Precisazione di un pedante (in alcuni contesti la pedanteria è una virtù): usando gli assiomi di Peano dei numeri naturali, 2+2=4 è una proposizione dimostrabile (e non un assioma). Gli assiomi di Peano sono un insieme di assiomi che definiscono le proprietà fondamentali dei numeri naturali. Essi sono:
1) 0 è un numero naturale.
2) Ogni numero naturale ha un unico successore. (Indichiamo il successore di n con S(n))
3) 0 non è il successore di alcun numero naturale.
4) Numeri naturali diversi hanno successori diversi. (Se S(a)=S(b), allora a=b)
5) Principio di induzione matematica: Se una proprietà è vera per 0 e se è vera per il successore di ogni numero per cui è vera, allora è vera per tutti i numeri naturali.
Definizione di 2 e 4: In notazione di Peano: 0 è un numero naturale. 1=S(0) 2=S(S(0))=S(1) 3=S(S(S(0)))=S(2) 4=S(S(S(S(0))))=S(3)
Definizione dell’addizione (ricorsiva): a+0=a a+S(b)=S(a+b) Dimostrazione di 2+2=4 2+2=S(S(0))+S(S(0)) Applichiamo la definizione ricorsiva: S(S(0))+S(S(0))=S(S(S(0))+S(0))=S(S(S(S(0))+0))=S(S(S(S(0))))=4 c.v.d. Per una dimostrazione ancora più pedante (che 1+1=2) si vedano i "Principia Mathematica" di Alfred North Whitehead e Bertrand Russell.
Grazie Paolo della "pignola" precisazione. Devo dire che me la sono cercata, e l'ho trovata! In sostanza quello che volevo dire è che io, dal punto di vista della visione di ciò che è la realtà matematica, sono un "costruttivista". Nel senso di: In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. E adesso mi pongo in attesa di un "pignolo" teologo o filosofo che venga a bacchettarmi.
p.s. certo, in classe era più facile che qui sul blog "spadroneggiare", eppure ci fu un'occasione in cui un alunno di grandi capacità si accorse di un mio errore concettuale (quindi non una distrazione) e, dopo lunga discussione, dovetti dargliene pubblicamente atto.
Questo tuo "dare atto", questo "riconoscere i propri errori" è una della caratteristiche più rare negli esseri umani che ho incontrato. Ostentare sicurezza e cercare complici dei propri errori (piuttosto che interlocutori con cui scambiare le proprie "ipotesi") è, secondo me, ciò che distingue un essere pensante da un impostore. Domanda: oltre al tuo caratteraccio (un vizio), forse anche questa virtù è causa del tuo "isolamento", e del "rigetto" da parte di raffinati impostori (ops, pardon, volevo dire "intellettuali") ?
Caro Paolo, la ragione di quello che a te sembra un atteggiamento raro (al netto del carattere, che è quello che è) risiede nel fatto che ho avuto un'infanzia felice e lunga. Una fortuna, questa, che ormai è patrimonio di pochi, e le conseguenze si vedono. Personalità sempre più "squinternate" per la mancanza di punti valoriali fermi, di quelli che si assumono, autonomamente, nei primi anni di vita, se e quando è possibile godere di un ambiente familiare e sociale sereno che permetta non solo il gioco ma anche, mentre si gioca, di riflettere e pensare. Nel piccolo cortile della mia casa di infanzia si ritrovavano decine di altri bambini sotto gli occhi vigili dei genitori e dei nonni, nonché dei vicini di casa che li portavano da noi per fermarsi poi a chiacchierare. In quel piccolo universo ho potuto godere sia di molta compagnia che di lunghi momenti di solitudine, durante i quali la mia piccola mente infantile rifletteva. Ti faccio un esempio. Noi avevamo una grande radio a valvole e ricordo che, da piccolo quando ancora andavo all'asilo (ah la maestra Nicolina!) avevo costruito la mia teoria sul suo funzionamento: secondo me, lì dentro, c'erano tanti omini piccoli piccoli che parlavano, suonavano e cantavano. Forse avevo tre anni, o quattro, ma la serenità della mia esistenza mi permetteva di coltivare le prime fantasiose speculazioni in risposta alle cose meravigliose che vedevo. Ero veramente convinto della mia teoria, al punto che la esposi a mio zio appassionato di tecnologia che, ovviamente, aprì la radio (ai tempi l'aradio) e mi dimostrò che era sbagliata. Ho imparato così, durante quegli anni felici, che per capire le cose è necessario farsi le proprie idee, confrontarsi con gli altri, ammettere di essersi sbagliati davanti ad argomenti convincenti. Più tardi, crescendo, quella serenità svanì, anzi addirittura ne pagai un po' il prezzo perché ero meno adatto di altri ragazzi, che erano cresciuti per strada, alla "durezza del vivere", ma la ricchezza interiore che avevo accumulato durante la mia "infanzia felice" si rivelò essere un patrimonio sufficiente a proteggermi. Quindi sì, ho un carattere spigoloso ma, se qualcuno (chiunque) mi dimostra che qualcosa in cui credo è sbagliata, o almeno instilla in me il dubbio, allora mi rende un grande favore. Come mio zio, che mi permise di superare la "teoria degli omini" come spiegazione del funzionamento della radio (è l'aradio invece che funziona così, ne sono ancora certo!).
Vengo ora alla tua domanda, se cioè tale virtù sia in qualche modo legata al "rigetto" da parte di raffinati impostori. La risposta è NO, perché non mi sono mai mancate le occasioni di fare la carriera del portaborse pronto a sferrare, al momento opportuno, la coltellata assassina. Anzi, in molti si sono meravigliati, in diverse occasioni, del fatto che non lo abbia fatto. Uno dei punti valoriali che assunsi durante gli anni della mia lunga infanzia felice è stato che incontrare uomini di vero valore sarebbe dipeso dal mio stesso valore. Il quale non è eccelso: mi considero una persona abbastanza capace, ma sostanzialmente nella media, certamente non una mente superiore. Il che significa che, se ci siamo incontrati, sei una persona nella media, anche se hai certamente raggiunto obbiettivi maggiore dei miei. Insomma, e non te la prendere, siamo più o meno la stessa merdaccia separata dalle diverse circostanze delle nostre esistenze. C'è sempre qualcuno che è più bravo di noi! Il difficile, oltre ad ammetterlo, consiste nel restare comunque liberi, e non mettersi acriticamente al servizio di nessuno, perché c'è sempre il rischio, oggi più che mai, che chi ci è superiore soffra della grave tara di essere uno "squinternato". Potrei fare qualche nome, ma me lo risparmio.
Forse qui puoi trovare un supplemento di risposta alla tua domanda «oltre al tuo caratteraccio (un vizio), forse anche questa virtù è causa del tuo "isolamento", e del "rigetto" da parte di raffinati impostori (ops, pardon, volevo dire "intellettuali")?» Diario personale 23: I piloni di Frosinone
Precisazione di un pedante (in alcuni contesti la pedanteria è una virtù): usando gli assiomi di Peano dei numeri naturali, 2+2=4 è una proposizione dimostrabile (e non un assioma).
RispondiEliminaGli assiomi di Peano sono un insieme di assiomi che definiscono le proprietà fondamentali dei numeri naturali. Essi sono:
1) 0 è un numero naturale.
2) Ogni numero naturale ha un unico successore. (Indichiamo il successore di n con S(n))
3) 0 non è il successore di alcun numero naturale.
4) Numeri naturali diversi hanno successori diversi. (Se S(a)=S(b), allora a=b)
5) Principio di induzione matematica: Se una proprietà è vera per 0 e se è vera per il successore di ogni numero per cui è vera, allora è vera per tutti i numeri naturali.
Definizione di 2 e 4:
In notazione di Peano:
0 è un numero naturale.
1=S(0)
2=S(S(0))=S(1)
3=S(S(S(0)))=S(2)
4=S(S(S(S(0))))=S(3)
Definizione dell’addizione (ricorsiva):
a+0=a
a+S(b)=S(a+b)
Dimostrazione di 2+2=4
2+2=S(S(0))+S(S(0))
Applichiamo la definizione ricorsiva:
S(S(0))+S(S(0))=S(S(S(0))+S(0))=S(S(S(S(0))+0))=S(S(S(S(0))))=4
c.v.d.
Per una dimostrazione ancora più pedante (che 1+1=2) si vedano i "Principia Mathematica" di Alfred North Whitehead e Bertrand Russell.
Grazie Paolo della "pignola" precisazione. Devo dire che me la sono cercata, e l'ho trovata!
EliminaIn sostanza quello che volevo dire è che io, dal punto di vista della visione di ciò che è la realtà matematica, sono un "costruttivista". Nel senso di: In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
E adesso mi pongo in attesa di un "pignolo" teologo o filosofo che venga a bacchettarmi.
p.s. certo, in classe era più facile che qui sul blog "spadroneggiare", eppure ci fu un'occasione in cui un alunno di grandi capacità si accorse di un mio errore concettuale (quindi non una distrazione) e, dopo lunga discussione, dovetti dargliene pubblicamente atto.
Questo tuo "dare atto", questo "riconoscere i propri errori" è una della caratteristiche più rare negli esseri umani che ho incontrato. Ostentare sicurezza e cercare complici dei propri errori (piuttosto che interlocutori con cui scambiare le proprie "ipotesi") è, secondo me, ciò che distingue un essere pensante da un impostore. Domanda: oltre al tuo caratteraccio (un vizio), forse anche questa virtù è causa del tuo "isolamento", e del "rigetto" da parte di raffinati impostori (ops, pardon, volevo dire "intellettuali") ?
EliminaCaro Paolo, la ragione di quello che a te sembra un atteggiamento raro (al netto del carattere, che è quello che è) risiede nel fatto che ho avuto un'infanzia felice e lunga. Una fortuna, questa, che ormai è patrimonio di pochi, e le conseguenze si vedono. Personalità sempre più "squinternate" per la mancanza di punti valoriali fermi, di quelli che si assumono, autonomamente, nei primi anni di vita, se e quando è possibile godere di un ambiente familiare e sociale sereno che permetta non solo il gioco ma anche, mentre si gioca, di riflettere e pensare.
EliminaNel piccolo cortile della mia casa di infanzia si ritrovavano decine di altri bambini sotto gli occhi vigili dei genitori e dei nonni, nonché dei vicini di casa che li portavano da noi per fermarsi poi a chiacchierare.
In quel piccolo universo ho potuto godere sia di molta compagnia che di lunghi momenti di solitudine, durante i quali la mia piccola mente infantile rifletteva. Ti faccio un esempio. Noi avevamo una grande radio a valvole e ricordo che, da piccolo quando ancora andavo all'asilo (ah la maestra Nicolina!) avevo costruito la mia teoria sul suo funzionamento: secondo me, lì dentro, c'erano tanti omini piccoli piccoli che parlavano, suonavano e cantavano. Forse avevo tre anni, o quattro, ma la serenità della mia esistenza mi permetteva di coltivare le prime fantasiose speculazioni in risposta alle cose meravigliose che vedevo. Ero veramente convinto della mia teoria, al punto che la esposi a mio zio appassionato di tecnologia che, ovviamente, aprì la radio (ai tempi l'aradio) e mi dimostrò che era sbagliata.
Ho imparato così, durante quegli anni felici, che per capire le cose è necessario farsi le proprie idee, confrontarsi con gli altri, ammettere di essersi sbagliati davanti ad argomenti convincenti.
Più tardi, crescendo, quella serenità svanì, anzi addirittura ne pagai un po' il prezzo perché ero meno adatto di altri ragazzi, che erano cresciuti per strada, alla "durezza del vivere", ma la ricchezza interiore che avevo accumulato durante la mia "infanzia felice" si rivelò essere un patrimonio sufficiente a proteggermi.
Quindi sì, ho un carattere spigoloso ma, se qualcuno (chiunque) mi dimostra che qualcosa in cui credo è sbagliata, o almeno instilla in me il dubbio, allora mi rende un grande favore. Come mio zio, che mi permise di superare la "teoria degli omini" come spiegazione del funzionamento della radio (è l'aradio invece che funziona così, ne sono ancora certo!).
Vengo ora alla tua domanda, se cioè tale virtù sia in qualche modo legata al "rigetto" da parte di raffinati impostori. La risposta è NO, perché non mi sono mai mancate le occasioni di fare la carriera del portaborse pronto a sferrare, al momento opportuno, la coltellata assassina. Anzi, in molti si sono meravigliati, in diverse occasioni, del fatto che non lo abbia fatto.
Uno dei punti valoriali che assunsi durante gli anni della mia lunga infanzia felice è stato che incontrare uomini di vero valore sarebbe dipeso dal mio stesso valore. Il quale non è eccelso: mi considero una persona abbastanza capace, ma sostanzialmente nella media, certamente non una mente superiore. Il che significa che, se ci siamo incontrati, sei una persona nella media, anche se hai certamente raggiunto obbiettivi maggiore dei miei. Insomma, e non te la prendere, siamo più o meno la stessa merdaccia separata dalle diverse circostanze delle nostre esistenze.
C'è sempre qualcuno che è più bravo di noi! Il difficile, oltre ad ammetterlo, consiste nel restare comunque liberi, e non mettersi acriticamente al servizio di nessuno, perché c'è sempre il rischio, oggi più che mai, che chi ci è superiore soffra della grave tara di essere uno "squinternato".
Potrei fare qualche nome, ma me lo risparmio.
Forse qui puoi trovare un supplemento di risposta alla tua domanda «oltre al tuo caratteraccio (un vizio), forse anche questa virtù è causa del tuo "isolamento", e del "rigetto" da parte di raffinati impostori (ops, pardon, volevo dire "intellettuali")?»
EliminaDiario personale 23: I piloni di Frosinone