«Quando l’uomo socialista (o laburista o, nelle sue sottospecie deteriori, giustizionalista e simigliante varietà in ista) pensa ai monopolisti, il pensiero è ristretto ai monopoli detti capitalistici. Non si ha, invero, notizia di disegni di legge o di proposte o di campagne promosse dai socialisti contro i monopoli operai; non cadendo in mente ad essi che le leghe, o sindacati di lavoratori possano dar luogo a monopoli degni di essere controllati od osservati, al par dei monopoli detti capitalistici, per il danno che possono recare alla collettività.
Eppure non v’ha ragione di escludere che leghe, sindacati od associazioni di lavoratori possano formare monopoli… Gli istituti della assicurazione contro la disoccupazione e della piena occupazione, quando superino il punto critico, sono invero arma potentissima per creare e saldare monopoli operai; ed in primo luogo l’assicurazione contro la disoccupazione. Se l’ammontare del sussidio contro la disoccupazione è tale che il lavoratore preferisca l’ozio al lavoro od il lavoro nascosto, o per frode non denunciato e non smascherato, al lavoro ufficialmente noto, quale probabilità vi è che il salario degli occupati sia quello di mercato, che si verificherebbe se non esistesse il sussidio artificioso dato a coloro che prediligono vivere senza faticare?
Quale limite vi è all’aumento delle remunerazioni, se esiste un meccanismo grazie al quale le leghe operaie possono affrontare i rischi dello sciopero senza svuotare normalmente le loro casse di resistenza, perché l’onere di mantenere gli scioperanti è posto a carico delle casse di disoccupazione?...
Se poi, in virtù della politica della piena occupazione la percentuale dei disoccupati scende all’1 per cento, ossia al disotto di quel 3 o 4 per cento della popolazione lavoratrice per l’esperienza dimostra necessaria per assicurare la mobilità del lavoro, ossia il trasferimento dei lavoratori dalle industrie decadenti a quelle progressive, qual limite vi è alle richieste delle leghe monopoliste? Se la legislazione sui minimi di salario fissa minimi siffatti da cancellare l’interesse dei lavoratori, contenti della sorte garantita dal minimo, a mutare stato, a cercare nuove e migliori occupazioni; non si provoca la cristallizzazione sociale e non si distruggono gli incitamenti a salire ed a migliorare?
Ma, nel mondo degli uomini socialisti, esistono idoli che si chiamano unità della classe lavoratrice, conquiste di orario unico, conquista di diritti all’organico, vincoli alle migrazioni interne, diritto al posto, diritto alla occupazione, divieti di licenziamento, che in linguaggio volgare, equivalgono a monopolio di coloro che sono forniti di occupazione ed obbligo dello stato di sussidiare e dar mezzo di vita a coloro che dalle leggi e dall’opera delle leghe sono privati di occupazione. Tutto ciò vuol dire aumenti inutili di costo, diminuzione della produzione, riduzione della capacità di esportare, difficoltà di importare; creazione di miseria. Ma l’uomo socialista adora gli idoli popolari e l’uomo liberale è peritante nel denunciare monopoli supposti vantaggiosi ai lavoratori.In verità la lotta contro i monopoli dei lavoratori è ardua forse più di quella contro i monopoli degli imprenditori; ma la difficoltà di affrontare il problema non toglie il dovere di affermare la esistenza…” [L. EINAUDI, Intervento statale nell’economia e lotta ai monopoli secondo “l’uomo liberale” e secondo “l’uomo socialista”, in La Tribuna, 5 maggio 1957, 10-19].»
Consiglio di leggerlo con estrema attenzione, soprattutto sforzandosi di inquadrare la visione sottesa. Che è questa: i lavoratori sono cittadini politicamente subordinati. Essi possono sì partecipare alla vita democratica, ma solo restando confinati all'interno di un recinto di compatibilità economiche tali da non compromettere la valorizzazione del capitale in un regime di concorrenza internazionale. La qual cosa implica che l'obiettivo primario debba essere la stabilità dei prezzi, o addirittura la deflazione salariale quando il sistema paese, delimitato dalla contabilità nazionale, è perdente in termini concorrenziali. In sintesi: quando le cose vanno bene - ovvero il sistema paese è vincente - i prezzi e i salari devono restare stabili, e diminuire quando si è perdenti.
Ora, se i lavoratori sono cittadini subordinati, ciò implica che esistono cittadini sovraordinati: tutti gli animali sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri! La logica del dominio di classi sociali su altre è sempre all'opera, che si tratti della degenerazione di una rivoluzione socialista o del modello liberista al culmine del suo potere. Attenzione! Non sto parlando del fatto che vi sono sempre, quale che sia l'architettura istituzionale vigente, individui con maggiori responsabilità e ruoli più importanti che costituiscono una élite con redditi più alti - un fenomeno che ha afflitto tutti i tentativi di costruzione del socialismo - ma del fatto puro e semplice che quando la proprietà collettiva è distribuita in modo diseguale, e nella misura in cui questa disuguaglianza cresce, allora la società è divisa in classi destinate ad essere in lotta. Orbene, la lotta di classe conduce, prima o poi, al predominio di alcune su altre, al limite una sola su tutte le altre, e questo è pacifico. Meno pacifico, e affatto compreso dai più, a mio modesto avviso, è che gli avverbi temporali "prima o poi" non devono essere sottovalutati, perché l'intervallo entro il quale il "prima o poi" non si è ancora avverato è esattamente lo spazio di vita nel quale una civiltà riesce ad esprimersi.
Occorre dunque che il conflitto di classe venga riconosciuto, non già sterilizzato attraverso una dittatura che, dietro una facciata interclassista, finirebbe con il comprimere le libertà politiche e la vitalità sociale, e regolato. Questo miracolo è stato compiuto dalla nostra Costituzione, ed esso è alla base del successivo miracolo economico italiano. L'obiettivo fondamentale è già chiaro dal primo articolo: "l'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione", ed è confermato in tutto l'impianto, ad esempio dall'articolo 47 che recita "La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito. Favorisce l'accesso del risparmio popolare alla proprietà dell'abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese."
L'articolo 47 della Costituzione sottolinea ed enfatizza il legame profondo che esiste tra democrazia e proprietà privata diffusa, nella forma di risparmio, proprietà dell'abitazione, della terra coltivata e della partecipazione azionaria all'industria, da perseguire attraverso la disciplina, il coordinamento e il controllo dell'attività creditizia.
L'articolo 47 sostanzia l'affermazione di carattere generale contenuta nell'articolo 3 comma 2 ("E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese") perché la qualifica nel senso del dovere della repubblica di promuovere la proprietà diffusa, e non in quello, caritatevole, del dovere di correre in soccorso di quanti sono in condizioni di bisogno per ragioni economiche. L'idea di proprietà diffusa, non già della collettivizzazione, è l'asse portante della Costituzione del 1948. Una proprietà diffusa che, per realizzarsi, necessita del controllo dell'attività creditizia, dell'intervento diretto dello Stato nell'economia, e, in particolare, di un'azione costante di promozione e ampliamento del welfare, poiché questo è un meccanismo fondamentale attraverso il quale è arginata la tendenza alla concentrazione della proprietà: quando frazioni rilevanti del reddito nazionale sono utilizzate per garantire prestazioni pensionistiche, sanità, assicurazione contro gli infortuni, scuola pubblica, trasporti, energia, telecomunicazioni, gestione del territorio, sicurezza dei cittadini, difesa, tutela della maternità, sicurezza sociale, anche una tendenza all'accentramento della frazione residua del reddito nazionale risulta più facilmente controllabile politicamente. In altre parole, il welfare diffuso costituisce una forma di proprietà, sebbene diffusa, grazie alla quale nessun cittadino è realmente un nullatenente.
Al contrario, un regime economico fondato sull'esaltazione della proprietà privata, oltre ad essere manifestamente contrario alla lettera e allo spirito della Costituzione del 1948, produce masse crescenti di nullatenenti, cittadini al limite della sopravvivenza perché privi delle più elementari tutele. La conseguenza di ciò è, in primo luogo, la fine dell'uguaglianza sostanziale dei cittadini, e dunque la morte della democrazia. Ed è a questa massa di cittadini non proprietari che si applicano le sprezzanti riflessioni di Luigi Einaudi quando afferma "quale probabilità vi è che il salario degli occupati sia quello di mercato, che si verificherebbe se non esistesse il sussidio artificioso dato a coloro che prediligono vivere senza faticare?"; laddove per "sussidio artificioso" egli intende l'insieme dei diritti conquistati dai cittadini lavoratori grazie alla loro capacità di organizzarsi politicamente. Da qui a pensare di sostituire il suddetto "sussidio artificioso" con un'elemosina benevolmente calata dall'alto, quel tanto che basti per tenerli in vita (hai visto mai che potrebbero servire?) il passo è breve, anzi immediato: e fu il reddito della gleba. Ma anche "reddito di inclusione", per la pudicizia piddina. E naturalmente "reddito di cittadinanza" per gli àscari grillini del liberismo.
I sovranisti, che sono antiliberisti, si distinguono dai socialisti, e ancor più dai comunisti, perché pongono l'accento sulla necessità di promuovere la proprietà diffusa facendo leva sull'interventismo statale. Il cuore dell'idea sovranista consiste nell'affermare che la proprietà diffusa è un bene, e che nessun privato, o gruppo di privati, debba diventare così ricco e influente da condizionare e distorcere l'azione dello Stato per la promozione e difesa di una sua ripartizione che sia la più uniforme possibile.
Coloro che confondono l'idea di proprietà diffusa con i modelli collettivistici fanno opera di disinformazione. Coloro che derubricano il sovranismo alla sola sfera monetaria fanno opera di disinformazione. Sia che si tratti dei sostenitori dei modelli collettivistici, i quali magari sperano di poter sussumere, in un secondo tempo, la spinta sovranista, sia che si tratti di liberisti desiderosi di stemperare gli effetti più nefasti della concorrenza, in ogni caso deve essere chiaro che il sovranismo non è riducibile né agli uni né agli altri. Il sovranismo è costituzionale.
..., ma anche antifascista....
RispondiEliminaXII disposizione transitoria: "È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista.
EliminaIn deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista."
La norma è transitoria perché non è sano trasformare un evento storico in un unicum. Fare ciò significherebbe, tra l'altro, ascrivere al fascismo un'importanza eccessiva nella storia d'Italia. Non che non sia stato un avvenimento importante, e molto negativo, ma è sbagliato, a mio avviso, caratterizzare la necessità che un movimento politico sia democratico qualificandolo come "antifascista". Ad esempio il PD, che ho qualche difficoltà a definire "democratico", è tuttavia fieramente antifascista. Lo stesso dicasi per quei campioni di democrazia dei grillini! Manco a dirlo, sono tutti antifascisti.
Credo che sia sufficiente affermare che il sovranismo è costituzionale, perché la Costituzione nasce sulla sconfitta di un nemico, il fascismo. Essa è dunque una carta orientata contro un nemico sconfitto. In altre parole, il fascismo è stato una delle contingenze che possono manifestarsi come frutto dei conflitti tra classi sociali, i quali ne producono continuamente di nuove, spesso ben più pericolose. Temo che l'antifascismo sbandierato sia stata una tecnica posta in atto per occultare altre più contemporanee forme di compressione dei diritti politici e sociali.
Comunque, se insisti, sì! Il sovranismo è antifascista. Tanto, per quel che vale...