martedì 24 giugno 2014

Pane e politica: la via dell'ARS

Ser Niccolò Machiavelli
L'Associazione Riconquistare la Sovranità, di cui sono socio, è un ancor piccolo movimento sovranista. Il nostro scopo sociale è contribuire alla ri-nascita di una forza politica, popolare e dal basso, che ponga al primo punto la riconquista della piena sovranità, non solo monetaria ma anche politica e, in prospettiva, militare del nostro paese. Sovranità militare significa, a scanso di equivoci, la piena indipendenza dell'Italia da condizionamenti geostrategici di qualsiasi natura, e dunque la possibilità di adottare una politica estera di neutralità e non ingerenza. L'obiettivo della piena indipendenza è massimamente ambizioso, anche per un paese estremamente coeso (e l'Italia è lungi dall'esserlo), ragion per cui esso viene concepito "in prospettiva", come linea di tendenza, e non come un obiettivo realisticamente perseguibile a breve, come immediata conseguenza dell'auspicata riconquista della sovranità monetaria, e perfino politica.

Tutti noi dell'ARS condividiamo l'idea che la sovranità implica l'esistenza di un popolo, cioè una collettività che al sentimento di appartenenza all'intera umanità affianchi, in posizione appena subordinata, quello di esserne una parte specifica e unica, desiderando altresì di potersi governare in libertà e autonomia.

La sovranità popolare non deve essere confusa con la democrazia. Questa è il governo del 50% più uno degli elettori, mentre la sovranità popolare implica l'adesione unanime (o pressocché unanime) della popolazione a un "me stesso" collettivo che trova forma giuridica in un atto costituente. Da questo punto di vista è possibile distinguere le Costituzioni che possiamo definire "popolari" da tutte le altre.

Una Costituzione è "popolare", e tale rimane a prescindere dai suoi contenuti, quando viene adottata con la partecipazione di tutte le classi di cui è composto il popolo, attraverso il loro coinvolgimento, alla pari, in un processo costituente mediato dai partiti che le rappresentano. In altre parole, una Costituzione può essere "popolare" pur non essendo "sociale", tale cioè che preveda obblighi di natura sociale da parte dello Stato. Viceversa, una Costituzione "sociale" eventualmente ed eccezionalmente concessa, per benevolenza e spirito illuminato, da un potere precostituito che rappresenta solo una parte minoritaria del popolo, non è tuttavia una Costituzione "popolare".

Ciò che rende straordinaria la Costituzione italiana del 1948, a prescindere dalle critiche che pure è possibile rivolgere ad ogni costruzione umana, è il fatto che essa è sia "popolare" che "sociale". Essa fu il prodotto di un momento assolutamente particolare, una finestra di opportunità che i nostri padri costituenti seppero cogliere prima che lo scenario politico, interno e internazionale, cominciasse a mutare. Un evento, per certi versi, simile alla finestra di opportunità che il Conte Camillo Benso di Cavour seppe cogliere a metà dell'ottocento, allorché riuscì, manovrando con abilità tra gli interessi delle grandi potenze, a far nascere la nazione italiana.

La differenza più evidente tra lo Statuto Albertino del 1848, che sarebbe diventato la Costituzione del neo nato Stato italiano nel 1861 rimanendo in vigore fino al 1946, e la Costituzione repubblicana del 1948, è costituita dal fatto che mentre nel 1848 il "popolo" era costituito da un'esigua minoranza, nel 1948, grazie ai partiti di massa, la situazione era radicalmente diversa.

La guerra, la resistenza armata alle forze di occupazione tedesche, l'esistenza di due grandi ideologie popolari, quella cattolica e quella socialista, e perfino l'esperienza del fascismo, pur responsabile di atti vergognosi (in primis le leggi razziali) e di scelte politiche che avevano tradito gli ideali sbandierati davanti a una popolazione prostrata dalle difficoltà del primo dopoguerra, avevano fatto sì che la platea dei cittadini politicamente coinvolti fosse enormemente maggiore che non un secolo prima.

Questo insieme di condizioni rese possibile la stesura della Costituzione del 1948, che è sia "popolare", in quanto al suo concepimento parteciparono tutte le classi sociali attraverso i partiti che le rappresentavano, sia "sociale", per effetto del particolare equilibrio nei rapporti di classe che sussisteva in quella, ahimè momentanea, finestra storica. Non va dimenticato, ad esempio, che Togliatti accettò di disarmare i centomila partigiani armati che operavano in Italia, ottenendo, in cambio di ciò, che la nuova carta costituzionale fosse particolarmente avanzata sul piano dei diritti sociali che vi erano riconosciuti.

Gli avvenimenti immediatamente successivi, in particolare l'esplodere della guerra fredda, causata dalla volontà degli Stati Uniti di valorizzare in massimo grado il loro importante ma non principale ruolo nella lotta al nazifascismo, cambiarono lo stato delle cose. Si cominciò così a parlare di Costituzione tradita, sebbene, a ben vedere, per un trentennio la politica economica dei governi che si susseguirono fu sostanzialmente conforme al dettato costituzionale, in particolare al titolo III che regola i rapporti economici.

Purtroppo interessi sostanziosi si stavano riorganizzando. Canta Rino Gaetano:

"Aida, la costituente
la democrazia,
e chi ce l'ha?
E i tuoi trent'anni
di safari
tra antilopi e giaguari
sciacalli e lapin"

Alla fine degli anni settanta, nel clima di stanchezza e rifiuto della politica generato dal combinato disposto del terrorismo e della crisi dei partiti di massa, una minoranza del paese, riconducibile agli interessi della finanza e della grande industria privata, diede inizio a un lento quanto nascosto processo di revisione costituzionale, scandito da atti di importanza decisiva come l'adesione allo SME, il divorzio Tesoro - Banca d'Italia e lo smantellamento dei vincoli alla circolazione dei capitali, il cui esito fu la ratifica del trattato di Maastricht nel 1992.

Tutto ciò è potuto avvenire, senza che gli interessi che venivano pesantemente danneggiati da quelle scelte fossero in grado di organizzarsi, perché la partecipazione attiva alla vita politica degli italiani era venuta meno. E' stato il sonno dei cittadini a permettere che tutto quello che è avvenuto potesse verificarsi, non la volontà perversa di chissà quali circoli complottisti! Questi, senza il progressivo e pochi anni prima impensabile disinteresse del popolo, sarebbero stati facilmente fermati! Per questa ragione l'ARS, pur avendo un suo programma, giudica comunque positiva ogni azione che favorisca il ritorno alla partecipazione politica dei cittadini italiani.

Noi chiamiamo tutto ciò "militanza", per distinguerlo dall'attivismo. Essere militanti, e non semplici "cittadini attivi", significa andare oltre le pur nobili ragioni che inducono molti a darsi da fare per salvare un parco, difendere l'acqua pubblica, mobilitarsi contro le mille speculazioni private che intaccano i beni comuni. Essere militanti significa fare un passo ulteriore, che consiste nell'inquadrare queste pur benemerite lotte in un contesto più ampio. Dunque nel vederle come aspetti parziali, e spesso solo locali, di uno scontro più ampio che investe tutto il paese, e chiama il popolo alla partecipazione e alla lotta in difesa dei propri interessi. Questi devono, per forza di cose, essere unificati e resi coerenti nei programmi di nuovi partiti che si oppongano a quelli esistenti, ormai semplici articolazioni esecutive degli interessi privatistici che hanno lentamente, ma inesorabilmente, stravolto la Costituzione del 1948.

Che cento fiori fioriscano, che cento scuole gareggino, soltanto col metodo della discussione e del ragionamento [Mao]


Leggete le proposte dell'ARS e, se vi convincono, aderite! Se, al contrario, non vi convincono, scegliete altre strade, ma militate!

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