Riporto il testo di un'intervista richiestami da Giampiero Cinelli, un blogger di Frosinone curatore del blog frosinoneinvetrina.com. L'intervista è stata pubblicata qui.
MONETA UNICA? PARLIAMONE - Giampiero Cinelli a colloquio con Fiorenzo Fraioli
MONETA UNICA? PARLIAMONE - Giampiero Cinelli a colloquio con Fiorenzo Fraioli
Oggi trattiamo ancora di politica, e lo facciamo con un’interessante intervista a Fiorenzo Fraioli, professore e membro dell’ARS (Associazione Riconquistare La Sovranità) esperto di temi economici.
Dieci domande e risposte che vi stimoleranno molto e vi saranno d’aiuto. Buona lettura…
Dieci domande e risposte che vi stimoleranno molto e vi saranno d’aiuto. Buona lettura…
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Salve Fiorenzo, prima di cominciare a chiacchierare facciamo una piccola introduzione. Ci fornisca dei brevi cenni sulla sua vita, ci presenti l’ARS e ci dica qual è il ruolo che svolge nell’Associazione.
Ho 58 anni e insegno elettronica nella scuola media superiore dal 1991. Prima di allora avevo lavorato come ingegnere presso l’Ansaldo nucleare e, successivamente, ho svolto attività di sistemista informatico sia in ambito industriale che in progetti per la Pubblica Amministrazione. Sono uno dei primi militanti dell’ARS e faccio parte del direttivo nazionale, insieme con altri cittadini di Frosinone, i più attivi dei quali sono gli amici Claudio Martino e Gianluigi Leone.
L'obiettivo principale dell'ARS è informare e sensibilizzare la gente sugli argomenti politici, uno dei temi più affrontati è la distorsione del sistema Euro con i danni che esso provoca…
Il compito essenziale dell’ARS non consiste nell’informare e sensibilizzare, ma nel promuovere la rinascita della militanza politica dal basso. E’ ovvio che ciò comporta anche un’intensa attività di informazione e divulgazione, ma questo è un mezzo, non il fine ultimo. Quanto all’euro, noi consideriamo un evento fortunato il fatto che sia stato un’idea sbagliata, perché il suo evidente fallimento è utile a mettere in luce gli aspetti più inquietanti e antidemocratici del processo di unificazione europea, così come questo è stato progettato e implementato.
Il progetto Euro era stato criticato ai suoi albori anche da illustri economisti, tra cui vari premi Nobel. Secondo lei, per quale motivo le forze politiche hanno deciso ugualmente di attuare l'unione monetaria? Si dice che la stessa moneta comune avrebbe accelerato l'unione politica vera e propria...
Il passaggio cruciale è stato il triennio 1979-1981, prima con l’adesione allo SME e poi con il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Il motivo per cui le forze di sinistra, segnatamente il PSI e il PCI, adottarono una linea di opposizione più di facciata che di sostanza è, ancor oggi, una questione irrisolta. Resta il fatto che le cose sono andate così. Sul fronte opposto una parte dell’imprenditoria italiana, quella che ai tempi si chiamava “il salotto buono della finanza italiana", vide nello SME uno strumento per disciplinare le richieste sindacali. Infatti la necessità di mantenere l’aggancio con la parità di cambio, sottoscritta aderendo allo SME, creava un vincolo esterno che giustificava la compressione delle dinamiche salariali. Tuttavia lo SME prevedeva la possibilità di riaggiustare le parità, cosa che avvenne regolarmente. Inoltre, essendo un semplice accordo di cambio, e non un’unione monetaria, questo poteva essere rotto in qualsiasi momento, cosa che effettivamente avvenne nel 1992, quando lo SME di fatto cessò di esistere. A dispetto di questo fallimento si decise ugualmente di insistere, adottando la moneta unica il 1 gennaio 1999.
Nove anni dopo, quando è arrivato lo shock della crisi americana, ci siamo ritrovati in gabbia: non potendo uscire, semplicemente denunciando un accordo di cambio come nel 1992, l’unica strada percorribile è stata quella del rigore fiscale. Questo ha causato una crisi che, nelle attuali condizioni, è irrisolvibile. In definitiva l’euro ha danneggiato il processo di integrazione europea, ammesso che questa fosse la volontà degli architetti dell’euro, e non piuttosto un’operazione volta a trasferire il potere dagli Stati democratici per porlo nelle mani di interessi privatistici sovranazionali.
Lei ovviamente crede che le cause della crisi italiana siano da attribuire unicamente alle questioni economiche, e non a fenomeni generali come corruzione, casta, spreco. Cavalcare l'idea dominante che per risollevarsi bisogna puntare sulle riforme, sulla crescita e la riduzione della spesa pubblica, è per lei demagogico? Se sì, ci spieghi perché.
Se noi siamo corrotti e spreconi, allora lo sono anche il Portogallo, l’Irlanda, la Grecia, la Spagna, e presto anche altri paesi, per primi la Francia e la Finlandia. Paesi diversi, lontani geograficamente, con maggioranze politiche diverse, che sono entrati contemporaneamente in una crisi catastrofica. Difficile da spiegare con l’ipotesi che siano diventati tutti e nello stesso momento corrotti e spreconi! Le cosiddette riforme, che dovrebbero stimolare la crescita e la riduzione della spesa pubblica, in realtà puntano tutte nella stessa direzione: abbattere i salari, le pensioni, il welfare, considerati come un lusso che non ci possiamo permettere in omaggio al totem della concorrenza. Tutto ciò per conservare una moneta che è funzionale agli interessi del grande capitalismo sovranazionale, in spregio ai valori solidaristici della Costituzione del 1948.
L’ARS è anche molto critica nei confronti dell'impostazione della finanza odierna. Non a caso nel vostro programma proponete la cosiddetta “Restrizione Finanziaria” e un “Regime Finanziario Nazionale”. Sembrano termini intimidatori, ma in realtà hanno in sé concetti molto interessanti. Ci illustri brevemente questo punto.
Il termine che usiamo è “Repressione finanziaria”. Si tratta, né più né meno, dell’assetto finanziario in vigore dal 1933 negli USA e, a seguire, in tutto il mondo, da noi a partire dal 1936. Dopo la crisi del 1929, causata da quelli che, all’epoca, erano chiamati “capitali fluttuanti”, ci si rese conto della necessità di porre severi limiti alla libertà di circolazione dei capitali. Negli USA ciò avvenne con l’approvazione del Glass-Steagall Act, da noi con la legge bancaria del 1936. Quest’ultima fu confermata dai governi degli anni cinquanta, salvo marginali modifiche nel 1956, per poi essere rapidamente demolita in un triennio, dal 1988 al 1990. Ciò avvenne in concomitanza con il cosiddetto “SME credibile”, ovverosia l’adozione di impegni più vincolanti all’interno dello SME. Come già ricordato, due anni dopo lo SME crollava sotto il peso della sua insostenibilità.
Ma adesso andiamo nel vivo, e simuliamo un'ipotetica uscita dall'Euro: se si scegliesse di abbandonare l'Euro, i trattati internazionali prevedono due anni entro i quali completare la recessione dall'unione monetaria e dall'UE stessa. Posto che questa sia la scelta migliore e più benefica, anch’essa non sarebbe esente da compromessi e "manovre d'urgenza" da adottare al momento del passaggio. Quali sarebbero nel caso le negoziazioni da avviare con gli altri Stati e le manovre di urgenza da applicare?
L’euro è un morto che cammina. Le trattative, nel tentativo di conciliare i conflitti di interesse, sono già in corso. Tutto o quasi avviene alla luce del sole, ma non viene compreso per l’analfabetismo politico-economico di gran parte dell’opinione pubblica. L’ideale sarebbe una demolizione controllata e concordata, ma se esistesse la capacità di cooperare l’euro, pur rimanendo uno strumento di lotta di classe dall’alto e di egemonia dei paesi più forti dell’UE a danno di quelli più deboli, potrebbe sopravvivere. La realtà è che, anche in questa circostanza, i paesi e i gruppi sociali che stanno vincendo, dopo essersi avvantaggiati con la moneta unica, non si accontentano: vogliono stravincere. Per rispondere alla sua domanda, è ovvio che i primi provvedimenti da adottare dovrebbero essere la reintroduzione di vincoli alla circolazione dei capitali, cioè il ritorno alla situazione ante 1990, la rinazionalizzazione del sistema bancario, il ritorno alla lira e, contestualmente, una forte svalutazione, cioè l’adozione di un cambio con l’estero in linea con i fondamentali della nostra economia. Per un periodo transitorio, infine, l’indicizzazione dei salari e delle pensioni più basse.
Bisogna davvero temere la svalutazione della moneta che ne deriverebbe? O è solo un tabù? E che mi dice di altri tabù come l'inflazione o l'innalzamento dei tassi d'interesse?
Dobbiamo essere chiari: al punto in cui siamo ci sarà comunque un prezzo da pagare. Quanto agli “spauracchi”, come li ha chiamati, mi consenta di porle una semplice domanda: per lei sarebbe meglio continuare con una disoccupazione al 13% e un’inflazione allo zero, oppure avere l’inflazione al 13% ma la piena occupazione? Si faccia due conti e si dia una risposta. Ogni italiano dovrebbe porsi domande simili. Quanto ai tassi di interesse, con una moneta sovrana, e tenuto conto che l’Italia è in avanzo primario da almeno vent’anni, questo semplicemente non è un problema.
Un altro grande spauracchio è il debito pubblico. Ma molti pensano che gestire il debito con la propria moneta sia una soluzione molto più razionale e vantaggiosa, è vero?
Le piacerebbe poter onorare i suoi debiti semplicemente stampando dei pezzi di carta con il suo computer? Ebbene, uno Stato a moneta sovrana ha questa facoltà. E’ un bel vantaggio, del quale è bene non abusare, ma resta un vantaggio. Quel che è certo è che l’Italia non ha mai abusato di questa possibilità, nemmeno quando, prima del divorzio Tesoro-Banca d’Italia, ciò era possibile. Inoltre, come già ricordato, da più di venti anni l’Italia è l’unico paese al mondo ad avere un avanzo primario di oltre il 2%. In definitiva siamo uno dei paesi più seri, affidabili e solvibili al mondo. Il problema è sempre lo stesso: a valle di ogni scelta politica, anche la più razionale, c’è qualcuno che ci perde. Il nodo della questione è questo.
Per quanto riguarda il costo dell'energia che importiamo ci sarebbe da preoccuparsi?
Tutti i beni importati costerebbero di più, non solo i prodotti petroliferi. Tuttavia si deve guardare al saldo, ossia alla differenza tra esportazioni e importazioni. E' il saldo che determina la posizione commerciale, e da questo punto di vista si avrebbe una tendenza ad importare di meno proprio a causa degli aumenti di prezzo, ma per la stessa ragione si esporterebbe di più. Una parte delle merci importate, inoltre, sarebbe sostituita da fornitori domestici messi fuori gioco dall'euro, mentre potremo recuperare frazioni di mercato estero attraverso il recupero di competitività generato dalla svalutazione. Che questo gioco sarebbe favorevole per l'Italia è asseverato da molti studi, ma non c'è molto tempo: una volta distrutto il nostro tessuto industriale, gli effetti positivi di un'eventuale svalutazione sarebbero molto inferiori. E' il caso della piccola Grecia che, non avendo praticamente un'industria esportatrice (feta e yogurt a parte), pur avendo comunque benefici dal ritorno alla dracma resterebbe quello che era prima dell'adesione all'euro: un paese povero. Non così per noi che eravamo, e ancora siamo, la seconda potenza industriale d'Europa, e il più temibile concorrente della Germania. Ma se accettiamo il principio che, per restare nell'euro, si deve abbattere la domanda interna, come facciamo da sei anni a questa parte, tra pochi anni per noi sarà finita.
Un'ultima considerazione: si parla tanto di prendere esempio dai tedeschi, vale davvero la pena imitarli? O anche loro rappresentano in parte un mito fatto di luci ed ombre?
Lei ricorda che, ancora pochi anni fa, gli avvocati di classe dell'euro esaltavano la Spagna di Zapatero? Lei sa che, ancora alla metà degli anni duemila la Germania aveva una disoccupazione più alta della nostra? E che per tutti gli anni novanta era chiamata "la grande malata d'Europa"? Lei sa che solo dal 2004, con le riforme del mercato del lavoro che hanno abbattuto i salari del 10% in termini reali, il grande capitale tedesco ha preso il sopravvento? Le faccio un paragone calcistico: immagini due squadre di calcio, di cui una formata da calciatori di grossa stazza, e l'altra da giocatori leggeri ma in possesso di grande tecnica e velocità. Su che tipo di campo conviene giocare all'una e all'altra squadra, sul bagnato, o sull'asciutto? Ebbene, da ormai quindici anni i paesi del sud giocano la partita su un campo fangoso e pesante. Chi sta vincendo sta barando, ma il peggio è che è la nostra federazione ha scelto di farci giocare su un campo pesante! In ultima analisi, dunque, il problema è politico, e non lo si risolve solo informando. E' necessario cambiare i vertici della federazione, cioè conquistare il potere politico. Questo è l'obiettivo dei sovranisti.
Per concludere, in che modo l'ARS vuole arrivare ad avere influenza politica nell'ambito di cui si occupa? Inoltre, pensate che al momento ci siano in gioco schieramenti politici in grado di recepire il messaggio dell'Associazione e perseguire i vostri obiettivi?
L’ARS non è un partito, ma un’associazione politica. Siamo una frazione del sovranismo italiano e diventeremo un partito unendoci ad altre forze sovraniste. Non sarà un processo immediato, perché non sarà facile strappare milioni di italiani, danneggiati dall’euro e dall’Unione Europea, al sonno della ragione cui sono stati indotti, ma pensiamo di ottenere i primi risultati tangibili nell’arco di due o tre anni. Da quel momento inizierà la vera partita.
Ho 58 anni e insegno elettronica nella scuola media superiore dal 1991. Prima di allora avevo lavorato come ingegnere presso l’Ansaldo nucleare e, successivamente, ho svolto attività di sistemista informatico sia in ambito industriale che in progetti per la Pubblica Amministrazione. Sono uno dei primi militanti dell’ARS e faccio parte del direttivo nazionale, insieme con altri cittadini di Frosinone, i più attivi dei quali sono gli amici Claudio Martino e Gianluigi Leone.
L'obiettivo principale dell'ARS è informare e sensibilizzare la gente sugli argomenti politici, uno dei temi più affrontati è la distorsione del sistema Euro con i danni che esso provoca…
Il compito essenziale dell’ARS non consiste nell’informare e sensibilizzare, ma nel promuovere la rinascita della militanza politica dal basso. E’ ovvio che ciò comporta anche un’intensa attività di informazione e divulgazione, ma questo è un mezzo, non il fine ultimo. Quanto all’euro, noi consideriamo un evento fortunato il fatto che sia stato un’idea sbagliata, perché il suo evidente fallimento è utile a mettere in luce gli aspetti più inquietanti e antidemocratici del processo di unificazione europea, così come questo è stato progettato e implementato.
Il progetto Euro era stato criticato ai suoi albori anche da illustri economisti, tra cui vari premi Nobel. Secondo lei, per quale motivo le forze politiche hanno deciso ugualmente di attuare l'unione monetaria? Si dice che la stessa moneta comune avrebbe accelerato l'unione politica vera e propria...
Il passaggio cruciale è stato il triennio 1979-1981, prima con l’adesione allo SME e poi con il divorzio tra Tesoro e Banca d’Italia. Il motivo per cui le forze di sinistra, segnatamente il PSI e il PCI, adottarono una linea di opposizione più di facciata che di sostanza è, ancor oggi, una questione irrisolta. Resta il fatto che le cose sono andate così. Sul fronte opposto una parte dell’imprenditoria italiana, quella che ai tempi si chiamava “il salotto buono della finanza italiana", vide nello SME uno strumento per disciplinare le richieste sindacali. Infatti la necessità di mantenere l’aggancio con la parità di cambio, sottoscritta aderendo allo SME, creava un vincolo esterno che giustificava la compressione delle dinamiche salariali. Tuttavia lo SME prevedeva la possibilità di riaggiustare le parità, cosa che avvenne regolarmente. Inoltre, essendo un semplice accordo di cambio, e non un’unione monetaria, questo poteva essere rotto in qualsiasi momento, cosa che effettivamente avvenne nel 1992, quando lo SME di fatto cessò di esistere. A dispetto di questo fallimento si decise ugualmente di insistere, adottando la moneta unica il 1 gennaio 1999.
Nove anni dopo, quando è arrivato lo shock della crisi americana, ci siamo ritrovati in gabbia: non potendo uscire, semplicemente denunciando un accordo di cambio come nel 1992, l’unica strada percorribile è stata quella del rigore fiscale. Questo ha causato una crisi che, nelle attuali condizioni, è irrisolvibile. In definitiva l’euro ha danneggiato il processo di integrazione europea, ammesso che questa fosse la volontà degli architetti dell’euro, e non piuttosto un’operazione volta a trasferire il potere dagli Stati democratici per porlo nelle mani di interessi privatistici sovranazionali.
Lei ovviamente crede che le cause della crisi italiana siano da attribuire unicamente alle questioni economiche, e non a fenomeni generali come corruzione, casta, spreco. Cavalcare l'idea dominante che per risollevarsi bisogna puntare sulle riforme, sulla crescita e la riduzione della spesa pubblica, è per lei demagogico? Se sì, ci spieghi perché.
Se noi siamo corrotti e spreconi, allora lo sono anche il Portogallo, l’Irlanda, la Grecia, la Spagna, e presto anche altri paesi, per primi la Francia e la Finlandia. Paesi diversi, lontani geograficamente, con maggioranze politiche diverse, che sono entrati contemporaneamente in una crisi catastrofica. Difficile da spiegare con l’ipotesi che siano diventati tutti e nello stesso momento corrotti e spreconi! Le cosiddette riforme, che dovrebbero stimolare la crescita e la riduzione della spesa pubblica, in realtà puntano tutte nella stessa direzione: abbattere i salari, le pensioni, il welfare, considerati come un lusso che non ci possiamo permettere in omaggio al totem della concorrenza. Tutto ciò per conservare una moneta che è funzionale agli interessi del grande capitalismo sovranazionale, in spregio ai valori solidaristici della Costituzione del 1948.
L’ARS è anche molto critica nei confronti dell'impostazione della finanza odierna. Non a caso nel vostro programma proponete la cosiddetta “Restrizione Finanziaria” e un “Regime Finanziario Nazionale”. Sembrano termini intimidatori, ma in realtà hanno in sé concetti molto interessanti. Ci illustri brevemente questo punto.
Il termine che usiamo è “Repressione finanziaria”. Si tratta, né più né meno, dell’assetto finanziario in vigore dal 1933 negli USA e, a seguire, in tutto il mondo, da noi a partire dal 1936. Dopo la crisi del 1929, causata da quelli che, all’epoca, erano chiamati “capitali fluttuanti”, ci si rese conto della necessità di porre severi limiti alla libertà di circolazione dei capitali. Negli USA ciò avvenne con l’approvazione del Glass-Steagall Act, da noi con la legge bancaria del 1936. Quest’ultima fu confermata dai governi degli anni cinquanta, salvo marginali modifiche nel 1956, per poi essere rapidamente demolita in un triennio, dal 1988 al 1990. Ciò avvenne in concomitanza con il cosiddetto “SME credibile”, ovverosia l’adozione di impegni più vincolanti all’interno dello SME. Come già ricordato, due anni dopo lo SME crollava sotto il peso della sua insostenibilità.
Ma adesso andiamo nel vivo, e simuliamo un'ipotetica uscita dall'Euro: se si scegliesse di abbandonare l'Euro, i trattati internazionali prevedono due anni entro i quali completare la recessione dall'unione monetaria e dall'UE stessa. Posto che questa sia la scelta migliore e più benefica, anch’essa non sarebbe esente da compromessi e "manovre d'urgenza" da adottare al momento del passaggio. Quali sarebbero nel caso le negoziazioni da avviare con gli altri Stati e le manovre di urgenza da applicare?
L’euro è un morto che cammina. Le trattative, nel tentativo di conciliare i conflitti di interesse, sono già in corso. Tutto o quasi avviene alla luce del sole, ma non viene compreso per l’analfabetismo politico-economico di gran parte dell’opinione pubblica. L’ideale sarebbe una demolizione controllata e concordata, ma se esistesse la capacità di cooperare l’euro, pur rimanendo uno strumento di lotta di classe dall’alto e di egemonia dei paesi più forti dell’UE a danno di quelli più deboli, potrebbe sopravvivere. La realtà è che, anche in questa circostanza, i paesi e i gruppi sociali che stanno vincendo, dopo essersi avvantaggiati con la moneta unica, non si accontentano: vogliono stravincere. Per rispondere alla sua domanda, è ovvio che i primi provvedimenti da adottare dovrebbero essere la reintroduzione di vincoli alla circolazione dei capitali, cioè il ritorno alla situazione ante 1990, la rinazionalizzazione del sistema bancario, il ritorno alla lira e, contestualmente, una forte svalutazione, cioè l’adozione di un cambio con l’estero in linea con i fondamentali della nostra economia. Per un periodo transitorio, infine, l’indicizzazione dei salari e delle pensioni più basse.
Bisogna davvero temere la svalutazione della moneta che ne deriverebbe? O è solo un tabù? E che mi dice di altri tabù come l'inflazione o l'innalzamento dei tassi d'interesse?
Dobbiamo essere chiari: al punto in cui siamo ci sarà comunque un prezzo da pagare. Quanto agli “spauracchi”, come li ha chiamati, mi consenta di porle una semplice domanda: per lei sarebbe meglio continuare con una disoccupazione al 13% e un’inflazione allo zero, oppure avere l’inflazione al 13% ma la piena occupazione? Si faccia due conti e si dia una risposta. Ogni italiano dovrebbe porsi domande simili. Quanto ai tassi di interesse, con una moneta sovrana, e tenuto conto che l’Italia è in avanzo primario da almeno vent’anni, questo semplicemente non è un problema.
Un altro grande spauracchio è il debito pubblico. Ma molti pensano che gestire il debito con la propria moneta sia una soluzione molto più razionale e vantaggiosa, è vero?
Le piacerebbe poter onorare i suoi debiti semplicemente stampando dei pezzi di carta con il suo computer? Ebbene, uno Stato a moneta sovrana ha questa facoltà. E’ un bel vantaggio, del quale è bene non abusare, ma resta un vantaggio. Quel che è certo è che l’Italia non ha mai abusato di questa possibilità, nemmeno quando, prima del divorzio Tesoro-Banca d’Italia, ciò era possibile. Inoltre, come già ricordato, da più di venti anni l’Italia è l’unico paese al mondo ad avere un avanzo primario di oltre il 2%. In definitiva siamo uno dei paesi più seri, affidabili e solvibili al mondo. Il problema è sempre lo stesso: a valle di ogni scelta politica, anche la più razionale, c’è qualcuno che ci perde. Il nodo della questione è questo.
Per quanto riguarda il costo dell'energia che importiamo ci sarebbe da preoccuparsi?
Tutti i beni importati costerebbero di più, non solo i prodotti petroliferi. Tuttavia si deve guardare al saldo, ossia alla differenza tra esportazioni e importazioni. E' il saldo che determina la posizione commerciale, e da questo punto di vista si avrebbe una tendenza ad importare di meno proprio a causa degli aumenti di prezzo, ma per la stessa ragione si esporterebbe di più. Una parte delle merci importate, inoltre, sarebbe sostituita da fornitori domestici messi fuori gioco dall'euro, mentre potremo recuperare frazioni di mercato estero attraverso il recupero di competitività generato dalla svalutazione. Che questo gioco sarebbe favorevole per l'Italia è asseverato da molti studi, ma non c'è molto tempo: una volta distrutto il nostro tessuto industriale, gli effetti positivi di un'eventuale svalutazione sarebbero molto inferiori. E' il caso della piccola Grecia che, non avendo praticamente un'industria esportatrice (feta e yogurt a parte), pur avendo comunque benefici dal ritorno alla dracma resterebbe quello che era prima dell'adesione all'euro: un paese povero. Non così per noi che eravamo, e ancora siamo, la seconda potenza industriale d'Europa, e il più temibile concorrente della Germania. Ma se accettiamo il principio che, per restare nell'euro, si deve abbattere la domanda interna, come facciamo da sei anni a questa parte, tra pochi anni per noi sarà finita.
Un'ultima considerazione: si parla tanto di prendere esempio dai tedeschi, vale davvero la pena imitarli? O anche loro rappresentano in parte un mito fatto di luci ed ombre?
Lei ricorda che, ancora pochi anni fa, gli avvocati di classe dell'euro esaltavano la Spagna di Zapatero? Lei sa che, ancora alla metà degli anni duemila la Germania aveva una disoccupazione più alta della nostra? E che per tutti gli anni novanta era chiamata "la grande malata d'Europa"? Lei sa che solo dal 2004, con le riforme del mercato del lavoro che hanno abbattuto i salari del 10% in termini reali, il grande capitale tedesco ha preso il sopravvento? Le faccio un paragone calcistico: immagini due squadre di calcio, di cui una formata da calciatori di grossa stazza, e l'altra da giocatori leggeri ma in possesso di grande tecnica e velocità. Su che tipo di campo conviene giocare all'una e all'altra squadra, sul bagnato, o sull'asciutto? Ebbene, da ormai quindici anni i paesi del sud giocano la partita su un campo fangoso e pesante. Chi sta vincendo sta barando, ma il peggio è che è la nostra federazione ha scelto di farci giocare su un campo pesante! In ultima analisi, dunque, il problema è politico, e non lo si risolve solo informando. E' necessario cambiare i vertici della federazione, cioè conquistare il potere politico. Questo è l'obiettivo dei sovranisti.
Per concludere, in che modo l'ARS vuole arrivare ad avere influenza politica nell'ambito di cui si occupa? Inoltre, pensate che al momento ci siano in gioco schieramenti politici in grado di recepire il messaggio dell'Associazione e perseguire i vostri obiettivi?
L’ARS non è un partito, ma un’associazione politica. Siamo una frazione del sovranismo italiano e diventeremo un partito unendoci ad altre forze sovraniste. Non sarà un processo immediato, perché non sarà facile strappare milioni di italiani, danneggiati dall’euro e dall’Unione Europea, al sonno della ragione cui sono stati indotti, ma pensiamo di ottenere i primi risultati tangibili nell’arco di due o tre anni. Da quel momento inizierà la vera partita.
Bravissimo, condivido tutto quello che hai detto.
RispondiEliminaBravo! L'unica cosa che mi viene da pensare è che l'euro non credo(e spero) regga per 2 o 3 anni quindi spero solo che chi si troverà in quel momento a dover uscire sappia i da farsi per il popolo.
RispondiEliminaOttimo, come sempre!
RispondiEliminaUna sola domanda, perchè l'indicizzazione dei salari e delle pensioni "solo per un breve periodo"?
scusa mi correggo: "solo per un periodo transitorio"?
RispondiEliminaL'indicizzazione dei salari e delle pensione è, secondo il mio modo di vedere le cose, una specie di cloroformio che addormenta la lotta di classe. "Grazie" all'indicizzazione, nel lungo periodo le persone perdono di vista il dato fondamentale, cioè la necessità di organizzarsi politicamente e sindacalmente per difendere se stessi.
RispondiEliminaDice il saggio: "si comincia con l'omicidio e si finisce con il procastinare". Ovvero: dal punto di vista di Dio l'omicida (che agisce sotto l'impulso di una passione, quale che essa sia) è più colpevole del pigro. Il regno dei cieli si aprirà più facilmente per l'omicida piuttosto che per il pigro.
"L'indicizzazione dei salari e delle pensione è, secondo il mio modo di vedere le cose, una specie di cloroformio che addormenta la lotta di classe."
RispondiEliminaSì capisco quello che dici, Barnard aveva individuato nella mancanza di forza sindacale e nella concertazione l'inizio della fine ma, anche se concordo che la scala mobile ridurrebbe la voglia di combattere per i propri diritti, non bisogna dimenticare che non tutte le categorie hanno identica capacità contrattuale (penso ai dipendenti di piccole imprese artigiane) e poi non credo che gli scontri e gli scioperi siano il modo ideale per condurre trattative, le trattative servono per ottenere risultati duraturi e la scala mobile è un risultato (forse minimo) duraturo che ha il compito di preservare il reddito da lavoro dall'inflazione, per qualsiasi categoria. Poi le lotte sindacali si possono comunque condurre per ottenere di più sia sul lato economico che per altri (orari di lavoro, straordinari...), compatibilmente con le condizioni economiche, la disoccupazione ecc.
In sostanza, io la lascerei nonostante la ripercussione sula lotta di classe.
Faccio una semplice osservazione: ti sembra sano che delle organizzazioni di parte, come i sindacati, vengano finanziate attraverso la fiscalità generale e non solamente attraverso il tesseramento? Perché mai gli imprenditori e la finanza dovrebbero pagare, con le loro tasse, l'attività sindacale? Non sarebbe meglio avere dei sindacati esclusivamente finanziati dal tesseramento ma capaci di ottenere retribuzioni migliori che permettano ai lavoratori anche di versare consistenti contributi con il tesseramento?
RispondiEliminaQuanto alla scala mobile: senza di essa ci sarebbero i rinnovi periodici dei contratti. Oggi non abbiamo né la scala mobile né il rinnovo periodico dei contratti. E anche gli scatti di anzianità sono stati aboliti. C'è qualcosa che non va.
Che c'è qualcora che non va lo condivido anch'io ma, se guardiamo alla storia economica ed ideologica degli ultimi 30 anni, che cosa non va lo si può facilmente capire (piddini esclusi).
RispondiEliminaQuello che dici è sensato e condivisibile anche per me, sono solo un po' dubbioso perchè non ho mai amato gli scioperi e la conflittualità contrattuale non può prescindere dagli scioperi se si vuole ottenere qualcosa.
Ma a mio parere non si può scioperare ogni tre per due solo per un aumento, lo sciopero serve per ottenere condizioni migliori e soprattutto DURATURE.
L'indicizzazione dei salari è stata una delle conquiste sindacali più importanti del passato e non è un caso che sia stato una delle primi obiettivi che i liberisti hanno voluto eliminare.
Il secondo obiettivo è stato rendere inoffensivi gli scioperi, con un sacco di regole assurde (fasce protette, ore di punta...), ti sembra normale che chi sciopera lo debba fare senza recare disturbo? Lo sciopero è fatto per recare disturbo, altrimenti non serve a niente. Scioperare costa e nessuno è contento di perdere giorni di paga quindi perchè lasciarlo imbrigliare da regole assurde?
Però i rinnovi dei contratti non si fanno con la bacchetta magica, nessuno regala nulla senza lotta e non si può lottare in eterno, ci vogliono sistemi automatici efficaci che mantengano nel tempo quello che si ottiene con la lotta.
Non credi?