martedì 13 ottobre 2015

Paideia

La formazione dell'uomo greco
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera:  «La paideia (παιδεία, paidèia) nel V sec. a.C. significava allevamento e cura dei fanciulli e diventava sinonimo di cultura e di educazione mediante l'istruzione. Era il modello educativo in vigore nell’Atene classica e prevedeva che l’istruzione dei giovani si articolasse secondo due rami paralleli: la paideia fisica, comprendente la cura del corpo e il suo rafforzamento, e la paideia psichica, volta a garantire una socializzazione armonica dell’individuo nella polis, ossia all’interiorizzazione di quei valori universali che costituivano l’ethos del popolo. Lo spirito di cittadinanza e di appartenenza costituivano infatti un elemento fondamentale alla base dell’ordinamento politico-giuridico delle città greche. L’identità dell’individuo era pressoché inglobata da quell’insieme di norme e valori che costituivano l’identità del popolo stesso, tanto che più che di processo educativo o di socializzazione si potrebbe parlare di processo di uniformazione all’ethos politico.
L’elemento fisico dell’educazione dei giovani ateniesi si basava in una prima fase su un rigoroso addestramento ginnico, in base all’idea che un corpo sano favorisce un pensiero sano e viceversa; successivamente si aggiungeva quello bellico, essendo la guerra una fra le attività considerate più nobili e virili dell’uomo greco; per arrivare infine al completamento dell’istruzione rappresentato dalla formazione politica, vero centro della cittadinanza ateniese, e apice verso il quale era indirizzato l’intero processo educativo.
È proprio questa paideia psichica che interessava maggiormente a Platone, ed è infatti su questa che fonderà le basi del suo progetto di rinnovamento (ma al tempo stesso anche conservazione) dell’uomo greco.
Il modello della paideia venne ripreso dai Romani, e secondo vari studiosi ha influenzato in maniera determinante non solo il modo di pensare degli antichi greci, ma anche in genere dell'Occidente europeo.
"La forza educativa proveniente dal mondo greco ha caratterizzato l'Occidente a partire dai Romani; è poi più volte rinata con continue trasformazioni col sorgere di nuove culture, dapprima con il Cristianesimo, poi con l'umanesimo e il rinascimento."
(Giovanni Reale)
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Credo non ci sia nulla da aggiungere, tanto è esposto in modo cristallino il fine dell'istruzione. La buona scuola va in direzione opposta, poiché l'orientamento scelto è quello di formare coscienze individuali ma conformi, attraverso insegnamenti diversificati in funzione degli ambiti territoriali secondo gli indirizzi scelti dai Dirigenti Scolastici, i quali "diventano leader educativi: meno burocrazia e più attenzione all’organizzazione della vita scolastica. Dovranno essere i promotori del Piano dell'offerta formativa e avranno la possibilità, a partire dal 2016, di mettere in campo la loro squadra individuando, sui posti che si liberano ogni anno, i docenti con il curriculum più adatto a realizzare il progetto formativo del loro istituto.".

L'accento viene posto sul processo di apprendimento di tecniche e alla formazione di stili di vita conformi ("Viene dato più spazio all’educazione ai corretti stili di vita, alla cittadinanza attiva, all’educazione ambientale, e si guarda al domani attraverso lo sviluppo delle competenze digitali degli studenti (pensiero computazionale, utilizzo critico e consapevole dei social network e dei media). La scuola è sempre di più il luogo in cui si formano le coscienze. I piani triennali per l’offerta formativa promuoveranno, quindi, anche la prevenzione di discriminazioni.").

Esattamente l'opposto della paideia umanistica ricordata da Giovanni Reale ("La forza educativa proveniente dal mondo greco ha caratterizzato l'Occidente a partire dai Romani; è poi più volte rinata con continue trasformazioni col sorgere di nuove culture, dapprima con il Cristianesimo, poi con l'umanesimo e il rinascimento.") il cui fine è il "completamento dell’istruzione rappresentato dalla formazione politica, vero centro della cittadinanza ateniese, e apice verso il quale era indirizzato l’intero processo educativo".

Non più cittadini che partecipano consapevolmente alle scelte politiche, ma individui in possesso di competenze tecniche standard, per quanto tagliate su misura in funzione delle esigenze produttive degli ambiti territoriali, conformati non a valori ("l'nteriorizzazione di quei valori universali che costituivano l’ethos del popolo"), bensì a stili di vita comuni!

Io sono un insegnante, ma non condivido l'impostazione della "buona scuola" e combatto ogni giorno la mia personale guerra di resistenza contro questa follia. Ai miei studenti cerco di trasmettere valori, dai quali discendono anche gli stili di vita, ma vengono prima di questi. Insegno loro ad essere membri consapevoli di una comunità verso la quale hanno sì degli obblighi, ma anche il diritto di discuterli, contestandoli nei modi corretti attraverso la partecipazione alla vita pubblica, cioè preparandosi ad essere, ognuno di loro, un "politikòn zôon", un "animale politico" secondo la definizione di Aristotele. Lo faccio insegnando materie tecniche, cosa non difficile perché la tecnica è molto più di una collezione di metodi atti a manipolare le forze della natura. L'uomo è un "politikòn zôon" e, in quanto tale, è portato a unirsi ai propri simili per formare delle comunità, al cui interno la scelta delle tecniche da sviluppare e impiegare per manipolare la natura è il frutto di scelte politiche.

E nessuno dei miei studenti crede alla favola secondo cui il lavoro diventerà una merce rara come conseguenza dello sviluppo della tecnica. Se così fosse, allora la tecnica sarebbe una forza esogena alla comunità, qualcosa che viene dall'esterno senza che vi sia la possibilità di controllarla. Ma nella misura in cui l'uomo è effettivamente un "politikòn zôon", la tecnica è uno strumento che nasce dal conflitto politico, il senso del quale è la suddivisione del lavoro e dei suoi frutti. Pertanto, finché ci sarà conflitto politico, cioè nella misura in cui i membri di una comunità saranno "animali politici", il lavoro non sarà mai una merce rara, perché la distinzione tra conflitto politico e lavoro viene a cessare.

Al contrario, il lavoro diventa merce rara quando i membri di una comunità vengono espulsi dal conflitto politico e trasformati in schiavi o, come avviene oggi, in consumatori passivi, perché allora la tecnica viene trasformata in fattore esogeno, in quanto controllato dalla classe dominante. Questo può avvenire a qualsiasi livello di sviluppo tecnico, e poiché da sempre che l'uomo dispone della capacità di garantire ad ogni membro della comunità il necessario di cui vivere, ne segue che la scarsità delle risorse è il frutto di una rapina, e non dell'avarizia della natura o della mancanza di tecniche sufficienti. E non saranno i robot a por fine a questa rapina.

10 commenti:

  1. Spero che la mia identità risulti sufficientemente chiara, e di avere miglior fortuna del tentativo di commento fatto alcuni post addietro. Ciò premesso, trovo abbastanza fuorviante un parallelismo tra contesti storico-politici così distanti. Certo, alla culla della nostra civiltà, quale si tende, spesso disinvoltamente, a considerare la Grecia periclea, va riconosciuto il merito di aver coltivato un elitarismo niente affatto dissimulato, mentre oggi, che si chiamino Renzi o Bagnai... che tragedie annunciate (nel primo caso) e che delusioni per anime candide, tipo la mia (nel secondo)! Ahi ahi!...

    Alessandro Vichi (un "prodotto", per la cronaca, del liceo classico)

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    1. Scusa Sor Vichi, ma in che senso dici "Spero che la mia identità risulti sufficientemente chiara"? Ciò a me non risulta, deinde non rispondo alle tue osservazioni - e sì che ne avrei di cose da dire! Pubblico il tuo commento solo per ribadire che QUESTO NON E' UN BLOG PER ANONIMI. Stammi bene finché sei anonimo, benvenuto quando avrai un nome e cognome.

      F.to Fiorenzo Fraioli

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    2. Allora devo avere proprio un'incapacità nel gestire il profilo di Google, perché ero convinto che risultassero le mie generalità, nel commento. Mea culpa, e grazie per avermi comunque risposto. Che non era un blog per anonimi l'avevo capito, ora vedrò di capire come certificare la mia identità. Non mi applico, lo so. Vedrò di ripresentarmi alla prossima sessione. Un saluto ed un in bocca al lupo per il blog, che seguo da poco ma con interesse (non in contrasto con il dissenso su varie questioni) ed apprezzamento per i toni pacati.

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  2. però c'è scritto educazione alla cittadinanza attiva...

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    1. Certo, "attiva" nel senso di cooperativa nel rendere funzionante un sistema del quale non si deve avere alcun controllo. Ma tu queste cose le sai, perché perculi?

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    2. Io non perculo, era una domanda sincera. Forse mi sopravvaluti.

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    3. Intanto non ti credo, ma transeat. Comunque guarda qua e leggi: "Cittadinanzattiva onlus è un movimento di partecipazione civica che opera in Italia e in Europa per la promozione e la tutela dei diritti dei cittadini e dei consumatori. Dal 2000 siamo membri del Cncu-Consiglio nazionale consumatori e utenti presso il Ministero dello Sviluppo economico."

      Da wikipedia si legge: "Principio fondante del movimento è l'azione e la partecipazione dei cittadini, come fulcro della vita democratica. Questa filosofia è diventata poi parte della Costituzione italiana con il referendum del 2001 che ha introdotto definitivamente l'ultimo comma dell'articolo 118."

      E l'ultimo comma dell'art. 118 è questo: "Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà."

      Il "principio di sussidiarietà" è questo (sempre da wikipedia): "In modo generale, la sussidiarietà può essere definita come quel principio regolatore per cui se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l'ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l'azione... Il principio di sussidiarietà è caratterizzato, secondo chi lo sostiene, da implicazioni sia di natura positiva sia di tipo negativo. Dal punto di vista positivo, infatti, si afferma che lo Stato (e gli altri enti pubblici) dovrebbe offrire sostegno economico, istituzionale e legislativo alle entità sociali minori (chiesa, famiglia, associazioni). Le implicazioni di natura negativa, invece, spingono lo Stato ad auto-astenersi dall'intervenire in determinati settori, per non ostacolare chi potrebbe soddisfare un determinato bisogno meglio dello Stato stesso (si presuppone, infatti, che le libere aggregazioni di persone conoscano certe realtà periferiche meglio degli amministratori pubblici di livello più alto). In questa maniera si favorirebbe la lotta all'inefficienza, allo spreco, all'assistenzialismo e ad un eccessivo centralismo burocratico."

      Il principio di sussidiarietà ha aperto la strada all'intervento del privato in molti settori che per la Costituzione del 1948 erano di esclusiva competenza dello Stato.

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    4. se pensi che io venga qui a raccontare balle e prendere per il culo allora puoi togliermi dai commentatori del blog

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    5. Credevo davvero che le sapessi. Ho dato per scontato che lo sapessi, e che volessi "stuzzicarmi un po'", perché i tuoi interventi sono sempre consapevoli. Scusami.

      Comunque su questa storia di Cittadinanza Attiva ci sono cascato anch'io, una decina di anni fa, quando ero anche più grande di te adesso. Sedotto dal termine, costituii un gruppo di Cittadinanza Attiva senza avere ben chiaro il livello ideologico sottostante. Me ne resi conto SOLO qualche tempo dopo che l'iniziativa si era esaurita e il gruppo si era sciolto. A mia scusante posso invocare il fatto che erano i miei primi passi in politica, dopo un trentennio passato ad occuparmi solo di cose tecniche.

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  3. Io non butterei tutto nel cesso. Non conosco Cittadinanza Attiva e non so cosa abbia fatto, ma il percorso culturale e politico intrapreso negli anni '90 dello scorso secolo per "modernizzare" il rapporto fra cittadini e una pubbliica amministrazione tradizionalmente autoritaria e autoreferenziale e per rafforzare le tutele della gente comune nelle relazioni commerciali con i grandi e piccoli squali del mondo economico-mercantil-produttivo forse a qualcosina di positivo è approdato.

    Il discorso sul principio di sussidiarietà e sulle relative implicazioni è piuttosto complesso, nel senso che la assoluta vaghezza e genericità della sua enunciazione in sede di Costituzione consente, all'atto pratico, di affermare tutto e il contrario di tutto riguardo a ciò che esso comporta nei diversi settori in cui dovrebbe trovare applicazione. Si pensi, ad esempio, che c'è gente che lo invoca per sostenere che allo Stato non spetterebbe gestire la sicurezza pubblica, in quanto sarebbero i comuni gli enti pubblici titolati ad amministrare le istanze di sicurezza dei cittadini (ovviamente è una monumentale stronzata, dato che la difesa della pubblica sicurezza implica strategie e un assetto organizzativo necessariamente ultralocali e pone problematiche che non possono essere gestite a livello puramente territoriale).

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