Per cominciare, osserviamo che stiamo parlando di "sviluppo tecnico", e non di uno in particolare come la digitalizzazione. Pertanto, se è possibile discutere la tesi "la globalizzazione è conseguenza dell'attuale stadio dello sviluppo tecnico", è invece totalmente sbagliato sostenere che "la globalizzazione è conseguenza della digitalizzazione". Forse che i processi di globalizzazione a cavallo tra la fine del XIX secolo e l'inizio del XX sono stati causati dalla "digitalizzazione"?
E' vero, invece, che lo stadio delle conoscenze scientifiche e delle competenze tecniche modifica in profondità il campo di gioco sul quale si sviluppano le contraddizioni sociali e i confronti geopolitici.
Attenzione, le contraddizioni sociali e gli scontri geopolitici non sono la stessa cosa, nel senso che non è possibile la reductio ad unum di queste polarità, come spesso si fa sia "a destra" (tutto è geopolitica) che "a sinistra" (tutto è lotta di classe). Due esempi:
- La Roma repubblicana si impose sul piano geopolitico, dopo aver trovato un equilibrio di classe interno, grazie alla tecnica militare, che era proprietà di tutti i cittadini, cioè dello Stato.
- I moti rivoluzionari del XIX secolo furono possibili perché lo stadio dello sviluppo tecnologico non consentiva la loro repressione immediata, allorché bastava una barricata per far tremare un trono, sebbene il suo controllo fosse nelle mani di governi autoritari e di classe.
Sic stantibus rebus l'idea di una democratizzazione su scala globale, come conseguenza della digitalizzazione, è assolutamente priva di prospettive, e su questo credo ci sia un consenso ormai maggioritario dopo la sbornia di ottimismo dei decenni passati. E' altrettanto vero, però, che non solo la digitalizzazione non è la causa dell'attuale globalizzazione, che ha una radice politica e geopolitica, ma addirittura si presta ad essere un freno per questo processo. Nulla può infatti impedire a uno Stato, dotato della capacità di controllare militarmente un territorio, di sviluppare una sua rete digitale, interconnessa con le altre attraverso munitissime dogane digitali che controllino il traffico. Non così per i grandi gruppi privati privi di sovranità militare su un territorio che anzi, avendo interesse ad operare su scala globale, necessitano di un Impero che assicuri l'abolizione delle frontiere reali, e quindi di quelle digitali.
Per esser chiaro e farmi capire anche dalla zia di Barnard, se la Russia vorrà chiudere il suo spazio sovrano alle criptomonete occidentali potrà farlo. Lo stesso vale per l'Unione Europea nei confronti degli Stati Uniti, mentre non sarà possibile a un paese come l'Italia difendersi dalle conseguenze economiche dell'introduzione delle criptomonete, per le quali la stessa UE potrebbe emanare una legislazione favorevole senza che ci si possa opporre. In definitiva, allo stadio attuale dello sviluppo della tecnologia digitale, questa agisce come uno strumento che favorisce il processo di formazione di un mondo multipolare ma, al contempo, all'interno di ognuno dei poli, è uno strumento potentissimo di controllo, dunque potenzialmente di oppressione. Il che ci riporta alle ragioni della politica, ovvero alla necessità di delimitare il campo al cui interno è possibile sperare nella possibilità di un controllo democratico della digitalizzazione. Per noi sovranisti questo campo è quello degli Stati nazionali così come si sono storicamente costituiti, in quanto caratterizzati da un forte sentimento di identità popolare, l'unico che possa mobilitare la resistenza contro le élites, che hanno invece interesse alla creazione di macroaree nelle quali questo sentimento sia debole, così da facilitare lo spostamento in alto dei centri di decisione reali.
Nell'ambito dei rapporti sociali di classe la digitalizzazione è un problema estremamente serio. La vita di ognuno è ormai continuamente tracciata, le videocamere sorvegliano il territorio, dall'alto satelliti militari sono in grado di leggere il codice che digitiamo quando preleviamo dal bancomat; ovviamente ogni transazione finanziaria è tracciata, i nostri conti corrente possono essere posti sotto sequestro in qualsiasi momento, anche senza motivo, semplicemente con una lieve forzatura delle norme già legali qualora ciò si rendesse necessario per intimorire un oppositore scomodo. A ciò si aggiunga il fatto che chiunque, ripeto chiunque, diventasse davvero scomodo per l'ordine costituito, potrebbe essere falsamente incriminato e condannato senza pietà per qualsiasi crimine inventato, semplicemente ricorrendo a un'operazione coperta dei servizi segreti, per i quali non sarebbe difficile inquinare le prove del DNA. La digitalizzazione, insomma, si è aggiunta al già vasto armamentario di controllo a disposizione di chi detiene il potere, al punto che è lecito porsi una domanda cruciale: resisteranno, e quanto a lungo, i poteri costituiti, prima di approfittare senza più alcuna remora dell'enorme vantaggio che la tecnologia digitale (soprattutto) ha improvvisamente messo nelle loro mani, prima di farne un uso esplicito? Di più: è possibile che la sola minaccia del controllo assoluto sulle vite dei cittadini stia già ora esplicando i suoi effetti, inducendo ad un'inconsapevole remissività milioni e milioni di cittadini, ai quali forse non resta altro coraggio se non quello di astenersi dal voto?
In definitiva la digitalizzazione non è la causa della globalizzazione, come viene fatto credere alle masse di pigiatori di tasto convinti, per ciò, di essere espertoni digitali, ma ne rappresenta un freno, in quanto è una tecnologia accessibile anche a piccole realtà statali che possono dispiegarla efficacemente a patto di avere il controllo militare delle frontiere territoriali. Per converso, all'interno di ogni realtà statuale, grande o piccola, essa si presta ad essere uno strumento di dominio totalitario. Infine, i grandi interessi che promuovono la globalizzazione spingono per la costruzione di grandi aree di libero scambio orwellianamente controllate dal vertice per mezzo della tecnologia digitale, sognando di unificarle, un giorno, così da realizzare un distopico nuovo ordine mondiale.
L'epicentro della dialettica testè descritta è il processo di costruzione dell'Unione Europea. Salvaguardare la civiltà significa, oggi, vincere una duplice sfida: far fallire il progetto di costruzione della macroarea liberoscambista europea a conduzione verticistica recuperando le sovranità nazionali, e farlo su base democratica, così da ricondurre il controllo delle tecnologie digitali sotto il severo controllo di parlamenti democraticamente eletti e di un'opinione pubblica correttamente e pluralmente informata. E' questo il compito storico del sovranismo.
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