martedì 12 aprile 2016

La scelta tra cambi fissi e flessibili

Premessa


Dopo aver frequentato per un certo tempo gli ambienti del misticismo economico e politico, e averne tratto importanti insegnamenti sull'animo umano, è tempo di tornare alla moderata razionalità. In questo post vi sottopongo un testo, tratto da questa dispensa dell'Università dell'Aquila, che mi è parso accessibile anche ai non specialisti e, al contempo, rigoroso.

«La scelta tra cambi fissi e flessibili

Tra gli economisti non vi è accordo circa la valutazione di quale regime di tasso di cambio sia preferibile per un’economia aperta, in quanto nessun regime di cambi può essere considerato preferibile per tutti i paesi o per tutte le situazioni economiche. Rinviando ai manuali di Economia internazionale per un esame più ampio della questione, in questa sede vogliamo solo evidenziare i principali vantaggi e svantaggi dei due regimi ‘estremi’ (cambi fissi e cambi flessibili), tenendo presente che le argomentazioni a favore di uno di essi rappresentano argomentazioni contro l’altro regime, e viceversa.
Anche solo sulla base dell’analisi che abbiamo condotto in questo capitolo e nel precedente, si possono indicare tra i vantaggi dei cambi fissi il sostegno alla crescita del commercio e degli investimenti internazionali, in quanto il regime di cambi fissi riduce il rischio di cambio nelle transazioni internazionali (le eventuali variazioni della parità non sono molto frequenti nella realtà) e facilita i confronti internazionali della competitività di beni e servizi.
Inoltre, in un sistema di cambi fissati attraverso accordi bilaterali o multilaterali tra Banche Centrali, viene limitata la presenza destabilizzante sul mercato valutario degli speculatori, i cui guadagni attesi sono legati all’eventualità di una variazione della parità. Infatti, mentre a difesa del tasso di cambio fissato unilateralmente da un singolo paese solo la Banca Centrale di quel paese interviene a difesa della parità, attingendo alle proprie riserve di valuta estera, nel caso di cambi fissi definiti da accordi tra più paesi tutte le Banche Centrali interessate possono (o devono, a seconda dei casi) intervenire: la quantità di riserve valutarie utilizzabili per la difesa della parità da un attacco speculativo sono molto maggiori. Va tuttavia rilevato che l’attività speculativa sul mercato valutario può risultare meno frequente, ma più destabilizzante – quando è presente – in regime di cambi fissi rispetto al regime di cambi flessibili: nel primo caso, infatti, è più facile che le aspettative degli speculatori siano orientate tutte in una stessa direzione (ad esempio, una svalutazione).
Gli svantaggi dei cambi fissi, invece, sono legati alla difficoltà di perseguire sistematicamente un obiettivo interno, ad esempio di reddito, nel rispetto del vincolo esterno di pareggio della bilancia dei pagamenti. Come analizzato nel paragrafo precedente, il sistematico disavanzo delle partite correnti, compensato dal ricorrente avanzo dei movimenti di capitale risulta insostenibile nel lungo periodo. Il regime di cambi fissi, inoltre, rende endogena la politica monetaria: la Banca Centrale non è in grado di condurre un’autonoma politica monetaria, perdendo un importante strumento per sostenere la domanda aggregata e l’occupazione. In aggiunta, essa deve immobilizzare elevate quantità di valuta estera come riserva per le necessità di intervento sul mercato dei cambi.
Un regime di cambi fissi, infine, non ha gli stessi effetti per tutti i paesi, in quanto vi è una sostanziale asimmetria tra paesi nei vincoli e negli aggiustamenti richiesti a seguito del manifestarsi di squilibri esterni, a seconda che tali squilibri vedano un disavanzo oppure un avanzo della bilancia dei pagamenti. I paesi in deficit incontrano seri vincoli e sono obbligati ad operare tempestivamente gli aggiustamenti necessari, pena l’abbandono del regime di cambi fissi, mentre i paesi in surplus possono continuare ad accumulare riserve di valuta estera senza che si ponga alcun problema.
Questa asimmetria può creare una disparità di incentivi alla cooperazione internazionale tra i vari paesi. Se si allarga l’analisi ad un contesto in cui i prezzi interni ed esteri sono variabili, emergono ulteriori elementi di valutazione relativa dei due regimi di cambio. Quando i prezzi interni crescono più di quelli esteri, un tasso di cambio fisso non consente di compensare la perdita di competitività della produzione nazionale, provocando un peggioramento delle partite correnti e della bilancia dei pagamenti. Questo fattore può però essere visto anche come un vantaggio, qualora spinga le imprese nazionali a contenere i costi di produzione migliorando la propria efficienza produttiva. In altri termini, il recupero della competitività deve essere ottenuto incrementando la produttività dei fattori o potenziando gli elementi di competitività “non di prezzo”. In un regime di tassi di cambio flessibili, invece, il peggioramento della bilancia dei pagamenti causa il deprezzamento del tasso di cambio, mantenendo inalterata la competitività. Se invece i prezzi esteri presentano una dinamica maggiore rispetto ai prezzi interni, in un regime di tassi di cambio fissi la competitività delle merci nazionali migliora, ma si ha anche un trasferimento sui prezzi interni della maggiore inflazione estera, attraverso l’aumento dei prezzi delle merci e servizi importati (si parla in questo caso di ‘inflazione importata’). Al contrario, un regime di tassi di cambio flessibili consente di isolare i prezzi interni dall’evoluzione dei prezzi esteri, attraverso l’apprezzamento del cambio dovuto alla maggiore competitività della produzione nazionale, ma ciò implica anche che la competitività interna non migliora.
Circa gli orientamenti delle diverse scuole di pensiero economico in materia, in linea generale gli economisti di scuola keynesiana mostrano una preferenza per il regime di tassi di cambio flessibili, in quanto esso consente maggiori gradi di libertà nella conduzione della politica di sostegno della domanda aggregata. Il regime di tassi di cambio fissi è preferito invece dagli economisti di formazione monetarista: la loro fiducia nei meccanismi equilibratori di mercato li porterebbe a sostenere i cambi flessibili, ma la loro diffidenza verso gli interventi discrezionali di politica economica tende a prevalere, e la loro preferenza è fondata sul fatto che i cambi fissi limitano fortemente tale discrezionalità.
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5 commenti:

  1. Caro Fraioli hai ragione, torniamo alla razionalità, all'abc, alle bbasi, che servono più di tante chiacchiere, grazie, ciao buon lavoro.

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  2. Ineccepibile , ma rimango sempre dell'idea che , in una società consumistica come la nostra , i prezzi li fanno , la tecnologia , il brand , la multinazionale .

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    1. "ma rimango sempre dell'idea che , in una società consumistica come la nostra , i prezzi li fanno , la tecnologia , il brand , la multinazionale ."

      E quindi? Ammettiamo che tu abbia ragione al 100%, cosa cambia? Che differenza c'è se un aggregato economico è in deficit a causa della pelandronaggine dei lavoratori oppure per effetti distorsivi di qualsivoglia natura? Resta il fatto che tale aggregato economico può:

      a) operare in regime di cambio fisso
      b) operare in regime di cambio flessibile

      Nel primo caso, se vuole reagire alla pelandronaggine o agli effetti distorsivi di qualsivoglia natura DEVE operare una svalutazione interna, il cui effetto collaterale è una riduzione dell'attività economica.

      Nel secondo caso può svalutare, conservando il suo livello di attività economica e avendo così il tempo di porre rimedio alla pelandronaggine e/o agli effetti distorsivi di qualsivoglia natura.

      In sintesi: con il cambio fisso solo la parte più competitiva dell'aggregato economico in questione resta sul mercato, e il resto si fotte. Con il cambio flessibile, tutti i settori dell'aggregato pagano un prezzo, cioè sono sulla stessa barca: o si salvano tutti, o si impoveriscono tutti.

      Secondo te, quale regime di cambio preferiranno i settori che "si sentono forti"?

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    2. Intendevo dire che il successo dei prodotti importati non è dovuto al prezzo , ma alla tecnologia in essi incorporata e che quindi sarà difficile fare un'opera di sostituzione , anche col cambio flessibile ,con la nostra imprenditoria dei Luca di Montezemolo , vedi Alitalia , Tronchetti Provera ,e via cantando .Sei poi diciamo che oltre al controllo dei capitali ci vuole anche un controllo delle merci e un intervento dello stato in economia sopratutto come propulsore dell'innovazione : sviluppo & ricerca , allora siamo d'accordo

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    3. Potresti anche avere ragione (io credo solo in parte - non siamo così messi male) ma in tal caso un cambio flessibile è vieppiù necessario. Infatti (citando il contributo) con il cambio fisso "I paesi in deficit incontrano seri vincoli e sono obbligati ad operare tempestivamente gli aggiustamenti necessari, pena l’abbandono del regime di cambi fissi, mentre i paesi in surplus possono continuare ad accumulare riserve di valuta estera senza che si ponga alcun problema".

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