È in corso un confronto con l'amico G e l'amico P sulla natura della scienza. Si parla di scienza, e non di scienzah, cioè non della versione puttanesca di un rigoroso metodo di ragionamento e di indagine del reale che è purtroppo quella data in pasto alle masse. L'occasione è nata da una critica che G ha mosso a Popper, e al suo criterio di falsificazione, sulla base delle sue letture di testi di filosofi come Edmund Husserl e Paul Feyerhabend, autore quest'ultimo di una serie di scritti tra cui “Contro il metodo”, e spietato critico di Karl Popper. Non conosco gli autori citati da G, per cui mi limito ad argomentare in merito a ciò che, di essi, ci ha riportato lui stesso.
Scrive G: "Husserl distingue tra un “primo senso” della scientificità delle scienze ed un senso più profondo, che ne è all’origine e che oggi è perduto. Tale senso originale è dato dalla filosofia, proprio in quelle domande fondamentali che le scienze tendono oggi ad escludere in quanto “metafisica”."
Sì! è vero che la scienza tende ad escludere le domande fondamentali in quanto "metafisica". Dunque il problema dovrebbe essere risolto, ma a quanto pare così non è perché l'amico G non sembra rassegnarsi. Mi chiedo se la questione, forse, non consista tanto nella domanda "cosa è la scienza", quanto nel fatto che l'amico G, uomo di solida preparazione culturale, sembra voler insistere nel confondere la scienza, intesa come modo "chiuso" di pensare, con lo sforzo dell'Uomo di "conoscere". Decido allora di esser chiaro e dico a G: "Scienza e conoscenza sono due concetti profondamente diversi, ben delimitato e chiuso il primo quanto aperto e sfumato il secondo".
La scienza, continuo imperterrito, può essere definita come tutto ciò che non è metafisica, ovvero tutto ciò che si trova entro i confini del suo campo di indagine e degli strumenti da essa stessa considerati validi. Oltre c'è la metafisica. Ora che si possa dire, per usare le parole di Feyerhabend, che questo "non è il risultato di una capacità di penetrazione ma di una visione limitata", è del tutto pacifico. E dunque? Quale nome vogliamo dare a questa "visione limitata", se "scienza" non va bene perché il filosofo usa questo termine come sinonimo di "conoscenza"? Non è certo mera "tecnica", perché il metodo scientifico sta alla tecnica come la matematica all'aritmetica, e nemmeno "scienzah" come un po' provocatoriamente conclude G nel suo scritto - "secondo voi, in tempo di psicopandemia, con chi si sarebbe schierato Popper, con la scienza o con la scienzah?".
È del tutto evidente che la scienzah (o lascienzah) è solo la disgustosa parodia di ciò che chiamiamo "scienza". Non ci resta, almeno nell'ambito di questa disputatio, che continuare ad utilizzare la parola "scienza" nel senso di "metodo scientifico", invitando il filosofo a distinguerla dalla ben più nobile parola "conoscenza", che è il suo campo di indagine.
Tuttavia, giunti a questo punto, dobbiamo chiarire in modo puntiglioso cosa sia questo metodo scientifico, o scienza che dir si voglia. Non è, forse, un esercizio inutile perché è ben possibile che esso non sia ben compreso neanche da chi, come chi scrive, se ne riempie la bocca. La scienza incomincia con l'operazione di misurare, che è un primo atto che la distingue dalla metafisica che, al contrario, lo esclude. E tuttavia, anche nell'atto di misurare, la scienza si imbatte in un primo ostacolo, a ridosso di almeno due rilevanti dilemmi metafisici: 1) lo spazio-tempo, che costituisce la scena entro cui si compie l'atto del misurare; 2) il problema dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo.
La scienza del XIX secolo, quella del periodo positivista, credette di aver risolto il primo dilemma e si illuse, sulla base della conoscenza del calcolo differenziale, di aver delimitato il secondo. Se lo spazio e il tempo sono oggetti dati, e l'infinito può essere, se non "misurato", almeno "immaginato" dalla mente, si poteva ben coltivare l'illusione che la Ragione potesse trionfare e porsi alla pari della filosofia e della metafisica! È possibile che quel breve momento trionfale abbia lasciato macerie importanti e alzato un muro di risentimento il quale, invece di essere abbattuto, è stato successivamente rafforzato dagli stessi sforzi compiuti dagli scienziati di superare quel momento di cieco orgoglio; e ciò in quanto è stato proprio l'umile sforzo di indagare meglio sui propri fondamenti gnoseologici a porre le basi dell'incredibile cavalcata della scienza nel XX secolo! Si ridefinisce il concetto di spazio-tempo, si indaga meglio l'infinito, si costruiscono nuovi strumenti matematici... resta un dubbio: l'atto del "ragionare" ha solide fondamenta? Bè, non resta che indagare.
Nel 1900 David Hilbert lanciò la sfida: 9 problemi, successivamente divenuti 23, risolti i quali si sarebbe potuto affermare che l'atto del ragionare fosse ben fondato! Ovvero un gioco privo di significato in cui si gioca con contrassegni privi di significato secondo regole formali concordate in partenza. La Ragione sarebbe quindi un'attività autonoma del pensiero. (Cfr: Hermann Hesse - Il gioco delle perle di vetro).
Ma Hilbert perse la sfida e oggi sappiamo che ogni sistema formale, in assenza di un'assiomatizzazione esterna che lo convalidi, è incompleto. Discussione finita? Niente affatto, perché se è vero che gli scienziati hanno messo in discussione la Ragione, e questa ha ammesso la sua incompletezza, pur tuttavia il "cippo della Ragione", quel punto al di qua del quale vive la scienza e oltre il quale si entra nella foresta tenebrosa della filosofia, è come il luogo dove incomincia l'arcobaleno: sembra a portata di mano eppure è irraggiungibile.
Devo dunque smentire quanto precedentemente affermato, ovvero che "Scienza e conoscenza sono due concetti profondamente diversi, ben delimitato e chiuso il primo quanto aperto e sfumato il secondo."? Dipende se siamo uomini adulti impegnati nel duro lavoro sul campo, che quando alzano gli occhi e vedono l'arcobaleno non pensano di raggiungerne la base, oppure bambini curiosi che si lanciano alla scoperta.
Essendo un uomo adulto riprendo la zappa, e la vanga e la falce e tutti gli strumenti del lavoro per ricominciare di buona lena. Ma dove sta la zappa? Chi ha visto la mia vanga? Quale vanga? Ma quella nuova, l'ultima comprata, quella di marca Popper!!!
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RispondiEliminaAggiungo da buon pedante matematico una precisazione:
esistono sistemi formali completi, ma essi sono di solito "poveri di contenuto" (per esempio, l'algebra booleana è un sistema formale completo).
Più precisamente, ogni sistema formale capace di codificare in sé l'aritmetica è incompleto (teorema di Godel).
😜