domenica 26 febbraio 2017

Il lavoro di cittadinanza

La proposta di Matteo Renzi di un "lavoro di cittadinanza" ci viene presentata come un'idea nuova, quando invece è iscritta nel primo articolo della nostra Costituzione: "L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione."

Il che significa che il lavoro è molto di più di un'occupazione che dia reddito. Per la nostra Costituzione il lavoro è un diritto, nel senso che è la chiave di volta per la partecipazione sostanziale alla vita politica, economica e morale alla vita di una comunità, e questa comunità è il popolo italiano. Dunque, non una condizione che possa essere graziosamente elargita, ma un diritto che ogni cittadino italiano, in quanto "azionista" della comunità popolo italiano, può e deve rivendicare. Avere un lavoro significa avere un ruolo nella comunità. Chiunque, desiderando lavorare, e dunque contribuire alla crescita della comunità popolo italiano, si veda negare il diritto di farlo, è di fatto privato della cittadinanza.

Se c'è un concetto che la nostra Costituzione respinge, ebbene questo è il lavoro inteso come merce. Quando si dice che la Costituzione non è mai stata attuata, ci si riferisce a questo: che per la Costituzione il lavoro non è una merce, ma un diritto politico, ma tale principio non è mai stato perseguito con la necessaria coerenza, men che mai da quando siamo stati convinti ad entrare nell'UE adottando, per sovrappiù, la moneta unica. Tutti coloro che capiscono e sostengono questo principio, e si battono per l'uscita dall'euro e dall'UE con lo scopo di renderlo effettivo, sono sovranisti. Gli altri no.

Ora sembra che Matteo Renzi, ex premier e interprete fedele dei diktat europei, abbia pensato di proporre come soluzione alla disoccupazione di massa il "lavoro di cittadinanza". Il dubbio che si tratti di una sparata propagandistica, e non di un'illuminazione sulla via di Damasco che abbia rivelato a Renzi lo spirito e la sostanza della Costituzione, è più che lecito: ne avremo la prova non appena sentiremo parlare dei costi dell'operazione. Come può il lavoro, che dovrebbe produrre ricchezza, essere un costo? Credo possa essere utile una riflessione sul perché il lavoro, che dovrebbe produrre ricchezza, sia invece considerato come un costo.

Il "costo" del lavoro


Il lavoro può essere considerato un "costo" da almeno due punti di vista, entrambi contrari alla Costituzione. In primo luogo perché esso è il più potente meccanismo di redistribuzione della ricchezza e del potere politico che possa agire in una comunità. In tal senso, esso è un "costo" per tutti coloro che desiderano concentrare entrambi, sia la ricchezza che il potere politico, nelle proprie mani. Chi ha un lavoro vero, inteso come ruolo nella vita di una comunità, per ciò stesso detiene una frazione di potere, oltre che di reddito. Se il lavoro non è una merce, bensì un diritto politico, allora chiunque arrivi alla maggiore età ha il diritto di appropriarsi, attraverso il proprio contributo lavorativo, di una proporzionale fetta di potere sostanziale nelle scelte che interessano la comunità. Il principio democratico "una testa un voto" ("L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro") corregge la distorsione introdotta dal fatto che non tutti i lavori, cioè non tutti i possibili "ruoli" che è possibile interpretare nella vita della comunità, sono equivalenti. Altrimenti, pur in presenza di piena occupazione, si avrebbe un regime basato sul censo.

Ma il lavoro è un "costo" anche da un altro punto di vista, strettamente derivante dall'adesione della comunità popolo italiano all'Unione Europea. Questo "costo" si chiama "vincolo esterno", e consiste nel fatto che, in regime di moneta unica e di libera circolazione dei fattori produttivi (capitali, merci, servizi e persone), l'aumento del reddito nazionale determinato dalla piena occupazione provocherebbe uno squilibrio dei conti con l'estero, cioè la tendenza a importare più di quanto si esporti. Ne consegue che, in regime di moneta unica e di libera circolazione, il raggiungimento della piena occupazione è impedito dal vincolo sulla bilancia dei pagamenti con l'estero. Pertanto qualsiasi governo che voglia (e debba, già nel medio termine) tenere in equilibrio i conti con l'estero non può fare altro che attuare politiche che deprimano la domanda interna, cioè accettare un livello minimo di disoccupazione compatibile con tale "vincolo esterno". Lo detto chiaramente Mario Monti:


L'unico modo per contrastare il "vincolo esterno" è, in regime di moneta unica e libera circolazione, quello di vincere nella competizione internazionale, cioè imporre ad altri il livello di disoccupazione necessario a mantenere il saldo con l'estero almeno in pareggio. Un'operazione, peraltro, che risulta più difficile per quei paesi, come l'Italia, che hanno una moneta, l'euro, sopravvalutata, e invece più facile per altri, come la Germania, che l'hanno sottovalutata. E che, non paghi di ciò, hanno anche praticato la compressione salariale interna (riforme Hartz).

La proposta di Renzi


Come si vede non c'è modo di perseguire la piena occupazione, cioè realizzare il dettato costituzionale, in regime di moneta unica e libera circolazione dei fattori produttivi. Però Matteo Renzi parla di "lavoro di cittadinanza". E se lo dice uno che voleva deformare la Costituzione, come fare a non credergli? Che si tratti di una boutade propagandistica, a pochi mesi da più che probabili elezioni, necessarie da espletare al più presto anche perché l'Europa ha fretta di farci applicare il Fiscal Compact, non ho il minimo dubbio.

Naturalmente tutto è possibile, anche che Renzi stia cercando di candidarsi come timoniere del paese in vista di una demolizione controllata dell'euro, e che parli di "lavoro di cittadinanza" per ragioni non solo ed esclusivamente propagandistiche dal momento che, uscendo dall'euro e applicando qualche minimo controllo alla libera circolazione dei fattori produttivi, una politica di spesa pubblica per contrastare la disoccupazione rilanciando la domanda interna sarebbe il minimo sindacale. Tutto è possibile in questi tempi incerti e perigliosi. Matteo Renzi è giovane, pieno di energie e di talento politico, e non è escluso che, davanti al disastro, possa essere ancora scelto da chi ci ha portato nell'euro per tirarsene fuori. Se questo fosse lo scenario, allora la scelta che ci verrà proposta dai poteri forti di questa nazione potrebbe essere proprio tra Matteo Renzi e, in seconda battuta, il M5S. Nessuna delle due è una soluzione dal basso, ma a ciò, per il momento, non v'è rimedio: troppo tempo è stato perso senza che, da questo punto di vista, si sia riusciti a tirare fuori un ragno dal buco. 

1 commento:

  1. Molto ben scritto e del tutto condivisibile, eccetto forse per una forma di ottimismo che onestamente non mi sento di condividere. Col tuo permesso, ti citerò e ti ruberò qualche frase più significativa.

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