lunedì 30 giugno 2025

Diario personale 16: tra due anni si vota


AVVELENATA (di Stefano D'Andrea) L'unica realtà che astrattamente potrebbe consentire un progresso, quale che sia, è un partito serio. Ma di partiti seri, da decenni, in Europa, e in genere credo nei paesi occidentali, non ne nascono. È nato qualche efficace "partito di scopo", come quello di Farage nel 1992 ma di partiti seri - popolari non populisti; fondati sulla disciplina, la gerarchia, la democrazia, la "meritocrazia", la fede, la militanza, la credenza cieca che il partito sia prima di tutto il luogo della crescita e della formazione caratteriale e culturale - non vi è traccia, che io sappia, in nessun paese europeo e occidentale in generale. Magari qualcuno piccolo qua e là sarà pure sorto ma non è sbocciato, da almeno quarant'anni. L'occidente (il neoliberalismo) ha "trasformato antropologicamente" le masse, che non hanno alcun desiderio di schierarsi, di stare da una parte, di irrigimentarsi, di tesserarsi, di fedeltà, di combattere, di lottare ("la lotta"), di concorrere umilmente alle scelte quando lo statuto apre la discussione (la democrazia), e di eseguire per anni la decisione presa. Esistono ancora rare persone, sfuggite, per qualche misteriosa ragione, al delirio narcisista occidentale, che desiderano militare in un partito serio. Ma sono pochissime. In Italia come verosimilmente in tutti i paesi occidentali. Molte di più, quasi tutte quelle interessate alla politica,  preferiscono le strutture più "liberali", individualiste e narcisiste: i movimenti, le piazze, le associazioni, le riviste, le chat, i canali telegram, gli informali "raggruppamenti" facebook o X, i canali youtube, i blog e la controinformazione liberamente scelta: scelgo io chi, quando, a che ora, per che cosa e fino a quando seguire. Queste strutture producono talvolta qualcosa di buono, sotto il profilo delle analisi, ma avendo tutte uno scopo orribile (narcisistico o utilitaristico o semplice necessità di campare, o passatempo, o scaccia-esprimi-nevrosi), avendo sovente la funzione di consentire agli individui di esprimersi, e non pervenendo mai ad alcuna decisione e quindi non compiendo mai un solo passo in avanti, dopo un po' diventano stantie, sanno di muffa, di ripetizione e di spettacolo. E il buono si disperde nel nulla. In quindici anni non si è giunti nemmeno a condividere queste tre conclusioni: I) che una proposta politica o è patriottica (migliora la patria, che economicamente significa migliora la condizione o le possibilità dei piu - o la potenza industriale in settori strategici - ma in altri campi anche di pochi) o è un gioco di e per bambini deficienti; Ii) che gli Stati nelle relazioni internazionali agiscono per interesse e non per ragioni morali; Iii) che un'azione che produce del bene per l'Italia (una parte; o raramente tutti gli italiani) va compiuta per quanti danni produca a popoli stranieri (esclusa la guerra, che è stata appositamente preclusa dai Costituenti), salvo che al vantaggio immediato segua un successivo maggiore svantaggio. Infatti, dopo quindici anni gli "antisistema" nemmeno disprezzano asseriti "esperti" che predicano un'azione dell' "Europa": "L'Europa dovrebbe...". Se, come civiltà, noi, come molte altre dei paesi occidentali, meritiamo di perire, che morte sia! Sulle ceneri, magari dopo secoli, rinasceranno giovani e nuove civiltà.

sabato 28 giugno 2025

Diario personale 15: Sono stanco brò

mercoledì 25 giugno 2025

La vanga di marca Popper

È in corso un confronto con l'amico G e l'amico P sulla natura della scienza. Si parla di scienza, e non di scienzah, cioè non della versione puttanesca di un rigoroso metodo di ragionamento e di indagine del reale che è purtroppo quella data in pasto alle masse. L'occasione è nata da una critica che G ha mosso a Popper, e al suo criterio di falsificazione, sulla base delle sue letture di testi di filosofi come Edmund HusserlPaul Feyerhabend, autore quest'ultimo di una serie di scritti tra cui “Contro il metodo”, e spietato critico di Karl Popper. Non conosco gli autori citati da G, per cui mi limito ad argomentare in merito a ciò che, di essi, ci ha riportato lui stesso.

Scrive G: "Husserl distingue tra un “primo senso” della scientificità delle scienze ed un senso più profondo, che ne è all’origine e che oggi è perduto. Tale senso originale è dato dalla filosofia, proprio in quelle domande fondamentali che le scienze tendono oggi ad escludere in quanto “metafisica”."

Sì! è vero che la scienza tende ad escludere le domande fondamentali in quanto "metafisica". Dunque il problema dovrebbe essere risolto, ma a quanto pare così non è perché l'amico G non sembra rassegnarsi. Mi chiedo se la questione, forse, non consista tanto nella domanda "cosa è la scienza", quanto nel fatto che l'amico G, uomo di solida preparazione culturale, sembra voler insistere nel confondere la scienza, intesa come modo "chiuso" di pensare, con lo sforzo dell'Uomo di "conoscere". Decido allora di esser chiaro e dico a G: "Scienza e conoscenza sono due concetti profondamente diversi, ben delimitato e chiuso il primo quanto aperto e sfumato il secondo".

La scienza, continuo imperterrito, può essere definita come tutto ciò che non è metafisica, ovvero tutto ciò che si trova entro i confini del suo campo di indagine e degli strumenti da essa stessa considerati validi. Oltre c'è la metafisica. Ora che si possa dire, per usare le parole di Feyerhabend, che questo "non è il risultato di una capacità di penetrazione ma di una visione limitata", è del tutto pacifico. E dunque? Quale nome vogliamo dare a questa "visione limitata", se "scienza" non va bene perché il filosofo usa questo termine come sinonimo di "conoscenza"? Non è certo mera "tecnica", perché il metodo scientifico sta alla tecnica come la matematica all'aritmetica, e nemmeno "scienzah" come un po' provocatoriamente conclude G nel suo scritto  - "secondo voi, in tempo di psicopandemia, con chi si sarebbe schierato Popper, con la scienza o con la scienzah?".

È del tutto evidente che la scienzah (o lascienzah) è solo la disgustosa parodia di ciò che chiamiamo "scienza". Non ci resta, almeno nell'ambito di questa disputatio, che continuare ad utilizzare la parola "scienza" nel senso di "metodo scientifico", invitando il filosofo a distinguerla dalla ben più nobile parola "conoscenza", che è il suo campo di indagine.

Tuttavia, giunti a questo punto, dobbiamo chiarire in modo puntiglioso cosa sia questo metodo scientifico, o scienza che dir si voglia. Non è, forse, un esercizio inutile perché è ben possibile che esso non sia ben compreso neanche da chi, come chi scrive, se ne riempie la bocca. La scienza incomincia con l'operazione di misurare, che è un primo atto che la distingue dalla metafisica che, al contrario, lo esclude. E tuttavia, anche nell'atto di misurare, la scienza si imbatte in un primo ostacolo, a ridosso di almeno due rilevanti dilemmi metafisici: 1) lo spazio-tempo, che costituisce la scena entro cui si compie l'atto del misurare; 2) il problema dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo.

La scienza del XIX secolo, quella del periodo positivista, credette di aver risolto il primo dilemma e si illuse, sulla base della conoscenza del calcolo differenziale, di aver delimitato il secondo. Se lo spazio e il tempo sono oggetti dati, e l'infinito può essere, se non "misurato", almeno "immaginato" dalla mente, si poteva ben coltivare l'illusione che la Ragione potesse trionfare e porsi alla pari della filosofia e della metafisica! È possibile che quel breve momento trionfale abbia lasciato macerie importanti e alzato un muro di risentimento il quale, invece di essere abbattuto, è stato successivamente rafforzato dagli stessi sforzi compiuti dagli scienziati di superare quel momento di cieco orgoglio; e ciò in quanto è stato proprio l'umile sforzo di indagare meglio sui propri fondamenti gnoseologici a porre le basi dell'incredibile cavalcata della scienza nel XX secolo! Si ridefinisce il concetto di spazio-tempo, si indaga meglio l'infinito, si costruiscono nuovi strumenti matematici... resta un dubbio: l'atto del "ragionare" ha solide fondamenta? Bè, non resta che indagare.

Nel 1900 David Hilbert lanciò la sfida: 9 problemi, successivamente divenuti 23, risolti i quali si sarebbe potuto affermare che l'atto del ragionare fosse ben fondato! Ovvero un gioco privo di significato in cui si gioca con contrassegni privi di significato secondo regole formali concordate in partenza. La Ragione sarebbe quindi un'attività autonoma del pensiero. (Cfr: Hermann Hesse - Il gioco delle perle di vetro).

Ma Hilbert perse la sfida e oggi sappiamo che ogni sistema formale, in assenza di un'assiomatizzazione esterna che lo convalidi, è incompleto. Discussione finita? Niente affatto, perché se è vero che gli scienziati hanno messo in discussione la Ragione, e questa ha ammesso la sua incompletezza, pur tuttavia il "cippo della Ragione", quel punto al di qua del quale vive la scienza e oltre il quale si entra nella foresta tenebrosa della filosofia, è come il luogo dove incomincia l'arcobaleno: sembra a portata di mano eppure è irraggiungibile.  

Devo dunque smentire quanto precedentemente affermato, ovvero che "Scienza e conoscenza sono due concetti profondamente diversi, ben delimitato e chiuso il primo quanto aperto e sfumato il secondo."? Dipende se siamo uomini adulti impegnati nel duro lavoro sul campo, che quando alzano gli occhi e vedono l'arcobaleno non pensano di raggiungerne la base, oppure bambini curiosi che si lanciano alla scoperta.

Essendo un uomo adulto riprendo la zappa, e la vanga e la falce e tutti gli strumenti del lavoro per ricominciare di buona lena. Ma dove sta la zappa? Chi ha visto la mia vanga? Quale vanga? Ma quella nuova, l'ultima comprata, quella di marca Popper!!!

lunedì 23 giugno 2025

Diario Personale 13: c'è un mezzo uomo nel Ciociaristan meridionale

venerdì 20 giugno 2025

Diario personale 12: la dicotomia aggressore-aggredito

Diario personale 11: chiedimi chi erano i Beatles