giovedì 17 marzo 2016

Il gatto sovranista


Non conta che il gatto sovranista
sia mazziniano o socialista,
l'importante è che acchiappi
il topo liberista!


Mie brevi note sul sovranismo, per come lo intendo. Se dovessi sbagliarmi non cambierei idea (se non dopo essermi convinto) ma smetterei di definirmi sovranista.


Il sovranismo, termine introdotto nel dibattito politico all'inizio del 2012 dall'Associazione Riconquistare la Sovranità - ARS, e successivamente adottato dal Movimento Popolare di Liberazione - MPL (oggi Programma 101) è il movimento di pensiero che riconosce nello Stato l'istituzione necessaria al fine di assicurare, nelle condizioni date dalla modernità, la vita civile dei popoli. Il sovranismo è antitetico al libero mercato (free trade), che ha bisogno di abbattere ogni ostacolo alla circolazione dei fattori di produzione: capitali, merci, servizi e persone.

Il sovranismo non è un movimento che coltiva concezioni autoritarie, né di natura collettivistica. Nulla impedisce, evidentemente, che in realtà diverse si possano avere declinazioni del sovranismo non democratiche, cosa che sia ARS che P101 abòrrono, perché il termine non esaurisce, da solo, tutte le infinite possibilità. Resta che l'antitesi al free trade è il sovranismo.

Ad esempio, il nazionalismo è stato una forma di sovranismo, viziata dal fatto che le istanze di difesa degli interessi nazionali convivevano con l'accettazione di un modello di commercio internazionale basato sul gold standard, con ciò costringendo i singoli Stati a competere strenuamente per incrementare le riserve auree, e dunque in ultima analisi per accaparrarsi le risorse degli Stati più deboli.

Il sovranismo (democratico) è compatibile con il socialismo e con una forma blanda di internazionalismo. Non lo è, invece, con quelle concezioni che, rovesciando l'ordine di importanza delle due istanze, assegnano alla difesa degli interessi delle classi lavoratrici, ovunque esse siano, una priorità maggiore rispetto alla difesa degli interessi di quelle nazionali. In definitiva, il sovranismo è un modello di pensiero politico "moderato", ovviamente non nel significato che questo ha assunto nel lessico politico, ma in quello letterale dalla locuzione latina "In medio stat virtus". Questa concezione politica, che è per sua natura "moderata", ha per avversaria un'ideologia estremista: il liberismo (che il liberismo sia un'idea politica estremista è un dato evidente in sé, sul quale non ritengo necessario dilungarmi).

Paradossalmente in Italia l'idea sovranista è promossa da due piccole organizzazioni politiche, ARS e P101, che traggono ispirazione da due correnti di pensiero tutt'altro che moderate: il mazzinianesimo e il socialismo. Questa circostanza rende bene l'idea di quanto l'ideologia avversa, il liberismo, sia estremista, sebbene possa ammantarsi di una veste falsamente moderata grazie all'incessante bombardamento mediatico che taccia di populismo le idee sovraniste, non solo quelle declinate in senso autoritario, ma anche quelle democratiche, come accade in Italia.

Il nucleo del pensiero sovranista democratico risiede nel fatto di considerare lo Stato come espressione della libera volontà popolare. Lo Stato, di conseguenza, può essere democratico solo dove la democrazia è possibile. Il contesto in cui la democrazia è possibile non può essere determinato a priori, sulla base ad esempio di considerazioni basate sull'unità linguistica, etnica o altro, ed è invece rilevabile a posteriori: là dove c'è uno Stato democratico, allora si sono create le condizioni richieste. Viceversa, se lo Stato non è democratico, allora una classe sociale, o un'etnia, o un gruppo di potere, domina tutti gli altri.

Il tentativo di costruire uno Stato europeo democratico è chiaramente fallito, dimostrando ex-post che l'idea di un popolo europeo è oggi inconsistente. In questa fase, la principale richiesta del sovranismo è quella di interrompere il processo di unificazione europea, a cominciare dalla moneta unica. Ciò in quanto nessuna area valutaria è ottimale, e l'unico rimedio consiste nella volontà di un popolo, in quanto comunità che si percepisce come unità politica, di porre rimedio alle inevitabili disfunzionalità accettando, senza riserve, il principio della redistribuzione delle risorse dalle regioni più produttive a quelle meno produttive. Tale necessario e ineludibile rimedio è così importante da essere considerato come il fondamento sostanziale dell'idea "un Popolo, uno Stato". E tuttavia ciò non basta ancora, essendo l'idea dei sovranisti "un Popolo, uno Stato democratico", e allora è necessario un sovrappiù: redistribuire dalle classi più ricche a quelle più povere.

I meccanismi tecnico istituzionali individuati dai sovranisti al fine di perseguire tale obiettivo non sono una novità assoluta. Essi consistono, piuttosto, in un "ritorno al passato". Questa espressione non piacerà a quanti sognano, immaginano, prefigurano soluzioni innovative adeguate alla mutata realtà dei tempi moderni. In verità non ci sono soluzioni nuove a un problema vecchio come la storia dell'umanità: quando la maggioranza non è capace di autogovernarsi, allora cade sotto il dominio di una minoranza.

Alla base di tutto vi è dunque il ritorno alla partecipazione politica della gran massa dei cittadini lavoratori. Il popolo, cioè, deve essere capace di riprendere nelle sue mani la responsabilità di governarsi, organizzandosi dal basso e selezionando le avanguardie (non le élites) alle quali assegnare la responsabilità dell'agire politico quotidiano. Tali avanguardie, che avranno le competenze culturali e tecniche necessarie, dovranno rispondere del loro operato non solo attraverso le libere elezioni, ma anche nell'incessante dibattito nelle sedi delle nuove organizzazioni popolari che dovranno necessariamente nascere.

Ho citato due di queste avanguardie, ARS e P101. Ad esse se ne aggiungeranno altre, essendo la società italiana così ricca e complessa da non poter essere rappresentata solo dai mazziniani e dai socialisti. Ad esempio: dove sono i cattolici sovranisti? E la borghesia sovranista? Arriveranno.

Dunque sovranismo democratico! Vale a dire: democrazia sostanziale (progressiva, non idraulica), proprietà pubblica della moneta, monetizzazione dei deficit statali quanto basta per mantenere il sistema in equilibrio, progressività nell'imposizione fiscale, coesistenza dell'iniziativa privata con l'intervento diretto dello Stato nell'economia, una moderata e stabile inflazione da domanda, equilibrio dei conti con l'estero, capacità di autodifesa militare, controllo delle frontiere, neutralità internazionale. Insomma: la Costituzione del 1948. Un ritorno al passato, e scusate se è poco.

16 commenti:

  1. <>
    Intendi introdurre una sorta di vincolo di mandato?
    E ancora, sarà necessario ripartire dalla Costituzione del 48 abolendo tutte le modifiche introdotte da quella data in poi?

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    1. Vincolo di mandato? Ho solo scritto che la partecipazione alla politica deve essere costante, non limitata al voto ogni 5 anni. Ovviamente non immagino che 60mln di italiani si occupino di politica, ma una partecipazione maggiore di quella di adesso certo che sì: in partiti dove non si parli solo di poltrone locali da occupare, ma anche della linea generale a livello nazionale. Guarda che ancora nella mia gioventù era così: non si passava da una corrente all'altra per la promessa di una poltrona, ma si inseguiva la poltrona cercando di far prevalere la propria corrente. Almeno questo, caxxo!

      Quanto alla Costituzione del 1948, ovviamente mi riferisco all'impianto generale. Va da sé che, quando sconfiggeremo questi liberisti estremisti, il pareggio di bilancio verrà sradicato.

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    2. Bon allora siamo d' accordo.
      E la modifica del titolo V?

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    3. Titolo V? Prendiamo dei pali ben appuntiti, ci mettiamo un bel cartello con su scritto "eccovi il titolo V" e ce li impaliamo sopra. A secco.

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    4. abolire le modifiche del titolo V è importante perché altrimenti rischiamo di riprodurre in Italia una piccola Europa in cui sottoposti a vincolo saranno gli enti locali.

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    5. Non basta ripristinare l'art. 81 nella versione originaria se resta in piedi il 117 nell'attuale formulazione (prevalenza del diritto UE rispetto ad ogni possibile scelta legislativa in contrasto con esso).

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    6. Art. 117 che fa appunto parte del titolo V.

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  2. ""Il popolo, cioè, deve essere capace di riprendere nelle sue mani la responsabilità di governarsi, organizzandosi dal basso e selezionando le avanguardie (non le élites) alle quali assegnare la responsabilità dell'agire politico quotidiano. Tali avanguardie, che avranno le COMPETENZE CULTURALI E TECNICHE NECESSARIE, dovranno rispondere del loro operato non solo attraverso le libere elezioni, ma anche nell'incessante dibattito nelle sedi delle nuove organizzazioni popolari che dovranno necessariamente nascere.""

    Forse è sul significato di "èlite" che bisogna intendersi. Se con il termine èlite si fa riferimento ad una ristretta cerchia di persone capaci di imporre i propri interessi particolari a scapito dell'interesse generale, stiamo usando il termine in una accezione impropria, cioè come sinonimo di "oligarchia".

    Il vocabolo èlite descrive invece il ristretto insieme degli individui dotati di un "quid pluris" rispetto alla generalità delle persone (in termini di disponibilità di mezzi materiali e/o di capacità intellettuali), descrivendo, cioè, una realtà di fatto che ha contraddistinto e sempre contraddistinguerà qualunque comunità umana (in questo senso appartengono ad una èlite tutti i personaggi che hanno fatto o contruibuito a fare la storia dei popoli, Mao e Lenin compresi).

    In un ordinamento autenticamente democratico, il meccanismo della rappresentanza politica degli interessi funziona solo se, a monte, esiste una èlite capace di elaborare e veicolare idee portanti destinate ad essere condivise dal maggior numero degli individui che compongono la "polis", i quali individui sceglieranno come governanti i membri delle stesse èlites, che a loro volta amministreranno la cosa pubblica secondo il programma da loro elaborato e non secondo inesistenti programmi del "popolo".

    Quando contrapponi alle èlites le "avanguardie" che debbono essere munite delle competenze culturali e tecniche necessarie, in realtà parli proprio delle èlites e di niente altro.

    In altre parole, un popolo che, voltando le spalle alle èlites, si organizza dal basso prendendo nelle proprie mani la responsabilità di autogovernanarsi non trova riscontri sul piano storico se per èlites si intende ciò che correttamente deve intendersi. Il "popolo" è un'astrazione, mentre gli individui hanno carne e ossa e (Natura matrigna!) solo alcuni di essi sono dotati delle capacità indispensabili per poter elaborare, progettare e realizzare quanto serve al resto degli individui per poter vivere al meglio.

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  3. Claudio le élite col quid plus, come le chiami tu, sono l' essenza dell' aristocrazia, cioè il governo dei migliori, che è un concetto rispettabile, addirittura auspicabile in determinati momenti storici col grave difetto di avere una pericolosa propensione storica all' autoreferenzialità ed autoperpetuazione; è una cosa diversa dalla democrazia rappresentativa.

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    1. Credo sia utile un esempio. La Costituzione della Repubblica Italiana non è stata concepita e imposta da cittadini italiani mandati a sorte all'Assemblea Costituente. Se oggi la legge fondamentale dello Stato italiano è quella che noi tutti amiamo e lodiamo, lo dobbiamo ad individui muniti di conoscenze e capacità che li ponevano al di sopra della media delle persone, ossia ad una élite di individui (quelli che composero l'Assemblea Costituente e, prima ancora, quelli ai vertici delle forze politiche che espressero i componenti dell'Assemblea Costituente).

      Del resto, cosa altro sono - nello spirito della nostra Costituzione - i partiti politici e la rappresentanza politico-parlamentare se non un sistema per selezionare il "governo dei migliori", ossia il governo di coloro che, almeno teoricamente, dovrebbero essere più capaci di altri di garantire la migliore gestione della cosa pubblica?

      In democrazia ogni governo non può che essere, quanto meno sul piano tendenziale, un "governo dei migliori" se non si vuole fare della democrazia il simulacro di se stessa.

      Il problema non è dato dal fatto in sè che in democrazia le scelte politiche e di governo siano concepite e assunte da una minoranza di persone, ma dalle qualità umane e morali dei membri di tale minoranza e dalla qualità degli obiettivi che costoro storicamente perseguono.

      In sostanza, i problemi non dipendono dal fatto che a gestire l'interesse generale sia una èlite di individui (ciò non è solo fisiologico, ma inevitabile, sopratutto in democrazia), bensì dal fatto che gli individui che formano l'èlite possono perseguire finalità antipopolari e antideomocratiche o, comunque, non essere all'altezza del compito assunto.

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    2. Cari Claudio e Ippolito, provo a spiegarvi la differenza di significato tra élite e avanguardia (a parte l'ovvio "stuzzico"riferito a Illo).

      Una élite è un universo nel quale l'ordine delle gerarchie di talento, competenza, creatività etc. è determinato all'interno della stessa élite, e solo da essa. I profani non hanno voce in capitolo in questo processo. Ad esempio, sono i fisici che scelgono il più grande tra loro, i matematici fanno lo stesso, come pure gli artisti. Il "popolo profano" può essere d'accordo o meno, ma non può che restare fuori dal giudizio.

      Questo criterio, trasferito in ambito politico, è estremamente pericoloso, anche quando le élites sono effettivamente tali e non un esercito di leccaculo il cui vero talento è quello di tessere lodi per chi li paga e protegge. Volete un esempio recente di quest'ultimo caso? The bokkinians! E più non dimandate.

      Diverso è il discorso nel caso delle avanguardie. Queste non sono un universo separato, a sé stante, ma un corpo sociale che affonda le sue radici nei bisogni e nelle volontà dei più, e il cui compito è quello di portarle a sintesi nonché contribuire a realizzarle.

      E' questa la ragione per cui le élites non devono aver voce in capitolo in politica, come pure le avanguardie non devono averla nel campo delle scienze e dell'arte.

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  4. Gli appartenti a quelle che chiami "avanguardie", se già non siano, diventano parte integrante di una èlite per il semplice fatto di essere stati individuati dalla gente comune quali depositari di conoscenze e capacità che la gente comune non possiede.

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    1. Hai ragione, con il tempo finisce così. E allora? Che ce lo metti a fare il pane in dispensa, non lo sai che con il tempo si guasta?

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    2. Mi sono spiegato male: è lo stesso popolo che, affidandosi ad essi, ne fa oggettivamente una èlite di persone. Ma, come ho cercato di far capire prima, questo non è un fatto sempre e comunque negativo, poiché l'appartenere ad una èlite non implica necessariamente nutrire disprezzo verso chi non vi appartiene, essendo il concetto di èlite più ampio rispetto al significato che Pareto dà al termine. Togliatti, Beringuer, Nenni, Degasperi, Moro "lavoravano" per il popolo (o almeno credevano di farlo) ma erano e si perepivano come parte integrante di una èlite, nè potevano non essere e non percepirsi come tali. Tutto sta nello spessore umano e nella sensibilità individuale di chi è membro della èlite.

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