giovedì 15 ottobre 2015

Una domanda da quattro soldi

Il manifesto se ne esce con questo titolo: 


Lettera alla sinistra italiana

La domanda è: questo sarebbe il giornale dei "Maître à penser" della sinistra italiana? Questo giornale che comincia adesso, alla fine del 2015, a dare spazio alle critiche alla moneta unica (nella fattispecie un articolo di Oskar la Fontaine, che ha riconosciuto l'errore in extremis) sarebbe "la voce" della sinistra italiana? Ma come, io che vivo a Castro dei Volsci l'avevo capito cinque anni fa? Ma come, mi è bastato ascoltare una sola volta (da chi ne sapeva più di me) le argomentate critiche all'euro e ci sono arrivato IMMEDIATAMENTE, mentre questi intellettualoni cominciano ad avere qualche dubbio cinque anni dopo? E neppure si sono ancora convinti?

Abbiano l'umiltà di tacere, è troppo tardi. La sinistra non sono loro, la sinistra siamo noi: di Castro dei Volsci, di Radicondoli, di Trevi nell'Umbria, di Avezzano, di... vattelappesca... e diGiamolo... di Pescara!

Mi taccio per non diventare volgare. E poi devo andare a lavorare... IO!

13 commenti:

  1. No, a Pescara di sinistra non ne vedo Fiorenzo... Per il resto hai ragione tu...

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    1. Non so. Però dimmi, non sembra anche a te che Illo se sia dato 'na calmata? Quasi quasi me preoccupo... ;-)

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  2. I geni ebbero la fortuna di incontrare, in tempi ormai remoti, chi gli poteva chiarire la questione. Gli sventurati non risposero...

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  3. "Un partito di sinistra deve porre come condizione alla sua partecipazione al governo la fine delle politiche di austerità. Tut­ta­via ciò è pos­si­bile solo se in Europa prende forma una costi­tu­zione mone­ta­ria che con­servi la coe­sione euro­pea (!!!!), ma che ria­pra ai sin­goli paesi la pos­si­bi­lità di ricor­rere a poli­ti­che capaci di aumen­tare la cre­scita e i posti di lavoro. Pre­sup­po­sto impre­scin­di­bile a que­sto scopo è il ritorno a un sistema mone­ta­rio euro­peo (Sme) miglio­rato ( !!!!!!!!!!!! ), che con­senta nuo­va­mente di ricor­rere alla riva­lu­ta­zione e alla sva­lu­ta­zione. Tale sistema resti­tui­rebbe ai sin­goli paesi un ampio con­trollo sulle rispet­tive ban­che cen­trali e offri­rebbe loro i mar­gini di mano­vra neces­sari per con­se­guire una cre­scita costante e l’aumento dell’occupazione attra­verso mag­giori inve­sti­menti pub­blici, così come per con­tra­stare, tra­mite la sva­lu­ta­zione, l’ingiusto dum­ping sala­riale ope­rato dalla Ger­ma­nia o da un altro Stato membro."

    FALSO ALLARME, RAGAZZI ! SONO SEMPRE GLI STESSI: "PIU' EUROPA !" Conversione tardiva sulla via di Damasco? Non pervenuta (come per Fassina, bisogna arrivare fino in fondo al loro discorsi per capire che fanno finta).

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    1. Non sono d'accordo. Un sistema di cambi fissi ma aggiustabili consente ai partecipanti di conservare la capacità di reagire a politiche di export aggrressive. Lo SME svolgeva questo compito in modo egregio, anche se la tendenza italiana fu sempre quella di tentare di restare agganciati al marco comprimendo i salari interni. Tuttavia era possibile uscire dal vincolo in qualsiasi momento (e ciò avvenne) come pure chiedere e ottenere bande di oscillazione più ampie (noi lo ottenemmo).

      Lo SME fu abbandonato dopo il suo più grande fallimento nel 1992, in concomitanza con la ratifica del trattato di Maastricht. Una circostanza, questa, che la dice lunga sulla determinazione del grande capitale europeo di sottrarre agli Stati ogni sovranità economica. Nel giro di soli 7 anni ci siamo ritrovati nella gabbia dell'euro (adottato il 1 gennaio 1999). Ne sono serviti altri 8 per arrivare alla crisi del 2007.

      Il problema non era lo SME, perché forme di coordinamento delle politiche dei cambi sono necessarie, ma la volontà di NON usarlo come strumento di aggiustamento degli squilibri bensì come forcipe al fine di forzare le politiche nazionali verso una convergenza impossibile e innaturale. L'abbandono delle parità nel 1992 avrebbe dovuto suggerire l'adozione di nuove parità che prendessero atto della realtà, ma al contrario si decise, senza che gli elettori venissero informati dei rischi, di procedere comunque, e a tappe forzate, addirittura verso la moneta unica.

      Questi sono concetti in fin dei conti semplici, ma comunque troppo difficili per gli intellettualoni del Manifesto.

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    2. Chi propugna uno SME "migliorato" (ma miglioraato come?), cioè un sistema monetario che presuppone l'esistenza di organi sovranazionali di coordinamento e di controllo del rispetto delle regole da parte degli Stati aderenti all'accordo (organi che, trattandosi di un sistema monetario "europeo", non potrebbero che essere i soliti a noi tristemente noti), non lascia dubbi sul fatto che un simile appello si muove nel solco del "sogno europeista" di spinelliana memoria, come peraltro si evince anche da altre affermazioni che ho riportato nel precedente post.

      Perchè fare riferimento ad un meccanismo di goverrno monetario europeo se non per rimarcare che dalla Unione Europea non si deve uscire, ma si deve cercare di riformarne l'impianto, magari "sbattendo" i famosi pugni sull'altrettanto famoso tavolo di Bruxelles?

      Chi ha capito che la UE è irriformabile e che l'unica cosa sensata da fare sarebbe quella di uscirsene (magari per ricostruire da zero qualcos'altro), non si sogna minimamente di proporre uno SME "migliorato", ma parla, tutt'al più, di possibili meccanismi di coordinamento dei cambi fra Stati nazionali (non necessariamente solo europei), meccanismi che dovrebbero obbedire a regole completamente diverse da quelle che hanno retto prima lo SME e poi il sistema dei cambi fissi.

      Lo SME è stata la "prova generale" dell'€ (fallita miseramente) e, come tale, era un esperimento funzionale esclusivamente alla futura adozione della moneta unica. L'iniziale maggiore flessibilità dei cambi non era l'obiettivo finale, ma rispondeva ad una logica di programmata gradualità verso l'irrigidimento successivo.

      Non ci sono santi: chi mi prospetta lo SME (non importa se migliorato o peggiorato) come alternativa all'€ e all'austerity, mi si sta perorando nè più nè meno che il fatidico "più Europa!".

      "Fate vobis".

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    3. Nello SME non c'erano "organi sovranazionali di coordinamento e di controllo del rispetto delle regole da parte degli Stati aderenti all'accordo". Lo SME era un accordo di cambio in cui ogni paese conservava la sua Banca Centrale (il problema dell'indipendenza non riguarda lo SME) nonché il diritto di recedere unilateralmente dalla banda di oscillazione concordata con una semplice comunicazione. Infatti, quando l'Italia e l'Inghilterra abbandonarono le rispettive bande nel 1992, si limitarono a comunicarlo. 

      Se poi tu un eventuale futuro coordinamento sui cambi (ovviamente con BC NON indipendente, ma questo è un problema di rapporti di forza interni al paese) non vuoi chiamarlo "nuovo SME" perché la denominazione ti fa venire l'urticaria, questo posso capirlo, ma si tratta di un problema emotivo, non di altro.

      Che un coordinamento sui cambi sia non solo auspicabile, ma necessario, deriva dal fatto che in sua assenza il commercio estero ne verrebbe gravemente compromesso. Di più: in assenza di una garanzia basata su accordi internazionali mediati dallo Stato, si farebbero avanti le assicurazioni private offrendo agli operatori polizze a copertura dei rischi di cambio. Ciò avrebbe non solo l'ovvia conseguenza di offrire occasioni di speculazione alla finanza privata, ma anche di trasferire una parte del potere di garanzia sulle transazioni internazionali da un soggetto pubblico (lo Stato) a soggetti privati.

      Sono francamente desolato nel constatare che non solo tu, ma moltissimi altri, sembrate aver tratto poco vantaggio dalla didattica di Illo, del cui carattere si può discutere all'infinito ma che i fondamentali li ha spiegati in modo che più chiaro non si può.

      Addentino avvelenato on

      Credo, sicuramente peccando di superbia, che questo parziale insuccesso sia da addebitare anche al fatto che ILLO non volle prendere nemmeno in considerazione i miei consigli. ILLO ha creduto che il suo fosse un linguaggio universale, perché "razionale", mentre io, che insegno cose molto più semplici ma ho un polso della situazione pedagogica che lui ha dimostrato di non avere, gli proposi di moltiplicare il numero di coloro ai quali affidare il compito di divulgare queste quattro cazzate. Preso da un attacco di paranoia acuta (alimentata da qualcuno? Ah saperlo!) mi maltrattò e, complici i rispettivi caratteri (soprattutto il suo), tutto finì in malora.

      Addentino avvelenato off

      Ora ti saluto, devo preparare una lezione sulla modulazione di frequenza per una banda di simpatici scriteriati.

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    4. Ti ricordo anche che il Trattato di Maastricht fu firmato a livello governativo nel febbraio del 1992, dieci giorni (dicasi dieci giorni) prima dell'inizio di tangentopoli, e ratificato nell'ottobre dello stesso anno, quando lo SME era già virtualmente defunto, in piena buriana manettara. Il sospetto che si sia dato vita a tangentopoli al fine di disarticolare una classe politica restia a procedere ulteriormente sulla strada della moneta unica, è più che legittimo.

      Volendo, anche la bufera che travolse la lira e la sterlina può essere letta in chiave complottista: si trattava di:

      a) chiudere l'esperienza dello SME
      b) buttar fuori l'indecisa Inghilterra
      c) guadagnare un bel po' di soldi con l'assurda difesa del cambio posta in essere dal "Governatore in trincea", alias Carlo Azeglio Ciampi. Il che effettivamente...

      In definitiva, lo SME era ormai diventato un ostacolo all'ulteriore passo verso la moneta unica, in quanto prevedeva ancora una relativa autonomia delle BC nazionali (seppur indipendenti). Ci voleva qualcosa di più forte: la totale sottomissione delle BC nazionali a una sovrastruttura europea. E fu la BCE, costituita nel 1998.

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    5. RIguardo al fatto che lo SME non prevedesse organi sovranazionali di coordinamento ecc.., se ti riferisci a qualcosa di simile all'attuale BCE, cioè ad una istituzione rata ad hoc per la gestione dell'accordo, indubbiamente non esisteva nulla del genere (anche se nell'ultima fase di vita dello SME fu creato un ente che voleva essere una sorta di prototipo delle BCE). Se invece intendi dire che lo SME non prevedeva forme di "governo" del sistema, ossia di coordinamento fra gli stati aderenti e di controllo sul rispetto da parte degli stati stessi degli obblighi assunti per poter partecipare al sistema, non stai parlando dello SME, ma di qualcosaltro, vale a dire di un meccanismo interstatuale di aggiustamento del cambio affidato alla paura e semplice buona volontà degli stati partecipanti, cioè di un "non.sistema" interstatuale.

      Quanato al fatto che il riferimento di Lafontaine allo SME genererebbe nel sottoscritto una opposizione che ha radici esclusivamente psico-emotive e istintuali, abbi pazienza ma non è così. Quel riferimento rivela, a mio avviso in modo inequivocabile, dove Lafontaine vuole andare a parare. Chi, come lui, anziché limitarsi ad invocare la necessità di nuovi accordi di cambio fra gli Stati, caldeggia il ripristino di un preciso accordo di cambio connotato da un altrettanto preciso "marchio di fabbrica" eurounionista, sta dicendo chiaramente che l'obiettivo che la sinistra deve perseguire non è la dissoluzione del leviatano ordo-liberista che opprime le classi lavoratrici, ma la sua trasformazione dall'interno in senso migliorativo, alias "più Europa!".

      Difatti, se le immagini che si evocano riflettono in qualche modo il pensiero e i sentimenti di chi le evoca, cosa riflette l'immagine evocata da Lafontaine nell' auspicare un ritorno allo SME "migliorato"? POiché lo SME era un accordo di cambio interno alla ex Comunità e attuale Unione Europea, chi ne prospetta il ripristino presuppone e vuole la sostanziale conservazione della struttura politico-organizzativa nella quale lo SME si inseriva e alla quale era funzionale, nell'illusione che possa essere "migliorata" come lo SME. Diversamente, Lafontaine non avrebbe fatto specifico rifermento allo SME , ma a "nuovi accordi di cambio" in generale, se non altro perché non è scritto da nessuna parte che simili accordi debbano essere stretti sempre e solo fra gli Stati appartenenti all'attuale UE.

      In ogni caso, siccome qui nessuno ha messo in discussione l'utilità degli accordi di cambio in linea generale, non capisco quale desolante prova avrebbe dato il sottoscritto nelle (supposte) vesti di discepolo dell'esimio cattedratico tosco-pescarese.


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    6. Forse ho capito da dove sorge il nostro equivoco. Tu pensi che l'uso del termine SME, da parte di Lafontaine, non sia un mero dato tecnico, ma che alluda a un nuovo meccanismo che tuttavia non deve mettere in discussione il processo di integrazione europea. Questo processo, secondo la tua lettura delle dichiarazioni di Lafontaine, dovrebbe andare avanti, seppure rinunciando all'euro perché troppo disfunzionale.

      Forse hai ragione, forse sono come al solito troppo ingenuo e fiducioso. Io non ho pensato a questa ipotesi, e sono rimasto al dato tecnico: la necessità di coordinarsi per una relativa stabilità dei cambi, pur lasciando ad ogni paese la possibilità di reagire in presenza di rottura degli accordi. Per questa ragione le parole di Lafontaine mi sono apparse come un fatto positivo.

      Il tempo chiarirà le reali intenzioni di Lafontaine, come pure quelle di questa sinistra socialdemocratica che "sembra" voler uscire dal letargo.

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    7. Avevo capito che eri desideroso di "investire" nell'idea che la sinistra si sta finalmente iniziando ad interrogare sulla necessità di abbandonare il sogno europeista. Ma in una simile svolta (il caso Fassina è emblematico) potremo sperare solo quando da quelle parti qualche "maitre a penser" farà ciò che Lafontaine non fa, ossia parlare apertamente della necessità di ripristinare l'unica condizione alla quale è politicamente possibile che i "ceti subalterni" facciano sentire la propria voce: sto parlando, ovviamente, del ritorno alle sovranità nazionali da parte degli stati europei (magari come step di (ri)partenza per la (ri)costruire qualcosa di radicamente diverso dall'attuale UE).

      Sai, avevi ragione quando affermavi, qualche post fa, che al giorno d'oggi il sovranismo è il "naturale" programma politico di una forza di sinistra. Me ne sono convinto riflettendo sul fatto che la dimensione sovranazionale è il terreno di manovra "naturale" del capitale, terreno dove questo ha sempre vinto e vincerà sempre sul lavoro o meglio, in senso più inclusivo, sul non-capitale.

      E, allora, propongo di smettere di definire "di sinistra" roba come il Manifesto, SEL, PRC et similia solo perché essi si proclamano tali. E' forse sufficiente che un elefante dica di essere un airone perché sia chiamato airone?

      Rendiamoci una buona volta conto del fatto che questa gente -- vocata alla sempiterna marginalità politica e irrelevanza culturale --, grazie all'usurpazione del titolo di quotidiano, movimento o partito "di sinistra", arreca un mastodontico danno alla sinistra, ostacolando il poteziale sviluppo di qualunque prospettiva autenticamente di sinistra.

      Diamo alle cose il loro nome: chi difende assetti economici utili al dominio del capitale è oggettivamente di destra, come lo è chi, dall'interno di un sistema economico ultracapitalistico, proclama di essere dalla parte delle vittime di quel sistema propugnando soluzioni salvifiche marchianamente irrealizzabili (vds.la voce "più Europa").



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  4. Sarà la conseguenza dell' introduzione dell' euro , e prima ce ne liberiamo , ritornando alla
    nostra sovranità monetaria , meglio è , ma io sono convinto che la causa principale della
    deindustrializzazione dell' Italia sia il disimpegno dello stato nell'economia , vedi le privatizzazioni
    , cosa che invece non accade in Germania : la Wolkswagen e' per il 20% ancora in mani pubbliche,e mi sembra che in un modo o nell'altro riceva ancora sussidi statali , le loro
    banche sono ancora in maggioranza pubbliche vedi Kfw , la nostra CDP , 4a banca mondiale ,
    che compra i deutsche bund e le casse di risparmio , piene di debiti , ma che riescono a sfuggire
    ai controlli della BCE e intanto finanziano le PMI , altro esempio i loro istituti di ricerca pubblici
    a supporto dell'avanzamento tecnologico delle loro imprese e a questo proposito ti invito a
    ricercare su Google ,Max Planck Institute , nome certamente a te noto in quanto è un tuo
    collega fisico , e rendersi conto come in ,quasi ,ogni città tedesca esista un tale istituto : lo stato
    innovatore o imprenditore di Marianna Mazzucato .

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