martedì 26 settembre 2017

Ermeneutica delle elezioni in Germania

Risultati delle elezioni politiche in Germania
Il punto centrale è il successo di AfD, che incassa il 12,6% e 94 seggi al Bundestag. Emerge, dalle prime analisi dei flussi elettorali, che AfD ha raccolto più consensi tra le fasce basse di reddito e meno in quelle alte, e più consensi nei land della ex DDR che in quelli della ex Germania Ovest.

Frauke Petry
Emerge altresì, da una prima analisi dei profili degli attori di prima fila di AfD, che questi provengono da un ceto alto-professionale e cosmopolita, i cui valori contrastano curiosamente con alcune delle posizioni del partito. Una delle esponenti di spicco è Frauke Petry, 42 anni, laureata in chimica con un dottorato conseguito presso l'Università di Göttingen, che ha annunciato, subito dopo l'exploit elettorale, di non voler far parte del gruppo parlamentare del partito che oggi accusa di estremismo; Poco più di un anno fa la sua vice, l’eurodeputata Beatrix von Storch - al secolo duchessa Amelie Ehrengard Eilika della casa di Oldenburgo - rispose "sì" alla domanda su Facebook se la polizia doveva sparare ai migranti, inclusi bambini e donne (salvo poi dire che le era "scivolato di mano il mouse").

Alice Weidel
Il fondatore del partito è stato Bernd Lucke, economista e professore di macroeconomia all'Università di Amburgo, euroscettico, conservatore e moderatamente anti-islamista, successivamente sostituito dalla Petry. Oggi AfD è nelle mani di Alice Weidel, laureata in business administration all'università di Bayreuth, dove ha conseguito un dottorato di ricerca nel 2011, che ha lavorato per anni presso Goldman Sachs e Allianz. 

Björn Höcke

Thilo Sarrazin
Un altro esponente controverso è Björn Höcke, noto per la sua vicinanza alle posizioni fortemente critiche del multiculturalismo esposte da Thilo Sarrazin in un libro edito nel 2010 dal titolo "Germany abolishes itself".

Abbiamo dunque un partito che nasce per iniziativa dall'alto ed ha successo grazie al sostegno dal basso. In questo AfD non si distingue minimamente dalla CDU della Merkel o dalla SPD di Martin Schultz, e probabilmente da ogni altro partito al governo in Germania e nell'intera UE. 

Credo che la chiave di lettura fondamentale, per capire la natura di quasi ogni partito politico, sia ben espressa dall'amico Mario Fiorentino, che scrive:

"Il cinema come metafora.
Il grande pubblico conosce gli attori (sost. maschile che per comodità designa femmine, maschi e sui generis) ignorando spesso le altre figure che popolano l'ambiente: gli sceneggiatori, che scrivono le storie, i registi che le trasformano in visioni, i produttori che cacciano i soldi e sperano di guadagnarci e poi tutte quelle figure minori che contribuiscono praticamente: operatori, trovarobe, sarti, controfigure, ecc.
Quando vediamo un dibattito politico in TV, vediamo degli attori: sono facce conosciute con una filmografia alle spalle, hanno un copione, qualcuno gli scrive le battute, c'è chi gli maschera le occhiaie, gli tinge i capelli, gli porta il caffè...
Non vediamo mai il regista, anche se possiamo immaginarlo dietro le quinte, e mai il produttore, che se ne sta lontano, al sicuro, a gestire altri registi che, ognuno nel suo film, manovrano altri attori.
Il buono, il cattivo, l'aggressivo, il suadente, il bello e il puttanone sono ruoli con una faccia temporanea, il progetto è altrove, il guadagno, se c'è, di altri.
Raramente irrompe sulla scena un outsider, volontà autonoma fuori dagli schemi, e solo se riesce ad eludere i buttafuori.
Noi paghiamo il biglietto solo sperando in quello."

Se quanto scrive Mario Fiorentino è vero, ed io credo che lo sia, allora ogni ermeneutica possibile del voto tedesco non può non partire da un'analisi delle visioni e degli interessi di quelli che egli definisce "i produttori". E' l'esito, questo, dalla grande ritirata delle masse politicizzate dalla scena, sostituite dal pubblico televisivo. La vera partita si gioca in alto, tra i produttori, rispettando pur tuttavia un insieme di regole del gioco che viene chiamato "democrazia". Questa caricatura della democrazia, per cui andiamo a votare con l'illusione di poter scegliere, ci è stata imposta utilizzando la leva del maggioritario, delle soglie di sbarramento, delle più disparate ripartizioni delle circoscrizioni elettorali, nonché ovviamente tutto l'armamentario dell'informazione mainstream. Rompere l'accerchiamento è una condizione necessaria, sebbene non sufficiente, per riaprire il campo da gioco. Ma di ciò parleremo in un'altra occasione.

Tornando alle elezioni tedesche, è del tutto evidente che tra i "produttori" della politica tedesca non c'è unanimità di giudizio sulle prospettive di una Germania alleata della Francia (rectius: dei "produttori" francesi) alla guida dell'Europa, con una moneta unica senza stato a fare da gabbia di ferro grazie al rigido controllo della BCE. Credo che il punto critico sia costituito dal fatto che, nella visione dei "produttori" di AfD, un simile assetto non abbia futuro, e che la Germania non debba cedere quote di sovranità nazionale per un progetto destinato al fallimento. Questo perché la cessione di quote di sovranità, essendo un fatto politico, sarebbe più difficilmente reversibile di una pur grave crisi economica causata dal crollo delle esportazioni dopo la dissoluzione dell'euro. Da una crisi economica la Germania potrebbe riprendersi abbastanza rapidamente, ad esempio stimolando il mercato interno e puntando alla creazione di un'area del nuovo marco; magari, perché no, anche investendo nell'industria degli armamenti per sostenere la domanda aggregata. Che è un ragionamento simile a quello che ha fatto la fazione dei "produttori" inglesi che ha sostenuto la brexit.

Il successo di AfD deve essere valutato in prospettiva, tenendo conto del fatto che l'europeista Merkel è uscita dalle elezioni fortemente indebolita. Tra pochi mesi scadrà anche il mandato di Draghi alla BCE e il suo posto sarà probabilmente preso da un tedesco, forse Jens Weidmann, con il che anche le politiche monetarie accomodanti avranno fine. Tutto ciò lascia immaginare che la Merkel, nei confronti dei partner dell'UE, non potrà fare passi in avanti verso l'opzione dell'integrazione politica, i cosiddetti Stati Uniti d'Europa, perché se lo facesse spalancherebbe le porte a una marcia trionfale di AfD. Poiché, d'altra parte, neppure è pensabile che la fazione europeista dei "produttori" tedeschi faccia passi indietro, siamo in una situazione di impasse. Finché la sfida, nel paese dell'Unione che è più uguale degli altri, non si sarà conclusa, tutta l'Europa dovrà sottostare al rigore, dal quale il paese più uguale degli altri continuerà a trarre vantaggi ma che rischia di sbriciolare quello meno uguale, la nostra Italia. A differenza che in Germania, da noi non esiste una vera fazione dei "produttori" contraria agli Stati Uniti d'Europa, al suo posto essendoci una componente di natura diversa: uno Stato profondo integrato con gli interessi degli Stati Uniti nel mediterraneo.

Se questa lettura è corretta, allora l'espressione "partito tedesco", usata in Italia per indicare la fazione favorevole alla prospettiva dei cosiddetti Stati Uniti d'Europa, rischia di essere fuorviante, perché ve ne sono almeno due di partiti tedeschi, in Germania: quello che pensa di dominare economicamente un'Europa le cui identità nazionali siano frantumate e mescolate in un melting pot, nel quale ci sarà spazio anche per popolazioni e culture di origine extra europea, e quello che non intende rinunciare a difendere l'identità tedesca, intesa come solido fondamento della libertà delle sue classi dirigenti e della prosperità nazionale. Una visione, la prima, puramente economicista, e fondata sulla chimera di costruire un regime di concorrenza perfetta dei mercati fortemente regolamentata, cui si oppone, esibendo una forza politica crescente, quella di una nazione coesa retta da uno Stato di tipo più tradizionale.

Il termine giusto per definire l'AfD è "nazionalisti", ovvero una delle due fazioni in cui si è divisa l'Europa nel XX secolo, l'altra essendo quella liberoscambista, la cui versione estremizzata è il globalismo. Dal nazionalismo, nel primo dopoguerra, sono nati il fascismo e il nazismo. Il primo, inizialmente, come reazione all'avanzata di socialisti e comunisti, il secondo, un decennio più tardi, come forma peculiare del revanchismo tedesco. Sono quindi comprensibili le inquietudini del blocco liberoscambista, ma è assurda la pretesa secondo cui il liberoscambismo è il bene e il nazionalismo il male. In realtà sono le due forme, storicamente determinatesi, del capitalismo in Europa. Resta che la grancassa mediatica ha preso il vezzo di definire i nazionalisti di AfD, alternativamente, come nazisti e sovranisti, ma questa è una disgustosa mistificazione della realtà. Il sovranismo, termine di nostra invenzione nel 2012, è, similmente al nazionalismo, un'istanza patriottica, che tuttavia promana dal basso, giammai dall'alto. Non è una differenza da poco, che è bene sottolineare con forza perché, con l'avanzare della crisi del liberoscambismo, se volete del globalismo, la contrapposizione principale tornerà ad essere quella tra il patriottismo guidato dall'alto e quello alimentato dal basso: nazionalisti versus sovranisti. L'alto contro il basso, nella cornice però degli Stati nazionali, non in quella fantasiosa delle moltitudini di negriana memoria.

Se il nazionalismo è, per sua natura, élitario, pur rivolgendosi al popolo per alimentarsi di consenso, il sovranismo nasce dentro il popolo, ponendosi alla ricerca delle sue élites sia allevate nel suo seno, sia assoldando frazioni delle élites le quali, tuttavia, devono restare sotto il suo ferreo controllo politico.

Questo schema binario, nazionalisti versus sovranisti, è però ancora in gestazione, stante l'attuale predominio del liberoscambismo nella versione estremizzata del globalismo. Siamo in una fase di transizione in cui le forze patriottiche cominciano a manifestarsi (molto più il nazionalismo che il sovranismo) mentre il liberoscambismo appare ancora vincente. Ma la tendenza, a parere di chi scrive, è quella di una crisi crescente e irreversibile di quest'ultimo. La corsa tra nazionalisti e sovranisti è già cominciata, con noi sovranisti che scontiamo un forse inevitabile ritardo, ed è per questa ragione che diventa ogni giorno più urgente mettersi in gioco.

Dobbiamo anche chiederci quali possano essere i rapporti tra i nazionalisti e noi sovranisti, in questa fase. Si tratta di una questione delicata sulla quale mi riservo di riflettere ancora, sebbene sia ben consapevole che, al massimo, può esserci un accordo di temporanea desistenza. Anche in Italia, anzi soprattutto in Italia: questo giardino dove la civiltà occidentale è stata allevata per secoli dopo la fase dello svezzamento ellenico.

La questione, evidentemente, è quella dei rapporti con le formazioni nazionaliste nostrane, FdI e Lega Nord, ma in prospettiva anche FI, a pensarci bene. Nonché con le piccole formazioni già esistenti che insistono nel definirsi sovraniste ma sono, ad un'analisi appena approfondita, chiaramente inserite nella frazione nazionalista. Il fatto è che questo termine, ripeto di nostra invenzione nel 2012, "allappa" assai! Ma è giunto il momento di tirare una linea ben visibile, sulla quale poseremo la nostra Costituzione del 1948: chi è di quà è un sovranista, chi di là è un nazionalista!

Nel frattempo prepariamoci a ballare: in politica, come nella dinamica newtoniana, la dinamica di un sistema con tre corpi (globalismo, nazionalismo, sovranismo) è ancora di natura deterministica, ma sconfina con il caos.

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