mercoledì 27 agosto 2014

Fondamenti di lotta di classe (2)

Post precedente: Fondamenti di lotta di classe (1)

Il Frame


La metafora proposta nel post precedente dovrebbe essere chiara: la rottura dell'ordine dello schieramento in battaglia allude alla disarticolazione delle organizzazioni che difendono gli interessi del lavoro. Ciò può avvenire per un'infinità di ragioni, ma le conseguenze di un tale evento sono sempre gravi e, talvolta, catastrofiche. Similmente, gli altoparlanti che invitano alla resa promettendo pace, prosperità e giustizia sono una metafora dell'offensiva culturale che segue la rottura dell'equilibrio. Ciò è avvenuto, anche in Italia, con l'uso massiccio dei media e attraverso una vasta operazione politica e culturale, alla quale hanno dato man forte anche illustri intellettuali precedentemente su posizioni anti liberiste.

Lo scopo è chiaro: fare in modo che la sconfitta dell'avversario sia definitiva, e a tal fine si lavora su due piani. Sul primo il vincitore deve proporsi come clemente, disponibile ad accogliere gli sconfitti nel nuovo ordine che si intende istituire; sul secondo, occorre distruggere simbolicamente il vecchio mondo, quello per il quale combattevano gli sconfitti. I quadro interpretativo (frame) che è stato costruito in Italia prevedeva così la fine della conventio ad excludendum, quella per cui il vecchio PCI non era mai stato ammesso al governo, e contestualmente la demonizzazione crescente dello statalismo. L'operazione Mani pulite, che condusse alla scomparsa della DC e del PSI, apriva la via del governo al PCI che nel frattempo si trasformava nel PDS accogliendo la visione liberale della società. Non poteva essere diversamente poiché il vecchio PCI, sempre escluso dal governo, non aveva responsabilità politiche dirette, mentre la necessaria demonizzazione del modello statalista esigeva il sacrificio delle due principali forze politiche che, stando al governo, lo avevano implementato, sia pure in forme via via più annacquate.

Questa ricostruzione può apparire un po' forzata, ma diventa più comprensibile se facciamo ricorso, ancora una volta, ad un'analogia militare. Immaginate di voler invadere e conquistare uno Stato straniero: con quali forze di questo Stato cerchereste un'intesa? Con quelli che sono al governo o con l'opposizione? E una volta raggiunta la vittoria, se volete distruggere ogni sentimento di nostalgia nei confronti del vecchio ordine, chi è necessario demonizzare e distruggere? Non certo le forze di opposizione che vi hanno aiutato, ma proprio coloro che, in quello Stato, detenevano il potere!

Il frame costruito nel corso di tutti gli anni ottanta, e giunto a compimento con la fine della prima repubblica, era imperniato sulla demonizzazione dello statalismo. Alimentato da un'intensa e vasta campagna contro la corruzione, nella quale si distinse il gruppo editoriale Repubblica-Espresso, questo frame penetrò nelle menti degli italiani fino ad essere adottato come la principale chiave di interpretazione della realtà. L'operazione, tuttavia, non avrebbe mai potuto giungere a buon fine senza la collaborazione dei comunisti i quali videro, nella demonizzazione della DC e del PSI, l'occasione inseguita per anni di arrivare al governo. Ma anche essi furono beffati, perché l'irruzione sulla scena, nel 1994, di Silvio Berlusconi, e il successo della Lega Nord nelle regioni settentrionali sconvolsero il quadro politico.

Era però troppo tardi perché il PDS potesse ripiegare su posizioni stataliste, lasciando a Forza Italia e alla Lega la bandiera del liberismo, perché nel pieno del marasma, era il novembre del 1992, il Parlamento aveva ratificato il trattato di Maastricht. Complici dell'attacco allo statalismo, orfani della grande narrazione comunista, i vertici del PDS furono facili preda della nuova grande narrazione europeista, sebbene alla sua sinistra resistesse, ma con sempre minore determinazione, Rifondazione Comunista, che aveva votato contro la ratifica del trattato di Maastricht.

3 commenti:

  1. Ottimo e lucido ragionamento Fiorenzo, come al solito. Tuttavia stavolta non sono d'accordo sull'impostazione di fondo del tuo discorso. La tua analisi, a mio parere, è corretta nel contenuto, ma non nella forma. Essa rischia, infatti, di interpretare l'evoluzione storica del sistema solo come una pura trasposizione della volontà di potenza della classe dominante sulla realtà, cioè il cambiamento sarebbe il frutto della sola azione della classe egemone. Credo, invece, che l'evoluzione di un sistema dipenda da una successione costante di fenomeni di assoggettamento più o meno violenti e più o meno indipendenti (hai fatto bene a questo proposito a citare la parentesi berlusconiana che ha costretto le classi dirigenti a ridisegnare il cammino), in cui sono altrettanto importanti le resistenze e gli adattamenti di una forza all'altra. E' in fondo, la visione del Machiavelli dei Discorsi, per cui l'armonia dell'ordinamento della società romana era la risultante dello scontro plastico tra patriziato e plebe che prevedeva una ridefinizione istituzionale continua nelle strutture di governo, e non la vittoria definitiva della visione del mondo di una sull'altra. L'ideologia che ci troviamo a combattere ha dovuto affrontare numerosi cambiamenti e adattamenti, frutto delle opposizioni e reazioni che ha trovato al suo progetto d'attuazione, a partire dalle stesse alleanze. Molte delle forze che hanno appoggiato l'europeismo, hanno avuto e hanno tuttora da perdere nell'alleanza con esso. Compito di una nuova volontà di potenza è non solo quello di lottare con tale ideologia, ma anche di imporre l'alleanza ai soggetti e ai ceti sociali che finora hanno sostenuto e aiutato tale regime.

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  2. Che interessante commento hai fatto! Purtroppo sono tornato al mare per uno scampolo di vacanza, e qui l'habitat digitale non è dei più propizi. Che ne dici se riprendo queste tue osservazioni in un post, a settembre? A presto.

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  3. Assolutamente Fiorenzo... aspetterò con pazienza la tua risposta

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