domenica 19 agosto 2018

Un governo normale


Non c'è nulla di rivoluzionario nel governo gialloverde, salvo il fatto di essere un governo normale.

Infatti:
  • Vi sembra normale subire un'immigrazione di massa e sostenere che così è, e non c'è nulla che si possa fare?
  • Vi sembra normale entrare in un'Unione non cooperativa senza spiegare agli elettori quali ne sono le ovvie conseguenze, scaricando sugli stessi i costi del fatto di non essere i primi della classe?
  • Vi sembra normale partecipare a un'Unione nel ruolo del pollo da spennare, tacendo sulle innumerevoli inadempienze "contrattuali" dei partners più forti, colpevolizzando e punendo invece gli elettori per il più ininfluente dei parametri, cioè il debito pubblico?
  • Vi sembra normale pianificare l'impoverimento di massa del ceto medio al fine di mantenere competitivo il paese, nel mentre tutti gli assets di proprietà pubblica vengono svenduti alla finanza internazionale, e coprire questo enorme furto con una ipertrofica accelerazione sul versante dei diritti civili?
  • Vi sembra normale immaginare di poter tagliare diritti e redditi senza che, a un certo punto, vi sia una rivolta?
Potrei continuare, ma de hoc satis. Altri, più informati di me, inondano quotidianamente l'universo social - ma se ne discute anche nei baretti e in tutti i luoghi ove si accende una minima discussione politica - con dati di fatto inoppugnabili ai quali gli irriducibili sostenitori del +Europa (PD, FI, LeU e frattaglie) non sono più in grado di controbattere.

Orbene, il 14 agosto 2018, poco prima di mezzogiorno, il fronte dei sostenitori del +Europa ha ceduto, insieme al pilone n°9 del ponte Morandi. Un evento che avrà più conseguenze del disastro di Monti, della sconfitta di Renzi al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016, nonché delle elezioni del 4 marzo 2018. Quel giorno, nel preciso momento in cui un videomaker riprendendo casualmente il crollo gridava "oh Dio oh Dio", è deceduta la seconda repubblica. Nata, se vogliamo utilizzare la stessa chiave interpretativa, nel momento in cui l'ing. Chiesa gettava nella tazza del cesso i 7 milioni di lire della tangente per le pulizie del Pio Albergo Trivulzio.

Tra i due eventi vi sono analogie impressionanti. Nell'uno come nell'altro caso il cambio di regime è stato preceduto da una violenta guerra di posizione, con la differenza che prima del 1992 l'iniziativa era nelle mani di quelli che, un quarto di secolo dopo, l'hanno subita. Allora vinsero le televisioni e i grandi giornali, i quali dapprima montarono l'indignazione contro gli sprechi e i privilegi della politica, poi, effettuato il cambio di regime con la distruzione della DC e del PSI, provvidero a sopire la "rivolta". Oggi la situazione si è rovesciata, ma le modalità sono state simili: partita inizialmente come un attacco contro i costi della politica, l'offensiva dei social ha cambiato improvvisamente direzione, ponendo sotto attacco la grande finanza speculativa.

Credo che, così come nel 1992 la massa degli elettori non aveva la minima idea delle reali finalità dell'attacco alla prima repubblica, allo stesso modo oggi non sappiano quali siano le forze reali che li stanno illudendo di essere protagonisti del cambiamento. In entrambi i casi lo svolgimento degli eventi registra l'assenza di quello che è stato un elemento portante della storia europea dalla metà dell'800 fino all'inizio degli anni '70 del secolo scorso, "l'irruzione nella Storia delle masse". Viviamo nel tempo della crisi della politicizzazione delle masse, le quali sono così ricadute sotto l'effetto delle narrazioni di centri di potere in grado di manipolarle non solo con televisioni e giornali, ma oggi anche con i social. Questa politicizzazione delle masse fu possibile perché non erano ancora disponibili gli strumenti di indottrinamento (televisioni e giornali) o controllo (i social) ma, al contempo, la loro mobilitazione era indispensabile per la conquista e il mantenimento del potere, possibili solo attraverso la mediazione di un vasto e decentrato ceto politico intermedio che ad esse doveva in qualche modo rispondere. I partiti di massa nacquero da questa circostanza, con l'ovvio e inevitabile portato di corruzione, clientelismo, accordi sotto banco che ciò implicava.

Non lasciamoci ingannare dal fatto che la narrazione delle televisioni e dei giornali sembri in affanno, perché quella alternativa dei social non ha una solida base popolare. Solo una minoranza di "agenti", forse qualche migliaio, è in grado di selezionare le informazioni la cui diffusione è utile e funzionale alla battaglia politica, e un numero ancora più ridotto è in grado di produrne autonomamente con contenuti degni di rilievo. La gran parte di ciò che circola sui social è la semplice ri-pubblicazione di testi prodotti da un numero ridotto di soggetti (che l'avversario ordoliberista derubrica ad account, quasi a volerne rimarcare la mancanza di umanità) il cui grado di diffusione è in gran parte incontrollabile da parte degli autori, mentre lo è da parte di chi controlla queste piattaforme. Quasi nessuno di costoro, inoltre, è neanche lontanamente paragonabile, in termini di proiezione politica sostanziale, a un qualsiasi segretario di sezione della DC o del PCI degli anni '70, costoro sì in grado di controllare migliaia di voti, e quindi in possesso di una frazione reale di potere politico!

L'attuale sostegno al governo gialloverde non è dunque fondato sulla mediazione di una classe politica diffusa e decentrata che debba rispondere, in ultima istanza, a delle masse più o meno politicizzate e su questioni concrete, bensì sul consenso di una platea molto vasta di frequentatori di social che rilanciano i contenuti selezionati da una minoranza di "agenti" i quali, a loro volta, sono imbeccati da una cerchia più ristretta di "produttori" di informazioni utili alla battaglia politica. Tutto ciò delinea uno scenario nel quale i contendenti non sono il Capitale e il Lavoro bensì due diverse fazioni del Capitale, una delle quali controlla televisioni e giornali mentre l'altra si è fatta strada egemonizzando i social, essendo stata capace di far leva su una esigua minoranza di cittadini che si sono ri-politicizzati in conseguenza della grave crisi esplosa dieci anni fa.

Lo scontro si svolge, dunque, tra chi è egemone sui media tradizionali e chi lo è sui nuovi media. Il controllo di questi ultimi non appare evidente come nel caso dei media tradizionali, per i quali basta visionare il colophon per sapere tutto o quasi, perché, nel caso delle piattaforme social, il colophon è ben nascosto negli algoritmi; Inoltre, la potenza dei social si basa sul volontariato gratuito di chi si è sentito escluso dai benefici della grande globalizzazione finanziaria, ragion per cui tutti i tentativi dei partiti sistemici di replicare artificialmente questa mobilitazione spontanea sono falliti e falliranno.

Il problema è che il "volontariato" non implica automaticamente la "volontà" di farsi soggetto autonomo e organizzato della lotta politica. Per chi milita nel campo socialista (se preferite costituzionale, o keynesiano - alla breve "sovranista" nel senso corretto del termine) la questione che è inevitabile porsi è come schierarsi nell'attuale contingenza comunicativa. A mio parere, anche quando il governo gialloverde assume posizioni condivisibili, bisognerebbe evitare endorsement eccessivi. Inoltre credo che ci si dovrebbe liberare dal senso di scoramento suscitato dalla constatazione di quanto siano potenti i mezzi nelle mani di entrambe le fazioni in lotta del Capitale, per concentrarci invece nel lavoro di ricostruzione di embrioni di organizzazioni politiche dalle quali, e solo dalle quali, potranno un giorno risorgere i partiti di massa che, storicamente, sono stati gli unici strumenti in grado di riequilibrare la bilancia del potere reale tra le masse e le élites, siano queste finanziarie, industriali o una loro rinnovata alleanza.

Non bisogna invece cadere nell'errore di considerare straordinari gli atti del governo gialloverde, il cui unico merito è quello di agire come, normalmente, dovrebbe un governo. Sono stati i governi espressione della fazione finanziaria del Capitale ad agire in modo anormale, nel vano tentativo di difendere una costruzione mal progettata che, a un certo punto, ha iniziato a collassare. Il crollo del ponte Morandi è la perfetta metafora del fallimento del progetto di globalizzazione finanziaria, e il popolo questa cosa l'ha capita. Parafrasando l'ing. Brencich che, a proposito del ponte Morandi, ha dichiarato "ci sarà un momento in cui il costo della manutenzione sarà superiore a quello della ricostruzione", lo stesso può dirsi di questo progetto, in particolare della sua articolazione più critica, l'Unione Europea. Con la differenza che, a parere di noi sovranisti, in quest'ultimo caso non serve nemmeno por mano alla ricostruzione, come invece sembra essere intenzione dei gialloverdi.

E questa è la differenza tra noi e loro, anche quando ne condividiamo alcune scelte: non dimentichiamolo, mai!

4 commenti:

  1. Ciao Fiorenzo, solo un appunto, mi pare che non fu Chiesa a buttare via i soldi, ma Diego Curtò. Non che cambi niente.

    http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1993/09/08/curto-soldi-li-ho-buttati-via.html

    Condivido tutto, soprattutto le questioni riguardanti la parte comunicativa, se vogliono ci liquidano dai social in un attimo.


    La strada e lunga. Ma se posso, come hai detto tu stesso, bisogna incalzare il governo con argomenti "di sinistra". Per esempio, vogliono togliere le concessioni a Benetton? Io sono per la nazionalizzazione, così come per Alitalia, ecc. per ogni argomento.

    Allora si che si strutturerebbe una vera opposizione che soppianti definitivamente le cariatidi pd e cespugli sinistri vari.

    Ce la faremo? Beh… Mai si inizia, mai si avrà niente!

    RispondiElimina
  2. Scava e scava..."pecché se ragionamm' chiste fatt' ce 'o spiegamm'" Tammuriata nera.

    L'unica cosa sulla quale rifletto è l'antagonismo che dovrebbe esserci tra media, web e mainstream.
    Non immaginando che gli strumenti, che pure funzionano per il capitale, possano costituirsi come interessi particolari opposti (rispetto a una strategia/visione, l'ordoliberismo, che invece dovrebbe accomunare trasversalmente chiunque generi profitto) piuttosto che funzionare coordinandosi rispettando alla gerarchia implicita nel potere fondato sul denaro.

    RispondiElimina
  3. errata corrige
    "...coordinandosi, rispettando la gerarchia..."

    RispondiElimina
  4. Il passaggio da un governo di destra (vogliamo chiamarla industriale) è obbligato, e purtroppo era inevitabile come lo è stato nella storia. Condivido quello che dici però i movimenti di politicizzazione di cui parli potranno avere consenso solo dopo la sconfitta (totale o parziale) del globalismo finanziario. in Italia e in una parte d'Europa è ,credo, inevitabile.

    RispondiElimina