioni e delle risorse economiche e sociali necessarie a garantire il perseguimento degli obiettivi indicati dalla nostra costituzione, in un orizzonte di cooperazione europea e internazionale.

Tale progetto è la condizione per dare respiro e prospettiva ai singoli conflitti per non rimanere esperienza nobile, ma di pura testimonianza.

Soprattutto, qui e ora, è la condizione per una solida e credibile unità a sinistra del Pd.

Intorno al nodo «Unione Europea, lavoro, democrazia» proponiamo a donne e uomini della cultura, della cittadinanza attiva e dei movimenti e della rappresentanza sociale un confronto programmatico con i protagonisti delle iniziative del Brancaccio e di SS Apostoli.

Ci vediamo sabato 9 settembre al Campidoglio, Sala della Protomoteca (10 -17).»

Applausi

Dunque, riassumendo, i compagni ammettono: "Siamo consapevoli che tale discussione, elusa nel passato, sia ancora più difficile a ridosso di una competizione elettorale". Come andrà a finire? I nostri late comers bruceranno le tappe riuscendo a presentare, in tempo per le politiche del 2018, una proposta organica e coerente di fuoruscita dall'euro e dall'UE, oppure questo è solo l'inizio di un lungo, difficile e tortuoso percorso di autoanalisi e ridefinizione della linea politica?

Anche perché ad uno potrebbe venire il dubbio se i nostri cari late comers debbano ancora leggersi tanti libri senza figure (cit. Bagnai) oppure lo abbiano già fatto ma, finora, sono giunti a conclusioni sbagliate. Nel primo caso gli si può suggerire una bibliografia, nel secondo si potrebbero attivare dei corsi di recupero con esamino finale.

A meno che - a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca - la nuova passerella del Brancaccio non sia un modo per inquinare le sorgenti del dibattito politico. Un'operazione, finora solo sul piano della comunicazione politica, che va avanti da tempo nella quale, proprio oggi, si è distinto un noto professionista dell'informazione mainstream, Vittorio Feltri.

Inciso: si può dire "noto professionista dell'informazione mainstream", o si rischia una querela? Sapete, dopo questo: Lorenzin: “E ora con Google ripuliremo la rete dalle fake news” comincio a farmela nelle braghe.

Dicevamo dunque di Vittorio Feltri il quale oggi, commentando la marcetta su Roma di Forza Nuova, ha scritto (link: "Fascisti, la parodia"): "Ma, stai a vedere, sarà anche una grande vittoria fascista, perché questi quattro nerboruti di sovranisti si prenderebbero querela non diciamo da un Benito Mussolini, e neppure da un Italo Balbo, ma almeno da un Farinacci, poiché quella era gente con altre ambizioni che fare i guardiamacchine, o mettere in piedi ronde notturne antitaccheggio".

E così il noto professionista dell'informazione riesce a inanellare ben tre risultati:
  1. si accredita come "democratico" smarcandosi da Forza Nuova
  2. strizza l'occhio ai nostalgici del ventennio suggerendo che i fascisti fossero persone più serie
  3. si allinea alla narrazione dominante proponendo l'equazione fascisti=sovranisti
Ma siccome la favola delle fake news e la falsa equazione fascisti=sovranisti, entrambe propalate a reti unificate dai potenti altoparlanti, insieme a tante altre operazioni di svergognata disinformazione, potrebbero non essere sufficienti per tappare tutti i buchi, ma davvero tutti i buchi perché, in periodo elettorale, non deve trapelare nemmeno un refolo di realtà, ecco che l'operazione dei nostri cari late comers potrebbe fungere all'uopo. So' ggente de sinistra signora mia, e tanto educati, democratici, antifassisti, antirassisti, e criticano pure l'euro. Mica come i sovranisti (=fascisti - afferma il noto professionista dell'informazione)!

Sia ben chiaro, io non sostengo che il noto professionista sia in malafede, anzi! Sono certo, invece, che anch'egli sia una vittima della disinformazione. Cosa volete che ne sappia, il noto professionista, del fatto che nel 2012 un gruppo, ai tempi estremamente ridotto, di italiani (tra i quali il sottoscritto) aprirono una discussione al loro interno per coniare un nuovo termine atto ad indicare le loro posizioni politiche? Oddio, è pur vero che da allora è passato parecchio tempo, ed oggi quello sparuto gruppo si è ampliato, in parte si è scomposto per confluire in nuove organizzazioni, le quali tutte insieme (oltre al gruppo cui va il merito di aver coniato il termine "sovranismo") assommano a qualche migliaio di determinatissimi militanti e attivisti; ma di tutto questo, il noto professionista dell'informazione è, forse, all'oscuro. Legittimamente! Perché, come ben sappiamo, ogni canale di comunicazione dalla base popolare verso le élites è stato accuratamente chiuso, sicché è ben comprensibile che perfino un valido e noto professionista dell'informazione come Vittorio Feltri possa cadere in errore proponendo, magari distrattamente, l'equazione fascisti=sovranisti.

Inciso: che dite, sono stato abbastanza attento? Giuro che ho stima di Vittorio Feltri, e che il mio intento è solo quello di correggere il suo errore. Anche perché, a dispetto di ogni possibile manipolazione della realtà, i fatti hanno la testa dura, e dunque la verità trionferà. Quel giorno il nostro potrebbe trovarsi in difficoltà, casomai gli fosse rinfacciato un simile strafalcione politico.

Ma torniamo all'adunata del Brancaccio del 9 settembre, dove "la sinistra rimasta orfana di un progetto di regolazione progressiva del capitalismo" si è data appuntamento. Bisogna tornare, dicono, al 1989, cioè alla caduta del muro di Berlino, perché tutto è cominciato con quell'evento traumatico. Già, e l'abolizione della scala mobile in Francia ad opera del socialista Jaques Delors nel 1982? E il taglio in Italia della scala mobile introdotto dal socialista Craxi nel 1984, seguito dal referendum del 1985 in cui il solo PCI di Berlinguer si oppose? Un fatto cruciale, quest'ultimo, perché il contenimento del potere d'acquisto dei lavoratori era assolutamente necessario al processo di integrazione monetaria, come dimostra la soppressione definitiva della scala mobile ad opera del socialista Amato nel luglio 1992, due mesi prima dello sganciamento dallo SME per l'impossibilità di mantenere un cambio fisso! Fin dall'inizio era chiaro, ed oggi lo sappiamo anche noi ingegneri, che i costi dell'Unione Europea sarebbero ricaduti tutti sulle spalle dei lavoratori!

Era chiaro, è stato ripetutamente confermato dai fatti, ma alleluia! Finalmente, in vista delle cruciali elezioni del prossimo anno, "la sinistra rimasta orfana di un progetto di regolazione progressiva del capitalismo" rompe gli indugi, pur ammettendo che "tale discussione, elusa nel passato, sia ancora più difficile a ridosso di una competizione elettorale". Fosse arrivato subito dopo il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, questo intento di "chiarire il giudizio su alcuni temi di fondo: ruolo dello Stato, globalizzazione e mobilità internazionale del capitale e del lavoro, migrazioni e sicurezza, moneta e integrazione europea", la musica sarebbe ben altra, ma nulla di ciò è avvenuto. Anzi, nelle numerose assemblee post referendarie, tutti gli sforzi dei sovranisti (per Feltri: coloro che vogliono tornare allo spirito e alla lettera della Costituzione del 1948) di aprire una discussione sui temi predetti si sono infranti contro un muro di indifferenza. Viene il sospetto che, una volta messo Renzi nell'angolo, la nuova strategia sia quella di puntare all'ingovernabilità, tanto ormai c'è il pilota automatico, e dunque che stia venendo meno per il PD l'importanza numerica dei cespuglietti della "sinistra rimasta orfana", il che mette a rischio ogni possibilità di ottenere strapuntini. Cosicché il coraggio, che è mancato dopo la vittoria referendaria, comincia ad essere alimentato dalla paura della fame.

Ecco allora prendere forma la nuova tattica della "sinistra rimasta orfana": agganciare il nascente movimento sovranista e, dopo averlo avviluppato nelle sue spire, strangolarlo. Un preludio della quale, forse, abbiamo visto all'opera in Sicilia dove, in vista delle regionali del 5 novembre, si era profilata la possibilità di un'alleanza tra Risorgimento Socialista, un frammento dell'infinita diaspora socialista, e i sovranisti di Beppe De Santis che sostengono la lista "Noi siciliani con Busalacchi"; operazione tuttavia abortita per il provvidenziale irrigidimento dei sovranisti, che ha costretto al ritiro Risorgimento Socialista il quale, al momento, non sembra aver trovato una collocazione alternativa. La vicenda, che ha coinvolto due realtà minuscole, potrebbe apparire trascurabile, se non fosse che l'idea sovranista, sebbene non abbia ancora trovato espressione in un movimento organizzato in grado di lanciare la sfida elettorale, rappresenta in prospettiva un pericolo per la traballante costruzione europea.

In definitiva, stante il ritardo con cui la "sinistra rimasta orfana" si sta muovendo sui temi dell'Europa, e anche al netto delle più che legittime diffidenze nell'area sovranista, non è il caso di farsi troppe illusioni. I bookmakers di Castro dei Volsci danno alla pari la possibilità che si tratti di pura melina preelettorale e quella di un'operazione di disinnesco della mina sovranista. Io, che ogni volta che ho pensato male ci ho azzeccato, punto una lira sulla seconda ipotesi.

mercoledì 6 settembre 2017

La sezione di palta

Ad ora tarda, riflettendo sulla necessità di agire politicamente dal basso partecipando al confronto elettorale, mi viene in mente un'analogia. E' un discorso un po' strampalato, senza alcuna pretesa, ma può servire per aprire la mente a quanti sono scoraggiati perché pensano che, per fare un partito, ci vogliono gli sghei. E dunque che un movimento dal basso vero e genuino, non finanziato dall'alto, non possa nascere.

Per chiarire cosa intendo con la dizione "movimento dal basso" vi dirò subito che

non è un fronte dei poveri ma belli e buoni contro i ricchi malvagi e senza cuore!

Le cose sono un po' più complicate, perché complicata è la realtà sociale e politica. Tuttavia possiamo semplificare e immaginare di dividerla in due fronti, che chiameremo i "governanti" e i "governati". L'immagine seguente, una leva del primo genere, rappresenta l'equilibrio delle forze tra le due classi:


Il blocco da 10 kg rappresenta i governanti, se preferite le classi dominanti; quello da 1 kg i governati, cioè le classi subalterne. La lunghezza dei bracci, rispetto al fulcro, è inversamente proporzionale ai rispettivi pesi. Nell'analogia il fulcro rappresenta il centro del potere reale, al quale sono ovviamente più vicini i governanti. Orbene, qual è il rapporto ottimale tra i due bracci, cioè quel valore per il quale vengono ad essere massimizzate le opposte esigenze di governabilità e di democrazia?

Mumble che ti mumble oplà!

La sezione aurea


Il segmento totale  sta al segmento più lungo  come quest'ultimo  sta al segmento più corto 

La sezione aurea, o costante di Fidia, è un numero irrazionale il cui valore approssimato è 1,6180339887...

Se assumiamo la sezione aurea come optimum, allora la distanza dei governati dal centro del potere (il fulcro) deve essere circa 1,6 volte la distanza da esso dei governanti. Il che, trasposto sul piano dei risultati elettorali, significa che, fatto 100% il totale dei voti validi, i governanti dovranno ottenere, a conti della serva eseguiti, circa il 61.8%, e i governati il 38.2%. Ovviamente senza premi di maggioranza né soglie di sbarramento.

Stessero così le cose, ovvero se davvero i governati riuscissero ad avere un peso elettorale reale di circa il 40%, allora potremmo affermare che sì, esiste un blocco sociale egemone, al quale si oppone però una sostanziosa minoranza. Il problema, in Italia ma non solo in Italia, è che questa ripartizione della forza politica tra governanti e governati è ben lungi dall'essere conseguita. Come ha giustamente osservato un anonimo commentatore sul blog Sollevazione «Gli euristi hanno già a disposizione il 99% della propaganda mascherata da "informazione", che altro vogliono i corifei di complemento del capitale multinazionale, la lobotomizzazione di massa?». Se quanto afferma il commentatore è vero, allora siamo ben lontani dalla sezione aurea, direi che siamo invece alla sezione di palta. Lascio ai volonterosi il compitino di calcolarla.

Che fare in queste condizioni? Lo capite che, con la sezione di palta, la democrazia è bella che morta? Avete idea di quanto sia rischiosa una cosa così? Vi è chiaro perché, a dispetto del fatto che l'impresa appaia disperata, sostengo la necessità imperativa di agire dal basso per riequilibrare questa drammatica situazione? Guardate, il vero obiettivo non è neanche quello di condurre i governati di oggi a diventare i governanti di domani, ma vivaddio non si può subire, senza reagire, la sezione di palta! E non venitemi a dire che, per fare il partito, ci vogliono i soldi, perché allora non avete capito nulla. Chi pensa che, con la sezione di palta in auge, ci si possa muovere solo se si hanno i soldi, è un perdente ontologico!

Dobbiamo muoverci, agitarci come moscerini impazziti, gridare che no! non si può accettare l'assoluto, totale e paternalistico dominio del pensiero unico, perché questa condizione è mortale per la nostra civiltà. Dobbiamo non dico prendere il potere, ma almeno contrastare l'attuale squilibrio dei rapporti di forza mobilitando tutte le forze sane e razionali della nazione. E non solo della nazione, ma anche di tutta l'Europa, perché se è vero che siamo sovranisti, e dunque ci battiamo per l'autodeterminazione del popolo italiano, questo è un problema anche di tutti gli altri popoli europei, tedeschi compresi che sono seduti, anch'essi, su un vulcano prossimo a eruttare. La lotta per la sovranità popolare, quindi nazionale, è oggi una battaglia per la salvezza della democrazia e della civiltà europea. Nessuno può tirarsene fuori, perché la campana suonerà per tutti.

E il primo passo è questo: avvicinarci almeno al 5%. Lasciare questo piccolo ma importante risultato, dopo anni di controinformazione, di convegni, di discussioni, a chi verrà dopo di noi.





martedì 5 settembre 2017

Sovranisti e indipendentisti (siciliani)

Premessa d'obbligo


Sono stato a Chianciano per il forum internazionale della CLN. In questa occasione ho aderito e sono stato accolto nel Coordinamento Nazionale. Questa circostanza avrà qualche conseguenza sul blog, nel senso che non potrò riferire tutto ciò di cui verrò a conoscenza partecipando alle riunioni, in quanto appunto sono adesso un membro del CN della CLN. Questo perché l'accesso a tali notizie mi è concesso proprio perché sono diventato un membro del CN della CLN. Potrà quindi accadere che io venga a conoscenza di qualche ghiotta anteprima, ma non ve la comunicherò. Sapevatelo. A parte questo limite, mi considero sempre e comunque libero di esprimere la mia opinione sull'universo mondo, CLN compresa, sempre che ciò vi interessi. A dimostrazione di ciò, ecco a voi un post sulle elezioni siciliane, senza peli sulla lingua.

La Sicilia colonia d'Italia, l'Italia colonia dell'UE: l'alleanza è necessaria.


Come sapete il prossimo 5 novembre 2017 si terranno le elezioni regionali in Sicilia e, in questa occasione, la CLN ha scelto di sostenere la candidatura di Franco Busalacchi. Negli ambienti sovranisti veri - non quelli farlocchi alla Grillo&Salvini&Meloni&Alemanno&etcetera - questa scelta sta provocando non poche perplessità. Né vi nascondo che, anch'io, ne nutro. Tra le critiche pervenute, la più pesante è quella del FIS che, in questo articolo dal titolo eloquente "La Sollevazione della grande accozzaglia", richiama alcune esternazioni di Busalacchi risalenti al 2015.

«Chi è Franco Busalacchi? E’ colui che 18 mesi fa scriveva queste righe: “Vi rendete conto di quanto sono bestie i leghisti e chi ci va appresso, che attaccano la Germania e l’Europa? Che vogliono tornare alla Lira? Si dimostra che, purtroppo, non è necessario essere intelligenti per essere ricchi. Basta trovarcisi in mezzo e anche l’ultimo dei cretini fa “i sghei”. Quando dicono che vogliono uscire dall’Europa, ah! Dio, come sarebbe bello farglielo provare! Alle prese con dogane e dazi. Bestie!….  La strada maestra per la nostra Sicilia è l’Europa, senza l’Italia. Noi dobbiamo lottare per lasciare l’Italia e per restare in Europa, Stato tra gli Stati, nazione non più periferica di quanto non lo sia l’Irlanda .” (grassetto nel testo originale).»

E' roba pesante, lo so. Peraltro veicolata attraverso un articolo dai toni particolarmente volgari, come è nel costume del Presidente a vita del FIS Stefano D'Andrea; il quale potrà essere perdonato solo se avrà ragione, dilemma di cui si occuperanno i fatti dandogli torto. Nel frattempo, e almeno fino al 2023, il D'Andrea avrà gioco facile nel dire di avere ragione, visto che sbaglia solo chi si mette in gioco, cosa che lui rifiuta di fare, e passa la mano. In ciò essendo in buona compagnia, visto che l'esimio prof. Bagnai proprio oggi ha scritto nel suo blog "Io continuo a pensare che la cosa migliore da fare ora sia stare calmi, e magari anche fermi". Una posizione, quella di Bagnai e SdA che io, nella mia stronzaggine esegetica, traduco così: siccome non so che cazzo fare, non faccio niente, e guai a chi osa fare qualcosa

Invece la CLN ha scelto di agire perché è l'azione che spariglia le carte, e non l'attesa della mano buona, che potrebbe non arrivare mai; oppure, quando mai arrivasse, trovarci tutti morti. Torniamo a noi, cioè alla scelta dei sovranisti della CLN di allearsi in Sicilia con gli indipendentisti di Busalacchi, che si presentano in coalizione con la lista Sicilia Libera e Sovrana e Noi Mediterranei di Beppe De Santis, Noi Siciliani di Erasmo Vecchio, e altre realtà regionali. La domanda è: come è possibile conciliare l'istanza di riconquista della sovranità nazionale, invocando la Costituzione del 1948, e contemporaneamente allearsi con gli indipendentisti?

Sull'argomento sono intervenuto al forum ricordando che la Sicilia è stata la prima provincia romana, cioè il primo territorio che la repubblica di Roma non ritenne di associare come fece con tutti gli altri popoli italici, istituendo invece una nuova entità amministrativa, la provincia per l'appunto, che fu poi replicata in occasione delle successive conquiste. In altre parole, già i romani ritennero che la Sicilia non fosse Italia! Questa circostanza, confermata dalla storia successiva, ci suggerisce che la Sicilia è una realtà storicamente, politicamente, antropologicamente diversa da tutte le altre regioni italiane, ancor più di altre (Trentino, Val d'Aosta...) cui pure la Costituzione riconosce uno statuto speciale. Possono i sovranisti trascurare questa peculiarità? La mia opinione è che ciò non sia possibile. Il punto è che, sebbene la Sicilia sia altro dall'Italia, e l'Italia altro dalla Sicilia, è un dato di fatto che le due storie sono profondamente intrecciate, in modo indissolubile. Ovvero che le istanze indipendentiste siciliane esprimono, prima ancora che una reale volontà di indipendenza, la richiesta passionale di un rapporto rigorosamente alla pari. Alla base c'è una realtà di fatto che proverò a spiegare.

Gli amici siciliani sostengono che la Sicilia sia, potenzialmente, una terra ricchissima, e che solo una condizione di secolare subalternità la rende, oggi, povera e depressa. In ciò credo abbiano ragione, ma chiedo loro: supponiamo che la Sicilia conquisti la sua indipendenza, e in virtù di ciò diventi ricca e prospera; ebbene, non diverrebbe anche una preda ambita? Sarebbero, i siciliani, in grado di difendere la loro ricchezza e prosperità, senza appoggiarsi a uno Stato più forte? La vedo dura.

E qual è lo Stato che, per mille motivi a cominciare da una storia millenaria, è il candidato naturale per svolgere la funzione di associarsi nel compito di difendere la Sicilia, anzi lo Stato siciliano, da mire di conquista esterne? Non è forse lo Stato italiano? Ne sono convinto, così come sono convinto che le dichiarazioni di Busalacchi, riportate da Stefano D'Andrea, siano assolutamente sbagliate e improvvide, dettate da una insufficiente analisi del problema nonché motivate da un sentimento di delusione e abbandono da parte di uno Stato, quello italiano, il quale, a sua volta, è vittima di un'operazione di colonizzazione ad opera delle potenze dominanti del nord Europa. Se la Sicilia lamenta il fatto di essere una colonia d'Italia, è vero tuttavia che l'Italia è oggi una colonia dell'UE: l'alleanza è dunque necessaria!

Qualche tempo fa ho scritto un articolo (La Patria del Popolo è la Repubblica - 13 luglio 2017) nel quale sostengo che la Patria è un concetto politico, nasce cioè da un patto tra pari che, protraendosi nel tempo, costruisce un'identità de facto e, infine, statuale. Sono gli interessi reali e concreti che tengono insieme i popoli, non le astratte idealità, sempre costruite ex-post come giustificazione ideologica. L'Italia e la Sicilia hanno un interesse reciproco, esorbitante rispetto a qualsiasi altra considerazione, nello stare insieme, ma affinché ciò sia possibile occorrono due condizioni. La prima è che l'Italia si liberi del giogo dell'Unione Europea, il secondo è che venga riconosciuto e rispettato il diritto dei siciliani ad essere un popolo che liberamente scelga, facendosi bene i propri conti di convenienza, se essere una regione periferica dell'UE oppure associarsi con un'Italia sovrana. Abbiamo paura di ciò? Pensiamo veramente che i siciliani possano preferire essere assoggettati all'Unione Europea, un non Stato governato da interessi privatistici sovranazionali, piuttosto che essere sé stessi dentro lo Stato italiano governato secondo i principi della Costituzione del 1948?

Poiché sono certo che, a prescindere dalle idee personali di Busalacchi e a dispetto delle recriminazioni dei meridionalisti rispetto alle modalità di conquista con cui i popoli del sud d'Italia si sono ritrovati dentro uno Stato unitario, l'interesse reale e concreto degli italiani e dei siciliani sia quello di stare insieme, non solo non ho paura degli indipendentisti siciliani, ma anzi ritengo che il più grave degli errori che i sovranisti possano fare sia quello di sbattergli la porta in faccia. Guai a lasciare soli gli indipendentisti siciliani, essi sarebbero facile preda degli pseudo-sovranisti della Lega, promotori, lo ricordo en passant, di un referendum che si terrà il prossimo 22 ottobre avente ad oggetto ulteriori richieste di autonomia per la Padania. Un'entità che non esiste di per sé (trovatemi un solo documento più vecchio di vent'anni in cui se ne parli) artificialmente inventata per sbriciolare la nazione italiana, per meglio centrifugarla in questa demenziale Unione Europea.

E' interesse degli ordoliberisti frantumare gli Stati nazionali facendo leva sulle pulsioni indipendentiste, un'operazione cui la Lega si presta fin dalle sue origini. Anzi, consentitemi di dirlo: la Lega esiste solo in funzione di questo obiettivo! I fatti sono evidenti, e si svolgono giorno dopo giorno sotto i nostri occhi, ma non vengono percepiti perché sono affogati in un flusso caotico di eventi abilmente orchestrati dal sistema dei media.

Una cosa che mi dispiace e affligge è constatare come tanti sovranisti stiano cadendo in questa trappola, riducendosi a discutere di scemenze tecnico-giuridiche come le monete complementari, i certificati di credito fiscali, i mini bot; guarda caso tutte proposte che hanno un denominatore comune: la Lega e quella volpe di Borghi, che si ammanta di competenze macroeconomiche dopo una vita passata a lavorare per Deutsche Bank, avendo cominciato come fattorino. Delle due l'una: o l'uomo è un genio, oppure un paraculo. Facite vuie.