mercoledì 26 luglio 2017

Non chiamatela crisi: è una guerra [di Thomas Fazi]

Le post-democrazie odierne sono il risultato di un processo quarantennale di ridimensionamento della sovranità popolare e del movimento operaio che in Europa ha trovato la sua applicazione più radicale. (continua a leggere su eunews.it)

Nota rosicona


Ma 'nvedi 'sto pischello de Thomas Fazi, che riesce a dire in un saggio breve tutto quello che scrivo da anni in una miriade di post, e pure mejo de me! Poi dice che uno rosica...

Cari lettori del blog, leggetelo tutto che poi vi interrogo. E bannerò chi sgamo che 'ntruja. In cambio vi prometto che andrò presto a intervistare er pischello.

12 commenti:

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  2. Trovo la descrizione di Fazi ideologica ed irrealistica. Ricordo perfettamente gli anni settanta e escluderei nella maniera più assoluta che il proletariato fosse allora così forte. Secondo me, era già in fase calante, e i capitalisti non erano affatto preoccupati della messa in discussione del loro potere, e neanche credo che l'iniziativa così netta e aggressiva dei capitalisti possa essere motivata da una generica volontà di modificare a proprio vantaggio i rapporti di forza. Sarebbero stati troppo temerari, soprattutto visto che già le cose si mettevano da sè in meglio per loro, e bastava incoraggiare tale tendenza in modo morbido, senza bisogno di suscitare una vera e propria lotta.



    La mia lettura di questa parte di storia è completamente differente. Io penso che le scelte dei capitalisti furono dettate non dall'atteggiamento dei proletari, ma dalla dinamica stessa dell'economia.

    Il dopoguerra, come ogni dopoguerra, portò ad una crescita impetuosa che però negli USA, vista la minore distruzione subita visto che il proprio territorio non era stato direttamente coinvolto nel conflitto, finì prima che in Europa, possiamo dire già nei primi anni sessanta. Per incrementare la domanda, fu provvidenziale il movimento liberale che si scatenò soprattutto nelle università USA in quegli anni che portò all'atomizzazione sociale che conosciamo così bene ai nostri giorni. Tale atomizzazione è di per sè un fattore di aumento dei consumi perchè aumenta gli sprechi. Di questi sprechi, è fatta la crescita USA ancora molto forte dei rimanenti anni '60 ma anche delle prima parte degli anni settanta. Poi, niente da fare, non ci fu modo di avere una domanda adeguata alle esigenze di una crescita illimitata, come richiesto dal capitalismo. Certo, anche il margine di profitto non era quello che i capitalisti avrebbero desiderato, ma finchè la domanda tirava, io non credo che mai essi avrebbero intrapreso una svolta così pericolosa come quella i cui pieni effetti vediamo in questo inizio del terzo millennio.

    Io vedo quindi lo sviluppo del capitalismo come motivato da cause ad esso endogene, ed in qualche misura come una scelta disperata. Conseguentemente, sono convinto che la fine del capitalismo sia prossima, proprio perchè reputo la finanziarizzazione dell'economia come un gesto disperato, visto che prima o poi i suoi effetti verranno al pettine e che i capitalisti non sono in grado di fare nulla di più che rinviare il momento del redde rationem.

    In particolare, credo che la stessa guerra a Saddam abbia fatto parte di una strategia in definitiva perdente di allargare i mercati sempre per risolvere il problema economico dei problemi, quello della domanda mai ababstanza alta per i desideri dei capitalisti.



    Dovremmo esserne lieti, i capitalisti apparentemente le hanno provate tutte, ma alla fine si dovranno arrendere all'impossibilità della crescita illimitata che, prima ancora che impossibile per motivi ambientali di disponibilità di risorse naturali finite, viene a determinarsi a causa della stessa dinamica economica capitalista e del suo carattere in definitiva inumano.

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    1. Ma no, Fiorenzo, mi pare tutto l'opposto. Io dico che il capitalismo sta crollando da sè, ma proprio per questo, è necessarioa ed urgente costruire una nuova classe dirigente, perchè se crolal qualcosa e nessuno lo sostituisce, le cose potranno solo peggiorare, rishcieremo di avere un periodo di grande confusione e ciò si traduce in una società così interdipendente come quella contemporanea, uno sconquasso nella vita di tutti noi.

      Mi pare tutto l'opposto, è chi pensa che sia possibile trovare un modus vivendi coi capitalisti che ha trovato un'ottima scusa per pensare come il Totò del filmato che linkavi, nel senso di non sentirsi coinvolto nella trasformazione della società.

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  3. Diffido sempre di analisi così complesse, perche complesso fu quel periodo storico cui si fa cenno, e complesso non vuol dire necessariamente completo.
    Ognuno di noi vecchiacci ha le sue memorie di quei periodi e non fa fatica a notare alcune mancanze di queste ricostruzioni;
    La prima che mi vien in mente è che la mobilità sociale di quegli anni causò una ipertrofia della classe media che paradossalmente vide proprio nei suoi parvenue i più tenaci sostenitori di una maggiore disuguaglianza, sentendosi più vicini alla classe padronale che a quella della loro origine.
    Ricordate la marcia dei 40000?

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  4. La crisi del capitalismo,ma non solo del capitalismo, in genere di tutte i modelli sociali fortemente gerarchizzati è la crisi dei rapporti di classe.
    Il modello sociale in cui la classe più elevata sfrutta il lavoro di quella inferiore mentre la media ne sfrutta i bisogni è andato in crisi perché una eccessiva mobilità sociale ha svuotato la classe inferiore: pochi sfruttabili e troppi aspiranti sfruttatori, così che per raccogliere i pomodori a due euro al giorno abbiamo aperto le frontiere nella speranza che gli immigrati rimpolpassero la classe degli sfruttabili.

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    1. Ippo sei geniale. La conseguenza logica del tuo dire ("per raccogliere i pomodori a due euro al giorno abbiamo aperto le frontiere nella speranza che gli immigrati rimpolpassero la classe degli sfruttabili") è ovvia e immediata: senza un forte sentimento morale non si ferma il capitalismo. Inteso quest'ultimo come sfruttamento illimitato, non come legittima aspirazione alla proprietà privata. La parola chiave essendo, dunque, l'aggettivo "illimitato". In quest'ottica sono anch'io, come Vincenzo, anticapitaista, purché ci si intenda: non contro la proprietà privata, ma contro l'idea illimitata di proprietà privata.

      Sarà un caso che l'escremento che qualche giorno fa ha proposto di modificare la prima parte della Costituzione abbia fissato, tra i punti cardini della restaurazione da lui auspicata, la trasformazione del diritto di proprietà da "legittimo" a "fondamentale"? Cito le parole dell'escremento: "È sicuro che se il diritto di proprietà, anziché essere relegato fra i cosiddetti «interessi legittimi», fosse riconosciuto fra i diritti fondamentali, quelli su cui poggia la libertà, ce la passeremmo peggio?"

      E' ovviamente un'idea folle. Ma il problema è che quando le idee folli vengono sostenute dai pezzi di merda, allora le cose si mettono male. Molto male.

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    2. Il concetto che l' accumulazione di ricchezza debba avere un limite e che tale limite debba essere ragionevolmente basso è un concetto che ti ho sentito esprimere parecchie volte e che condivido in pieno.

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  5. Piano , andemo pian , molti A.A., studiosi di Marx ,tra cui Riccardo Bellofiore , sostengono che il capitalismo è come l'araba fenice , cioè da questa crisi si uscirà con in nuovo capitalismo e non con una qualche forma di socialismo e che il capitalismo è talmente furbo che non ti stringerà mai completamente le mani attorno al collo , ma farà sempre in modo che nella trachea rimanga un piccolo pertugio in modo che tu possa respirare e sopravvivere...ed essere ancora sfruttato.

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  6. Fabio, ma quale sarebbe la tua argomentazione, se lo dice Bellofiore, è così, è un richiamo a un principio di autorità? Oppure Bellofiore argomenta quanto dice, perchè francamente dire che siccome in passato è andata in un certo modo, il capitalismo è immortale? Neanche a un bambino sarebbe consentito ragionare come suggerisce Bellofiore.

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    1. Hai ragione , Vincenzo , la mia era , un po' , una provocazione contro i facili entusiasmi . Infatti ,per lui i tempi non sono ancora maturi , anche se conclude che , un giorno ,futuro , non è che possiamo esportare tutte le merci prodotte su Marte e dovremo , per forza , decidersi , COSA , QUANTO e COME produrre .

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    2. Qualcuno dei frequentatori ha letto Red Plenty?.

      (In Italiano: L'Ultima Favola Russa ma io l'ho letto in originale e non posso garantire la qualita' della traduzione)

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