venerdì 26 dicembre 2014

Euro-exit: regime transitorio e regime permanente


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Gli ingegnieri sanno bene qual è la differenza tra regime transitorio e regime permanente, e sanno anche che lo studio dei transitori è molto più difficile. Anche perché molte ipotesi lineari, che possono essere tranquillamente assunte nello studio dei regimi permanenti (e con esse l'uso di metodi che trasferiscono in un altro dominio l'analisi) non sono valide nello studio dei transitori. Non fosse altro perché, se uno ha bisogno di approfondire lo studio dei transitori, spesso non può accontentarsi delle approssimazioni lineari.

Nel frammento che vi propongo, tratto dal video di A/simmetrie dal titolo "Scenari di uscita dell’Italia nel modello di a/simmetrie - Euro, mercati, democrazia 2014", l'economista Francesco Lippi sottopone a critica il modello presentato da Alberto Bagnai sugli scenari di uscita dall'euro. Alberto Bagnai risponde alle critiche di Francesco Lippi in questo post [Il moltiplicatore del modello di a/simmetrie (KPD5)], ma limitatamente al valore da assegnare ad uno dei parametri del suo modello, il moltiplicatore fiscale

Tuttavia le critiche di Lippi vanno ben oltre questa circostanza. Nella sostanza, e nel video ciò è ben rappresentato dallo stesso Lippi, egli mette in discussione la validità stessa dell'approccio di Bagnai, argomentando che il modello messo in campo, per altro con encomiabile dispendio di energie, essendo di natura inevitabilmente lineare è poco adatto per valutare gli scenari turbolenti dell'uscita dall'euro. Non che egli ne proponga di alternativi, semplicemente sottolinea il fatto che le turbolenze saranno tali e di tale impatto da non consentire alcuna modellizzazione lineare. E dunque, stanti i limiti della teoria dei sistemi applicata all'economia, il transitorio dell'uscita dall'euro non è modellizzabile. Ciò non toglie che ogni sforzo per valutare gli scenari immediatamente successivi all'euro-exit debba essere fatto, e di ciò siamo tutti grati ad Alberto Bagnai. Ma anche no, poiché questo è in fondo il suo mestiere, mentre forse faremmo (in realtà facciamo) meglio ad essere molto arrabbiati con altri che si ostinano a considerare l'eurozona come un dentifricio ormai uscito dal tubetto. Come dire un processo irreversibile. 

Tuttavia, se il transitorio dell'euro-exit è difficile da esplorare con l'uso di modelli lineari, ciò non vale per quanto riguarda il regime permanente che si instaurerà dopo l'esaurimento del transitorio successivo all'inevitabile sua fine (en passant: anche questa è una cosa che discende dai modelli lineari keynesiani). Questo è un campo in cui possono esercitarsi studiosi di ambiti diversi dalla specializzazione econometrica: storici, giuristi, politologi, sociologi, psicologi... il cui contributo deve essere tenuto in conto.

Ora, essendo possibile affrontare lo studio dei regimi permanenti (ovvero esaminare e valutare i possibili assetti stazionari di un sistema politico-giuridico-sociale-economico) con modelli linearizzati , si può e si deve fare un importantissimo passo indietro, che consiste nella rinuncia all'orgogliosa pretesa tecnocratica (hýbris) di progettare un "sistema ottimizzato" che faccia tutti contenti, con l'implicita e spesso non dichiarata assunzione che si possano cambiare le cose, anche molte cose, senza tuttavia rivoluzionare tutto. Ciò significa che torna in campo l'idea di partigianeria, alias la lotta di classe. Infatti lo studioso degli assetti "permanenti" non progetta/immagina con la superbia di ottimizzare un sistema che non si può cambiare in modo radicale, bensì con la volontà di definire e proporre dei radicalmente nuovi equilibri permanenti, che favoriscano alcuni a scapito di altri. E dunque non può che essere egli stesso parte del processo di cambiamento. Cioè partigiano.

Non è ancora giunto il giorno in cui le scienze sociali potranno prevedere e pilotare ogni evoluzione della $toria. Hari Seldon non è ancora nato, e di sicuro non è Alberto Bagnai. Al quale va tuttavia, al netto delle sue paturnie da Donna Elvira e degli errori di posizionamento politico, la riconoscenza di tutti noi. A condizione che torni al dialogo, anche aspro, con i soggetti reali che rappresentano le istanze reali, sia dominanti che (oggi) dominate, le quali sono le vere e determinanti artefici del dipanarsi degli eventi.

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